1/ «Non penso, come riporta il titolo del "Giornale", che: "Finché esisterà l'Islam, l'Isis ci vorrà eliminare". La mia riflessione scaturisce da una particolare metodologia nello studio del rapporto tra l'Islam e la violenza che invita a non prendere in considerazione il Corano, che è un insieme di parole, bensì la vita di Maometto, che è un insieme di comportamenti concreti», di Alessandro Orsini 2/ "Ora siamo in pericolo E finché esisterà l'islam l'Isis ci vorrà eliminare". «L'Isis non è morto - ha solo cambiato pelle» è il titolo dell'ultimo libro di Alessandro Orsini appena dato alle stampe da Rizzoli con un tempismo perfetto. Il docente della Luiss: il Califfato può morire come Stato, non come concezione del mondo. Un’intervista di Fausto Biloslavo
1/ «Non penso, come riporta il titolo del "Giornale", che: "Finché esisterà l'Islam, l'Isis ci vorrà eliminare". La mia riflessione scaturisce da una particolare metodologia nello studio del rapporto tra l'Islam e la violenza che invita a non prendere in considerazione il Corano, che è un insieme di parole, bensì la vita di Maometto, che è un insieme di comportamenti concreti», di Alessandro Orsini
Riprendiamo dal profilo FB Pagina Alessandro Orsini un post pubblicato il 30/3/2018. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione La crisi dell'Islam odierno.
Il Centro culturale Gli scritti (2/4/2018)
Cari amici, ho un chiarimento importante da fare.
[…] Il titolo, con cui "il Giornale" riassume il mio pensiero, può indurre ad alcuni fraintendimenti.
Non penso, come riporta il titolo del "Giornale", che: "Finché esisterà l'Islam, l'Isis ci vorrà eliminare". Il mio pensiero, sul rapporto tra l'Islam e la violenza, è diverso e, comunque, più complesso. L'ho esposto nelle conclusioni del mio primo libro sull'Isis: "Isis i terroristi più fortunati del mondo e tutto ciò che è stato fatto per favorirli" (Rizzoli, 2016).
La mia riflessione scaturisce da una particolare metodologia nello studio del rapporto tra l'Islam e la violenza che invita a non prendere in considerazione il Corano, che è un insieme di parole, bensì la vita di Maometto, che è un insieme di comportamenti concreti.
La mia tesi è che l'Islam violento esisterà sempre (e non che l'Isis ci ucciderà sempre) perché la figura storica di Maometto, in tema di violenza, è caratterizzata da un'ambiguità intrinseca e, come tale, insuperabile.
Maometto fu, nello stesso tempo, clemente e spietato con i suoi nemici. La vita di Maometto - questo è il mio pensiero - consente di giustificare sia l'Islam moderato, sia quello violento. Chi afferma: "Maometto fu un uomo di pace", pronuncia un'affermazione vera. Chi dice: "Maometto fu un uomo di guerra" pronuncia un'affermazione altrettanto vera.
Chiarito ciò, ricordiamoci che, al di là delle vicende storiche, ognuno di noi è libero di creare la propria storia, attraverso la libertà di scelta. E noi scegliamo la pace e il rispetto verso il prossimo.
Se poi la storia ha negato questi principi, noi ce ne freghiamo altamente. Noi costruiamo il nostro cammino.
E il nostro cammino è un cammino di pace. Tutto ciò che è al di fuori della pace è brutto.
2/ "Ora siamo in pericolo E finché esisterà l'islam l'Isis ci vorrà eliminare". «L'Isis non è morto - ha solo cambiato pelle» è il titolo dell'ultimo libro di Alessandro Orsini appena dato alle stampe da Rizzoli con un tempismo perfetto. Il docente della Luiss: il Califfato può morire come Stato, non come concezione del mondo. Un’intervista di Fausto Biloslavo
Riprendiamo da Il Giornale dell’1/4/2018 un’intervista di Fausto Biloslavo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione La crisi dell'Islam odierno.
