La professione dell’avvocato. Etica e giustizia, le sfide della professione forense e il suo contributo al bene comune, di Rocco Luigi Girolamo
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Riprendiamo, per gentile concessione, il testo di una relazione dell’Avv. Rocco Luigi Girolamo, Patrocinante in Cassazione, da lui tenuta presso il Centro Culturale Paolo VI nella sede di Sant’Ivo alla Sapienza in Roma il 22/5/2018. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Magistratura ed educazione alla giustizia.
Il Centro culturale Gli scritti (27/5/2018)
Ringrazio innanzitutto il “Centro Culturale Paolo VI”, Don Mauro Mantovani e la Collega moderatrice Avv. Silvia Tagliente dell’onore che mi hanno voluto attribuire, di cimentarmi in un tema così ampio, impegnativo e delicato, foriero di implicazioni e prospettive le più diversificate. Ringrazio altresì tutti Voi per la pazienza che avrete nell’ascoltarmi, e mi auguro di non annoiarVi troppo.
Breve cappello introduttivo, forse inutile dato il livello della platea: l’etica è quel ramo della filosofia che si occupa di qualsiasi forma di comportamento umano, politico, giuridico o morale (dal greco antico, ἦθος, appunto “carattere”, “comportamento”, “costume”, “consuetudine”), che studia i fondamenti razionali che permettono di assegnare ad atteggiamenti, azioni e/o omissioni degli uomini uno status deontologico, e che ci permette di distinguere detti comportamenti in buoni, giusti, leciti, e qualificarli tali rispetto ai comportamenti ritenuti ingiusti, illeciti, sconvenienti o cattivi secondo un dato modello comportamentale ideale.
L’etica si occupa quindi della sfera delle azioni buone o cattive, e non già di quelle giuridicamente permesse o proibite, o di quelle politicamente più adeguate. Date queste premesse, sicuramente qualcuno di Voi si starà chiedendo: e allora perché a parlare di etica e di giustizia è stato chiamato un Avvocato, che è sempre un soggetto che deve tutelare al meglio delle proprie capacità professionalità e competenza gli interessi di una sola parte, quella da cui ha ricevuto un mandato, che rappresenta e che lo deve retribuire?
In effetti oggi alla figura dell’avvocato è data quasi sempre una accezione sostanzialmente negativa. Sempre più di frequente ci troviamo di fronte ad episodi di cronaca giudiziaria che vedono coinvolti (quando non addirittura protagonisti) gli avvocati, le cui nomea e reputazione sono sempre più deteriorate ed involgarite dinanzi alla pubblica opinione, che – temiamo – si sta (purtroppo) abituando a vedere nell’avvocato una figura apparentemente deleteria, come a dire: se c’è un avvocato, allora c’è qualcosa che non va, di losco, o quantomeno di indefinito…
E invece, nonostante sia tutto sommato un rappresentante di parte, che si fa portatore di istanze settoriali di fronte all’Organo Giudiziario che è per definizione “Terzo”, l’avvocato è e rimane una figura imprescindibile del sistema giustizia, “l’operatore del casello per il pedaggio dal quale chiunque in cerca di giustizia deve passare” (Jane Bryant Quinn, giornalista finanziaria americana), il professionista “utile ai giudici per aiutarli a decidere secondo giustizia, utile al cliente per aiutarlo a far valere le proprie ragioni” (Pietro Calamandrei, insigne giurista, politico ed avvocato vissuto nel secolo scorso, padre fondatore del codice di procedura civile).
Lo stesso Santo Padre Paolo VI, nel suo “Discorso ai partecipanti all’VIII° Congresso Internazionale dei Giovani Avvocati” tenuto il 24 settembre 1970, rivolgendosi alla platea dei destinatari riconosceva che “la vostra attività, in quanto si esplica in un rapporto di diretta collaborazione con l’amministrazione della giustizia, ha una importanza fondamentale nella vita della collettività, perché appunto coopera al fine altissimo di salvaguardare i diritti dei cittadini, e di garantire l’ordinato sviluppo della società nella libertà e nella giustizia per tutti”.
