1/ Eugenio Zolli, storia della Conversione del Rabbino Capo di Roma. Un’intervista di ZENIT ad Alberto Latorre 2/ Il rabbino che studiava Gesù. L'esegesi neotestamentaria di Israel Zolli, di Anna Foa
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1/ Eugenio Zolli, storia della Conversione del Rabbino Capo di Roma. Un’intervista di ZENIT ad Alberto Latorre
Riprendiamo dall’Agenzia di stampa Zenit un’intervista redazionale ad Alberto Latorre pubblicata il 20/4/2004. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Novecento: fascismo e nazismo.
Il Centro culturale Gli scritti (28/1/2018)
Israel Zoller (Eugenio è il nome scelto nel Battesimo) scriveva: “Qualsiasi evento apparentemente straordinario narrato in questo libro è di secondaria importanza nella storia della mia conversione. Questa conversione fu motivata dall’amore di Gesù Cristo, un amore che derivò dalla mie meditazioni sulle Scritture”.
L’edizione italiana dell’autobiografia di Zolli è stata curata dal dott. Alberto Latorre, che nel 2001 si è laureato in Filosofia all’Università di Verona con una tesi dal titolo: “Da Israel Zoller ad Eugenio Zolli: l’itinerario di uno studioso in ricerca”.
Gli argomenti storici e religiosi sollevati dallo scritto di Zolli, sono innumerevoli. Per cercare di dare un ordine e comprendere meglio questa vicenda straordinaria ZENIT ha intervistato Alberto Latorre.
Può illustrarci quelli che a lei sembrano i punti decisivi della storia di questo personaggio.
Alberto Latorre: Troppo complessa è la figura di Zolli, sia come uomo che come studioso, per poter esaurire la sua storia in alcuni punti decisivi. Da un lato vi sono vicende intricate e immani sofferenze personali che le accompagnarono sin dai primi anni di vita lungo l’intero corso della sua esistenza, dall’altro la sua complessa formazione culturale e la sua straordinaria attività scientifica: egli fu sì rabbino, ma soprattutto storico delle religioni ed esegeta.
Posso solo affermare che per comprendere appieno, senza giudizi affrettati e sommari, la sua storia, è necessario studiare a fondo la sua formazione culturale e spirituale a cominciare dall’ambiente ebraico, ashkenazita e chassidico, nel quale egli crebbe.
Qualsiasi altro tentativo di sintesi presta il fianco alle numerose polemiche e critiche di queste settimane e che si sollevano ogni qualvolta il nome di Zolli sale alla ribalta.
Polemiche, critiche e interpretazioni montate ad hoc da quanti, per le più diverse ragioni, accusano Zolli di tradimento o se ne servono per finalità apologetiche.
Che idea si è fatto sulla conversione di Zolli? Sembra di capire che molto sia avvenuto prima dell’incontro con Pacelli.
Alberto Latorre: Le rispondo, citando Zolli, che non si trattò di una conversione, bensì di un’adesione. Il battesimo di fuoco, ossia l’intima adesione di Zolli al messaggio evangelico, avvenne probabilmente fin dagli anni dell’adolescenza.
Zolli, come lui stesso riferisce, nutrì sin dagli anni della sua formazione un profondo amore verso Gesù. Un’attrazione testimoniata successivamente da uno studio storico-religioso pubblicato nel 1938: “Il Nazareno. Studi di esegesi neotestamentaria alla luce dell’aramaico e del pensiero rabbinico”.
Il battesimo di acqua, ricevuto il 13 febbraio del 1945, fu un atto di adesione formale compiuto quando era ormai chiaro in lui il desiderio di manifestare apertamente, in primis a se stesso, la sua fede religiosa.
Zolli, ciò mi preme sottolineare, non abbandonò mai l’ebraismo, ma, sulla scia di san Paolo, entrò nel Cristianesimo da ebreo. Ebreo, come lo era Gesù il Nazareno.
Se e in quale modo l’incontro del Rabbino con il Pontefice potrebbe aver influenzato le decisioni che covavano nel cuore di Zolli?
Alberto Latorre: Credo che sia impossibile stabilire oggettivamente se e in che modo l’incontro con Pacelli abbia influenzato le decisioni di Zolli. Com’è possibile infatti entrare nel cuore di un uomo e capirne fino in fondo i moti e gli stravolgimenti? Già è così difficile entrare nel proprio, figuriamoci comprendere quello altrui!
