1/ Nel solco di Paul Beauchamp - Deuterosi, tipologia, e compimento – ovvero: la riscrittura biblica come poetica della Parola di Dio, di Roberto Vignolo 2/ Profili. Paul Beauchamp, 1924-2001, di Y. Simoens
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1/ Nel solco di Paul Beauchamp - Deuterosi, tipologia, e compimento – ovvero: la riscrittura biblica come poetica della Parola di Dio, di Roberto Vignolo
Riprendiamo dal sito http://www.teologiamilano.it/ lo schema di una relazione di Roberto Vignolo, per il Convegno Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale, Parole e Parola. Letteratura e teologia, Milano, 23-24 febbraio 2016. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. le sezioni Sacra Scrittura e Catechesi.
Il Centro culturale Gli scritti (10/10/2017)
1. Intimazione. P. Beauchamp (1924-2001) traccia un solco fecondo circa il modo di affacciarsi alla Bibbia in nome di una teologia biblica adeguatamente sostenuta da una consapevolezza teologale, teologica, antropologica, e quindi necessariamente e sanamente letteraria – poetica perché sapiente e vitale – della Bibbia presa en bloc, come «racconto totale», che lancia la più grande sfida di significazione possibile. «L’Écriture, c’est le Dieu inattendu; la lecture met la foi à l’épreuve comme la vie met la foi à l’épreuve». Il lettore è chiamato ad esporsi a uno sconvolgimento (bouleversement), ad un risveglio, a decidere se assumere o meno il timor Domini, consentendo a «l’attirance du désir, consciente du danger de l’aventure divine» (PES, 41). B. chiama tutto ciò «intimazione» della Parola – legge, figura – «che intima all’intimo del cuore un consenso amoroso» con impatto al tempo stesso estetico/etico, configurante all’obbedienza di Gesù al Padre[1].
2. Una teologia epocale della creazione, accostabile ad un Ireneo di Lione – genius loci?! Condividono theologoumena antignostici e antimarcioniti sostanziali. Reagendo ad una teologia rispettivamente gnostica (Ir.) e unilateralmente dialettica, escatologica, storico salvifica (P.B.) – ambedue dimentiche della imprescindibile creazione – praticano entrambi il culto dello et, del Deus auctor utriusque testamenti, con solido Ansatz a partire dalla bontà della creazione, e del suo nesso con la risurrezione (tipologia del primo e ultimo Adamo!); coltivano unità e totalità delle Scritture antiche e nuove, delle alleanze; la condenscensio del Figlio; la mite assuefazione (douceur) dello Spirito alla humana condicio. Aggiungi ricapitolazione ovvero compimento, in Cristo, e la dignità antropo- e cosmologica del plasma creaturale...
3. B. individua nella Bibbia una poetica dell’incarnazione, coltivando una teologia dell’ispirazione che (cfr DV 11; Eb 1,1-2) lascia cadere il modello estrinseco della strumentalità dell’autore umano, a favore di quello, «quasi opposto», intrinseco dell’intimità, che combacia con il principio teandrico per cui la Bibbia è – simultaneamente – tutta di Dio e tutta dell’uomo[2] . Di qui l’attenzione alle forme del linguaggio, ai generi letterari non più in chiave di sola Formgeschichte, di metodologie viziate da una «troppo frequente carenza antropologica» (UAT II, 203).
4. Una «fine fenomenologia della parola» (J.-M. Carrière), che raccoglie e integra diverse istanze (strutturalistiche e non) in un maggior respiro antropologico, elabora B., soprattutto in due capitoli iniziali di UAT, II, 3-104, perfettamente organici, invero meritevoli di più espliciti riferimenti circa i prestiti contratti. In base all’analogia incarnazione/scrittura, reduplicata in quella tra parola e linguaggio degli uomini da una parte, e natura umana e sua debolezza dall’altra (DV 13) – pur nella compatibilità con santità e verità divine –, «la parola ispirata resta parola debole e fragile... è una porta stretta che... può davvero esser mancata, e tuttavia è una luce inapprezzabile e nuova – almeno per la nostra epoca». L’uomo è una «carne parlante», la cui parola lavora l’esperienza di una costitutiva finitezza, dando voce al corpo, e alla sua istanza relazionale: «la parola è povertà», cui è essenziale stare allo stretto; l’assenza della totalità è la sua molla segreta, per ritagliare sul tutto indistinto la propria individuazione e compimento tra archè e télos.
