Principi direttivi nell’elaborazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, di Christoph Schönborn

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 16 /10 /2017 - 22:38 pm | Permalink | Homepage
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Presentiamo sul nostro sito un testo non rivisto dall’autore, nato dalla conflazione di C. Schönborn, Il Catechismo della Chiesa Cattolica nelle chiese particolari, in Catechismo della Chiesa Cattolica. Testo integrale. Nuovo commento teologico-pastorale, R. Fisichella (a cura di), Città del Vaticano-Cinisello Balsamo, LEV-San Paolo, 2017, pp. 813-824 e di alcuni appunti presi in occasione della relazione tenuta dall’autore l’11/10/2017 nella commemorazione solenne del venticinquesimo anniversario della firma della Costituzione Apostolica Fidei Depositum per la pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Catechesi, scuola e famiglia ed, in particolare, A. Lonardo, Il Catechismo della Chiesa Cattolica per imparare la forza e la bellezza della fede.

Il Centro culturale Gli scritti (16/10/2017)

N.B. Il testo che segue non è stato rivisto dall’autore ed è una conflazione di alcuni appunti presi in occasione della relazione tenuta dall’autore l’11/10/2017 e dell’articolo C. Schönborn, Il Catechismo della Chiesa Cattolica nelle chiese particolari, in Catechismo della Chiesa Cattolica. Testo integrale. Nuovo commento teologico-pastorale, R. Fisichella (a cura di), Città del Vaticano-Cinisello Balsamo, LEV-San Paolo, 2017, pp. 813-824.

Il Catechismo presenta la vita di Gesù non a partire dai singoli vangeli, bensì a partire dai "misteri" di Cristo, cioè dagli eventi che la fede della chiesa nella liturgia celebra con le sue feste, riconoscendovi l'opera di Dio. Sia l'iconografia orientale che quella latina hanno sempre raccontato la storia di Gesù tramite i suoi "misteri" 

Introduzione

Il CCC è stato promulgato venticinque anni fa. Il catechismo ad esso precedente, il Catechismo Romano (1556), che ha portato a compimento i propositi del Concilio di Trento, rimase per quattrocento anni l'opera di riferimento principale per la trasmissione della fede nella Chiesa cattolica. Dopo venticinque anni, non è ancora possibile valutare con precisione se il CCC potrà giocare un simile ruolo. Un particolare, però, si può ritenere per acquisito. Il CCC è diventato «il» testo di riferimento principale allorché si presentano domande inerenti l'insegnamento ecclesiale. Giovanni Paolo II, nella sua Cost. ap. FD dell'11.10.1992, ebbe a precisare che: «Io lo [CCC] ritengo la norma sicura per la dottrina della fede come uno strumento buono e legittimo al servizio della comunità ecclesiale».

Nelle riflessioni che seguono cercherò di tracciare i grandi orientamenti in base ai quali il CCC venne concepito e redatto. A tal fine ho steso sette criteri, che furono anche i criteri guida per l'insieme del catechismo, come pure per le singole sezioni.

Il primo criterio (1) necessario alla stesura di un catechismo è la presa d'atto che la fede si presenta come un'unità e come tale può essere utilizzata per professarla; in secondo luogo (2) deve essere chiara la distinzione tra la dottrina della fede e la teologia, come appare fin dal Prologo del CCC; si tratta, poi, (3) di prendere in considerazione la gerarchia delle verità di fede, al fine di presentare l'unità della dottrina della fede come un tutto organico; (4) al di sopra di ogni aspetto deve essere manifestato il primato della grazia; (5) la dottrina va chiaramente presentata nella sua struttura trinitaria; (6) tutto deve essere orientato a Cristo; (7) in ogni argomento si tratta anche di porre in chiaro l'intima unione esistente tra Scrittura e Tradizione. Acquisiti questi principi guida del CCC, li espongo brevemente.

I. La fede - un insieme organico

Lo stesso concetto di Catechismo implica che la fede si possa ricevere e accettare come un insieme e, parimenti, che la fede si presenti e sia compresa come un tutto organico. [Ricordo quando un gesuita replicò, quando si trattava di scrivere un Catechismo che presentasse la fede come un tutto: “Questo è impossibile. È impossibile esprimere la fede in modo che vada bene per tutto il mondo, in modo che sia presentata come un insieme organico”. E invece è proprio questo che fa il Catechismo e fare un catechismo per la Chiesa cattolica vuol dire affermare che questo è possibile].