Tuttavia, sulla base dei miei studi su Zolli, ritengo che l’incontro con il Pontefice non lo influenzò affatto. Se permette, vorrei inoltre aggiungere che a mio parere il ripetuto accostamento di Zolli a Pio XII e viceversa, non giova né all’uno, né all’altro.
Le vicende personali e storiche di entrambi finirono inevitabilmente per toccarsi, ma credo che l’analisi e il giudizio storico delle due personalità debba svilupparsi autonomamente.
Purtroppo, ho spesso l’impressione che il loro avvicinamento sia un sottile tentativo, a seconda degli schieramenti, per assolverli o condannarli insieme. E’ un intreccio molto pericoloso e confuso, poiché impedisce una serena e lucida analisi storica.
Proprio quando i nazisti occuparono Roma, Zolli racconta di una diversità di vedute con l’allora Presidente della Comunità ebraica. Che cosa avvenne veramente e quale la sostanza del contendere? E’ vero che se si fosse dato maggiormente retta a Zolli, forse si sarebbero potuti salvare tutti gli ebrei?
Alberto Latorre: Da quanto Zolli narra nella proprio autobiografia, vi furono tra lui e i rappresentati politici della comunità di Roma differenti visioni, testimoniate anche dalle decisioni assunte dal governo provvisorio alleato nei mesi successivi alla liberazione di Roma, che portarono allo scioglimento del Consiglio della Comunità e alla rinomina di Zolli a Rabbino Capo.
Durante l’occupazione infatti, Zolli venne esautorato dal proprio incarico su delibera del Consiglio. Che cosa avvenne veramente e quale fosse la sostanza del contendere non sono in grado di affermarlo.
Zolli stesso espone esclusivamente il proprio punto di vista e le ragioni delle sue scelte, senza addentrarsi troppo nel merito del comportamento altrui. Resta il fatto che Zolli conosceva molto bene sia la mentalità teutonica (era figlio di madre tedesca), sia le persecuzioni a danno degli ebrei perpetrate in Germania durante gli anni ’30, quando, in veste di Rabbino Capo di Trieste, aiutò numerosi fuggiaschi dalla Germania e dall’Europa dell’est a raggiungere la Palestina.
Nel testo egli sostiene che la diversità di vedute attorno al pericolo rappresentato dai Tedeschi nascesse fondamentalmente da queste ragioni. Infine non sono in grado di dirle se, seguendo le disposizioni di Zolli, tutti gli ebrei si sarebbero salvati.
Quasi certamente sì. Resta ineludibile il fatto che sicuramente i provvedimenti da lui paventati, quali la chiusura del Tempio e degli Oratori, l’allarme generale e molti altri ancora, avrebbero salvato al vita, se non di tutti, di moltissimi ebrei.
L’edizione inglese della biografia di Zolli conteneva del materiale, come l’introduzione di A. B. Klyber, sacerdote missionario e fondatore di Remnant of Israel (New Hope, Kentucky), la prefazione del delegato apostolico Amleto G. Cicognani arcivescovo di Laodicea, Washington D.C., e la nota dell’autore, che non sono state in seguito utilizzate nell’edizione italiana. Perché? Quali sono stati i criteri editoriali che hanno portato all’eliminazione di questo interessante materiale?
Alberto Latorre: Gli eredi di Zolli sono venuti in possesso di un dattiloscritto dell’opera redatto in italiano. Sulla base di loro valutazioni, hanno ritenuto che fosse l’originale steso da Zolli.
Per questa ragione, decidendo di proporre la pubblicazione del dattiloscritto italiano ed evitando la ritraduzione di una traduzione, non sono state inserite l’introduzione e la prefazione.
Gli eredi, su proposta dell’editore, hanno invece acconsentito a che venisse tradotta e riportata in Appendice al testo, la descrizione della famosa e presunta visione in sinagoga, proprio per porre fine alle numerose leggende circolanti su tale episodio.
A questo proposito la nota dell’autore, visto che si tratta di un esplicito riferimento agli eventi “apparentemente straordinari” descritti nel testo, è riportata all’inizio dell’Appendice stessa.