5. Uno strutturalismo teleologico (P. Ricœur) escogita B. per pensare le tre classi di scritti della scrittura canonica d’Israele: Torà, Nebiim, e Ketubim. Rispettivamente: il racconto fondatore, nel segno dell’inizio, quindi nel passato (che in realtà non passa, ma continuamente ri-passa; i P. nel segno del presente, che reinterpretano e attualizzano torà e alleanza; la sapienza con un universale orizzonte di creazione, esperibile nell’intrascendibile quotidiano. L’apocalittica congiunge i tre, orientandoli al télos escatologico.
6. Riscrittura e deuterosi. Sullo sfondo acquisito della Bibbia come prodotto di un’incessante ermeneutica del traditum attraverso la sua viva traditio (M. Fishbane), B. individua un più specifico principio interno alle tre classi di scritti canonici: la deuterosi (ovvero ricapitolazione: G. Borgonovo). È un principio radicalmente compositivo, una vera e propria poetica della riscrittura come della «legge fondamentale dell’insieme della composizione scritturistica» (P. Bovati). Rispettivamente, tre libri emblematici: Dt, Is 40-55, Pr 1-9[3]. La necessità di una deuterosi si riconduce alla necessità di superare lo iato del peccato, per cui la prima scrittura non fu ascoltata. Il libro si piega su se stesso, rimandando al di fuori di esso.
7. «Figura» – ovvero: riscrittura come tipologia. Da parente povera (sospetta) rispetto all’esegesi scientifica, la tipologia viene riscattata per il suo carattere intrinseco anzitutto all’AT (M. Fishbane), prima ancora che al NT. È una precomprensione e un’infrastruttura ontologica universale, praticata nella stessa Bibbia, «troppo conforme all’intenzionalità del Libro stesso e alle convenzioni che esso presuppone ed esige». Diventano typoi gli eventi concreti, le persone le cose – tutti quei realia enarrata della historia salutis che – amalgamati al testo – assumono un significato capace di intrinseco sviluppo, e si avventurano in avanti in protensione all’incontro di analoghi futuri realia – i cosidetti antitipi, dai quali ricevono il loro senso più compiuto e nuovo valore veritativo[4]. Gli uni e gli altri proiettati su di un orizzonte escatologico, tutti amalgamati dalla Sapienza, che è «l’unità di tutte le figure» (cfr. Sal 136). La stessa semantica di typos suggerisce una Denkform sintagmatica piuttosto che paradigmatica (come… così…– oppure non come…).
«Il pensiero tipologico è un aspetto elementare di ogni pensiero e di ogni interpretazione umana. È usato... nel nostro proverbiare nel quale una realtà particolare e complessa, da prendere in un primo momento così com’è, viene messa in relazione a qualcosa di normativo, in senso relativo o assoluto, e così facendo si rende riconoscibile un senso in essa implicito. Soprattutto però senza un tale pensiero analogico non vi sarebbe poesia alcuna. Il poeta infatti... contempla le cose presenti, spesso piccole, e vi scorge realtà assolute. Nel moto degli elementi, nel cambiamento delle stagioni e delle ore del giorno, nei rapporti elementari da uomo a uomo, nei semplici lavori manuali: in tutto ciò “si rivela” qualcosa di normativo, c’è un rinvio a un ordine profondamente insito nelle cose, al quale partecipano sia le minime come le massime realtà» (G. von Rad, Scritti, 183-184 – B. sottoscriverebbe!). Il pensiero tipologico considera la storia procedendo con movimento perfettamente all’inverso del pensiero causale storicistico, legato al modello della causalità efficiente (archeologico). La forma di pensiero figurale è infatti teleologica: punta simultaneamente sull’avvenire, in avanti – nonché verso l’alto, verso l’eterno. Tre tensioni individuano l’anima della tipologia: passato/futuro (verità come evento); ripetibile/irripetibile (ovvero universale/particolare); parola/cosa intenzionata.
