Quando gli studenti con libro e moschetto accolsero il Duce. Ha compiuto ottant’anni la cittadella dell’università La Sapienza. Fu costruito in tre anni lo Studium Urbis, voluto da Mussolini, con un budget di 70 milioni, di Giuseppe Pullara
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Riprendiamo dal Corriere della Sera un articolo di Giuseppe Pullara pubblicato il 18/1/2016. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (4/3/2018)
Sei novembre 1935, da un mese l’Italia fascista occupa l’Etiopia. «Mentre l’intera nazione — declama lo speaker dell’Istituto Luce — combatte contro un’ingiusta coalizione che ha decretato le sanzioni, il Duce inaugura la nuova Città Universitaria di Roma». Più che all’apertura di un nuovo Ateneo sembrava in realtà di assistere alla rassegna di un esercito in partenza per la guerra. Tutti in divisa, gli studenti «libro-e-moschetto» sparano in aria con i vecchi ’91 per accogliere Mussolini, pugnale al fianco sinistro. Piuttosto che un campus universitario, il nuovo insieme di edifici dedicati al sapere, interamente recintato, sembra un accampamento militare per l’atmosfera che si è creata quel giorno.
L’incarico per l’architetto Marcello Piacentini
In tre anni Marcello Piacentini, l’architetto cinquantenne che detta legge nell’arte del costruire dell’epoca, è riuscito a dare alla Terza Roma, su incarico diretto del Duce, il suo Studium Urbis (budget 70 milioni), antico nome che Bonifacio VIII scelse nel 1303 per il primo nucleo universitario romano. «Il timore di Dio è l’inizio della sapienza» ammonì il papa. Da qui il nome portato per oltre settecento anni: La Sapienza. Giorgio Muratore e Giorgio Ciucci, nella «Storia dell’architettura del Novecento», sottolineano che negli stessi anni vengono inaugurate la Città dello Sport al Flaminio (Del Debbio) e Cinecittà (Peressutti) sulla Tuscolana: manifesti urbanistici e funzionali del regime. Per progettare la nuova Sapienza («su 22 ettari una premessa dell’E42») Piacentini raccoglie giovani architetti razionalisti e più legati alla tradizione con artisti di fama: Mario Sironi e Arturo Martini, che erige davanti al rettorato una Minerva con le braccia alzate mentre lancia, visti i tempi, un urlo di guerra piuttosto che avere un pacato atteggiamento riflessivo. Niente archi, niente colonne, ordina Piacentini: cercate di essere moderni ma senza eccessi. Giuseppe Terragni, quello del capolavoro razionalista di Como, viene escluso. Tutti devono usare strutture in cemento armato, mattoni litoceramici, travertino e una certa misura per le finestre. Il risultato offre una certa omogeneità espressiva, anche se alcuni edifici si distinguono per qualità architettonica.
Una città «monumentale»
«La città universitaria si dimostra così monumentale, classicista, moderna quanto basta» scrivono i due storici. La grande piazza centrale, stesse dimensioni di piazza Navona, all’entrata è annunciata dagli enormi propilei di Foschini ed è conclusa dal rettorato che Piacentini ha riservato alla propria matita: un po’ indecisa, perché prima, ricorda Carlo Melograni nella sua «Architettura italiana sotto il fascismo», aveva pensato ad una facciata alta dieci piani. Poi, per essere più moderno, ha scelto una gigantesca orizzontalità abbassando il centro e alzando le ali. Il resto lo fanno i «razionalisti» Pagano (Fisica), Capponi (Botanica), Michelucci (Mineralogia) e architetti meno legati alla modernità, da Aschieri (Chimica) a Rapisardi e altri. Giò Ponti in equilibrio tra nuovo e tradizione (Matematica). Ci sono, come annota Piero Ostilio Rossi nella sua «Guida all’architettura romana», tre direttori di riviste: Pagano (Casabella), Ponti (Domus) e lo stesso Piacentini (Architettura). Mentre Capponi e Michelucci sembrano voler enfatizzare la loro appartenenza al Movimento moderno, Pagano sceglie il sottotono, l’«orgoglio della modestia». Ed ecco la nuova Sapienza, un po’ ai margini del centro-città forse per evitare ingombranti iniziative dei giovani, pronta per ospitare 11 mila studenti, oggi diventati 160 mila. «Molte delle costruzioni originarie sono prepotentemente alterate da sopraelevazioni e superfetazioni» (Melograni) e la piazza-Foro di Piacentini, morto dopo aver ultimato il Palazzo dello Sport (1960), trasformata in un enorme parcheggio «a raso». Dal «Duce Duce, chi non saprà morir?» del 1935 gli studenti sono passati al «È libero, va via?» per sistemare la macchina.
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