Proprio al raggiungimento del “fine altissimo” indicato dal Santo Padre Paolo VI è teso il lavoro generoso, silenzioso e disinteressato, di sacrificio ed abnegazione, che tanti avvocati svolgono quotidianamente al servizio di quanti non sono in grado di tutelare da soli i propri diritti ed interessi, o non hanno i mezzi per farlo. Avvocati che operano, ad esempio, per la difesa dei non abbienti con il gratuito patrocinio, o con le difese d’ufficio nel processo penale, o con l’assistenza giudiziale e stragiudiziale prestata in favore di associazioni no profit o di volontariato: situazioni nelle quali l’avvocato comunque svolge la propria attività al meglio possibile per la migliore tutela degli interessi del proprio cliente, accettando anche l’eventualità di non vedersi affatto remunerato, o quantomeno di vedersi remunerato a distanza di anni. In ciò, dunque, può essere riconosciuta all’avvocato una vera e propria funzione sociale, innanzitutto nel sistema giustizia, perché operando anche in favore di quanti non sarebbero in grado di sostenerne economicamente il peso, l’avvocato può (parafrasando Jose Martì, eroe nazionale dell’indipendenza cubana dalla Spagna, vissuto nel XIX secolo: “Chi ottiene un diritto non ottiene di violare quello degli altri per mantenere il suo”) aiutare il proprio assistito ad «ottenere o salvaguardare un proprio diritto, operando senza violare quello degli altri», ed in piena e corretta applicazione delle regole sostanziali e processuali dettate per la civile convivenza.
Ma la funzione sociale dell’avvocato opera anche in ambito più ampio, al di fuori del circoscritto sistema giustizia, con riferimento alla tutela e al patrocinio di quelle istanze di libertà, eguaglianza, progresso, sviluppo e benessere che ogni società deve coltivare, custodire e incrementare, nell’interesse generale della collettività. Anche se fanno notizia e vengono ricordati sempre gli esempi negativi, pare opportuno anche ricordare che, dopo i giornalisti, gli avvocati costituiscono la categoria più colpita al mondo da aggressioni, arresti, detenzioni arbitrarie e discriminazioni da parte dell’autorità costituita, in quanto soggetti attivi (e perciò maggiormente esposti) per la tutela dei diritti umani e contro la violazione sistematica del diritto all’equità processuale.
Come emerso in un convegno organizzato lo scorso 24 gennaio 2018 dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Venezia in occasione della Giornata Internazionale dell’Avvocato Minacciato, «gli attacchi agli avvocati, come a tutti gli altri difensori dei diritti umani, possono avere matrice governativa come per esempio in Cina o Turchia, oppure originare dalla criminalità organizzata o da organizzazioni terroristiche direttamente od indirettamente coinvolte nei procedimenti. In Italia esempi di questo tipo sono stati quelli dei martiri della Toga Fulvio Croce, ammazzato a Torino dalle Brigate Rosse, o Serafino Famà, ucciso dalla mafia a Catania, ma anche possono aver luogo nella rete, nel web, come sempre più spesso accade anche nel nostro Paese».
Sono dati impressionanti, eppure sottaciuti o sottovalutati, nonostante che la corretta, coerente ed uniforme applicazione della legge e del diritto costituisca l’esempio più evidente di libertà e di civiltà di un paese, il segnale più convinto di indipendenza dei suoi cittadini e di assenza di soprusi e prevaricazione da parte dei suoi rappresentanti. Come diceva il già citato Pietro Calamandrei, “la libertà è condizione ineliminabile della legalità; dove non vi è libertà non può esservi legalità”; e ancora, “solo là dove gli avvocati sono indipendenti, i giudici possono essere imparziali; solo là dove gli avvocati sono rispettati, sono onorati i giudici; e dove si scredita l’avvocatura, colpita per prima è la dignità dei magistrati, e resa assai più difficile ed angosciosa la loro missione di giustizia”. Come Papa Paolo VI ha rilevato nel già citato “Discorso ai partecipanti all’VIII° Congresso Internazionale dei Giovani Avvocati”, “essenziale dovere della vostra professione è il culto della verità, presupposto fondamentale per il mantenimento della giustizia”.