8. Compimento – extra textus! «Il compimento delle Scritture porta al di fuori di loro... Le Scritture dell’Antico Testamento non si compiono nelle Scritture del Nuovo» (UAT II, 13-15), bensì extra textum, nella vita, morte e risurrezione di Cristo, e dunque anche nelle nostre vite in lui (Simoens, Postface, 192). Il compimento cristologico è compimento del racconto.
9. A mo’ di epilogo sintetico sul compimento
«... proprio nella più intima essenza... della poesia, risiede Cristo, come il nucleo originario di questa esperienza, come la parte più intima e ardente, vorremmo dire il blu della fiamma poetica... Il miracolo più grande del Vangelo è la saldatura fra la poesia e la vita... il miracolo che è Cristo, dopo avere espresso le immagini (in sé poeticissime) del grano di senape, del figlio prodigo, le parabole e gli esempi delle vergini, dello sposo, della vigna, del giglio e degli uccelli felici, si fa egli stesso immagine e segno, si immola in un Segno, poiché il Dio salito sulla Croce, il Dio crocifisso, non è più l’immagine ficta, fittizia, cioè distinta dalla persona che la immagina – come Sofocle è distinto da Edipo, o Omero da Achille – ma è un atto di vita che si fa segno, che diviene forma di se stesso, espressione e simbolo forte, più che parola. L’esistenza assume se stessa come forma e si trasfigura, quale massimo valore espressivo, nel sacrificio che la nega: unità assoluta dell’uomo, dell’agire e del manifestare, della parola e dell’azione, della poesia e della vita. Parola appunto che si fa carne... Con la tragedia della Croce, Cristo esprime in un atto vissuto il senso più alto della sua verità e fa di se stesso l’Immagine per eccellenza, da cui tutte le altre procedono. Con la crocifissione Egli ha incarnato un segno di potenza tragica, che poteva appena sorgere in nube, balenare ai profeti o ai tragici dell’Attica» (G. Vignolo, Non poesia su Cristo, ma poesia di Cristo).
2/ Profili. Paul Beauchamp, 1924-2001, di Y. Simoens
Riprendiamo dal sito https://www.dehoniane.it/ un articolo di Y. Simoens sj, pubblicato senza indicazioni di data. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. le sezioni Sacra Scrittura e Catechesi.
Il Centro culturale Gli scritti (8/10/2017)
Creazione e compimento
Nel pomeriggio di lunedì 23 aprile, dopo lunghi anni di lotta contro la malattia, è morto a Parigi padre Paul Beauchamp. Era nato a Thénezay (Deuex-Sévres) il 28 luglio 1924. Entrato nella Compagnia di Gesù nel 1941, parte per la Cina nel 1948. Costretto a rientrare nel 1951, viene ordinato prete il 30 luglio 1954. Indirizzato verso l’insegnamento della sacra Scrittura, trascorre un anno a Gerusalemme nel 1956, poi prosegue la sua formazione al Pontificio istituto biblico a Roma. Una volta tornato in Francia, dedica tutta la sua vita all’insegnamento, alla ricerca e alle pubblicazioni, a una lettura comunitaria della Bibbia e all’attività di conferenziere.
Dopo un ultimo ricovero presso il Grand Hôpitale Européen Geroges Pompidou, era tornato nell’infermeria della comunità dei gesuiti di rue de Grenelle. Nel quadro del ciclo condotto da Denis Vasse sul tema "Vendetta e perdono", padre Beauchamp ha tenuto la sua ultima conferenza su "Giuseppe e i suoi fratelli" martedì 20 febbraio di quest’anno. Il 15 marzo aveva terminato la sua serie di conversazioni bibliche presso il Centre Sèvres. Ha lavorato fino al limite delle sue forze.
