Sui migranti sia una posizione di rifiuto che di accoglienza indiscriminata sono erronee. Solo una visione realistica è vera, le altre sono fumo negli occhi per gli italiani e dannose per i migranti, di Giovanni Amico
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Il Centro culturale Gli scritti (17/6/2018)
Nel dibattito sull’accoglienza dei migranti – in specie quelli recenti sulla nave Aquarius, ma in realtà sempre – sembrano avere spazio sui media e fra gli “intellettuali” solo due fronti in totale contrapposizione, quello dei “razzisti” e quello degli “anti-razzisti”: l’uno accusa l’altro e ogni estremo dà forza all’altro.
Che così si distribuiscano i social è ancora comprensibile, anche se inaccettabile, ma quando sono i media e gli “intellettuali” a cavalcare la contrapposizione, la modalità dei fronti contrapposti diviene irresponsabile e gravissima.
Infatti, a qualunque amante sia dei migranti sia dei paesi ospitanti, come a qualunque vero esperto di immigrazione e integrazione, appare evidente che solo una posizione intermedia è vera: si tratta di decidere di accogliere, ma facendo bene i conti con le risorse che si hanno, soffermandosi sui progetti di integrazione che si è in grado di mettere in atto, sulle opportunità di lavoro che si è in grado di offrire.
Il governo di centro-sinistra Gentiloni aveva ben capito, ben prima che salissero al governo leghisti e grillini, che senza dedicare risorse ingenti ai progetti di integrazione successivi al salvataggio in mare e alla prima accoglienza, senza contrastare l’immigrazione irregolare, senza una politica di internazionale di sviluppo delle nazioni meno abbienti, senza stabilire un tetto annuale di migranti da accogliere, privilegiando così rifugiati e persone maggiormente bisognose, l’accoglienza sarebbe stata un bluff.
Le vicende della tendopoli di San Ferdinando – a fianco della quale è stato ucciso Soumaila, che reperiva materiale per baracche che esistono ormai da più di 8 anni – sta lì a testimoniare le conseguenze di una prima accoglienza non seguita da veri processi di integrazione.
Minniti e Pinotti, nel precedente governo di centro-sinistra, con il pieno appoggio del premier Gentiloni e del segretario Renzi, hanno perseguito una politica che è stata contemporaneamente di accoglienza e di contrasto dell’immigrazione.
Con Minniti, infatti, il numero dei passaggi in mare è stato sensibilmente diminuito con un preciso lavoro di politica internazionale e, contemporaneamente, da Pinotti sono state inviate truppe italiane in Niger per salvaguardare i migranti dalla mafia locale araba e africana, allo scopo contemporaneo di rallentarne il passaggio.
La politica di contrasto dell’immigrazione caratterizza al momento qualsiasi paese d’Europa, non solo la Polonia o l’Ungheria. Solo l’Italia, a motivo della sua cultura e della sua posizione geografica, pur essendo poverissima di progetti e di risorse investite per l’integrazione di medio e lungo periodo, è totalmente sbilanciata a favore dell’accoglienza.
Il resto d’Europa, dalla Svezia, alla Francia, alla Spagna, alla Danimarca è, invece, totalmente sbilanciata sul blocco delle frontiere, al punto che, di fatto, qualsiasi attraversamento di esse è impossibile.
Non solo l’Europa. Anche i paesi più ricchi del mondo arabo (dall’Arabia Saudita, al Qatar, al Kuwait, a differenza di quelli poveri come la Giordania), i paesi asiatici (dalla Birmania alla Cina), e nazioni come il Canada, sono totalmente chiusi all’accoglienza.
L’Italia è, in questo momento, sola.
Anche il governo Conte non potrà, ben al di là delle roboanti dichiarazioni, che accogliere, ma al contempo dovrà, come il governo precedente di centro-sinistra, mettere in atto misure di contrasto dell’immigrazione irregolare.
Tanto è vero che, mentre all'Aquarius, con 629 migranti a bordo, è stato impedito di attraccare, contemporaneamente, lo stesso giorno, il 13 giugno 2018, alla Diciotti, con 932 migranti a bordo, è stato consentito l'attracco nel porto di Catania, nel silenzio ideologico dei quotidiani dell'una e dell'altra parte.
Papa Francesco ha ben compreso queste dinamiche, soprattutto a partire dal suo viaggio in Svezia nel quale le autorità svedesi hanno condiviso con lui le loro perplessità riguardo alle modalità di accoglienza fin qui attuate:
«Non si può chiudere il cuore a un rifugiato, ma ci vuole anche la prudenza dei governanti: devono essere molto aperti a riceverli, ma anche fare il calcolo di come poterli sistemare, perché un rifugiato non lo si deve solo ricevere, ma lo si deve integrare. Qual è il pericolo quando un migrante non viene integrato? Si ghettizza, ossia entra in un ghetto. E una cultura che non si sviluppa in rapporto con l’altra cultura, questo è pericoloso. Il più cattivo consigliere per i Paesi che tendono a chiudere le frontiere è la paura, e il miglior consigliere è la prudenza»[1].
O ancora rispondendo agli studenti dell’Università Roma Tre:
«Come si devono ricevere i migranti, come si devono accogliere? Primo, come fratelli, sorelle, umani. Sono uomini e donne come noi. Secondo, ogni paese deve vedere di quale numero è capace di accogliere. È vero, non si può accogliere se non c’è possibilità, ma tutti possono fare qualcosa. E poi non solo accogliere, ma integrare, ricevere: imparare la lingua, cercare lavoro, una abitazione, che ci siano organizzazioni per integrare»[2].
