Egitto. Strage delle moschea: chi sono i sufi, nuovo bersaglio del Califfato. L'eccidio di venerdì, il più sanguinoso della storia, ha provocato 305 morti, di Camille Eid
Riprendiamo da Avvenire del 25/11/2017 un articolo di Camille Eid. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sotto-sezione Islam.
Il Centro culturale Gli scritti (26/11/2017)
N.B. de Gli scritti. È evidente, anche se, a differenza di Camille Eid, gli articolisti dei maggiori quotidiani non lo sottolineano, che esiste anche un motivo politico dell’attentato alla moschea di Bir el-Abed. Ma l’insistenza sul motivo religioso sostenuta dai giornalisti e dallo stesso Eid è comunque corretta. L’islamismo non ha ragioni primariamente politiche ed economiche, bensì religiose e, per questo, non si rivolge innanzitutto contro i cristiani arabi e nemmeno contro il cristianesimo occidentale, bensì contro visioni religiose islamiche che non condivide, come il sufismo e lo sciismo, come, ancor più, contro la laicità e contro il laicismo.
L’islamismo ha radici religiose e si richiama ad un passato che non è mai stato chiarito culturalmente dove la volenza contro gli sciiti, contro i sufi e contro i gruppi religiosi non obbedienti alla sunna è stata spesso ritenuta legittima, senza che vi sia mai stato un riconoscimento di colpa di tale violenza perpetrata numerosissime volte nella storia.
Una visione di società nella quale sia possibile la libertà, sia possibile la libera discussione dei testi sacri, sia ammessa la libertà della donna, sia possibile convertirsi ad una forma diversa di islam o lasciare l’Islam per una religione diversa, è impossibile per gli islamisti - e non è chiaro cosa pensino di queste questioni gli imam.
Proprio per questo l’islam non islamista - e chi intende aiutarlo - deve sostenere chiunque difenda nei paesi islamici in maniera radicale e decisa la cultura, la discussione scientifica dei testi, la libertà della donna e delle scelte religiose, perché senza tale prospettiva nessun cambiamento in chiave di pace è possibile.
Dopo le forze dell’ordine e i membri della comunità copta, ecco che con la strage nella moschea a Bir el-Abed, che ha fatto 305 morti tra cui 27 bambini, negli assalti violenti che imperversano nel nord del Sinai si affaccia un nuovo bersaglio per i terroristi: i sufi, ossia i membri delle confraternite dell’islam mistico che rappresentano una buona parte della popolazione musulmana d’Egitto, pur divisi in varie “tariqa” (ordini).
Cos'è il sufismo
Il sufismo è considerato la via mistica tipica dell’islam. I sufi appartengono a diversi “tariqa” o ordini, comunità guidate da un maestro, i quali si riuniscono per sessioni spirituali in luoghi chiamati “zawiya” o “tekke”. La diffusione del sufismo (in particolare in Turchia, Egitto, Africa nera) non è sempre vista di buon occhio dalle correnti islamiche "ortodosse" che considerano le pratiche sufi (come le danze dei dervisci rotanti) eterodosse. Tra i più noti rappresentanti del sufismo, Jalal al-Din Rumi e il filosofo Ibn Arabi.
Una terra senza controllo
Al-Arish, capoluogo del nord del Sinai, è diventata da circa tre anni il simbolo di un territorio in cui le autorità locali non riescono a ristabilire a pieno il controllo. Non tanto per il tradizionale dominio di clan beduini difficilmente assoggettabili a un potere statale (nello specifico Sawarkah e Riashat), ma per una sempre più radicata presenza della “Wilaya Sinai”, la filiale locale del Daesh che aspira – ora che il Califfato è in fin di vita in Siria e Iraq – a raccoglierne il testimone.
L’autostrada tra al-Arish e Bir el-Abed è percorsa quotidianamente da pick-up e carovane di jihadisti con una libertà di movimento che è un indice della gravità della situazione; nell’entroterra poi, il quadro è ancora più grave dove una fascia di terreno che si estende dalla costa fino a circa 50 chilometri a sud di al-Arish è quasi del tutto fuori dal controllo governativo. Pesante il bilancio degli attentati: nel gennaio 2015, i jihadisti hanno assalito un quartier generale della polizia e un edificio adibito a residenza per le forze dell’ordine tra al-Arish e Rafah uccidendo decine di militari.
Più di recente ci furono 26 militari uccisi nel luglio scorso e altri 20 a settembre quando, non lontano da al-Arish, un convoglio della polizia militare è saltato sugli ordigni esplosivi piazzati ai bordi della strada. L’escalation ha raggiunto livelli inauditi nel febbraio scorso, quando i jihadisti hanno intensificato i loro attentati ai danni della piccola comunità copta (furono 7 le vittime in soli 15 giorni), costringendo decine di famiglie cristiane a lasciare il capoluogo.
Poche settimane dopo, in un’intervista pubblicata dal settimanale del Daesh, «al-Nabaa», un leader del gruppo avvertiva i musulmani a non avvicinarsi ai raduni dei cristiani, oltre che alle sedi governative, militari o della polizia, indicandoli come «obiettivi legittimi» da colpire. All’elenco si aggiungono quindi ora anche le moschee frequentate dai sufi. Il sufismo viene, infatti, associato al regime del presidente Abdel Fattah al-Sisi essendo l’attuale imam di al-Azhar, Ahmad al-Tayyeb, proveniente da una famiglia di sufi.