Gli ultimi mesi di vita, padre Beauchamp li ha dedicati alla redazione del volume sul Nuovo Testamento, incentrato sulla persona di Gesù Cristo, della sua grande opera L’un et l’autre Testament. Questo lavoro è rimasto incompiuto. Tuttavia, egli è riuscito a spiegare quanto voleva dirci in essa; ne è testimonianza il suo splendido testo (che ha venduto già più di diecimila copie), illustrato da suo cugino Pierre Grassignoux e insignito del premio Siloé 2000 istituito dai librai religiosi francesi, Cinquante portraits bibliques[5].
Il suo testo precedente, D’une montagne à l’autre. La loi de Dieu[6], nonostante la sua preoccupazione di mantenere un livello espositivo elementare e accessibile, ha un procedere più argomentato, più denso, e – dunque – più difficile. In esso si espone la relazione tra l’"uno e l’altro Testamento" attraverso la mediazione del Decalogo e della croce di Cristo. L’ultimo capitolo, che chiude i due precedenti dedicati a san Paolo e tutto il libro, su "La croce e la legge", è fra i più forti del volume e, indubbiamente, di tutta la sua produzione.
Chi ha una qualche conoscenza della sua opera, ed è interno alle tematiche in essa sviluppate, era ancora in attesa di esplicitazioni e spiegazioni di quanto, comunque, può già essere colto seguendo la traccia delle sue linee principali di orientamento. Ma come darne conto sinteticamente, al fine di offrire qualche idea del loro respiro e vastità?
Il lettore potrà riferirsi all’esaustiva bibliografia pubblicata da P. Bovati e R. Meynet, curatori dell’opera collettanea offerta a padre Beauchamp in occasione del suo settantesimo compleanno[7]. Egli stesso, poi, ha raccolto le linee portanti del suo pensiero in un contributo recente: "Le récit biblique: l’herméneutique biblique et le choix étique de la liberté"[8] (corredato della relativa bibliografia a riguardo). Inoltre, si può dire che i tratti essenziali del suo progetto sono già delineati nella sua tesi di dottorato all’Istituto biblico, scritta sotto la direzione di W.L. Moran (+2000) e contrassegnata dagli stimoli di L. Alonso Schökel: Création et séparation. Études exégetique du chapitre premier de la Genèse[9].
Teologia biblica a partire dall’Antico Testamento
L’opera di padre Beauchamp è dominata certamente dal mistero della croce di Cristo, ma ciò avviene a partire dalla creazione. Non è da escludere che questo suo punto di partenza trovi una giustificazione nel suo soggiorno in Cina. Si tratta di dare ragione del Vangelo secondo tutta l’ampiezza del corpus biblico. La creazione ne costituisce il punto di massimo universalismo, nel rispetto della particolarità di Israele e delle sue tradizioni. Beauchamp, non soddisfatto per l’eccessiva insistenza con cui, anche nei documenti del concilio, si sottolineavano i temi della "storia della salvezza" e di una "teologia della Parola", sotto l’influenza della produzione esegetica tedesca a dominanza protestante, reagisce fin dall’inizio valorizzando e sottolineando il rapporto che intercorre tra la creazione e la mediazione della lettera biblica che assume il cosmo, le piante, gli animali, il corpo umano dell’uomo e della donna. Il testo di Gen 1 s’imponeva, in questo senso, come luogo d’elezione che segna le fondamenta del Libro. L’inclusione della Sapienza veniva subito a completare una considerazione troppo esclusiva della sola Torah e dei Profeti che poteva comportare una visione troppo limitata o restrittiva.
