Corso di formazione per le guide di Roma. Lezione su Fori Romani, Palatino e Colosseo, come luoghi che permettono di raccontare la continuità e la discontinuità esistente fra cultura latina e cristianesimo
- Ulteriori riferimenti: Spiegare il Nuovo Testamento passeggiando per il Palatino ed i Fori imperiali. Una guida per la visita, di Andrea Lonardo, on-line su ww.gliscritti.it (http://www.gliscritti.it/blog/entry/3622 )
Premessa
Tratteremo del rapporto dialettico fra impero romano e cristianesimo, riprendendo in conclusione tutto in forma sintetica
Per una presentazione dei Fori e del Palatino sono possibile diverse prospettive (ne indichiamo solo qualcuna):
- una meramente filologica, che si limiti a datare e a contestualizzare i diversi luoghi e reperti (spesso agganciata a qualche forma di gossip)
- una caratterizzazione più politica (e. differenze fra repubblica e impero)
- una più morale (vigente durante il Risorgimento il fascismo): es. il leggendario Muzio Scevola che non riesce ad uccidere il re Porsenna nel 508 e si brucia la mano o l’altrettanto leggendario Orazio Coclite che da solo arresta sul Ponte Sublicio, situato dove è ora Ripa, gli etruschi di Porsenna e così via
- la grande domanda: cosa fare della cultura “classica”? Come darle spessore culturale ed esistenziale?
Si veda la questione dell’Iliade e dell’Odissea
- la nostra proposta (che non elimina la legittimità delle altre letture): cogliere una prospettiva reale, che è quella che si è di fatto dispiegata nella storia, quella storia che è all’origine di Roma: la continuità/discontinuità tra cultura latina e cristianesimo. È l’evento più grande avvenuto a Roma, su questo non vi è dubbio (cfr. l’immagine della duplice coppia di fratelli fondatori di Roma: Romolo e Remo, Pietro e Paolo)
- è anche la grande questione politica, culturale turistica della nostra città
1/ L’età di Augusto e le origini del cristianesimo
GOOGLE MAP
Fontana ottagona intorno alla quale sorgeva un peristilio
Il balcone sul Circo Massimo da un lato e il cortile più vicino all’ingresso dall’altro, magnificente, perché era la parte pubblica del palazzo, alla quale avevano accesso coloro che venivano a conferire con l’imperatore stesso. Le zone del palazzo più interne, quelle più vicine al balcone sul Circo Massimo, erano, invece, le zone più interne. Purtroppo gli scavi vennero eseguiti nel settecento e nell’ottocento, quando non esisteva ancora una scienza archeologica accurata e, quindi, non è così facile per gli studiosi oggi comprendere con precisione l’articolazione dell’intero complesso. Il peristilio, comunque, come molte delle murature che oggi ancora si vedono mostrano oggi la veste che assunsero al tempo di Domiziano, che abbellì l’intero palazzo fino al 92 d.C., affidando i lavori al famoso architetto Rabirio.
Possiamo, comunque, immaginare Augusto, l’imperatore durante il cui regno nacque Gesù, passeggiare con i suoi procuratori camminando al coperto, mentre la fontana gorgoglia con la sua acqua.
Imperator urbi et orbi
Iscrizione di Priene
«Se il giorno natale (genéthlios) del divinissimo Cesare (toû theiotàtou Kaìsaros) [l’originale latino, trovato in frammenti ad Apamea, qui dice soltanto: principis nostri] porti più gioia o vantaggio noi con ragione lo equipariamo all’inizio di tutte le cose (tôn pántōn archē)».
«Perciò si considererà a ragione questo fatto come inizio della vita e dell’esistenza (archēn toû bíou kaì tês zōês), che segna il limite e il termine del pentimento (toû metamelésthai) di essere nati».
«Poiché da nessun giorno si può trarre più felice opportunità per la società e per il vantaggio del singolo come da quello che è felice (eutychoûs) per tutti, e poiché inoltre per le città di Asia cade in esso il tempo più propizio per l’ingresso negli uffici di governo (kairòn tês eis tēn archēn eisódou),… e poiché è difficile ringraziare adeguatamente (kat’íson eucharisteîn) per i suoi numerosi benefici, a meno che escogitiamo per tutto ciò una nuova forma di ringraziamento…, mi sembra giusto [ = chi parla è il proconsole d’Asia «Paolo Fabio Massimo» a nome della città] che tutte le comunità (politeíōn) abbiano un solo e identico capodanno, appunto il genetliaco del divinissimo Cesare, e che in esso tutti gli amministratori entrino nel loro ufficio, cioè il giorno 9° prima delle calende di ottobre».