2/ Il rabbino che studiava Gesù. L'esegesi neotestamentaria di Israel Zolli, di Anna Foa
Riprendiamo da L’Osservatore Romano del 20/2/10 un articolo di Anna Foa. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (28/1/2018)
Il libro Il Nazareno di Eugenio Zolli apparve nel 1938, pubblicato dall'Istituto delle Edizioni Accademiche di Udine. Israel Zolli, che poi diventerà Eugenio, era all'epoca rabbino capo a Trieste e non era ancora subentrato — lo avrebbe fatto un anno dopo — nella cattedra rabbinica romana al rabbino David Prato, cacciato nel 1938 perché sionista. Pochi mesi dopo la pubblicazione di questo libro, le leggi razziste di Mussolini fecero di Zolli, nato a Brody, in Galizia, ma cresciuto in Italia, un apolide, e lo catapultarono negli anni duri della persecuzione. Sette anni dopo, nel febbraio 1945, sollevando un grande scandalo nel mondo ebraico italiano e molto clamore anche in quello non ebraico, Israel Zolli si convertì al cattolicesimo, prendendo con il battesimo il nome di Papa Pacelli e divenendo così Eugenio Zolli.
Un volume su Gesù Cristo — riproposto in un'edizione curata da Alberto Latorre Il Nazareno. Studi di esegesi neotestamentaria alla luce dell'aramaico e del pensiero rabbinico (Milano, San Paolo, 2009, pagine 618, euro 42) — scritto da un rabbino di primo piano, dunque, destinato poco dopo, nonostante questo libro e il vago sentore ereticale che lo circondava già da molti anni, a diventare il rabbino maggiore della Comunità romana. Una prefigurazione del suo percorso posteriore, un'anticipazione del suo successivo battesimo? Oppure, un percorso di studi esegetici ampiamente condiviso in ambito ebraico, un'attenzione verso la figura di Gesù Cristo propria, a partire dalla seconda metà dell'Ottocento, a molta parte del pensiero esegetico ebraico europeo? È quest'ultima la prospettiva in cui lo colloca, nella sua ampia e preziosa postfazione, il curatore Alberto Latorre, analizzando gli studi ebraici e cristiani sul Cristo in quei decenni cruciali del primo Novecento e contestualizzando in quest'ambito il lavoro di Zolli.
Il rabbino triestino scrive su Gesù e sui rapporti tra il primo cristianesimo e la cultura rabbinica del tempo con accenti e tesi non dissimili da quelle dei suoi maestri al Collegio Rabbinico di Firenze, Chayes e Margulies, e suscitando molte minori polemiche di quante non ne avesse suscitate il libro di Joseph Klausner su Gesù il Nazareno , che al suo apparire in ebraico a Gerusalemme nel 1921 fu attaccato tanto dagli ebrei ortodossi che dai cristiani, come ricorda, in un interessante brano di un suo romanzo ripreso da Latorre nella sua postfazione, il nipote di Klausner, lo scrittore Amos Oz.
Un ambito di studi molto frequentato dagli studiosi ebrei di tutt'Europa, e in particolare da quelli di area tedesca, eredi della Scienza del Giudaismo e legati alle correnti riformate, che sottolineavano fortemente l'ebraicità di Gesù e mettevano in rilievo le corrispondenze tra l'ebraismo rabbinico e il primo cristianesimo. Ma prediletto anche dagli studiosi cristiani, particolarmente protestanti, nella Germania del XIX secolo, nell'ambito della scuola di Tubinga e delle successive scuole di teologia liberale, e fatto proprio, all'inizio del nuovo secolo, dagli studiosi modernisti. Un contesto, questo legato al metodo storico-critico di esegesi biblica, di grande interesse dalle due parti, di cui Latorre delinea qui con attenzione le coordinate culturali e storiche.
Se questo era il clima culturale in cui nasceva il poderoso studio di Zolli, bisogna anche dire che si trattava di un clima a cui scarsissimi furono gli apporti del mondo ebraico italiano. Fanno eccezione il Collegio rabbinico di Livorno, dove nella seconda metà dell'Ottocento insegnò Elia Benamozegh, il Collegio rabbinico di Firenze, con il suo nucleo di maestri di provenienza dalla Galizia, e Trieste, città culturalmente e fino al 1918 anche politicamente asburgica, aperta a tutte le correnti culturali mitteleuropee, non ultima, con Weiss, quella psicanalitica. Con Firenze e con Trieste strettissimi furono i rapporti di Zolli, che a Firenze aveva compiuto i suoi studi e a Trieste fu rabbino per vent'anni. Lontano da queste correnti culturali più ampie e legate all'esperienza di studi tedeschi, e all'impronta lasciata su di essi dal movimento riformato ebraico, era la cultura ebraica italiana, che non condivideva l'attenzione per la figura storica, per le categorie ebraiche della sua predicazione, e in genere per le radici ebraiche del cristianesimo. Un taglio più tradizionale e parrocchiale, che accomunava in quel momento storico l'ebraismo italiano agli studi di esegesi cattolica, anch'essi assai distanti, tranne che per alcune figure maggiormente legate al modernismo, dall'impostazione esegetica storico-critica diffusa nel resto d'Europa.
