Sant’Agostino. Il primo comunicatore, di Manlio Simonetti
- Tag usati: manlio_simonetti, sant_agostino_ippona
- Segnala questo articolo:
Riprendiamo da L’Osservatore Romano del 15/4/2008 un articolo di Manlio Simonetti. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. le sezioni Il periodo patristico e Maestri dello Spirito: Sant'Agostino di Ippona.
Il Centro culturale Gli scritti (5/11/2017)
La recente scoperta, da parte di Dorothea Weber e di Clemens Weidmann, di alcuni sermoni di Agostino finora non conosciuti, aggiungendosi a quella di alcuni anni fa da parte di Dolbeau, ha attirato l’attenzione, non solo degli studiosi, sull’attività di Agostino predicatore, a noi documentata da un lascito di centinaia di prediche, molte riunite in raccolte organiche, altre a sé stanti, in prevalenza di argomento esegetico, ma anche in onore di santi e per la celebrazione di importanti festività e ancora di altri argomenti.
Talvolta Agostino ha manifestato un certo fastidio per l’obbligo di predicare inerente al suo ufficio episcopale, e qualche studioso ha preso sul serio queste dichiarazioni, nient’altro che civetterie di un retore scaltrito quant’altri mai.
In realtà Agostino, che per non pochi anni fu retore di professione, una volta convertitosi all’impegno ecclesiale predicò sempre con entusiasmo, non solo a Ippona, sua sede episcopale, ma anche a Cartagine e occasionalmente anche altrove. I suoi sermoni, improvvisati, come usava allora, sulla base di qualche previo abbozzo orale, abitualmente venivano stenografati e poi messi in bella copia a opera dei monaci del suo monastero, per essere diffusi in raccolte più o meno organiche.
La revisione alla quale l’indaffaratissimo Agostino sottoponeva i suoi parti oratori era quanto mai superficiale e talvolta mancava addirittura, e i non rari anacoluti che si avvertono nel suo dettato, e che qualche inavveduto editore pretende di correggere, sono segno evidente di un eloquio colloquiale, il che per altro non sta affatto a significare disinteresse per la forma espressiva.
In effetti è stato merito di Christine Mohrmann aver dimostrato, in uno studio di ormai parecchi anni fa, che Agostino ha messo in opera, nei sermoni, un tipo particolare di eloquenza, caratterizzato da periodi in prevalenza brevi e comunque costruiti con prevalenza della paratassi sull’ipotassi, con largo impiego di figure retoriche semplici e, insieme, molto espressive, tali da sottolineare, senza oscurarlo, il senso del discorso: espressioni simmetriche, ripetizioni, assonanze, giochi di parole, sì da facilitarne comprensione e apprendimento da parte di un uditorio in larga parte di bassa condizione e cultura.
In effetti Agostino è stato il primo, a nostra conoscenza, che nella cristianità di lingua latina si sia posto con chiarezza il problema della comunicazione a livello comunitario, arrivando a proporre, nel De catechizandis rudibus, diversi modi di espressione, più o meno elaborati, a secondo del diverso livello culturale dell’uditorio al quale veniva rivolta la predica, e affrontando di petto, nel quarto libro del De doctrina christiana, il problema del rapporto tra religione cristiana e retorica.
Si abbia presente, a questo proposito, che nel mondo cristiano da sempre c’era stata, e c’era anche allora, molta diffidenza nei confronti della retorica, considerata artificio tale da far prevalere il discorso falso su quello vero, quanto mai lontano dalla semplicità del dettato evangelico.
Tale diffuso sentimento non aveva affatto distolto dal largo impiego della strumentazione retorica i principali rappresentanti delle lettere cristiane, soprattutto in occidente, convinti che solo una forma adeguata fosse in grado di imporre i loro scritti a lettori acculturati: si pensi a Tertulliano, Cipriano e Ambrogio; nessuno per altro si era posto, a livello di teoria, il problema della compatibilità della retorica col messaggio cristiano.
Proprio questo ha fatto Agostino, dimostrando che, alla pari della dialettica, arte del ragionare, anche la retorica, arte del dire, è strumento in sé neutro, capace di servire a finalità buona e meno buona, capace di rendere accettabile e godibile un contenuto sia buono sia cattivo: sarebbe perciò grave errore - osserva Agostino - lasciare ai nostri avversari pagani il monopolio di uno strumento di cui l’oratore cristiano deve imparare a servirsi per rendere di ascolto gradevole la sua predica, in modo da interessare e avvincere l’ascoltatore, evidentemente distratto e distolto da un contenuto comunicatogli in forma che, per voler aderire alla semplicità evangelica, di fatto non fosse altro che sciatta e dimessa.