«Poiché la provvidenza che divinamente dispone la nostra vita… a noi e ai nostri discendenti ha fatto dono di un salvatore (sōtêra charisaménē) che mettesse fine alla guerra e apprestasse la pace, Cesare una volta apparso superò le speranze degli antecessori, i buoni annunci/i vangeli di tutti (euangélia pántōn), non soltanto andando oltre i benefici di chi lo aveva preceduto, ma senza lasciare a chi l’avrebbe seguito la speranza di un superamento, e il giorno di nascita del dio (hē genéthlios hēméra toû theoû) fu per il mondo l’inizio dei buoni annunci/vangeli a lui collegati (hêrxen dè tô-i kósmō-i tôn di’autòn euaggelíōn)».
Virgilio, IV Ecloga
Parla la Sibilla Cumana: «Giunge ormai l’ultima età dell’oracolo cumano, inizia da capo una grande serie di secoli (magnus ab integro saeclorum nascitur ordo); ormai torna anche la Vergine, tornano i regni di Saturno (iam redit et Virgo, redeunt Saturnia regna), ormai una nuova progenie è inviata dall’alto cielo (iam nova progenies caelo demittitur alto).
Tu al fanciullo che ora nasce, col quale infine cesserà la razza del ferro e sorgerà in tutto il mondo quella dell’oro, sii propizia, o casta Lucina; già regna il tuo Apollo. E proprio sotto il tuo consolato inizierà questa splendida età, o Pollione, e cominceranno a decorrere i grandi mesi.
Egli riceverà la vita divina, e agli dei vedrà mescolati gli eroi ed egli stesso sarà visto tra loro, e con le virtù patrie reggerà il mondo pacificato (pacatumque reget patriis virtutibus orbem).
Poche vestigia soltanto sopravviveranno dell’antica malvagità.
Guarda come si allieta ogni cosa per il secolo venturo. Oh, rimanga a me l’ultima parte di una lunga vita e spirito bastante per cantare le tue imprese».
Il censimento
Il documento delle Res gestae di Augusto, un altro testo propagandistico che racconta tutta la vita dell’imperatore ed il suo successo politico, ricorda con orgoglio che egli fece ben tre censimenti di tutto l’impero. I censimenti avevano ovviamente l’intento di controllare la popolazione e di stabilire una tassazione adeguata e funzionale, ampliando la capacità organizzativa dell’impero.
«In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città. Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta» (Lc 2,1-5).
Mc 1,1
«Inizio del Vangelo di Gesù Cristo Figlio di Dio».
Pax augustea, saeculum aureum (30 a.C.-14 d.C.)
Augusto da augeo, da cui auctoritas
1B/ Erode il Grande
da Flavio Giuseppe, Antichità giudaiche 14, 385-389
«Antonio si fece avanti [nel Senato] e spiegò che anche ai fini della guerra contro i Parti era conveniente che Erode fosse re. Questa proposta fu accettata e votata da tutti... Terminata la riunione del senato, Antonio e Cesare [Ottaviano] uscirono avendo Erode in mezzo a loro, mentre i consoli precedevano gli altri magistrati, per andare a sacrificare ed esporre il decreto in Campidoglio. Così Antonio ospitò Erode nel suo primo giorno di regno, che egli ricevette nella centottantaquattresima olimpiade, sotto il consolato di Gneo Domizio Calvino, per la seconda volta, e di Gaio Asinio Pollione».
1C/ Erode Antipa a Roma
da Giuseppe Flavio, La guerra giudaica 2,18-20; 80-98
«Salpato Archelao alla volta di Roma… anche Antipa(tro) si mise in viaggio per sostenere le sue pretese al trono… In Roma si riversò su di lui la simpatia di tutti i parenti che non potevano sopportare Archelao… Cesare (Ottaviano Augusto) radunò il consiglio dei magistrati romani e dei suoi amici nel tempio di Apollo sul Palatino, che aveva fatto costruire egli stesso, adornandolo con splendida magnificenza... Fra i presenti era anche Filippo, il fratello di Archelao, inviato amichevolmente da Varo col seguito di una scorta per due motivi: per appoggiare Archelao e per ottenere una parte del patrimonio di Erode nel caso che Cesare l’avesse ripartito fra tutti i suoi discendenti… Sentite le due parti, Cesare sciolse il consiglio, ma pochi giorni dopo assegnò la metà dei regno ad Archelao col titolo di “etnarca”, promettendogli di farlo re, qualora se ne fosse mostrato degno. L’altra metà la divise in due tetrarchie e le assegnò agli altri due figli di Erode: una a Filippo e l’altra ad Antipa che aveva conteso il trono ad Archelao. Antipa ottenne la Perea e la Galilea... mentre a Filippo furono attribuite la Batanea, la Traconitide, l’Auranitide... Dell’etnarchia di Archelao facevano parte l’Idumea, l’intera Giudea e la Samaria».