Nel suo volume, che raccoglieva contributi in parte già pubblicati nelle riviste di Raffaele Pettazzoni, Studi e materiali di storia delle religioni , e di Ernesto Buonaiuti, Ricerche religiose , Zolli procedeva utilizzando, oltre il metodo storico-critico, l'analisi comparativa delle religioni. Nelle conclusioni, lo studioso si discostava significativamente tanto dall'esegesi ebraica consolidata quanto dai dogmi della Chiesa cattolica. Egli sottolineava fortemente la somiglianza della predicazione di Gesù con l'ebraismo, postulava una stesura originaria dei Vangeli in ebraico e aramaico, negava che il termine nazareno derivasse da Nazaret — un argomento, questo, usato da quanti sostenevano la non storicità di Gesù — e faceva derivare l'eucaristia da un'evoluzione del seder pasquale ebraico.
Inoltre nel testo sembrava apparire fra le righe un riconoscimento della messianicità di Cristo. Ci sarebbe certamente stato di che suscitare le reazioni opposte di ebrei e cattolici. Tuttavia, queste reazioni non vi furono. Secondo Latorre, il mondo cattolico non aveva intenzione di attirare l'attenzione su un volume «di così difficile decifrazione e inquadramento», in un momento in cui la crisi modernista si era da poco ricomposta e in cui il clima antisemita rendeva pericoloso ogni dibattito su temi così scottanti. La Chiesa preferì così passare sotto silenzio o quasi il volume (se si eccettuano le recensioni sostanzialmente positive da parte dei gesuiti de «La Civiltà Cattolica»), rinunciando perfino a utilizzare in chiave apologetica un testo in cui un illustre rabbino sembrava adombrare la messianicità di Cristo.
Quanto alla mancanza di obiezioni da parte ebraica, il contesto storico in cui apparve il libro, quello delle leggi del 1938, non spingeva a sollevare questioni tanto delicate, soprattutto nei mesi cruciali fra 1938 e 1939 in cui, mi sentirei di aggiungere, nella Chiesa non mancava chi, come padre Gemelli, sembrava auspicare un incontro tra le dottrine razziste e la Chiesa cattolica. Il volume fu invece molto apprezzato dal mondo accademico italiano e straniero. Entusiastica fu, nel novembre del 1938, la recensione di Ernesto Buonaiuti su Ricerche Religiose .
Al di là delle questioni strettamente esegetiche, il volume pone allo sguardo del lettore di oggi numerose questioni strettamente storiche e ci rimanda numerosi interrogativi sulla vicenda di Israel/Eugenio Zolli e sulla natura stessa della sua conversione. Una conversione certamente frutto di una scelta meditata, l'esito di un percorso lungo e difficile, ma anche una conversione che si limita a spostare accenti ed enfasi, ma non sembra cambiare sostanzialmente la qualità del discorso di base: un'analisi rigorosamente critica dei testi biblici, che lo sollevava al di sopra di ogni ortodossia, che lo portava ad accentuare i legami storici fra ebraismo rabbinico e cristianesimo e a cogliere nella figura dell'ebreo Gesù la chiave di questo complesso momento di passaggio e trasformazione.
Il Nazareno appartiene alla fase ebraica dei lavori di studioso di Zolli, ma i cambiamenti introdotti dalla conversione nei suoi lavori critici sono stati assai scarsi, e motivati forse solo da ragioni di obbedienza e prudenza. Fra Wissenschaft e modernismo, si dipanava così il percorso religioso e scientifico, due momenti indissolubilmente intrecciati, dell'opera di Zolli. Una figura di confine, che gli ebrei, giustamente feriti dalla sua defezione, non capirono, e che la Chiesa nel dopoguerra, in un momento distante anni luce dalle aperture ebraico-cristiane, preferì lasciare in disparte. Il Nazareno è il frutto più alto di questo essere sul limite, fra le diverse ortodossie.