Agostino è tanto convinto dell’esigenza che il sermone predicato al popolo, per poter risultare efficace, debba essere presentato in forma adeguata, che arriva a consigliare al predicatore di per sé poco eloquente di imparare a memoria e recitare una predica composta da altri, come più di un secolo dopo avrebbe consigliato in Gallia Cesario di Arles.
Dal canto suo, l’amore giovanile per il teatro, di cui è testimonianza nelle Confessioni, travasato nella predicazione, gli ha ispirato una performance oratoria di effetto spettacolare per l’interazione della parola e del gesto, capace di scuotere profondamente gli ascoltatori, fino a spingerli dal riso al pianto.
Non a caso ho detto "spettacolare", perché Agostino ha concepito l’omelia come vero e proprio spettacolo, in un’alternanza di toni coloriti musicali arguti pungenti patetici, tali da avvincere gli ascoltatori e distoglierli addirittura dai prediletti giochi del circo e dell’anfiteatro (Pontet).
Sono sue parole: "Se non fosse per uno spettacolo, sareste voi convenuti qui oggi? Ecco, ciò che abbiamo detto voi l’avete visto e avete applaudito con entusiasmo; non avreste applaudito se non aveste veduto" (Tractatus in Iohannem, 7, 6).
E il suo biografo Possidio descrive così il successo di questa predicazione: "I suoi discorsi, che scaturivano e derivavano da mirabile grazia divina ed erano sorretti sia da abbondanza di argomenti razionali sia dall’autorità delle Scritture, gli stessi eretici correvano ad ascoltarli insieme con i cattolici, spinti da intenso ardore: chi voleva e ne aveva la possibilità, si valeva di stenografi i quali trascrivevano ciò che veniva detto" (7, 3).
Il quarto libro del De doctrina christiana conclude quello che di fatto si presenta come un vero e proprio manuale di ermeneutica biblica, che Agostino ha composto a uso prevalente, anche se non esclusivo, dei predicatori. In effetti, anche se a volte si predicava in onore dei martiri e occasionalmente su argomenti di carattere morale, di gran lunga prevalente era il sermone d’argomento esegetico, cioè mirato alla spiegazione di un testo della Scrittura. L’occasione principale era offerta dalla liturgia domenicale, durante la quale il celebrante predicava un’omelia che spiegava uno dei testi scritturistici che erano stati letti durante la prima parte della Messa, in prevalenza, non sistematicamente, la pericope evangelica.
Ma al tempo di Agostino si era diffusa anche nelle comunità cristiane d’occidente la predica seriale, da tempo in uso nelle chiese d’oriente, che consentiva di predicare in tempi stretti, a volte anche giorno dopo giorno, serie continue di omelie, tali da permettere di interpretare interi libri della Scrittura o parti organiche di essi.
Nel Tractatus in Iohannem Agostino ha interpretato per intero il vangelo giovanneo e ha dedicato una serie di omelie anche all’illustrazione della prima epistola di Giovanni. Più complessa è la struttura delle Enarrationes in Psalmos, ma in massima parte l’interpretazione dei salmi è in forma di omelia, ed è chiaro che queste omelie sono state predicate non soltanto nel contesto della liturgia domenicale.
Accanto a queste grandi raccolte organiche ci sono giunte centinaia di omelie singole, di vario argomento, come abbiamo sopra accennato, ma che per lo più sono di argomento esegetico e che certamente in gran parte furono predicate durante la liturgia domenicale.
Al tempo in cui fu attivo Agostino, in ambito esegetico imperversava ancora il contrasto tra la tendenza all’interpretazione letterale della Scrittura, di marca antiochena, e la preferenza per l’interpretazione allegorica, di marca alessandrina, in occidente senz’altro prevalente. Girolamo aveva messo a punto un tipo d’esegesi che in certo modo contemperava ambedue le esigenze: Agostino ha seguito una via sua, preferendo per l’esegesi di tipo letterario (Genesi, Giobbe) l’interpretazione letterale, mentre per la predicazione ha optato per un tipo d’interpretazione scritturistica largamente aperto all’allegorizzazione, a volte anche molto spinta, del testo sacro.