In questi passaggi il papa mostra, dal suo punto di vista, il duplice sguardo che deve avere una politica di accoglienza dei migranti tesa a non creare ghetti, ma a promuovere una vera integrazione, realistica e profetica.
Non si tratta quindi di citare versetti favorevoli e contrari allo straniero nella Bibbia. Sarebbe un saltare a piè pari la laicità e l’elaborazione di una politica sui migranti attualmente inesistente in Italia, come quando si brandiva il Vangelo contro il divorzio dicendo: «Gesù ha detto “L’uomo non separi ciò che Dio ha unito”, quindi “no” al divorzio», senza affrontare la dimensione giuridica e sociale del problema.
Si tratta allora di un vero lavoro di elaborazione politico e sociale e precisamente:
- di avere proposte concrete per accrescere i posti di lavoro,
- di avere idee per contrastare la malavita africana, arabo-islamica ed europea,
- di avere progettualità per integrare culturalmente chi giunge in Italia,
- di avere capacità giuridica per modificare le leggi iper-garantiste per rendere possibile l’immediata assegnazione al lavoro di chi giunge in Italia perché si senta di essere in grado e di dover contribuire al proprio sostentamento non vivendo solo di elemosina poiché questa intristisce e svilisce la propria dignità,
- di avere capacità di elaborare un piano che stabilisca quote di migranti che siano compatibili con le reali possibilità di lavoro che il paese avrà a disposizione
- di decidere se ha senso far attraversare il deserto e il mare o se non sia meglio costruire corridoi umanitari che permettano alle quote stabilite di migranti di essere accompagnate senza l’obbligo di raggiungere l’Italia con tragitti dominati dalle mafie africane e arabe,
- di ritrovare forza politica internazionale per trainare un’intesa con l’Europa – al momento assolutamente reticente – perché il peso delle migrazioni non ricada interamente sull’Italia
- di coinvolgere nel processo le nazioni arabo-islamiche, asiatiche, nord e sud-americane, ancor più reticenti delle nazioni euopee, perché anche i paesi del Nord del mondo come l’Arabia Saudita, il Qatar, il Kuwait, la Cina, ecc. divengano accoglienti e permettano una siddivisione del carico dei migranti.
- di privilegiare il sostegno allo sviluppo dell’economia nei paesi d’origine e incoraggiare le chiese dei paesi d’Africa nel loro sforzo di non lasciar partire i giovani.
Note al testo
[1] Conferenza Stampa di Papa Francesco nel volo di ritorno dalla Svezia, il 1/11/2016, durante il volo di ritorno da Malmö.
[2] Papa Francesco nell’incontro con gli universitari di Roma Tre, 17/2/2017. Parlando nel corso della conferenza stampa nel volo di ritoprno dalla Colombia il 10/9/2018, ha detto ancora: «Io sento il dovere di gratitudine verso l’Italia e la Grecia, perché hanno aperto il cuore ai migranti. Ma non basta aprire il cuore. Il problema dei migranti è, primo, cuore aperto, sempre. E’ anche un comandamento di Dio, di accoglierli, “perché tu sei stato schiavo, migrante in Egitto” (cfr Levitico 19,33-34): questo dice la Bibbia. Ma un governo deve gestire questo problema con la virtù propria del governante, cioè la prudenza. Cosa significa? Primo: quanti posti ho? Secondo: non solo riceverli, ma anche integrarli. Integrarli. Io ho visto esempi – qui, in Italia – di integrazione bellissimi. Quando sono andato all’Università Roma Tre, mi hanno fatto domande quattro studenti; una, l’ultima, che ha fatto la domanda, io la guardavo [e pensavo]: “Ma questa faccia la conosco…”. Era una che meno di un anno prima era venuta da Lesbo con me nell’aereo. Ha imparato la lingua, e siccome studiava biologia nella sua patria ha fatto l’equiparazione e ha continuato. Ha imparato la lingua. Questo si chiama integrare. In un altro volo – quando tornavamo dalla Svezia, credo – ho parlato della politica di integrazione della Svezia come un modello, ma anche la Svezia ha detto, con prudenza: “Il numero è questo; di più non posso”, perché c’è il pericolo della non-integrazione. Terzo: c’è un problema umanitario, quello che Lei diceva. L’umanità prende coscienza di questi lager, lì? Delle condizioni di cui Lei parlava, nel deserto? Ho visto delle fotografie… Ci sono gli sfruttatori… Lei parlava del governo italiano: mi dà l’impressione che stia facendo di tutto per lavori umanitari, per risolvere anche il problema che non può assumere...
Ma [riassumendo]: cuore sempre aperto, prudenza, integrazione e vicinanza umanitaria.
E c’è un’ultima cosa che voglio dire, e vale soprattutto per l’Africa. C’è, nel nostro inconscio collettivo, un motto, un principio: “L’Africa va sfruttata”. Oggi a Cartagena abbiamo visto un esempio di sfruttamento, umano, in quel caso [quello degli schiavi]. E un capo di governo, su questo, ha detto una bella verità: “Quelli che fuggono dalla guerra, è un altro problema; ma per tanti che fuggono dalla fame, facciamo investimenti lì, perché crescano”. Ma nell’inconscio collettivo c’è che ogni volta che tanti Paesi sviluppati vanno in Africa, è per sfruttare. Dobbiamo capovolgere questo: l’Africa è amica e va aiutata a crescere. Poi, gli altri problemi, di guerre, vanno da un’altra parte. Non so se con questo ho chiarito».