Erode Antipa, Salome ed Erodiade dinanzi al Battista
Erode Antipa dinanzi a Gesù
Erode Filippo e la professione di Pietro a Cesarea di Filippo
Mc 8,27-30
Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: «La gente, chi dice che io sia?». Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elia e altri uno dei profeti». Ed egli domandava loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». E ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno.
2/ La crisi del paganesimo e l’altare al Dio ignoto
GOOGLE MAP dell’Antiquarium (Orti farnesiani)
Il personaggio dell'iscrizione che lo dedicò, Sextius Calvinus, è stato ritenuto il figlio dell'omonimo console il cui consolato è datata all’anno 124 a.C.; l'altare sarebbe stato dedicato quindi alcuni anni dopo, nell'età di Silla (i caratteri confermano tale datazione) a cavallo fra II e I secolo a.C. L’iscrizione dice: "Sei deo sei deivae / sac(rum) C. Sextius / C. f. Calvinus pr(aetor) / de senati sententia / restituit", cioè “Sia a un
At 17,22-31
Paolo disse: «Ateniesi, vedo che, in tutto, siete molto religiosi. Passando infatti e osservando i vostri monumenti sacri, ho trovato anche un altare con l’iscrizione: “A un dio ignoto”. Ebbene, colui che, senza conoscerlo, voi adorate, io ve lo annuncio. Il Dio che ha fatto il mondo e tutto ciò che contiene, che è Signore del cielo e della terra, non abita in templi costruiti da mani d’uomo né dalle mani dell’uomo si lascia servire come se avesse bisogno di qualche cosa: è lui che dà a tutti la vita e il respiro e ogni cosa. Egli creò da uno solo tutte le nazioni degli uomini, perché abitassero su tutta la faccia della terra. Per essi ha stabilito l’ordine dei tempi e i confini del loro spazio perché cerchino Dio, se mai, tastando qua e là come ciechi, arrivino a trovarlo, benché non sia lontano da ciascuno di noi. In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo, come hanno detto anche alcuni dei vostri poeti: “Perché di lui anche noi siamo stirpe”. Poiché dunque siamo stirpe di Dio, non dobbiamo pensare che la divinità sia simile all’oro, all’argento e alla pietra, che porti l’impronta dell’arte e dell’ingegno umano. Ora Dio, passando sopra ai tempi dell’ignoranza, ordina agli uomini che tutti e dappertutto si convertano, perché egli ha stabilito un giorno nel quale dovrà giudicare il mondo con giustizia, per mezzo di un uomo che egli ha designato, dandone a tutti prova sicura col risuscitarlo dai morti»
- ma cfr. anche i culti misterici, in particolare quello di Mitra (tratti mitologici e non storici, ma esigenza, solo maschile, successivo al cristianesimo, vietato alle donne, non distrutto dalle chiese cristiane)
3/ Tiberio (14-37), Giovanni Battista, Gesù e Paolo
GOOGLE MAP della Domus Tiberiana e delTempio di Marte Ultore
Lc 3 1-4
Nell'anno decimoquinto dell'impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell'Iturèa e della Traconìtide, e Lisània tetrarca dell'Abilène, sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio scese su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto.
«Patì sotto Ponzio Pilato», «fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato». Così recitano il Simbolo degli Apostoli ed il Credo niceno-costantinopolitano.