Verità che, aggiungiamo noi, deve trascendere il limite della mera “verità processuale”, che costituisce l’insieme dei giudizi formulati seguendo le regole del diritto processuale, ma che non necessariamente corrisponde alla verità in senso assoluto; “verità processuale” alla quale pure molti avvocati aspirano come fine ultimo di ogni propria iniziativa.
È indubbio che il corretto esercizio della professione forense da parte di ogni singolo avvocato esalti il suo ruolo specifico di attuatore del diritto costituzionale di difesa, e di garante della effettività dei diritti in favore della collettività. La funzione sociale dell’attività difensiva è prevista già direttamente nell’ambito nella nostra Carta Costituzionale, che all’art. 24 testualmente prescrive: “Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione. La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari”.
Tale funzione, di valenza pubblicistica, è altresì ribadita e specificata anche nella Legge Professionale Forense, la n. 247/2012, entrata in vigore il 02.02.2013, recante la “Nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense”, che ha sancito in maniera esplicita alcuni principi fondamentali di interesse pubblico a cui deve attenersi l’avvocato nella sua funzione di garanzia e tutela degli interessi individuali e collettivi. È stato ad esempio prescritto che “l’esercizio dell’attività di avvocato deve essere fondato sull’autonomia e sulla indipendenza dell’azione professionale e del giudizio intellettuale”; e che “la professione forense deve essere esercitata con indipendenza, lealtà, probità, dignità, decoro, diligenza e competenza, tenendo conto del rilievo sociale della difesa e rispettando i principi della corretta e leale concorrenza”.
Si tratta di doveri cristallizzati in un testo legislativo, quindi di efficacia generale ed astratta, ulteriormente specificati nell’ambito del vigente Codice Deontologico Forense, in vigore dal 16 dicembre 2014, che stabilisce le norme di comportamento che l’avvocato è tenuto ad osservare nei suoi rapporti con il cliente, con la controparte, con altri avvocati e con altri professionisti. Anche tramite il rispetto di tali norme di comportamento, l’avvocato contribuisce all’attuazione dell’ordinamento giuridico per i fini della giustizia.
Tra i tanti doveri prescritti (cito ad esempio l’art. 9: doveri di probità, dignità, decoro e indipendenza; l’art. 10: dovere di fedeltà; l’art. 12: dovere di diligenza; l’art. 13: dovere di segretezza e riservatezza; l’art. 14: dovere di competenza; l’art. 15: dovere di aggiornamento professionale e di formazione continua; l’art. 16: dovere di adempimento fiscale, previdenziale, assicurativo e contributivo; l’art. 19: doveri di lealtà e correttezza verso i colleghi e le istituzioni forensi; l’art. 27: doveri di informazione al cliente; l’art. 28; dovere di riserbo e segreto professionale; l’art. 35: dovere di corretta informazione al pubblico; l’art. 50: dovere di verità: ecc.), riteniamo di fondamentale importanza per l’esplicazione della funzione sociale a cui l’avvocato è chiamato per la realizzazione del bene comune quello di garantire sempre una adeguata competenza e di assicurarsi un costante aggiornamento professionale, perché il professionista deve essere in grado di maneggiare il diritto con professionalità e capacità curando costantemente le proprie preparazione e formazione. Solo il costante aggiornamento, infatti, consente all’avvocato di verificare l’attualità e l’efficacia delle proprie conoscenze rispetto allo jus superveniens, cioè le modifiche legislative nelle more intervenute, e soprattutto rispetto al mutare degli orientamenti giurisprudenziali, che spesso sono più incisivi e penetranti di norme non sempre coerenti tra loro.