Da questo angolo visuale i punti-chiave sono proprio le citazioni di sant'Ireneo ai nn. 172-175. Si tratta esattamente della questione inerente l'unità: «Da secoli, attraverso molte lingue, culture, popoli e nazioni, la Chiesa non cessa di confessare la sua unica fede, ricevuta da un solo Signore, trasmessa mediante un solo battesimo, radicata nella convinzione che tutti gli uomini non hanno che un solo Dio e Padre» (n. 172). Un principio fondamentale del CCC è l'unità e la trinità di Dio e da questa l'unità del genere umano, per cui tutti gli uomini sono destinatari di una chiamata soprannaturale alla comunione con Dio. Sant'Ireneo di Lione aggiunge: «In realtà, la Chiesa, sebbene diffusa in tutto il mondo fino alle estremità della terra, avendo ricevuto dagli apostoli e dai loro discepoli la fede […] conserva [questa predicazione e questa fede] con cura e, come se abitasse in un'unica casa, vi crede in uno stesso identico modo, come se avesse una sola anima e un solo cuore, e predica le verità della fede, le insegna e le trasmette con voce unanime, come se avesse una sola bocca» (n. 173).

La convinzione che la fede è una, pur nello scorrere dei secoli, è il requisito per cui anche noi oggi possiamo annunciare quella stessa fede che già gli apostoli, a loro volta, ci trasmisero. Così continua Ireneo: «Infatti, anche se le lingue del mondo sono varie, il contenuto della Tradizione è, però, unico e identico. E non hanno altra fede o altra Tradizione né le Chiese che sono in Germania, né quelle dell'Oriente, dell'Egitto, della Libia, né quelle che sono al centro del mondo [non ci è dato sapere che cosa Ireneo intendesse per "centro del mondo", se Antiochia o la sua Lione, ma in ogni caso egli ci rivela che con la buona Notizia viene insegnata anche là]. Il messaggio della Chiesa è dunque veridico e solido, poiché essa addita a tutto il mondo una sola via di salvezza» (n. 174). E, finalmente: «Questa fede che abbiamo ricevuto dalla Chiesa, la conserviamo con cura, perché, sotto l'azione dello Spirito di Dio, essa, come un deposito di grande valore, chiuso in un vaso prezioso, continuamente ringiovanisce e fa ringiovanire anche il vaso che la contiene» (n. 175). La stessa fede rimane sempre giovane e mantiene la Chiesa giovane.

La fede è una. Non solo al tempo di Ireneo, ma anche venti secoli dopo. Ed esattamente con questa argomentazione prese avvio l'intera storia del CCC. Il primo giorno del Sinodo del 1985 l'allora arcivescovo di Boston, il cardinal Bernard Law, si espresse con queste parole in latino: «Juvenes Bostoniensis, Leningradendis et Santiago de Chile easdem blue jeans induti sunt et eandem musicam audiunt et saltant». L’argomentazione non era forse dell'altezza teologica di Ireneo e il latino non aveva certamente lo smalto di quello di Cicerone, tuttavia si trattò di un intervento particolarmente illuminante. La domanda suona così: perché in un mondo in cui tutti i giovani vestono gli stessi blue jeans, non professano anche la stessa fede in un'unica lingua, visto che questa fede rimane la medesima in tutte le lingue e nazioni? Oggi si tratta, insomma, di testimoniare la fede assieme. Questa è certamente la linea portante che fa da sottofondo al CCC.

II. Teologia e dottrina della fede

È anzitutto e naturalmente necessario creare qui una distinzione tra la teologia e la dottrina della fede. A mio modo di vedere si tratta di un problema fondamentale nell'odierno dibattito, dal momento che il discrimine tra teologia e dottrina della fede non è sufficientemente chiaro. Qua e là emerge il sospetto che questo CCC rappresenterebbe soltanto una teologia tra le altre. Si tratterebbe di quella «ratzingeriana» o, come ha detto Hans Küng, si tratta di «teologia romana». Naturalmente i vescovi possiedono una propria indole personale, presente anche nei contributi - che sono stati molti - una loro teologia, una propria cultura, la loro lingua, il proprio carattere. Nella Chiesa vi è una legittima pluralità, che si darà sempre. Bonaventura e Tommaso sono tra loro diversi, come pure Giovanni e Matteo. E di certo questa pluriformità è resa possibile, quando non diventa opposizione o contradditoria, proprio sul fondamento dell'unità della fede. A queste teologie deve essere presupposto che l'unità della fede precede le teologie plurali. Qualora non fosse più possibile parlare di una medesima fede tra queste diverse teologie, allora queste diverse teologie non sono più di casa nella Chiesa cattolica. Ritenendolo uno dei criteri più importanti per la sua redazione, il CCC ha sempre tentato di formulare ciò che si intende per comunione dell'unica fede, ovviamente non attraverso una mera definizione, ma tenendo anche conto di quanto dice il Magistero della Chiesa e quanto esprime la coscienza della fede ecclesiale.