Gesù nacque negli anni in cui veniva edificato in Roma nei Fori il Tempio di Marte Ultore. Augusto ne decise l’edificazione nel 42 a.C., come atto votivo prima della battaglia di Filippi contro gli uccisori di Cesare, perché il dio lo sostenesse in questo atto di vendetta, anche se il tempio fu terminato solo nel 2 a.C. Il tempio di Marte divenne il luogo nel quale si recavano a sacrificare alla divinità prima della loro missione tutti i condottieri dell’esercito romano, così come i capi dell’amministrazione imperiale delle diverse province. Il motivo di questi riti e di questi sacrifici è facilmente intuibile. Come Marte aveva sostenuto Augusto nella vittoria contro coloro che avevano attentato all’impero – gli uccisori di Cesare – così la stessa divinità avrebbe punito qualsiasi ufficiale dell’impero che non fosse stato fedele ad Augusto e ai suoi successori.Possiamo immaginare allora Ponzio Pilato che, in partenza per la Giudea, offre sacrifici a Marte ultore, nel Tempio a lui dedicato - Pilato fu prefetto della Giudea dal 26 al 36 d.C. Solo con gli imperatori successivi il titolo di prefetto fu poi mutato in quello di procuratore.Passeggiando per via dei Fori imperiali lo si distingue chiaramente, fra i Mercati Traianei ed i resti del Foro di Nerva con le famose Colonnacce. Del Tempio di Marte Ultore è rimasto l’alto podio con la sua scalinata in marmo ed alcune colonne sul fianco di destra, per chi guarda. Il suo stato di relativa conservazione dipende dal fatto che venne trasformato in chiesa, la Santissima Annunziata, che venne poi demolita in età fascista per realizzare gli scavi dei Fori. Quando avvenne il giuramento di Pilato era ormai imperatore Tiberio che vi aveva eretto gli archi di Druso e Germanico.
Matteo ricorda che egli «prese dell’acqua e si lavò le mani davanti alla folla» (Mt 27,24), e certamente quel gesto esprime bene la sua arrendevolezza colpevole dinanzi al sinedrio che vuole la morte di Gesù, poiché il Cristo si è fatto «simile a Dio». Pilato comprende bene che Gesù non è assolutamente pericoloso, né lo sono i suoi discepoli: ne decide però la crocifissione per paura che i sommi sacerdoti inneschino una rivolta contro il potere romano se egli non avesse decretato la soppressione del “bestemmiatore” Gesù.
- Cambia lo sguardo del mondo sul male perché Dio prende su di sé il male degli uomini
Cosa significa che Cristo è l’unico salvatore
In una Sura coranica gli ebrei di Medina sono accusati per aver detto: «"Abbiamo ucciso il Messia, Gesù figlio di Maria, l'Apostolo di Dio!", mentre non l'hanno ucciso né crocifisso, ma soltanto sembrò loro [di averlo ucciso]» (Sura IV, 157).
- Croce o decapitazione? Cittadini romani e non
Un motivo politico della croce o un motivo religioso?
da C.S. Lewis, Scusi... Qual è il suo Dio?, GBU, Roma, 1993, pp. 75-76
Sto cercando di impedire che qualcuno dica del Cristo quella sciocchezza che spesso si sente ripetere: “Sono pronto ad accettare Gesù come un grande maestro di morale, ma non accetto la sua pretesa di essere Dio”. Questa è proprio l’unica cosa che non dobbiamo dire: un uomo che fosse soltanto un uomo e che dicesse le cose che disse Gesù non sarebbe certo un grande maestro di morale, ma un pazzo - allo stesso livello del pazzo che dice di essere un uovo in camicia – oppure sarebbe il Diavolo. Dovete fare la vostra scelta: o quest’uomo era, ed è, il Figlio di Dio, oppure era un matto o qualcosa di peggio. Potete rinchiuderlo come un pazzo, potete sputargli addosso e ucciderlo come un demonio, oppure potete cadere ai suoi piedi e chiamarlo Signore e Dio. Ma non tiriamo fuori nessuna condiscendente assurdità come la definizione di grande uomo, grande maestro. Egli ha escluso la possibilità di questa definizione – e lo ha fatto di proposito.
IMMAGINE DEL GRAFFITO DAL PEDAGOGIUM
Crocifisso blasfemo che permette di capire quali critiche ricevessero allora – e sempre – i cristiani. Proviene dal cosiddetto Pedagogio (dove fu ritrovato negli scavi del 1856), cioè dall’edifico nel quale si formavano i paggi imperiali.
Il graffito di fattura molto elementare viene datato alla I metà del III secolo (fra il 200 ed il 250 d.C.) e rappresenta un crocifisso con testa di asino che ha al fianco un uomo con braccio alzato. A fianco l’iscrizione graffita recita in greco: "Alexamenos sebete theon", cioè “Alexamenos adora il suo dio”.
1 Cor 1,20-25
Dov’è il sapiente? Dov’è il dotto? Dov’è il sottile ragionatore di questo mondo? Dio non ha forse dimostrato stolta la sapienza del mondo? Poiché infatti, nel disegno sapiente di Dio, il mondo, con tutta la sua sapienza, non ha conosciuto Dio, è piaciuto a Dio salvare i credenti con la stoltezza della predicazione. Mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio. Infatti ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini
- ma prima ancora la morte di Giovanni il Battista e la conversione di Paolo (intorno all’anno 36 d.C.)