Il Centro culturale Gli scritti (2/4/2018)
L'autore è direttore dell'Osservatorio sulla sicurezza internazionale dell'università Luiss di Roma. Nell'intervista al Giornale fa notare come la minaccia all'Italia sia paradossalmente aumentata con il crollo del Califfato in Medio Oriente.
Ci spiega perché l'Isis non è morto?
«L'Isis non è morto perché, prima di tutto, è un fenomeno culturale e le culture politiche non possono essere distrutte con le bombe. L'Isis può morire come Stato, ma non come concezione del mondo. Fino a quando esisterà la religione islamica, esisterà la possibilità che nasca un fenomeno come l'Isis perché la figura di Maometto è caratterizzata da un'ambiguità insuperabile che può giustificare sia la pace, sia la guerra».
L'Italia è in pericolo, come dimostrano gli arresti di questi giorni?
«L'Italia rischia di subire un attentato da parte di un militante dell'Isis e deve prepararsi a questa eventualità. Un tempo, i capi dell'Isis pianificavano gli attentati contro i Paesi che bombardavano le loro roccaforti. Era una strategia razionale, che ha risparmiato l'Italia. Oggi assistiamo a un impazzimento del terrorismo jihadista. I capi dell'Isis hanno smesso di coordinare gli attentati in Europa lasciando carta bianca ai lupi solitari e alle cellule autonome. Questo spiega attentati senza senso, come quello che ha colpito la Finlandia, il 18 agosto 2017. I capi dell'Isis colpivano in base a una logica rigorosa. I lupi solitari e le cellule autonome sono rabbia allo stato puro. Per questo motivo l'Italia, proprio nel momento del crollo statuale dell'Isis in Medio Oriente, è paradossalmente più esposta ad un attacco terroristico che non aveva mai subito prima».
Le festività, come la Pasqua, risvegliano i seguaci del terrore che abbiamo in casa?
«Almeno finora, i capi dell'Isis non hanno mai cercato di colpire l'Italia a Pasqua o a Natale, ma non possiamo escludere che un lupo solitario o una cellula autonoma provi a entrare in azione. Come ho spiegato agiscono senza seguire una logica politica. Dal loro punto di vista, la Finlandia e gli Stati Uniti sono sullo stesso piano. È chiaro che sono persone incapaci di pensare».
Il rientro dei volontari della guerra santa superstiti, che erano partiti per combattere sotto le bandiere nere, è una minaccia anche per l'Italia?
«Lo è, ma in misura contenuta rispetto ad altri paesi. Temiamo che possano fare ritorno circa cento soggetti partiti dall'Italia».
Potrebbe esserci un salto di qualità con macchine minate o droni, come sui fronti di guerra del Medio Oriente, temuto dall'agenzia comunitaria Europol?
«È possibile, ma poco probabile. L'uso di queste tecniche richiederebbe un notevole investimento da parte dei vertici dell'organizzazione, che non hanno più una base territoriale e sono costretti a vivere in clandestinità».
Un capitolo del suo nuovo libro riguarda l'immigrazione ed il terrorismo. Quattro degli arrestati di ieri della rete di Anis Amri, il killer del mercatino natalizio a Berlino, sono tunisini coinvolti nel favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. I terroristi si infiltrano nei flussi dei migranti?
«È successo che alcuni immigrati si siano radicalizzati dopo essere giunti in Italia sui barconi. È il caso di Anis Amri. Quando sbarcò a Lampedusa, non era un terrorista. Lo è diventato dopo. Il nesso tra immigrazione e terrorismo esiste, nel senso che alcuni immigrati sono poi diventati terroristi, ma nessun terrorista è mai arrivato su un barcone. Ad ogni modo, Anis Amri non è l'unico immigrato a essersi trasformato in terrorista. Il mio libro elenca tutti i casi».
Esiste un problema di radicalizzazione in Italia come spiega nel libro?
«È fuori discussione che esista. Basta leggere i documenti del ministero di Grazia e Giustizia sulla radicalizzazione nelle carceri italiane».
Per gli attentati jihadisti quale futuro ci attende?
«Un futuro con attentati per lo più a bassa intensità».