Nelle varie fasi di redazione si è sempre stati attenti a considerare le diverse tesi teologiche, anche quelle controverse, mantenendole, però, lontane dal CCC. Un esempio: in una fase preliminare della redazione il capitolo sul descensus ad inferos venne etichettato come «balthasariano».

In realtà, venne fatto un tentativo di raccogliere le intuizioni di Hans Urs von Balthasar e di altri teologi attorno a questo mistero della fede e di incorporarle nel CCC. Durante il processo di redazione, queste espressioni vennero tolte, perché - si disse - si trattava di una tesi teologica ancora discussa, per quanto analizzata anche in modo piuttosto spirituale e, quindi degna di rilievo, ma che, tuttavia, non faceva parte dell'insegnamento di fede della Chiesa. Soltanto per portare un altro esempio, nessuno troverà nel CCC l'analogia psicologica trinitaria di sant'Agostino, per quanto alcuni vescovi ed esperti la ritenessero urgente, se non altro per aver positivamente segnato per secoli la teologia occidentale. Questa teoria non fa parte della dottrina della fede e fino a oggi rimane una ipotesi teologica, certamente degna di rilievo, ma sempre una ipotesi teologica non legata alla dottrina della fede. La distinzione tra dottrina della fede e teologia, dunque, è un requisito utile qualora si voglia comporre o presentare un libro sulla fede, senza per questo privare le teologie di quel loro previo diritto alla diversità e, ciò nonostante, con l'affermazione che qui si ha a che fare con un livello fondamentale, il livello della dottrina della fede.

[Certo c’è una pluralità legittima nella Chiesa. Ma questa diversità, se non deve diventare contrasto, deve avere alla base un’unica fede nelle diverse teologie. Il CCC ha cercato di esprimere solo il deposito comune della fede e non le diverse teologie che vengono solo dopo la fede comune. L’esigenza del Catechismo è quella di trovarsi su di un piano ancor più fondamentale].

III. Gerarchia delle verità

Il progetto che fu sottoposto all'attenzione di tutti i vescovi nel 1989, divenne oggetto di molte lamentele, per svariati motivi, in modo particolare dall'ala anglosassone, perché si notò un ottundimento del principio della gerarchia delle verità. Si disse che le verità di fede bastano sufficientemente a sé stesse, senza che debbano essere ordinate da una verità centrale più o meno sufficientemente chiara.

Come tratta l'odierno CCC, nelle sue Conclusioni, questo principio della gerarchia delle verità del Vaticano II? Il card. Ratzinger ha sempre fatto notare che «gerarchia delle verità» - certamente un termine controverso utilizzato anche nel Decreto sull' ecumenismo - non possa essere considerato un principio di sottrazione, cosicché si possa dire «questo è essenziale, il resto è, per così dire, presentato come una disposizione e pertanto potrebbe essere tralasciato». La gerarchia delle verità non può essere scambiata con i gradi di certezza comunque intesi, poiché nella dottrina della fede compare, a questo proposito, un insegnamento preciso, per cui alcune certezze sono minori rispetto ad altre.

[Alla critica della I bozza accusata di man care del principio della gerarchia delle verità si rispose che il testo la intendeva come principio di composizione organica. Se la gerarchia delle verità fosse stata intesa come una difesa del fatto che le diverse verità avessero gradi diversi di certezza, allora il Catechismo avrebbe “sottratto” qualcosa come non vero. Ma così non è. Prendiamo ad esempio gli angeli. La presentazione degli angeli non è posta al centro del Catechismo, ma non è meno vera nella fede. Il Limbo, invece, è un’affermazione meno vera, meno certa, ma non è così degli angeli. Gerarchia delle verità non vuole dire che gli angeli siano meno veri, ma che essi hanno un ruolo meno centrale nella composizione organica del tutto della fede. Che si cominci con il Credo e poi con i Sacramenti e non con i Comandamenti, già questo è espressione della gerarchia delle verità. Il Catechismo di Lutero, come anche quello di Baltimora, aveva i Comandamenti prima del Credo, all’inizio del testo. Per il CCC si deve invece cominciare dal Credo e dai Sacramenti, cioè dall’opera di Dio, perché essa è primaria rispetto alla risposta dell’uomo. Da questo punto di vista si può dire che il Catechismo di Trento è una risposta in actu alla Riforma].