4A/ Caligola (37-41) che pose “l’abominio nel Tempio” (?)
4B/ Claudio (41-54)
- La cronologia neotestamentaria
- "IMPULSORE CHRESTO" ("a causa di Cristo che incitava"), nella Vita Claudii di Svetonio; il fatto si ritrova in At 18,1-2 che racconta di Aquila e Priscilla allontanati da Roma a causa di un ordine dell'imperatore Claudio) – forse nell’anno 49 d.C.
- PAOLO dinanzi a Gallione fra il 51 e il 52 ca.
-Prima di questa data, I LETTERA AI TESSALONICESI
- cfr. su questo R. Penna, L’ambiente storico-culturale delle origini cristiane, Bologna, EDB, 1984 riedito molte volte
- L’annunzio del vangelo
Cfr. Rom 1,14-15
«Sono in debito verso i Greci come verso i barbari, verso i sapienti come verso gli ignoranti: sono quindi pronto, per quanto sta in me, ad annunciare il Vangelo anche a voi che siete a Roma»
Idea ebraica e cristiana di “elezione” (diversa dalla cosiddetta “doppia predestinazione”)
5/ Nerone e la prima grande persecuzione latina
VIDEO GOOGLE MAP DOMUS AUREA
Ovidio è figura interessantissima: in lui si trova una importante riflessione sull’impossibilità per l’uomo di vivere pienamente il bene a partire dalle proprie sole forze. Negli Amores, Libro Secondo, scrisse: «Io non avrei il coraggio di difendere costumi disonesti e di impugnare armi ingannatrici in difesa delle mie colpe. Anzi, confesso, se confessare i peccati può in qualche modo giovare; ma ora, dopo la confessione, ricado come un insensato nelle mie colpe». Si vede in questo passaggio il suo riferimento alla possibilità di confessare i proprio peccati, ma anche all’inefficacia di questo atteggiamento – Ovidio ebbe tre moglie, contestò i costumi della tradizione romana (il mos maiorum) e scrisse la famosa Ars amatoria, aprendo la via ad uno sganciamento della sessualità da una stabile relazione affettiva. Più famosa ancora è la sua notissima espressione: «Video meliora proboque, deteriora sequor», che si può tradurre «Vedo le cose migliori e le approvo, ma seguo le peggiori» (Ovidio, Metamorfosi, VII, 20)
da Ovidio, Metamorfosi I, 76-85
Ma ancora mancava l’essere più nobile che, dotato
d’intelletto più alto, sapesse dominare sugli altri.
Nacque l’uomo, fatto con seme divino da quell’artefice
del creato, principio di un mondo migliore;
o plasmato dal figlio di Giàpeto, a immagine di dei
che tutto reggono, impastando con acqua piovana
la terra recente che, appena separata dalle vette
dell’etere, ancora del cielo serbava il seme nativo;
se gli altri animali contemplano a testa bassa la terra,
la faccia dell’uomo l’ha sollevata, ordinò che vedesse
il cielo, che fissasse, eretto, il firmamento».
- il peccato originale che si manifesta nella divisione del cuore umano (peccato originale originato e peccato originale originante)
«Io so che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene; c'è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio... Io trovo in me questa legge: quando voglio fare il bene, il male è accanto a me» (Rm 7,18-19.21).
«L'uomo, se guarda dentro al suo cuore, si scopre inclinato anche al male e immerso in tante miserie, che non possono certo derivare dal Creatore, che è buono. Così l'uomo si trova diviso in se stesso» (GS 13).
G.K. Chesterton ha voluto rispondere così all’irrisione che spesso veniva – e viene – gettata sul tema del peccato originale: «Certi nuovi teologi mettono in discussione il peccato originale, la sola parte della teologia cristiana che possa effettivamente essere dimostrata. Alcuni, nel loro fin troppo fastidioso spiritualismo, ammettono bensì che Dio è senza peccato – cosa di cui non potrebbero aver la prova nemmeno in sogno – ma, viceversa, negano il peccato dell’uomo che può esser visto per la strada. I più grandi santi, come i più grandi scettici, hanno sempre preso come punto di partenza dei loro ragionamenti la realtà del male. Se è vero (come è vero) che un uomo può provare una voluttà squisita a scorticare un gatto, un filosofo della religione non può trarne che una di queste deduzioni: o negare l’esistenza di Dio, ed è ciò che fanno gli atei; o negare qualsiasi presente unione fra Dio e l'uomo, ed è ciò che fanno tutti i cristiani. I nuovi teologi sembrano pensare che vi sia una terza più razionalistica soluzione: negare il gatto».