D’altra parte, già Papa Paolo VI rilevava nel già citato “Discorso ai partecipanti all’VIII Congresso Internazionale dei Giovani Avvocati” che “quando voi prestate al cliente l’assistenza della vostra competenza giuridica, questo servizio richiede doti non comuni da voi ed una severa ed accurata preparazione. Si tratta, infatti, di applicare le norme astratte della legge ai casi concreti della vita umana, tenendo conto di tutte le circostanze materiali e psicologiche”. Quindi, fondamentale per la corretta esplicazione della “attività specifica e benemerita che voi svolgete” è che la preparazione adeguata, accurata e costantemente aggiornata, si accompagni ad un “assiduo, vigile impegno morale”, e si ispiri “costantemente a quei principi etici, aventi nell’ordine obiettivo della legge divina, naturale e positiva, non meno che nella coscienza soggettiva, la loro consistenza, e che conferiscono alla norma giuridica, oltre che la sua «ratio iuris», la sua stabilità e il suo valore sociale” (cito ancora Papa Paolo VI).
La direttiva tracciata da Papa Paolo VI, pur se contenuta in un discorso di quasi cinquanta anni fa, è quanto mai moderna ed attuale, se è vero che ancora oggi il messaggio ad essa sotteso viene continuamente recepito, approfondito e diffuso nell’ambito specifico e settoriale dell’avvocatura. Infatti, in un libro pubblicato di recente dal titolo “Professione: Avvocato – Le qualità distintive della professione raccontate dagli avvocati”, edito da Giuffrè e presentato nel febbraio scorso in un convegno dinanzi all’Ordine degli Avvocati di Milano, i curatori Alessandro Barzaghi e Lia Campione – anch’essi avvocati, soci di studi legali d’affari di rilievo internazionale – hanno chiesto ad un gruppo di professionisti di individuare le qualità ritenute indispensabili per essere un buon avvocato, classificando le risposte ricevute in quattro ambiti, i primi due di carattere concreto e pratico, e i restanti due di carattere astratto e idealistico, vale a dire: mente aperta, ovvero curiosità, creatività, flessibilità, duttilità, apertura, globalità cioè la capacità di elaborare in maniera costruttiva i cambiamenti interni agli studi, adattandosi a nuove governance e strutture, e quelli nelle richieste dei clienti, offrendo loro servizi innovativi, e quindi di interpretare le esigenze sia del mercato legale che di quello in cui si muovono i propri clienti; psicologia, ossia capacità di intuizione, saper ascoltare, empatia, disponibilità all’ascolto. Possedere doti di dialettica, retorica e buona oratoria spesso non è sufficiente, perché un conto è saper argomentare, e un altro è saper comunicare in modo efficace. Entrando in contatto con una pluralità di persone (clienti, colleghi, collaboratori, giudici, etc.), all’avvocato è richiesta una speciale capacità di capire chi ha di fronte, adattare il proprio modo di relazionarsi, mettersi nei panni dell’interlocutore, far passare le informazioni nel modo giusto, ascoltare in modo attento e rispondere in modo empatico. L’avvocato deve cioè sviluppare la capacità di connettersi con il cliente e ispirare fiducia; serietà, che comprende diligenza, pazienza, umiltà, coscienza del ruolo, caratteristiche senza tempo, troppo spesso degradate a piccole virtù, anche un po’ banali, ma che dovrebbero invece fare parte del corredo minimo indispensabile per l’esercizio della professione forense; ed infine etica, vale a dire rispetto, rettitudine, riservatezza, virtù senza tempo di ogni professionista che, seppur non innate, dovrebbero essere coltivate da ogni avvocato, perché – come si legge nel libro – “anche se il lavoro dell’avvocato è destinato a trasformarsi, il cuore della professione rimarrà lo stesso”.