La gerarchia delle verità approda nel CCC già attraverso l'espressione e la struttura dello stesso. Dettaglio che il card. Ratzinger nei dibattiti sul CCC ha sempre fatto notare essere presente già fin dall'inizio della nascita dello stesso. Poiché si inizia con il Credo e poi vengono trattati i sacramenti, quindi la morale cristiana e, infine, la preghiera, proprio queste quattro sezioni fondamentali della Chiesa primitiva, costituiscono già un’espressione della gerarchia delle verità.

È opportuno qui prendere visione dell’edizione critica del Catechismo Romano, un pregevole e arricchente lavoro scientifico, approntato da due studiosi dell'Opus Dei. Pedro Rodríguez e Raúl Lanzetti hanno ritrovato nella Biblioteca Vaticana l'originale manoscritto del Catechismo Romano che si credeva essere scomparso e a partire da questa base hanno approntato la prima edizione critica di tale catechismo. Nelle ricerche previe a questa edizione, essi hanno puntualizzato elementi piuttosto importanti, validi anche per il nuovo CCC. È risaputo che il Catechismo Romano è stato il modello della struttura del CCC. Pedro Rodríguez e Raúl Lanzetti hanno mostrato che questa struttura è più che giustificata. Non è, per esempio, giustificabile che i dieci comandamenti compaiano innanzitutto collocati nella terza sezione. Nella tradizione catechetica latinoamericana e anche francese è presente una chiara tendenza a trattare i comandamenti prima dei sacramenti. Proprio come fa Lutero nel suo Catechismo. Il Catechismo Romano segue qui un altro modello - e questa è una diretta applicazione della gerarchia delle verità -: fede e sacramenti, la fides e i fidei sacramenta vengono prima di tutto, poi, a seguire, i comandamenti e la preghiera. Pedro Rodríguez e Raúl Lanzetti hanno mostrato che il Catechismo Romano, in realtà, non è suddiviso in quattro, bensì in due sezioni, alla pari di un dittico, del quale su un'anta viene esposta l'azione di Dio, come ci viene presentata nel Credo, e le grandi opere del Dio trino, a noi comunicate nei sacramenti. La seconda anta del dittico rappresenta la risposta dell'uomo. È particolarmente significativo il fatto, come hanno dimostrato questi due ricercatori, che in questo caso il Concilio di Trento, ovvero la Commissione preposta alla redazione del Catechismo, abbia voluto rispondere alle provocazioni della Riforma.

IV. Primato della grazia

Si tratta anche del primato della grazia. Prima ancora di parlare dell'agire e degli obblighi dell'essere umano, si narra innanzi tutto ciò che Dio ha fatto per gli uomini e di quanto Dio ha reso possibile si attuasse attraverso l'azione umana e la sua grazia. Pertanto il primato della grazia si esprime ancora una volta in un secondo momento: si commisura la proporzione delle prime due parti in rapporto alla terza e alla quarta parte. Queste proporzioni corrispondono con una certa precisione a quelle del Catechismo di Trento, tranne una variante: nel nuovo CCC il Credo occupa circa il 39% dell'intero testo, mentre nel Catechismo di Trento è dedicato il 37% dell'intero testo alla trattazione dei sacramenti. In ogni caso, l'insieme delle due sezioni, la prima e la seconda inerenti l'agire di Dio con gli uomini, costituiscono circa i due terzi dell'intero CCC. Comparare queste proporzioni non è da interpretarsi come un giochetto o una trovata. Piuttosto, si tratta di un annuncio catechetico. Ossia, in questo modo viene specificato che nella catechesi l'agire di Dio con gli uomini, e quindi Dio stesso, deve assumere il primo posto, e che l'agire umano si configura sempre con il carattere di una risposta resa possibile dall'impulso della grazia. Quando si legge la prima affermazione della terza parte, si nota facilmente un preciso parallelismo con il Catechismo Romano, che sta, appunto nella prospettiva della risposta dell'uomo a Dio: «Riconosci, o cristiano, la tua dignità, e, reso consorte della natura divina, non voler ritornare all'antica bassezza con una vita indegna» (n. 1691). L’imperativo segue l'indicativo.