- fin qui persecuzione di stampo religioso da parte del sinedrio o di capi di singole sinagoghe
Annuncio di Paolo
«Paolo fremeva dentro di sé al vedere la città piena di idoli. Frattanto, nella sinagoga, discuteva con i Giudei e con i pagani credenti in Dio e ogni giorno, sulla piazza principale, con quelli che incontrava. Anche certi filosofi epicurei e stoici discutevano con lui, e alcuni dicevano: “Che cosa mai vorrà dire questo ciarlatano?”. E altri: “Sembra essere uno che annuncia divinità straniere”, poiché annunciava Gesù e la risurrezione. Lo presero allora con sé, lo condussero all’Areòpago». Quando poi prende la parola all’Areopago (il tribunale di Ares ad Atene) si riferisce ai templi che ha visitato in città, si riferisce, anche se indirettamente, al Partenone nello stesso discorso in cui parla dell’altare al Dio ignoto: «Ateniesi, vedo che, in tutto, siete molto religiosi. Il Dio che ha fatto il mondo e tutto ciò che contiene, che è Signore del cielo e della terra, non abita in templi costruiti da mani d’uomo» (At 17,22-24).
Tacito riporta i fatti dell’anno 64 (Annali, 15, 44, 2-5) – farlo immaginare:
Né per umani sforzi, né per elargizioni del principe, né per cerimonie propiziatrici dei numi, perdeva credito l’infamante accusa per cui si credeva che l’incendio fosse stato comandato. Perciò, per tagliar corto alle pubbliche voci, Nerone inventò i colpevoli. Sottopose a raffinatissime pene quelli che il popolo chiamava crestiani. Essi venivano invisi per le loro nefandezze. Il loro nome veniva da Cristo, che sotto il regno di Tiberio era stato condotto al supplizio per ordine del procuratore Ponzio Pilato. Momentaneamente sopita, questa perniciosa superstizione proruppe di nuovo non solo in Giudea, luogo di origine di quel flagello, ma anche in Roma, dove tutto ciò che è vergognoso ed abominevole viene a confluire e trova la sua consacrazione. Per primi furono arrestati coloro che facevano aperta confessione di tale credenza, poi, su denuncia di questi, ne fu arrestata una gran moltitudine non tanto perché accusati di aver provocato l’incendio, ma perché si ritenevano accesi d’odio contro il genere umano. Quelli che andavano a morire erano anche esposti alle beffe: coperti di pelli ferine, morivano dilaniati dai cani, oppure erano crocifissi, o arsi vivi a mo’ di torce che servivano ad illuminare le tenebre quando il sole era tramontato. Nerone aveva offerto i suoi giardini per godere di tale spettacolo, mentre egli bandiva i giochi nel circo ed in veste di auriga si mescolava al popolo, o stava ritto sul cocchio. Perciò, per quanto quei supplizi fossero contro gente colpevole e che meritava tali originali tormenti, pure si generava verso di loro un senso di pietà, perché erano sacrificati non al comune vantaggio, ma alla crudeltà di un principe.
- la nuova idea di martire: chi non perdona il nemico non è martire, non è testimone del Dio di Gesù Cristo
6/ I Flavi e la svolta del giudaismo. Il Colosseo, la vergogna di Roma
I guerra giudaica
Un grande blocco di marmo grigio, che venne trovato nel 1813 sull’arena del monumento, è oggi posto al secono piano del Colosseo. Potrebbe essere appartenuto all’architrave della porta interna posteriore del Colosseo. Sul lato frontale è un’iscrizione appartenente al V secolo d.C. che si riferisce a un restauro dell’anfiteatro avvenuto per cura del senatore Rufius Coecina Felix Lampadius, prefetto di Roma durante il regno degli imperatori Teodosio II e Valentiniano III, probabilmente negli anni 443-444. La lastra conserva i fori che vi erano stati praticati per apporvi le lettere in bronzo di un’iscrizione antecedente, che venne poi distrutta. Grazie alla distribuzione dei fori (che dovevano venir occupati dalle lettere in modo adeguato), alla conoscenza del formulario dei testi di questo genere e alla testimonianza letteraria e archeologica sulla storia del monumento è stato possibile ricostruire l’antica iscrizione con lettere bronzee. Il testo, secondo la versione proposta da Géza Alföldy, «sarebbe stato redatto nel modo seguente (nelle parentesi quadre sono indicate le lettere i cui fori di fissaggio sono andati perduti, in quelle rotonde è presentato lo scioglimento delle abbreviazioni): I[mp(erator)] Caes(ar) Vespasi[anus Aug(ustus)] / amphitheatru[m novum?] / [ex] manubis [fieri iussit (?)]; tradotto, significa: “L’imperatore Cesare Vespasiano Augusto fece erigere il nuovo anfiteatro con il provento del bottino”.