In seguito si preciseranno alcune implicazioni metodologiche ed ermeneutiche. Il primo capitolo della Genesi viene studiato alla luce di quanto il corpus paolino, in particolare, afferma del corpo di Cristo: vero Adamo che si comunica alla Chiesa e all’umanità intera. L’origine non si può dire che alla luce della fine. E la fine la conosciamo mediante la rivelazione della morte e risurrezione di Cristo, confessate dai credenti. In questo, l’autore è debitore al rinnovamento degli studi patristici di cui ha beneficiato durante gli anni della teologia a Lyon-Fourvière. Ma egli non cesserà mai di ripetere che non è sufficiente citare i padri della Chiesa, e che nemmeno si tratta di fare come loro. Piuttosto, occorre fare ciò che essi hanno fatto. Le loro intuizioni sono giuste e pertinenti, ma si deve tenere conto del rinnovamento degli studi biblici. La complessità delle questioni sollevate, in particolare da Gn 1,1-2,4a, impone di rispettare la mediazione della critica e della cultura contemporanea. Beauchamp è stato sicuramente debitore al lavoro degli orientalisti nel ricollocare i racconti di creazione della Genesi nel contesto mitico dal quale essi emergono. Ma riconoscerà anche il suo debito verso l’opera di riabilitazione dei miti e del "pensiero selvaggio" per mano di C. Lévi-Strauss. Per questo, proverà un profondo rammarico per la sua chiusura verso ogni speranza in un al di là di risurrezione. Da questo momento rivolgerà, inoltre, una grande attenzione alla linguistica ispirata dai lavori di F. de Saussure e alla psicanalisi di S. Freud, J. Lacan, F, Dolto e D. Vasse. Le questioni problematiche non riguardano solo la storia, ciò che egli ha spesso chiamato "la scuola socio-letteraria" in esegesi; si tratta, invece, di arrivare a capire – con i mezzi a nostra disposizione – che cosa vuol dire parlare! L’esegesi deve sfociare nell’ermeneutica teologica, e questa si rivela essere indissociabilmente antropologica.
Da questo punto in avanti, nella trattazione del testo biblico egli utilizzerà sempre un metodo che mette in relazione i testi che si interpretano reciprocamente all’interno dei limiti del corpus dell’Antico Testamento. Il registro della creazione impone di considerare, innanzitutto, la corrente sapienziale con Pr 8,22-31[10], i salmi, ma anche i profeti come Geremia, Daniele e Neemia (per non citare i testi presi in esame nella sua tesi). Beauchamp tornerà sullo stesso argomento, e con lo stesso metodo, in uno studio su Le Deutéro-Isaïe dans le cadre de l’Alliance (corso da lui tenuto a Lyon-Fouvière nel 1965 e pubblicato nel 1970)[11]. L’interesse per l’articolazione interna fra storia e creazione, profeti e sapienti, l’antica e la nuova Alleanza, continua ad affermarsi e ad affinarsi. Il metodo tende sempre più a lasciare spazio al testo biblico, che è ciò che conta unicamente e non deve essere mai abbandonato per conservarne la coerenza d’insieme – ciò avviene, però, nel pieno rispetto di un vocabolario, di una semantica, interne a una cultura specifica aperta, tuttavia, verso le culture del mondo. Lo stesso progetto fondamentale alimenta una ricerca continua sulla semantica e, più in generale, sulla o sulle lingue della Bibbia, che culminerà nella parte biblica del Dictionnaire critique de théologie[12] da lui diretto attivamente, con diligenza, richiedendo il contributo di collaboratori di confessioni diverse.
L’uno e l’altro Testamento
Tutto questo lavoro porta, nel 1976, al primo volume dell’opera L’un et l’autre Testament (pubblicato nella collana "Parole de Dieu", diretta da X. Léon-Dufour). Il metodo cui abbiamo fatto sopra cenno, prende qui vigore favorendo una percezione particolare e globale, al tempo stesso, delle quattro grandi classi di scritti biblici: la Torah veicolata dai sacerdoti; la Sapienza incarnata dal re nella prospettiva di un popolo regale; la Profezia annunciata dai profeti, riletta e attualizzata dai loro discepoli e dalle loro scuole; l’Apocalittica espressa da visionari sensibili all’articolazione tra origine e compimento. Pur nel rispetto delle esigenze della diacronia, occorre poter leggere il testo nella sua totalità significante secondo una sincronia che tiene conto delle riprese dell’Antico Testamento da parte di Cristo in persona – che non ha scritto alcunché – e da parte degli autori del Nuovo Testamento.