Mi preoccupa il fatto che tra i teologi non si osservi con chiarezza, ovvero raramente, quale importante annuncio catechetico venga attuato soltanto se si guarda alla struttura del CCC. Il CCC non prescrive alcun metodo catechetico, come è chiaramente precisato nel Prologo. Ciò nonostante, l'annuncio mantiene certamente una posizione centrale nell'intero CCC a motivo dell'intuizione fondamentale, per cui la grazia detiene il primato assoluto nell'annuncio della fede. In questo modo si chiarisce anche lo stile affermativo del CCC. Il modello di base attraversa diagonalmente tutti i testi, essendoci innanzitutto un'affermazione di fede alla base di quelli, cosicché sporga un imperativo per la vita cristiana dall'indicativo della fede. Giovanni Paolo II è intervenuto assai di rado in modo diretto nelle pagine del CCC, benché abbia sempre dimostrato un grande interesse personale. Tranne una sola volta allorché intervenne direttamente con un significativo suggerimento: utilizzare il linguaggio affermativo! Il che non significa: «La Chiesa afferma che Cristo è risorto», ma molto più direttamente «Cristo "è" risorto». L’annuncio della fede non corrisponde al nascondersi dietro a un'altra autorità, fosse anche quella della Chiesa, quanto, piuttosto, affermare e riconoscere l'annuncio stesso. E questo non per orgoglio, ma con quell'umile consapevolezza di aver ricevuto nella fede quanto ci è stato trasmesso. Sì, Cristo è veramente risorto! Da questo indicativo segue l'imperativo per la vita cristiana.

V. La struttura trinitaria

Il tema della gerarchia delle verità compare chiaramente nel suo parco utilizzo nel linguaggio dell’articolazione interna. Già con un primo colpo d'occhio all'indice contenutistico, si nota che nella gerarchia delle verità compaiono due punti fondamentali, come fossero i due fuochi dell'ellisse: sono i due principali misteri della nostra fede, l'unità e trinità di Dio e l'umano-divinità di Gesù Cristo. Come dovrebbe essere anche per l'annuncio della fede.

La Trinità, il mistero del Dio uno e trino, si presenta come il punto centrale nella gerarchia delle verità: «Il mistero della Santissima Trinità è il mistero centrale della fede e della vita cristiana. È il mistero di Dio in sé stesso. È quindi la sorgente di tutti gli altri misteri della fede: è la luce che li illumina. È l'insegnamento più fondamentale ed essenziale nella "gerarchia delle verità" di fede» (n. 234). Segue una citazione del Direttorio catechistico generale (47): «Tutta la storia della salvezza è la storia del rivelarsi del Dio vero e unico: Padre, Figlio e Spirito Santo, il quale riconcilia e unisce a sé coloro che sono separati dal peccato». Se uno desiderasse una buona sintesi dell'intero CCC, composto da oltre ottocento pagine, la troverebbe in questa affermazione. Ed è realmente la sintesi dell'intero CCC.

Un simile sommario si può rintracciare nel primo articolo del CCC, che offre, per così dire, una visione d'insieme preliminare: «Dio è infinitamente perfetto e beato in sé stesso». Mi è capitato di tenere una volta una conferenza a un gruppo di giovani, composto prevalentemente da ragazzi, riguardante il CCC. Ovviamente non è così facile parlare del CCC a dei fanciulli. Tra questi sedeva una che, mentre parlavo, disegnava. Alla fine mi ha regalato il suo disegno. Fui molto colpito dal fatto che questa ragazza di nove anni avesse sintetizzato la mia conferenza con un palloncino in bocca: «Dio è infinitamente beato». Mi parve un meraviglioso e teologico «sì»: la risposta di fede di una fanciulla di nove anni.

Questa prima affermazione del CCC «Dio è infinitamente perfetto e beato in sé stesso» conduce alla seconda: «Per un disegno di pura bontà, ha liberamente creato l'uomo per renderlo partecipe della sua vita beata». Ancora una volta ritengo che qui sia presente la gerarchia delle verità, espressa in modo sintetico. Si tratta della partecipazione alla natura divina, come afferma la Seconda lettera di Pietro, della Théosis, come si direbbe nella Chiesa orientale. Effettivamente il mistero del Dio uno e trina è la melodia fondamentale che attraversa l'intero libro. Soltanto con questo tema si potrebbe mostrare come esso trapassi ovunque alla stregua di un fil rouge e per giungere alla luce del giorno, là dove le tessere del testo diventano chiare, come pure quelle nascoste tra le sue maglie.