Dunque, tra le qualità ritenute indispensabili per un buon avvocato sono indicate appunto la serietà e soprattutto l’etica, che congiuntamente considerate ed applicate consentono all’avvocato, “pur mantenendosi fedele alla verità e alle norme di diritto positivo”, di “allargare il suo sguardo oltre i confini della legge scritta e della giustizia umana, per ispirarsi a quella divina, ideale di ogni perfezione” (cito ancora Papa Paolo VI).
Grazie alla ricerca ed alla costante applicazione di tali qualità, l’avvocato ben potrà conformarsi a quell’ideale supremo di verità richiamato da Papa Paolo VI, necessario “nel compimento della vostra missione così nobile e così utile per la società” (cito ancora Papa Paolo VI) per perseguire la propria missione sociale nell’ambito della collettività. Missione che è e rimane quella della ricerca della giustizia e soprattutto dell’equità (la c.d. “giustizia del caso concreto”), dalla cui effettiva applicazione positiva consegue automaticamente il miglioramento dei rapporti sociali, grazie anche alla concatenata reviviscenza del ruolo pacificatore e di mediazione qualificata del professionista, chiamato non tanto ad assecondare in tutto e per tutto la volontà del cliente, quanto soprattutto ad indicare i mezzi giuridicamente leciti per realizzare i suoi interessi attraverso quella che Papa Paolo VI definiva “la ferma ed onesta tutela del giusto e del vero”.
Riflessione finale. Per quanto anacronistico possa sembrare in un’epoca in cui si tende ad appiattire, semplicizzare e forse a banalizzare ogni concetto, l’avvocato è chiamato sempre più ad adoperarsi, fattivamente, per la risoluzione dei problemi degli altri, clienti e controparti, in un’ottica anche di chiarimento e pacificazione preventiva, e non solo di intervento successivo, legato al momento patologico dei rapporti interpersonali. Essere avvocato deve diventare una professione che ha ad oggetto contatti, rapporti, accordi che aiutano gli uomini a riappacificare i propri diritti ed interessi e a contemperarli con quelli degli altri singoli e dell’intera collettività. Una professione deputata a fornire tutela ai diritti violati e a scardinare le ingiustizie terrene, a difendere ed applicare il diritto e la giustizia con “rigore logico, cultura vasta e profonda, talento oratorio, esperienza e capacità di penetrare nei più intimi e disparati aspetti della vita dell’uomo” (ancora una volta ho citato Papa Paolo VI). Una professione alta e qualificata, che dovrebbe essere sempre ispirata da un pensiero di Sant’Agostino che più di ogni altro rende il senso vero della giustizia: “La giustizia è quella disposizione dell’animo che, mentre custodisce il bene comune, accorda a ciascun uomo la dignità che gli è propria”.
Una professione, infine, permeata non solo e non tanto di capacità o efficienza tecnica, quanto e soprattutto di impegno sociale, di implicazioni personali che vanno tradotte in atteggiamenti e condotte di costante compartecipazione e condivisione della vita e dei drammi degli altri, in una specifica sensibilità alle problematiche sociali ed umanitarie. Come ha scritto il già citato Calamandrei: “Molte professioni possono farsi col cervello e non col cuore. Ma l’avvocato no. (…) L’avvocato deve essere prima di tutto un cuore: un altruista, uno che sappia comprendere gli altri uomini e farli vivere in sé, assumere i loro dolori e sentire come sue le loro ambasce. L’avvocatura è una professione di comprensione, di dedizione e di carità. Per questo amiamo la toga: per questo vorremmo che, quando il giorno verrà, sulla nostra bara sia posto questo cencio nero: al quale siamo affezionati perché sappiamo che esso ha servito a riasciugare qualche lacrima, a risollevare qualche fronte, a reprimere qualche sopruso: e soprattutto a ravvivare nei cuori umani la fede, senza la quale la vita non merita di essere vissuta, nella vincente giustizia”. Vi ringrazio per l’attenzione che mi avete dedicato.