Dopo questa tornata elettorale ha senso accusare gli italiani? Breve nota di Giovanni Amico
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Riprendiamo sul nostro sito una breve nota di Giovanni Amico. Per approfondimenti, cfr. la sezione Carità, giustizia e annunzio.
Il Centro culturale Gli scritti (7/3/2018)
Accusare gli italiani, sostenendo che solo chi ha votato alcuni partiti sia degno di questo paese, quasi che chiunque esprima un voto diverso sia persona ignobile, è disprezzo inaccettabile.
Ovviamente il dibattito politico, che oppone i diversi partiti, è e deve restare legittimo. Diversa, invece, è la questione del giudizio sugli elettori.
Questo voto impone a tutti uno sforzo per capire la gente, per andare alle “periferie”, per “uscire”, per non richiudersi sempre nella propria visione, con paraocchi che aristocraticamente si elevano con supponenza.
Chi scrive sui quotidiani, chi parla in TV, chi educa a scuola, chi annunzia la fede, è dinanzi ad alcune grandi domande. Conosce bene il paese che è chiamato a servire? Lo ama nella sua concretezza ed ha il sentire della sua gente semplice? Oppure vive distante da essa, senza curarsi della percezione della realtà di tanti?
Lo stupore e la rabbia con cui tanti reagiscono ai risultati elettorali dipendono dal fatto di non conoscere il paese stesso e la sua gente. Ma tale mancata conoscenza dipende da un’incapacità di empatizzare con il punto di vista degli altri, di tanti altri.
Certo l’importanza del voto non va esagerata. Il voto è spesso dettato da un senso di protesta, di rivalsa. Esso può essere destato dal fastidio verso la casta dei politici e degli “Intellettuali”.
Ma è altrettanto certo che non avere coscienza di tale malessere, di tale fastidio verso la classe dirigente, è segno della incapacità di sentire con la gente comune che vive i propri drammi personali, abbandonata da tutti. Prendere in seria considerazione, invece, il sentire popolare - senza accusarlo troppo facilmente di populismo, ma cercando di capirlo e di empatizzare con esso - è indice di un amore alla realtà. Chi ignora il malessere di tante persone dà segno chiaro di essere distante dalle reali dinamiche che la gente vive.
L’educazione civile degli italiani di questa generazione è frutto delle correnti dominanti di pensiero e di pedagogia degli ultimi decenni. Disprezzare questa generazione di italiani vuol dire contestare chi li ha educati, a partire dai pedagogisti delle “competenze” fino ai giornali quotidiani che ritengono di poter dettare la linea culturale del paese.
La popolazione italiana che oggi ha votato è invecchiata in media rispetto al passato e tende a invecchiare, di modo che le percentuali degli anziani al voto sono e saranno sempre più rilevanti, poiché è stata squalificata la scelta di generare nuovi figli, secondo la visione proposta da parte dell’attuale classe dirigente e degli “intellettuali” à la page.
Manca da parte di molti un’esplicita ammissione che le generazioni precedenti erano state capaci di far emergere una generazione di politici del rango di Alcide De Gasperi, Enrico Berlinguer, Aldo Moro, Giuseppe Dossetti.
A nostro avviso, non è l’attuale situazione politica il problema più grave che il paese ha dinanzi: ben più grave è l’assenza di una visione educativa che superi le deficienze delle visioni che hanno governato la cultura del paese negli ultimi decenni, sia in casa, come nella scuola, come nelle parrocchie e nella stampa. È necessaria invece la formazione di una nuova classe politica e culturale, perché esistano fra una ventina d’anni dei candidati della levatura dei padri costituenti.
Per lavorare a questo, servirebbe un’ammissione di responsabilità da parte delle agenzie educative e delle leadership politiche di destra e di sinistra (è evidente la concomitante sconfitta dei due partiti che avevano la maggioranza dei voti fino alle ultime elezioni) che hanno dominato il campo negli ultimi decenni, unitamente ad un nuovo investimento nel campo della cultura.
Ciò che servirebbe sarebbe non il disprezzo verso chi ha votato in maniera diversa, bensì l’ammissione di essere stati incapaci di costruire una cultura forte e semplice, ben innestata sulla storia popolare del paese.
È il momento di scommettere sull’educazione, sulla formazione e sulla cultura, ma non su di una cultura elitaria e intesa aristocraticamente che disprezza le maggioranze, bensì su di una visione del mondo che tocchi i cuori e le menti della gente comune del paese.