Se prendiamo il Credo, notiamo che esso possiede una chiara intonazione trinitaria. Ma anche nei vari capitoli viene continuamente sottolineato che le opere di Dio sono opere del Dio trinitario. Vorrei soltanto far notare come nel capitolo sulla Trinità il tema dell’economia trinitaria venga presentato quale prospettiva di apertura per il restante e intero testo del CCC: «O lux, beata Trinitas et principalis Unitas - O luce beata e originaria Unità! Dio è eterna beatitudine, vita immortale, luce senza tramonto. Dio è amore: Padre, Figlio e Spirito Santo» (n. 257). Quindi, viene mostrato come l'intera economia divina, l'intera divinità, ma anche la salvezza e l'intera realtà creata è opera delle tre persone divine e come questa opera miri ultimamente a incorporare l'essere umano nell'intimità della comunione di vita trinitaria. Ciò è messo ben in evidenza dal n. 260, il quale termina con la preghiera di santa Elisabetta della Trinità: «O mio Dio, Trinità che adoro…», Questo è un primo fuoco dell'ellisse.

VI. Il mistero di Cristo

Il secondo punto focale dell'ellisse riguarda il mistero di Cristo. Mi permetto di rimandare, anche in questo caso, al Prologo che richiama gli articoli di fede cristo logici del Credo. È qui importante prendere in considerazione i nn. 426 e seguenti, dove, in sintonia con CT si sottolinea la posizione centrale di Cristo nella catechesi: «"Al centro della catechesi noi troviamo essenzialmente una persona: quella di Gesù di Nazaret, unigenito del Padre ... il quale ha sofferto ed è morto per noi e ora, risorto, vive per sempre con noi. Catechizzare ... è, dunque, svelare nella persona di Cristo l'intero disegno di Dio ... È cercare di comprendere il significato dei gesti e delle parole di Cristo, dei segni da lui operati". Lo scopo della catechesi: "Mettere ... in comunione ... con Gesù Cristo: egli solo può condurre all'amore del Padre nello Spirito e può farci partecipare alla vita della Santa Trinità"» (n. 426). Ci sarebbe molto da dire in merito a questa prospettiva cristocentrica; vorrei soltanto evidenziare due punti.

Il primo riguarda i «misteri della vita di Gesù», che spesso appare trascurato tra quelli fondamentali della cristologia. lo sono convinto che qui si celi una ricca prospettiva della cristologia del XX secolo che può essere sempre nuovamente utilizzata. Penso alle affermazioni di Hugo Rahner negli anni Trenta del secolo scorso e a quanto hanno progettato Karl Rahner e Hans Urs von Balthasar nel concepire una dogmatica in prospettiva storico-salvifica.

[L’accentuazione data dall'esegesi avvalentesi del metodo storico-critico ha fatto sì che talvolta si perdesse per strada, il rapporto tra la vita di Gesù e il suo inveramento nella nostra esistenza]. Naturalmente l'interrogativo sul Gesù storico è rimasto tale, almeno per gli addetti al lavoro esegetico, come anche la connessione alla vita liturgico-sacramentale, a tal punto che noi ogni anno celebriamo l'intera esistenza del Signore all'interno del ciclo dell'anno liturgico, al fine di renderlo presente e di inserirci in esso. Ora, per il CCC - seguendo un’opzione della Commissione del CCC emersa fin dalla prima seduta -, era abbastanza chiaro orientarsi a presentare la vita di Gesù nella prospettiva della teologia dei misteri (in senso lato).

[Ratzinger, in particolare, ha insistito molto sul fatto che i Vangeli andassero presentati nella catechesi secondo la dottrina classica dei mysteria vitae Christi. D’altro canto doveva essere evidente che lo scopo è quello di mettere in comunione con Gesù].

Quando si legge il paragrafo titolato i «Misteri della vita di Gesù» visti in prospettiva cristologica, si deve intravedere il corrispondente tentativo di creare ponti con la liturgia, ma anche con la sacramentaria e la morale. Perché, di fatto, la vita cristiana è la vita di Cristo in noi. Cristo desidera vivere la propria vita nella nostra vita (cf n. 521).