Del resto, è stato proprio lui ad affermare, anche se non ne sa spiegare il motivo, che i suoi fedeli apprezzavano di più un concetto che venisse loro proposto mediante un’allegoria piuttosto che in modo semplice e diretto (De doctrina christiana, 2, 6, 7).
Proprio questo modo d’interpretazione, definita spirituale, ha permesso ad Agostino di interpretare i Salmi, il libro della Scrittura da lui prediletto, in modo da riferirli sistematicamente a Cristo, inteso per altro in senso lato: Cristo insieme col corpo di cui egli è capo, cioè la Chiesa, un modo d’interpretare che era stato già di Origene, di Ilario e del suo prediletto Ticonio.
Per proporre un solo esempio di come potesse essere complessa l’esegesi agostiniana anche nella predicazione, il salmo 3, riferito, nella rubrica che correda il salmo, a Davide perseguitato dal figlio Assalonne, viene inteso prima in riferimento a Cristo che abbandona Giuda il traditore, poi alla Chiesa perseguitata, infine, con interpretazione attualizzante, a ognuno di noi quando siamo trascinati al peccato dalla moltitudine dei vizi (Enarratio sul salmo 3).
La propensione di Agostino per l’esegesi spirituale spiega la sua preferenza, in ambito neotestamentario, per il vangelo di Giovanni, che invita a ricercare il significato nascosto sotto la lettera del testo: "I fatti del Signore non sono solo fatti ma anche segni", ed egli non ha esitato a proporre un’interpretazione spinta all’apertura di argomento dottrinale e che lui stesso riconosce di non agevole accesso.
Per un minimo di esemplificazione, la donna samaritana incontrata da Gesù presso il pozzo di Giacobbe è simbolo della Chiesa, e la brocca da lei abbandonata presso il pozzo sta a significare la cupiditas che viene gettata via all’annuncio della verità.
Anche la veste di Cristo, divisa in quattro parti dai suoi crocifissori, raffigura la Chiesa distribuita nelle quattro parti del mondo, mentre la tunica, lasciata intera, indica l’unità delle varie parti grazie al vincolo dell’amore (Tractatus in Iohannem, 15 e 118).
Per proporre la sua interpretazione del testo sacro in modo chiaro ed efficace a un uditorio che abbiamo detto di mediamente modesto livello culturale, Agostino ha messo a punto una struttura omiletica che gli è peculiare. Precede abitualmente una vasta parte iniziale, nella quale egli fissa e sviluppa un tema di carattere generale, ricavato dalle letture bibliche previamente lette e scelto in modo da incidere fortemente sulla sensibilità degli ascoltatori. Segue una seconda parte nella quale Agostino riporta, lemma per lemma, il testo di uno dei passi biblici letti in precedenza, corredandolo di una spiegazione per lo più sommaria ma senza che la brevità nuoccia alla chiarezza. La ripetizione insistita e martellante di ogni singolo lemma nel corso della relativa spiegazione e il ritorno di alcuni di essi per tutto il corso dell’omelia rilevano la compattezza del discorso, richiamando l’attenzione degli ascoltatori sul tema di fondo e agevolandone l’apprendimento mnemonico. Il tutto è perfettamente calibrato, al fine di contemperare le due esigenze primarie dell’omelia, insegnare ed esortare gli ascoltatori a tradurre l’insegnamento in termini di vita cristianamente vissuta.
Di norma non c’è coda, perché Agostino ama chiudere quasi ex abrupto, con un’espressione breve, a volte brevissima, ma perfettamente rilevata per produrre una forte impressione finale. Il successo che riscuoteva l’eloquenza di Agostino non fu ristretto all’uditorio che ne ascoltava le vive parole, ma si è prolungato nei secoli, grazie alla trascrizione e pubblicazione di gran parte delle sue innumerevoli omelie. Ne fu profondamente influenzata non soltanto la produzione omiletica delle chiese africane, ma anche quella delle chiese continentali per lunghi secoli a seguire.
Anche noi oggi siamo in grado di apprezzare quell’eloquenza, ma soltanto parzialmente, perché ci sfugge completamente, o quasi, la gestualità (actio) che, accompagnando e sottolineando la pronuncia delle parole, costituiva parte integrante della predicazione.