Il problema non è oggi condannare chi ha ucciso Aldo Moro. Il problema è ripensare quella “cultura” che ha demonizzato una generazione di grandi, pretendendo di essere giganti al loro posto, piuttosto che farsene discepoli. Breve nota di Andrea Lonardo
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Riprendiamo sul nostro sito una breve nota di Andrea Lonardo. Per approfondimenti di politica, cfr. la sezione Carità e giustizia.
Il Centro culturale Gli scritti (18/3/2018)
Ogni anno, una prima volta all’anniversario del rapimento Moro e della strage della sua scorta e una seconda volta al susseguente anniversario della condanna alla pena di morte da parte del tribunale delle BR, ovunque e giustamente si deplora l’utilizzo della violenza omicida.
Oggi, però, a distanza di anni, bisognerebbe spostare i riflettori dai brigatisti per rivolgerli piuttosto alla cultura che li ha generati.
L’uccisione di Moro è l’estrema conseguenza di una denigrazione sistematica di una classe politica, come della magistratura e delle forze dell’ordine del tempo, portata avanti sistematicamente in quegli anni da tutta una classe di “intellettuali” e di docenti, alcuni, fra l’altro, di matrice cattolica, sebbene tale origine essi avessero poi occultata.
Gli slogan del tempo ritenevano Moro e Dossetti, De Gasperi, Fanfani e La Pira – ma con essi anche Enrico Berlinguer, disposto a venire a giusti compromessi con i suoi avversari politici – la causa di ogni male.
Se le BR hanno fisicamente ucciso Aldo Moro, molti altri non hanno esitato prima di loro e dopo di loro a distruggerne idealmente la persona, vaticinando la distruzione di quella generazione come passaggio necessario per una palingenesi culturale e politica.
Ebbene quelli uomini erano invece dei grandi. Certo con dei limiti ed anche con dei veri e propri peccati morali. Ma dei grandi. Direi infinitamente più grandi dei politici che li hanno seguiti e di quelli presenti. La demonizzazione di quella generazione di uomini politici e di pensiero ha aperto la strada alla “povertà” cultura e politica dell’attuale nuova generazione di personalità pubbliche.
Oggi l’accusa che deve essere portata alle BR, col senno di poi, è quella di aver contribuito alla pochezza culturale e politica del nostro tempo.
Si noti bene, quanto qui affermato non intende a sua volta, divenire la richiesta di una nuova palingenesi con la condanna a morte dell’attuale generazione di uomini pubblici.
Intende piuttosto muovere alla consapevolezza storica che sono esistiti dei grandi che dobbiamo tornare a studiare per comprendere quale politica culturale e statale promuovere oggi.
I vantati e assolutamente falsi inni ad una “nuova Repubblica”, ad una “seconda” o ad una “terza Repubblica”, dovrebbero piuttosto lasciare spazio al rispetto per una generazione di uomini usciti dalla guerra che tanto dettero all’Italia e di cui bisogna farsi discepoli, senza sentirsi migliori di loro prima di aver dimostrato di esserlo.
Una condanna seria delle BR non si può sposare con il continuo riferimento negativo a quella generazione politica che è invece da imitare e non da stigmatizzare. Da imitare non nei suo difetti – non esiste politica senza difetti, questo è l’assunto cristiano, che non è mai utopistico e anarchico – ma certamente nella serietà del suo approccio, nel desiderio di una mediazione, nella capacità di elaborare un progetto comune di bene, in un’idealità alta e costruttiva.
Non basta condannare le BR.
Ben più significativo sarebbe stigmatizzare quella cultura ben più diffusa che permise agli allora giovani delle BR di credere che fosse un “bene” annientare una generazioni di uomini pubblici e non farsene discepoli.
Ben più significativo è parlar bene di Aldo Moro e delle persone con cui lavorò sia come come amico che come nemico – e non avere remore a contestare chi invece condannò sommariamente l’esperienza di vita e di cultura di quella generazione.
Se Aldo Moro non fosse stato ingiustamente ucciso culturalmente prima che fisicamente, la politica oggi sarebbe migliore e non avremmo dovuto assistere a quella caduta di ideali che è sotto gli occhi di tutti.
Un politico che oggi non guardi con stima a figure di studiosi, di docenti e di politici come quella di Aldo Moro, non potrà mai essere un buon politico.
Se c’è un’accusa che si deve fare oggi alle BR non è quella della violenza, tanto essa è stata ribadita e acclarata al punto da diventare ovvia e politically correct.
La critica da rivolgere loro – e all’impianto ideologico che li ha sostenuti – è quella di aver contribuito ad un impoverimento politico dell’Italia: di questa responsabilità essi debbono oggi essere consapevoli.
Se maturasse tale consapevolezza – nelle ex-BR e negli “intellettuali” – ciò sarebbe già garanzia della ripresa del giusto cammino. Da uomini come Moro c’è da imparare. Dobbiamo sederci sulle spalle dei giganti e non essere nani che volano rasoterra, credendo di essere giganti.