Le Lettere di Paolo: dalla redazione alla recensione, di Carlo Maria Martini
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Riprendiamo dal volume Sulle orme di Paolo, allegato alla rivista “Jesus”2009, VII , pp. 122-127, un articolo di Carlo Maria Martini. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (5/5/2010)
Un testo manoscritto ha una sua vicenda particolare che procede per tappe diverse e successive. Possiamo isolarne almeno tre. La prima concerne la stesura vera e propria da parte dell’autore. È quella che potremmo chiamare la redazione.
Si passa poi ad un nuovo stadio, soprattutto quando il testo ha una rilevanza particolare per una comunità o un gruppo di persone: è la trascrizione, cioè il processo per cui da un manoscritto se ne ricava una copia. Colui che trascrive (“l’amanuense”) può riprodurre il testo tenendolo di fronte e leggendolo porzione per porzione oppure può copiarlo sotto dettatura. Ovviamente in questa fase piuttosto delicata possono verificarsi fenomeni di vario genere che in qualche modo inquinano (o anche perfezionano) l'originale.
Ecco allora la necessità di un terzo stadio, quello cosiddetto della recensione. Essa comporta un processo di revisione e di correzione del testo manoscritto per eliminarne errori o varianti che si sono inseriti durante la fase di trascrizione. Per recensione s’intende perciò, un lavoro fatto dopo un arco di tempo consistente quando ormai non si ha più a disposizione il manoscritto originale o autografo e si deve ricorrere in caso di emergenza alle congetture o ipotesi di restauro del testo nella sua supposta purezza primitiva.
La critica testuale, ovviamente non solo per Paolo ma anche per gli altri testi biblici e di autori classici, è la scienza che tende alla ricostruzione per quanto è possibile dello stato originale di un’opera, così come essa é uscita dall’attività redazionale dello scrittore (“autografo”).
Naturalmente per compiere questa ricomposizione si deve operare sui manoscritti che sono frutto di trascrizione (“apografi”) perché come si è detto l'originale paolino (o degli altri autori neotestamentari) non è più in nostro possesso. La situazione testuale per quanto concerne il Nuovo Testamento è certamente ottimale, ma anche complessa. Le copie trascritte sono molteplici e di vario genere, diversamente da quanto avviene spesso per gli autori classici latini o greci.
Per fare un esempio, pensiamo che gli Annali di Tacito ci sono giunti in una sola copia manoscritta. In generale, eccettuato il caso di autori assai popolari come Omero e Virgilio, è assai raro il caso di opere dell’antichità che contino più di una mezza dozzina di manoscritti anteriori alla fine del Medioevo.
Per il Nuovo Testamento, e quindi per Paolo, la situazione è ben diversa. Le copie manoscritto sono migliaia, appartengono a classi diverse, sono di epoche differenti, alcune di esse risalgono molto indietro nel tempo sino ad attestarsi a una distanza relativamente breve dagli originali. In esse distinguiamo innanzi tutto i papiri, i documenti più antichi (all'incirca un centinaio), scritti appunto su papiro e provenienti prevalentemente dall'Egitto, un'area particolarmente vivace della cristianità antica.
Essi si indicano convenzionalmente con la Pmaiuscola avente in esponente un numero d'ordine progressivo. Il più antico manoscritto delle lettere paoline è appunto un papiro, il P46, da alcuni autori (Kenyon) datato alla prima metà del III secolo, da altri (Sanders) riportato alla seconda metà. Si tratta di una specie di quaderno che ha dei fogli (sette per la precisione) strappati e perduti all'inizio e alla fine. In essi erano contenuti gli inizi della Lettera ai Romani (dal cap. l al 5, v. 16) e la seconda Lettera ai Tessalonicesi.
Mancavano già, invece, nell'originale le lettere pastorali. L’ordine di distribuzione delle lettere paoline è: Romani, Ebrei, 1 e 2 ai Corinzi, Efesini, Galati, Filippesi, Colossesi, l Tessalonicesi. Il testo, attualmente smembrato, è conservato parzialmente presso la biblioteca Chester Beatty di Dublino e quella di Ann Arbor nel Michigan. Paolo è testimoniato anche da una sequenza di altri papiri cronologicamente distribuiti tra il III e il VII secolo.
Una seconda classe di manoscritti apografi è rappresentata dai codici di pergamena. Essi sono tradizionalmente suddivisi in Codici maiuscoli (o "onciali" ), scritti appunto totalmente in caratteri greci maiuscoli, e minuscoli (o "corsivi"), scritti in calligrafia corrente con lettere di altezza differente.
La prima scrittura prevale sino al VII-VIII secolo e quindi i codici maiuscoli sono i più antichi e i più preziosi, i minuscoli fioriscono più o meno attorno a quel periodo e diverranno esclusivi dal X secolo in avanti. I codici maiuscoli finora conosciuti sono circa 270 e si indicano convenzionalmente con le lettere maiuscole dell'alfabeto greco e latino: celebre è, ad esempio, il Codice B (o Vaticano) composto attualmente di 768 fogli, nato probabilmente in Egitto e considerato forse il più antico (IV secolo).
Purtroppo i fogli fìnali (e gli iniziali) del codice sono andati perduti: così di Paolo non possediamo la l e 2 a Timoteo, Tito e Filemone. Completo è, invece, un altro codice maiuscolo famoso, il cosiddetto codice "S" o "Sinaitico", scoperto nel secolo scorso nel monastero di Santa Caterina al Sinai, databile verso la metà del IV secolo.
I codici minuscoli sono, invece, nell’ordine delle migliaia, diversi per origine anche se spesso riconducibili a "famiglie" comuni, talora chiamate con il nome dei vari studiosi che le hanno identificate ("famiglia Lake", "famiglia Ferrar", ecc.). Essi prevalentemente risalgono all'epoca bizantina e medievale e riflettono il testo in uso nelle Chiese greche d'Oriente. Sono convenzionalmente indicati con numeri arabici progressivi.
Ora, se si vagliano le varie testimonianze finora elencate (papiri, codici maiuscoli e minuscoli, a cui vanno aggiunti i lezionari, cioè libri per la lettura liturgica, e le citazioni presenti nei primi Padri della Chiesa), ci si accorge che è possibile ricondurre a tre modelli fondamentali il testo paolino trasmesso. Pur nella sostanziale omogeneità, si nota innanzitutto un testo comune ai papiri e ai codici più antichi maiuscoli che è chiamato egiziano (tecnicamente è indicato con la lettera H), molto accurato, forse da riportare al II secolo; c'è poi un testo occidentale, testimoniato appunto da codici delle Chiese di Occidente (come il codice maiuscolo D), in cui si vede lo sforzo di rendere il testo paolino più chiaro e accessibile ai fedeli; c'è, infine, il bizantino, sviluppatosi forse nel IV secolo ad Antiochia di Siria e poi affermatosi trionfalmente nell'Impero bizantino.
Attraverso il vaglio e la comparazione di questi modelli presenti nei differenti manoscritti la critica testuale cerca di ricomporre un testo paolino che sia il più possibile vicino all’originale andato perduto.