Lorenzo Lotto, l’umile gloria, di Antonio Paolucci [L’Adorazione dei Magi dipinta per la Santa Casa di Loreto]
- Tag usati: antonio_paolucci, lorenzo_lotto
- Segnala questo articolo:
Riprendiamo dalla rivista Luoghi dell’Infinito, gennaio 2018, p. 71, un articolo di Antonio Paolucci. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Arte e fede.
Il Centro culturale Gli scritti (4/2/2018)
Di solito, nell'immaginario dei credenti e nelle restituzioni figurative che dell'episodio hanno dato gli artisti, i Magi - arrivati dagli estremi confini della terra alla culla di Betlemme - sono rappresentati come venerabili sapienti ma anche e soprattutto come gran signori, addirittura come re. Portano oro, incenso e mirra, indossano vesti preziose, li accompagnano cavalli e cani di gran razza, falconi e ghepardi, li scortano servi mori e cinesi. Così li immaginò Gentile da Fabriano nella celebre Adorazione dei Magi degli Uffizi, datata al 1423.
lo voglio parlare della più povera, della più minimalista "Adorazione" fra quante ce ne ha consegnate la nostra storia dell'arte. Mi riferisco alla tela che Lorenzo Lotto dipinse negli anni declinanti della vita, quando era oblato laico nella Santa Casa di Loreto. Questo luogo ancora oggi custodisce il quadro, appena uscito da un delicato intervento compiuto dai tecnici del Laboratorio di restauro dei Musei Vaticani.
Sono gli anni che vedono il pittore «solo, senza fìdel governo et molto inquieto della mente» (come lui stesso si descrive nel testamento del 1546) affidarsi alla Vergine, al punto di pronunciare i voti, come fratello laico, l'8 settembre del 1554.
Eppure era un artista di vasta notorietà, apprezzato dai grandi della critica d'arte del suo tempo. «O Lotto come la bontà buono e come la virtù virtuoso, fin da Augusta, in mezzo la grazia di tutti i signori del mondo, Tiziano vi saluta e vi abbraccia». Così nell'aprile del 1548, in una lettera famosa sovente citata in letteratura, lo spregiudicato, geniale Pietro Aretino, "dominus" della critica d'arte nella Venezia e nell'Italia di quegli anni, si rivolge a Lorenzo Lotto ormai quasi settantenne. Lo fa con una specie di affettuosa ironia, ma con parole che fotografano con implacabile esattezza lo stato della questione.
Da una parte c'è Tiziano, allo zenith della carriera e del successo, cavaliere cesareo, conte palatino, ospite dell'imperatore alla Dieta di Augsburg, il pittore più famoso e meglio pagato d'Europa. Sono suoi clienti Carlo V, il papa Paolo III Farnese, il doge e gli oligarchi della Repubblica di Venezia, i sovrani dell'intera Cristianità, cattolici e luterani. Dall'altra parte c'è Lorenzo Lotto, un pittore bravo, ben conosciuto e molto stimato, altrimenti non avrebbe la simpatia e l'affetto dell'Aretino e di Tiziano. Però vecchio ormai, e soprattutto emarginato, solitario, povero, in certo senso sopravvissuto a se stesso, senza clienti facoltosi, senza protezioni significative, senza una famiglia, senza una scuola.
Ed ecco come Lotto immagina l'Adorazione dei Magi, in anni nei quali, al servizio del convento, si presta ai lavori più umili, anche a «dipingere le tavolette dei numeri e le letiere dell'hospitale», come dicono i documenti. È una notizia, questa, insieme pietosa e commovente: il grande artista che, al termine della vita, si presta con estrema umiltà a dipingere i numeri per i letti dell'infermeria destinata ad accogliere i pellegrini malati! ...
L’incontro dei re con il Salvatore avviene in una atmosfera scura, crepuscolare. La culla di Betlemme è ospitata in una catapecchia cadente all'interno della quale si vede san Giuseppe appisolato, con la mano a sostenere il volto. Arriva dall'ombra il corteo dei visitatori e si ha l'impressione che siano fantasmi che emergono dal buio. Si avvicina esitante il grande uomo calvo in primo piano, dietro di lui il re moro porta una corona che sembra traballare sulla testa. Ai piedi della Vergine, che accoglie gli ospiti regali con il Bambino benedicente in braccio, c'è il più vecchio dei Magi che letteralmente striscia al suolo per baciare il piede del piccolo Gesù. Si ha l'impressione che dalla sua bocca escano le parole che l'Evangelista mette in bocca a Simeone, il vecchissimo sacerdote custode del Tempio: «E ora libera il tuo servo Signore perché gli occhi miei hanno visto la Salvezza da te preparata al cospetto di tutti i popoli» (Luca 29,30). ???
Ed è appena il caso di ricordare che proprio a questo soggetto iconografico (la presentazione al Tempio), Lotto ha dedicato uno degli ultimi, forse l'ultimo quadro lauretano. Un dipinto che ci appare come velato di malinconia e di presagi, toni di grigio su grigio, accordi di giallo spento e di timido rosa e lampi di nero lucente nel grigio, un' opera desolata e struggente come un Goya dell'ultimo periodo.
Non c'è gloria mondana, non ricchezza, non c'è esibizione di dignità e di potere nei Magi del Lotto. I re della terra sono poveri uomini come noi, uomini che emergono dal buio che li circonda e all'interno del quale vive il destino di tutti e di ognuno.