Grazie a un’analisi più attenta si può invece osservare che nella prima riga, mediante l’addizione di nuovi fori, le lettere CAE furono addensate tra loro e che prima di queste venne inserita una lettera aggiuntiva. La nuova versione risulta essere: I[mp(erator)] / T(itus) Cæs(ar) Vespasi[anus Aug(ustus)]; e cioè: “L’imperatore Tito Vespasiano Cesare Augusto”.
Si tratta di Tito, il figlio di Vespasiano. I fori di fissaggio della versione originaria non più utilizzati furono coperti quasi perfettamente dalle nuove lettere. Tutto ciò concorda con ciò che è ben noto della storia del Colosseo. Come dice Svetonio, fu Vespasiano a far erigere il Colosseo e, in base a una fonte d’epoca posteriore, fu già questo imperatore ad aprire al pubblico il nuovo anfiteatro, pur se i lavori di costruzione non erano ancora stati terminati.
Si sa, però, da altre fonti, che fu Tito a inaugurare nell’anno 80 l’edificio con grandiose manifestazioni; per questo motivo, Tito veniva considerato come l’edificatore del Colosseo. Le due versioni dell’iscrizione si spiegano con chiarezza: la versione originaria fu redatta poco prima della morte di Vespasiano, avvenuta il 23 giugno del 79; quella modificata fu creata in occasione della solenne inaugurazione nell’anno 80, al fine di glorificare l’imperatore al potere e, cioè, Tito.
L’iscrizione presenta, però, una grande novità: il finanziamento dei lavori veniva fornito ex manubis. La costruzione di edifici pubblici, grazie ai proventi del bottino, rispettava la tradizione della repubblica romana.
Qui si tratta dell’immenso bottino fatto da Tito nella guerra contro gli ebrei. Flavio Giuseppe riferisce del tesoro del Tempio di Gerusalemme e, in particolare, dell’arredamento aureo dell’edificio sacro, che fu depredato dai romani. In questo modo si può affermare che non soltanto l’arco di Tito con i suoi rilievi, raffiguranti l’arrivo a Roma dei vincitori carichi del bottino fatto nella Guerra Giudaica, ma che anche il Colosseo sia un monumento alla vittoria dei romani e, al contempo, alla tragedia delle sue vittime».
Ignazio di Antiochia, Lettera ai Romani, IV,1-3, intorno al 110 d.C.
«Scrivo a tutte le Chiese e annunzio a tutti che io muoio volentieri per Dio, se voi non me lo impedite. Vi prego di non avere per me una benevolenza inopportuna. Lasciate che sia pasto delle belve per mezzo delle quali mi è possibile raggiungere Dio. Sono frumento di Dio e macinato dai denti delle fiere per diventare pane puro di Cristo. Piuttosto accarezzate le fiere perché diventino la mia tomba e nulla lascino del mio corpo ed io morto non pesi su nessuno. Allora sarò veramente discepolo di Gesù Cristo, quando il mondo non vedrà il mio corpo. Pregate il Signore per me perché con quei mezzi sia vittima per Dio. Non vi comando come Pietro e Paolo. Essi erano apostoli, io un condannato; essi erano liberi io a tuttora uno schiavo. Ma se soffro sarò affrancato in Gesù Cristo e risorgerò libero in lui. Ora incatenato imparo a non desiderare nulla»
Sintesi: Accogliere, contestare, compiere
A/ Accogliere
- diritto
- universalità di Roma
da M.Sordi, Storia greca e romana, Jaca Book, Milano, 1992, pp. 67-73)
Il fattore caratterizzante della storia romana, troppo spesso falsata, nella cultura corrente, dai luoghi comuni dell'imperialismo e dello schiavismo, va cercato invece, a mio avviso, nella capacità, originale dei romani e anteriore a ogni influenza dei greci (che la percepivano anzi con stupore e ammirazione sin dal III secolo a.C., come sappiamo dalla lettera di Filippo V ai Larissei del 214 Syll. 543), di propagare la civitas al di là dei confini dell' urbs , con un'indifferenza al fattore etnico che nasce dalla coscienza dei romani di essere un popolo misto, risultato dell'incontro e della fusione di popoli diversi in un'unità di natura politica e morale, non etnica. Questa coscienza, che si esprime nel mito troiano e nell'incontro, avvenuto alle origini, fra il troiano Enea, profugo dall'Asia, e gli indigeni del Lazio, ha la sua radice storica nell'incontro reale, avvenuto al tempo della monarchia dei Tarquini e poi, nel IV secolo a.C., dopo