Si tratta di due fuochi che mostrano abbastanza chiaramente in quale prospettiva sacramentale si è collocati.

[Importanti sono anche le immagini scelte ad aprire le quattro sezioni - le prime tre rinvenibili nell'arte protocristiana]. Dinanzi alla seconda sezione si erge la rappresentazione affrescata delle catacombe dei santi martiri Pietro e Marcellino. Mostra la donna emorroissa che sfiora l'orlo delle vesti di Gesù. Quando si legge la narrazione di questa rappresentazione, si comprende anche la prospettiva con la quale è stata concepita l'intera sezione sacramentale. «I sacramenti della Chiesa perpetuano ciò che Cristo ha compiuto durante la sua vita terrena». Nel testo stesso ci si riferisce a san Leone Magno: «ciò che era visibile nel nostro Salvatore è passato nei suoi misteri» (n. 1115). I misteri della vita di Gesù sono resi a noi presenti nei sacramenti. «I sacramenti - continua la narrazione della rappresentazione affrescata - sono come la forza, che fuoriesce dal corpo di Cristo (poiché così si dice nel testo del Vangelo di Luca: "E fuoriuscì da lui come una forza" e nel Vangelo di Marco si dice: "Egli sentì come se una forza uscisse da lui") per salvarci dalle ferite del peccato e donarci una nuova vita in Cristo». «Questa raffigurazione mostra perciò la forza divina e sanante del Figlio di Dio, il quale salva l'umanità intera - anima e corpo - attraverso la vita sacramentale».

Quando si apre il Prologo nella terza sezione, anche qui si nota nuovamente la prospettiva dei misteri della vita di Gesù. Così si legge alla fine del Prologo: «Il riferimento primo e ultimo di tale catechesi sarà sempre Gesù Cristo stesso, che è "la via, la verità e la vita" (Gv 14,6). Guardando a lui nella fede, i cristiani possono sperare che egli stesso realizzi in loro le sue promesse, e che, amandolo con l'amore con cui egli li ha amati, compiano le sue opere che si addicono alla loro dignità» (n. 1698). Il tutto viene meglio chiarito con una citazione di san Giovanni Eudes: «Vi prego di considerare che Gesù Cristo nostro Signore è il vostro vero Capo e che voi siete una delle sue membra. Egli sta a voi come il capo alle membra; tutto ciò che è suo è vostro, il suo Spirito, il suo Cuore, il suo Corpo, la sua anima e tutte le sue facoltà, e voi dovete usarne come se fossero cose vostre, per servire, lodare, amare e glorificare Dio. Voi appartenete a lui, come le membra al loro capo. Allo stesso modo egli desidera ardentemente usare tutto ciò che è in voi, al servizio e per la gloria del Padre, come se fossero cose che gli appartengono» (ibid.). Si può qui notare in quale prospettiva viene considerata la gerarchia delle verità, rimanendo fissato il polo cristologico quale punto focale dell'ellisse, fino a raggiungere le domande concrete inerenti la morale.

