1/ Perché un «no» deciso alla cannabis. Il cieco pressappochismo che accende «canne», di Chino Pezzoli (Comunità Promozione Umana) 2/ Perché un «no» etico alla cannabis anche light. Non solo «fa male». È un autentico male, di Roberto Colombo
1/ Perché un «no» deciso alla cannabis. Il cieco pressappochismo che accende «canne», di Chino Pezzoli (Comunità Promozione Umana)
Riprendiamo da Avvenire del 26/6/2018 una lettera di Chino Pezzoli. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Droga e dipendenze.
Il Centro culturale Gli scritti (1/7/2018)
Caro direttore,
ora la cannabis si vende nelle tabaccherie, nelle farmacie e altrove con l’indicazione del principio attivo. E oggi è la giornata contro l’abuso e il traffico di droga. La cannabis è legale perché il contenuto di Thc (tetraidrocannabinolo), il principio attivo che se assunto provoca gli effetti stupefacenti, è inferiore allo 0,6%, il limite consentito dalla legge. In questo caso, le falsità si vendono con lo stesso prodotto. È infatti risaputo – e su queste pagine è stato subito sottolineato – che la cannabis “fa male”. Sempre.
Gli studi scientifici, da tempo, hanno dimostrato le conseguenze dannose in chi ne fa uso. Lo stesso Dipartimento politiche antidroga ha pubblicato nel 2011 una accurata ricerca. E già nel 2001, Giovanni Battista Cassano, docente dell’Università di Pisa denunciava che «questa droga (la marijuana) agisce nelle stesse strutture del cervello interessate dalla cocaina e dalla morfina, e costituisce un gradino, sia per l’assunzione delle droghe “pesanti”, sia come attivatore di patologie psichiatriche [...] di tipo paranoide [...] o crisi di depersonalizzazione». Le conseguenze negative risultanti dal consumo della cannabis, sono descritte pure nel libro dello psicanalista Claudio Risé, dal titolo “Cannabis, come perdere la testa e a volte anche la vita”. «La leggerezza – spiega lo specialista – sta solo nel considerarla [una droga] poco pericolosa. Oggi gli spinelli sono geneticamente modificati e potenziati per avere effetti sempre più micidiali, e causano gravi danni cerebrali. Di cannabis, oggi, si può anche morire».
E tuttavia la disinvoltura di alcuni mezzi di comunicazione ha diffuso in molti la convinzione della cosiddetta “canna” come sostanza inoffensiva. «Fa più male l’alcol quando ci si sbronza», si dice, come se il problema fosse di scegliere il meno dannoso di due veleni, dimenticando il particolare, non proprio irrisorio, che entrambe le sostanze avvelenano l’esistenza umana. La cannabis, è una bomba per il cervello, specie per gli adolescenti. Dà problemi di memoria e concentrazione, provoca apatia e demotivazione, disturbi nella capacità di formulare idee e risolvere problemi. Può causare ansia e depressione, allucinazioni, attacchi di panico e paranoia. E gravi malattie mentali, come psicosi e schizofrenia. Come minimo, fa da autostrada per altre droghe: i tossicodipendenti iniziano sempre con “una canna”. Una domanda è lecita: perché, allora, tanto pressappochismo? I motivi sono diversi. In sostanza, la vendita nelle tabaccherie, l’aumento della quantità distribuita grazie alla legge del libero mercato, la diffusione sempre più capillare, disegnano i contorni di un Paese schizofrenico, dove si piangono le morti giovani del sabato sera (anche sotto effetto di cannabis), ma non ci si interessa mai veramente a che cosa le provochi e perché.
Nessun giornale italiano pro-canne ha avuto, ancora, il coraggio di comportarsi come il quotidiano britannico “The Independent” che è uscito con in prima pagina il titolo: «Cannabis: an apology», (Cannabis: ci siamo sbagliati) per annunciare i risultati di un’inchiesta che aveva portato a rivedere le posizioni che, un decennio prima, lo avevano spinto a una campagna per la liberalizzazione e il declassamento fra le droghe cosiddette leggere e non punibili.
Che fare? Bisogna rendere chiaro a tutti, senza confusione e pressappochismo, che qualsiasi tipo di droga fa male. È falso ribadire che tale strategia non darà risultati, anche perché, fino adesso, è prevalsa la tesi del permissivismo ed è stata diffusa l’idea che gli “spinelli” non fanno male; anzi qualcuno ha pure sostenuto la tesi, senza fondamento scientifico, che curano persino determinate malattie. Conosco papà e mamme che passano questa sostanza ai loro figli e la fumano insieme. Sono degli irresponsabili. I nostri ragazzi vanno educati a difendere la loro salute fisica e psichica, e anche morale.