la catastrofe gallica, con l'alleanza fra Roma e Cere, fra Roma e gli etruschi. Questo felice incontro col diverso, avvenuto alle origini della sua storia e da cui Roma nasce, come urbs e come civitas , è certamente alla radice della disposizione dei romani all'assimilazione del novum e dell'alienum e della capacità unica di Roma di integrare in unità popoli diversi. Esso ha le sue realizzazioni storiche nel superamento del conflitto fra patrizi e plebei nelle civili battaglie del V e IV secolo a.C.; nella ripresa, dopo l'involuzione del III e II secolo, dell'integrazione dell'Italia nella cittadinanza romana, seguita alla guerra sociale e premessa per l'integrazione delle province, che ha il suo compimento nell'età imperiale; nell'ascesa degli homines novi e nella loro progressiva sostituzione alla vecchia nobilitas , che fu il frutto delle guerre civili e il risultato più importante del principato. L'eredità etrusca, che si manifesta anche nel concetto di pax deorum , che è il fondamento dello stato romano, e nella concezione secolare, che fonda il concetto di Roma aeterna , è fondamentale, a mio avviso, per comprendere la radice religiosa di un comportamento in cui l'amore per la concretezza si traduce in senso profondo del diritto. Fu l'ideale di questa comunità universale fondata sul diritto, che nessuno dei grandi imperi dell'antichità era riuscito a realizzare, a rendere possibile l'incontro nel mondo antico fra la romanità e il cristianesimo: è questo l'aspetto più duraturo dell'eredità di Roma e il significato stesso della sua storia.
- filosofia
Epicuro, Lettera a Meneceo
«Proprio perché il piacere è il nostro bene più importante ed innato, noi non cerchiamo qualsiasi piacere; ci sono casi in cui noi rinunciamo a molti piaceri se ce ne deriva un affanno. Inoltre consideriamo i dolori preferibili ai piaceri, quando da sofferenze a lungo sopportate ci deriva un piacere più elevato. Quando diciamo che il piacere è il nostro fine ultimo, noi non intendiamo con ciò i piaceri sfrenati, e nemmeno quelli che hanno a che fare con il godimento materiale, come dicono coloro che ignorano la nostra dottrina. La saggezza è principio di tutte le altre virtù e ci insegna che non si può essere felici, senza essere saggi, onesti e giusti. Le virtù in realtà sono un’unica cosa con la vita felice e questa è inseparabile da essi»
- La figura di Virgilio visibilizza tutto questo
B/ Contestare
- panem et circenses
- mitologia e politeismo
C/ Compiere
- politica e laicità
Contro l’anarchia
Mc 12,13-14
«Mandarono da Gesù alcuni farisei ed erodiani, per coglierlo in fallo nel discorso. Vennero e gli dissero: “Maestro, sappiamo che sei veritiero e non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno, ma insegni la via di Dio secondo verità. È lecito o no pagare il tributo a Cesare? Lo dobbiamo dare, o no?”»
Rom 13,1Ciascuno sia sottomesso alle autorità costituite. Infatti non c’è autorità se non da Dio: quelle che esistono sono stabilite da Dio. 2Quindi chi si oppone all’autorità, si oppone all’ordine stabilito da Dio. E quelli che si oppongono attireranno su di sé la condanna. 3I governanti infatti non sono da temere quando si fa il bene, ma quando si fa il male. Vuoi non aver paura dell’autorità? Fa’ il bene e ne avrai lode, 4poiché essa è al servizio di Dio per il tuo bene. Ma se fai il male, allora devi temere, perché non invano essa porta la spada; è infatti al servizio di Dio per la giusta condanna di chi fa il male. 5Perciò è necessario stare sottomessi, non solo per timore della punizione, ma anche per ragioni di coscienza. 6Per questo infatti voi pagate anche le tasse: quelli che svolgono questo compito sono a servizio di Dio. 7Rendete a ciascuno ciò che gli è dovuto: a chi si devono le tasse, date le tasse; a chi l’imposta, l’imposta; a chi il timore, il timore; a chi il rispetto, il rispetto.
- la ricerca della verità visibilizzata nell’espressione artistica
Es. Apollo, sole, orante, pastore
- Conquista libera dei cuori e delle menti, Logos e agape, Ragionevolezza e Misericordia
[anno prossimo: Costantino e la Roma altomedioevale, forse]