VII. Unità di Scrittura e Tradizione

Spendiamo ancora una parola sull'utilizzo della Scrittura da parte del CCC. Il lavoro esegetico impresso al CCC è stato controllato da eccellenti esperti di esegesi. Non è del tutto vero che, se si guarda al testo del CCC, l'esegesi degli ultimi trenta, cinquant'anni sia stata del tutto o semplicemente sorvolata. Il testo circa il rapporto tra Gesù e Israele, per esempio, la relazione tra Gesù e i prediletti tra la folla (nn. 574-591) presuppone differenti e piuttosto qualificati studi esegetici. Chiunque abbia dovuto cimentarsi, anche un po' soltanto, con l'esegesi, nota che il lavoro esegetico sia stato parecchio e di ottima qualità. Quando, dunque, si critica il lavoro esegetico come «eseguito in maniera non scientifica» perché il CCC afferma «Gesù disse» - e poi segue una citazione del Vangelo di Giovanni -, mi sembra, allora, che l'obiezione ricada su se stessa. Qui si ha a che fare con un CCC, non con una monografia esegetica, piuttosto con un libro della fede. Ed è, dunque, legittimo quando noi nella liturgia diciamo: «Parola del Signore nostro Gesù Cristo», appunto, quando leggiamo il Vangelo di Giovanni. A questo proposito, quasi nessuno nota che il Vangelo di Giovanni è una ipsissima vox. Parimenti, è ugualmente poco seria la critica mossa alle Lettere pastorali allorché vengono citate con l'incipit: «Paolo dice» e, quindi, segue una citazione della Prima lettera a Timoteo. In realtà si dà una distinzione tra una monografia di esegesi scientifica e l'utilizzo catechetico della Scrittura. Noi, anzi, dobbiamo e, stando ai criteri esegetici ecclesiali, abbiamo il diritto di dire: «Paolo scrive nella Prima lettera a Timoteo ...». Ciò non significa che egli abbia portato la Lettera, non significa nemmeno che la Prima lettera a Timoteo sia ipsissima vox dell'apostolo Paolo. Tuttavia, quando la Chiesa nella propria liturgia dichiara questa Lettera essere di Paolo, ciò non viene fatto senza una autentica legittimazione. I criteri con i quali viene utilizzata la Scrittura nel CCC sono quelli indicati in DV 12. È legittimo e necessario che attraverso lo studio delle sacre Scritture, mediante l'esplorazione dell'intenzione dichiarata degli autori sacri, si presti attenzione alla cultura, agli idiomi, al pensiero e ai generi letterari di quel tempo. Esiste, tuttavia, un importante principio per la corretta interpretazione, senza il quale la Scrittura rimane lettera morta, ed è questo: la Scrittura va letta e interpretata con lo stesso Spirito con il quale venne ispirata (cf CCC 111). Si tratta dell'intima relazione tra interpretazione scientifica e spirituale. Si tratta di prestare accuratamente attenzione al contenuto e all'unità dell'intera Scrittura. La Scrittura va interpretata all'interno della comune tradizione ecclesiale, e non può essere letta in modo distaccato dalla storia interpretativa che l'ha preceduta. E questo proprio in considerazione dell'analogia della fede, in base alla quale serve anche l'esperienza di fede dei secoli che ci hanno preceduto. Francesco d'Assisi è per questo un commentario vivente del Vangelo. Ed è proprio ciò che il CCC mira a esporre, essendo la Scrittura e la Tradizione tra loro strettamente intrecciate in unità.

È stata pure accampata l'accusa, secondo cui diverse citazioni nel CCC si susseguono l'una all'altra: Agostino, poi Tommaso, quindi i Concili, poi citazioni dalla liturgia. In merito a questa critica, alcune considerazioni potrebbero essere fatte proprie. Tuttavia, il pensiero fondamentale che è stato coscientemente perseguito è quello di percepire la Tradizione della Chiesa che si presenta come una vivente unità. Pertanto, io ho il diritto e anche la possibilità di leggere oggi Agostino, senza essere uno specialista antipelagiano, e di leggere Tommaso senza essere un profondo conoscitore di Aristotele. Ciò significa che contigua all'interpretazione scientifica dell'insegnamento ecclesiale deve comparire pure una lettura eseguita all'interno dell'unità della Tradizione della fede, nella quale io, per esempio, possa leggere Agostino come tra i primi testimoni della fede. Per questo Tommaso, Agostino, Ireneo e la piccola Teresa di Lisieux possono essere considerati compagni tra loro vicini. Si tratta, appunto, della contemporaneità della fede.

 Infine, appartiene a questo assunto anche l'esperienza decisiva dei santi. In tutti i passaggi importanti del CCC si è tentato coscientemente di lasciare l'ultima parola ai santi, affinché sia chiaro che si tratta non di un insegnamento meramente arido, bensì di un'esperienza viva di fede. Sarebbe stato impossibile per questo Catechismo commisurare in maniera articolata tutte le diverse esperienze di fede dell'attualità, essendo piuttosto variegate dal punto di vista culturale. Un' esperienza, tuttavia, è universalizzabile come nessun'altra: l'esperienza dei santi. Non è un caso fortuito che nessun santo sia così popolare, anche al di fuori dei confini ecclesiali, come san Francesco d'Assisi. Parimenti, non è un caso che la piccola Teresa sia la santa più popolare a livello mondiale. Il fatto che la piccola Teresa, Teresa d'Avila, Caterina da Siena e altre Sante abbiano nel CCC l'ultima parola, non significa che la donna nella Chiesa debba avere l'ultima parola, ma che i santi hanno un'ultima parola da dire. Si tratta della parola più importante, esattamente la Parola in cui diventa chiaro che la dottrina della fede possiede ultimamente un qualcosa che ha a che fare con la vita. E questo dovrebbe risultare evidente con la testimonianza dei santi.