I critici letterari escano dal ghetto delle forme, di Tzvetan Todorov

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 28 /05 /2010 - 15:52 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo da Avvenire del 15/5/2010 un articolo di Tzvetan Todorov. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. 

Il Centro culturale Gli scritti (27/5/2010)

Il primo Premio letterario per la critica militante «Giuseppe Bonura», bandito da «Avvenire», è stato consegnato ieri al Salone del Libro di Torino a Tzvetan Todorov, 70 anni, allievo di Roland Barthes e già direttore del «Centro di Ricerca sulle Arti e il Linguaggio» di Parigi. Pubblichiamo qui il discorso pronunciato per l’occasione dall’illustre critico e scrittore franco-bulgaro, autore – tra l’altro – di «Memoria del male, tentazione del bene», «Il nuovo disordine mondiale», «La letteratura in pericolo», «La paura dei barbari. Oltre lo scontro delle civiltà».


Mentre ringrazio per il premio Bonura che mi viene conferito oggi al Salone del Libro, voglio anche dirvi che nel mondo francese il termine «militante» ha un significato più ristretto e forse meno simpatico di quello che ha nel mondo italiano, perché riguarda anzitutto l’ambito politico. Abbiamo tutto l’interesse a liberare la letteratura dal rigore soffocante in cui la si rinchiude, fatto di giochi formali, lamenti nichilisti ed egocentrismo solipsistico.

Ciò potrebbe a sua volta ampliare gli orizzonti della critica, facendola uscire dal ghetto formalista che interessa solo altri critici e aprendola al grande scambio di idee a cui prende parte ogni forma di conoscenza umana. L’effetto più importante di questo mutamento riguarda l’insegnamento della letteratura, perché esso si rivolge a tutti i bambini e, tramite loro, alla maggior parte degli adulti.

Come ho scritto nel libro La letteratura in pericolo, l’analisi delle opere che viene fatta a scuola non dovrebbe più avere lo scopo di illustrare i concetti introdotti dall’uno o dall’altro linguista o da quel teorico della letteratura e dunque di presentarci i testi come un’applicazione della lingua e del discorso; il suo compito sarebbe di farci pervenire al loro significato – perché chiediamo che esso, a sua volta, ci conduca verso una conoscenza dell’uomo che è di interesse comune.

Più esattamente, lo studio dell’opera rimanda a cerchi concentrici sempre più ampi: quello degli altri scritti dello stesso autore, della letteratura nazionale, della letteratura mondiale; ma il suo contesto finale, e il più importante di tutti, ci viene fornito dall’esistenza umana stessa.

Tutti i capolavori, quale che ne sia l’origine, fanno riflettere proprio su questo. Qui bisogna intendere la letteratura nel suo significato più ampio, ricordando i limiti storicamente mutevoli della nozione. Perciò non saranno ritenuti dogma incrollabile gli assiomi ormai inefficaci degli ultimi romantici, secondo i quali la stella della poesia non avrebbe nulla in comune con il grigiore del «reportage universale», prodotto dal linguaggio comune.

Riconoscere le virtù della letteratura non ci obbliga a credere che «la vera vita è la letteratura», o che «al mondo ogni cosa esiste per finire in un bel libro», dogma che escluderebbe dalla «vera vita» i tre quarti dell’umanità.

I testi definiti oggi «non letterari » hanno molto da insegnare; e per quanto mi riguarda avrei reso volentieri obbligatorio, nel programma di francese, lo studio della lettera – ahimè per nulla inventata – che Germaine Tillion indirizzava dalla prigione di Fresnes al tribunale militare tedesco il 3 gennaio 1943. È un capolavoro di umanità, in cui forma e significato sono inseparabili; gli allievi ne avrebbero molto da imparare.

Per riprendere il titolo di un pamphlet recente, «si uccide la letteratura» non quando a scuola si studiano anche testi «non letterari», ma quando si fanno delle opere le semplici illustrazioni di una visione formalista, o nichilista, o solipsistica della letteratura. Essendo oggetto della letteratura la stessa condizione umana, chi la legge e la comprende non diventerà un esperto di analisi letteraria, ma un conoscitore dell’essere umano. Quale migliore introduzione alla comprensione dei comportamenti e dei sentimenti umani, se non immergersi nell’opera dei grandi scrittori che si dedicano a questo compito da millenni?

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