Alla partenza. I vescovi africani agli emigranti: restate e create ricchezza, di Anna Bono
Riprendiamo dal sito de La Nuova Bussola Quotidiana un articolo di Anna Bono pubblicato il 21/12/2017. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, vedi la sotto-sezione Immigrazione, accoglienza e integrazione, intercultura nella sezione Carità, giustizia e annunzio.
Il Centro culturale Gli scritti (22/12/2017)
I filmati che mostrano degli emigranti africani arrestati e venduti come schiavi in Libia sono circolati anche in Africa insieme alla notizia di circa 20.000 detenuti in condizioni inacettabili. Hanno suscitato un’ondata di indignazione che ha costretto l’Unione Africana a promettere di riportare a casa entro poche settimane tutti gli emigranti in difficoltà: beninteso con il sostegno logistico e finanziario dell’Unione Europea e dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni, quest’ultima in realtà impegnata da anni a rimpatriare gli emigranti che chiedono aiuto.
Monsignor Benjamin Ndiaye, arcivescovo della capitale del Senegal Dakar, ne ha parlato il 25 novembre, a margine della cerimonia di ordinazione di cinque nuovi sacerdoti della sua diocesi. “Non abbiamo il diritto di lasciare che esistano canali di emigrazione illegale quando sappiamo benissimo come funzionano – ha detto – tutto questo deve finire”. Insieme alla Nigeria, il Senegal è uno dei paesi africani da cui partono alla volta dell’Italia più emigranti clandestini. Secondo Monsignor Ndiaye tutte le autorità religiose devono fare la loro parte e devono collaborare affinchè i giovani si impegnino nello sviluppo dei rispettivi paesi: “è meglio restare poveri nel proprio paese – ha detto – piuttosto che finire torturati nel tentare l’avventura dell’emigrazione”. Infine Monsignor Ndiaye ha lanciato un appello a tutte le personalità autorevoli affinchè si impegnino in attività di sensibilizzazione per far capire ai giovani i pericoli dell’emigrazione clandestina. Lui stesso si è rivolto ai giovani: “cari ragazzi – ha detto – tocca a noi costruire il nostro paese, tocca a noi svilupparlo, nessuno lo farà al posto nostro”.
In Nigeria il primo a reagire, il 28 novembre, pochi giorni dopo la diffusione dei video, è stato il presidente Muhammadu Buhari. Il capo di stato si è detto inorridito al vedere i suoi connazionali “trattati come capre, venduti per pochi dollari”. Ha quindi dichiarato che tutti gli emigranti nigeriani bloccati in Libia e altrove saranno riportati a casa e verranno reinseriti nella vita sociale ed economica del paese. Inoltre ha giurato che farà tutto il possibile per impedire che altri nigeriani intraprendano il pericoloso viaggio verso l’Europa: combatterà la corruzione, sconfiggerà definitivamente Boko Haram e altri gruppi armati, migliorerà i servizi pubblici, a partire da quello scolastico.
Nei giorni successivi anche i vescovi nigeriani hanno preso la parola, affidandosi all’agenzia di stampa Catholic News Service. Lo hanno fatto richiamando con fermezza sia il governo che la popolazione alle loro responsabilità. “Il governo nigeriano – ha detto Monsignor Joseph Bagobiri, vescovo di Kafachan – dovrebbe far capire ai giovani che c’è più speranza di vita in Nigeria di quanta pensino di trovarne in Europa o altrove. Il paese ha ricchezze e risorse immense. I nigeriani non dovrebbero ridursi a mendicanti andandosene alla ricerca di una ricchezza illusoria all’estero”.
Spetta ai nigeriani sviluppare il loro paese, ha aggiunto Monsignor Jilius Adelakan, vescovo di Oyo, evidenziando le responsabilità collettive: “Incominciamo a sviluppare il nostro paese in modo da renderlo un luogo in cui è desiderabile e piacevole vivere, facciamo in modo che siano gli stranieri a voler venire da noi”.
Ai tanti giovani che non vedono l’ora di andarsene Monsignor Bagobiri ha consigliato di non sprecare denaro per un viaggio rischioso, un progetto senza prospettive: “se i nigeriani emigrati clandestinamente, invece di spendere così tanto per il viaggio, avessero investito quelle somme di denaro in maniera creativa in Nigeria, in attività economiche, adesso sarebbero degli imprenditori, dei datori di lavoro. Invece sono ridotti in schiavitù e sottoposti ad altre forme disumane di trattamento in Libia”.
Il governo nigeriano ha già rimpatriato 3.000 emigranti bloccati in Libia. Il 29 novembre sono atterrati all’aeroporto internazionale di Lagos 242 giovani. Le telecamere li hanno ripresi mentre scendevano dall’aereo e muovevano i primi passi, felici e sollevati di essere di nuovo a casa. Molti erano stati ingannati, avevano creduto alle bugie di chi li ha convinti a emigrare. Un giovane elettricista ha raccontato di essere partito perchè gli avevano assicurato che in Europa avrebbe trovato un buon lavoro.
Su uno dei due aerei che nella notte del 5 dicembre hanno riportato in patria altri 401 ragazzi viaggiavano anche Mabel Emmanuel, Steven Ekhiator e il loro bambino, David, nato in Libia. I due giovani si sono conosciuti in un campo di detenzione. Un giorno Mabel ha chiesto a Steven di usare il suo cellulare per telefonare alla madre e chiederle del denaro. Al rifiuto della mamma Mabel è scoppiata in lacrime e allora Steven le ha dato il denaro di cui aveva bisogno. Così tra i due è sbocciato l’amore. Intervistati all’arrivo, hanno detto di essere felici, di non chiedere altro che di crescere insieme il piccolo David in Nigeria e che non proveranno mai più a emigrare clandestinamente: “Lo dico a tutti quelli che pensano di partire – ha aggiunto Steven – la Libia è un paese terribile”.