2/ Perché un «no» etico alla cannabis anche light. Non solo «fa male». È un autentico male, di Roberto Colombo
Riprendiamo da Avvenire del 26/6/2018 un articolo di Roberto Colombo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Droga e dipendenze.
Il Centro culturale Gli scritti (1/7/2018)
Il recente parere espresso dal Consiglio superiore di sanità contrario alla vendita della cosiddetta “cannabis leggera” (tetraidrocannabinolo a basse concentrazioni: 0,2-0,6%) continua a far discutere. Sulla pericolosità per la salute fisica e psichica (il «fare male»), in particolare dei giovani e giovanissimi consumatori di cannabis, anche di questa forma di assunzione in posologia ridotta della droga sono già intervenuti sulle colonne di “Avvenire” i medici e ricercatori Silvio Garattini e Carlo Bellieni. Al di là del danno psico-fisico, resta però la domanda morale (l’«essere un male») cui non si può sottrarre un genitore, un educatore, un pastore, un responsabile della vita civile di un popolo e, non per ultima, la coscienza di un giovane o di un adulto che si trova di fronte alla tentazione o alla decisione di assumere una sostanza stupefacente per scopo non clinico. Sul piano antropologico ed educativo, la domanda sul bene e sul male non è certo una cenerentola rispetto a quella sanitaria sul fare bene e sul fare male. Anzi, essa assume una rilevanza profonda e determinante per la libertà del soggetto in ordine alle conseguenze personali di una azione su sé stesso, sugli altri e sulla comunità umana di appartenenza.
Nell’udienza ai partecipanti alla 31esima edizione dell’International Drug Enforcement Conference che si svolse a Roma nel giugno 2014, papa Francesco così si espresse: «Il flagello della droga continua a imperversare in forme e dimensioni impressionanti, alimentato da un mercato turpe, che scavalca confini nazionali e continentali. In tal modo continua a crescere il pericolo per i giovani e gli adolescenti. Di fronte a tale fenomeno, sento il bisogno di manifestare il mio dolore e la mia preoccupazione». E aggiunse: «Vorrei dire con molta chiarezza: la droga non si vince con la droga! La droga è un male, e con il male non ci possono essere cedimenti o compromessi. [...] Le legalizzazioni delle cosiddette “droghe leggere”, anche parziali, oltre a essere quanto meno discutibili sul piano legislativo, non producono gli effetti che si erano prefisse». Concludendo, «intendo ribadire quanto già detto in altra occasione: no a ogni tipo di droga. Semplicemente. No a ogni tipo di droga». La ragione del deciso “no” di papa Bergoglio «a ogni tipo di droga» si radica nella negatività antropologica e morale che l’assunzione di stupefacenti rappresenta per la vocazione della persona all’amore autentico e alla vita come dono. San Giovanni Paolo II nel 1991 lo disse con altrettanta chiarezza: «Non si può parlare della “libertà di drogarsi” né del “diritto alla droga”, perché l’essere umano (...) non ha il diritto di danneggiare sé stesso», ma soprattutto «non può né deve mai abdicare alla dignità personale che gli viene da Dio!». Le assunzioni di droghe – proseguiva – «non solo pregiudicano il benessere fisico e psichico, ma frustrano la persona proprio nella sua capacità di comunione e di dono. Tutto ciò è particolarmente grave nel caso dei giovani. La loro, infatti, è l’età che si apre alla vita, è l’età dei grandi ideali, è la stagione dell’amore sincero e oblativo».
Nel caso dell’assunzione di cannabis, come di ogni altra sostanza stupefacente, non è questione di milligrammi o di concentrazioni, di parti anziché della dose intera. È in gioco l’intero della persona, dell’adulto come del giovane e dell’adolescente, la sua libertà in crescita, il suo cammino individuale e comunitario, il compito che esercita o che l’attende nella società. La questione ultima è il bene contrapposto al male, non ciò che fa bene o fa male. Queste due sono questioni penultime, ma non per questo irrilevanti o marginali. Ma l’ordo amoris – integrale e non frammentabile – trascende e invera ultimamente la cura della propria salute e di quella altrui.