Questo volume si offre modestamente come un "saggio di lettura", andandosi a iscrivere nel quadro del rinnovamento degli studi letterari, ispirato dallo strutturalismo e dalla semiotica – e più recentemente per la narratività in ambito della letteratura, ma anche in quello filosofico e teologico –[13]. Ma all’interno di un tale "saggio" si delinea un ampio programma di teologia biblica, che si rifrange in numerose altre pubblicazioni e monografie. La parte in cui si tratta dell’Apocalittica è dovuta certamente all’importanza dell’Apocalisse giovannea al termine della raccolta biblica. Ma le apocalissi offrono il vantaggio di poter mettere in evidenza taluni limiti del metodo storico, poiché essa – allo stesso tempo – avanza qui tutti i suoi diritti e scompiglia i propri tracciati. Non è casuale che Gesù si presenti sotto i tratti del "Figlio dell’uomo" di Daniele.
Ci si attendeva che l’opera procedesse speditamente. Il passo, invece, fu lento. Essa aveva bisogno di tempo. Il padre Beauchamp si è preso il tempo di far maturare a lungo ognuna delle sue pubblicazioni importanti: Dio è creatore del tempo –aveva avvertito in Création et séparation. L’autore se ne scusò con i suoi lettori pubblicando Psaumes nuit et jour[14]. Non era esattamente qualcosa come il seguito de L’un et l’autre Testament, ma non ne eravamo poi neanche tanto lontani. L’esercizio di lettura consisteva nel restare sull’asse del progetto, applicandolo però ad alcuni salmi importanti, come il salmo 22 che funge per il libro come "ricapitolazione".
Ci si aspettava, dopo il primo volume, un libro sul Nuovo Testamento. L’un et l’autre Testament II. Accomplir les Écritures[15] doveva innanzitutto offrire una rilettura della prima opera. L’antropologia trovava qui una collocazione più ampia e aumentava d’importanza, per meglio situare il progetto di un Prologo che ritorna sul rapporto che intercorre fra Parola e Scrittura. Il punto di partenza rimane però Gn 2-3, prolungato da uno splendido capitolo sul Cantico dei Cantici come celebrazione della relazione paradisiaca ritrovata tra l’uomo e la donna – dove la lettura antropologica e quella teologica procedono a braccetto. Il volume opera anche un ritorno sul racconto fondatore nella doppia ottica della tradizione sacerdotale e di quella deuteronomista, per poter riapprossimarsi nel modo migliore al "modulo narrativo" che rielabora gli approcci anteriori dell’Alleanza. Gli ultimi due capitoli ("Le istanze dell’estremo" e "Nuova creazione e fine delle fini") spiegano il rapporto, di tipo apocalittico, tra creazione e fine dei tempi a beneficio dell’"uomo-racconto ultimo". Il "compimento" accade oltre il testo, nell’uomo: il Cristo in persona, ma anche il lettore, ogni credente. L’ultimo capitolo si conclude con una sorta di inno alla "Contemporaneità di Gesù Cristo"[16].
La raccolta di articoli Le récit, la lettre et le corps[17] racchiude una serie numerosa di contributi che sostengono le medesime intuizioni e le stesse linee di forza. Il volume Parler d’Écritures Saintes[18] ha contribuito a una diffusione più ampia di esse. La preoccupazione di Beauchamp di trattare i passi più ostici sul tema della vendetta nei salmi, nei libri storici e nei profeti, offre l’occasione alla sua penna per stendere quel potente excursus che è La violence dans la Bible[19]. Infaticabilmente, la Bibbia viene percorsa in tutto il suo spettro, senza tralasciare alcuna problematica, nella più viva consapevolezza che è questo il luogo in cui sgorga la verità dell’uomo e di Dio. Basta abbeverarsene per essere dissetati, rappacificati e confermati nel suo senso di Dio e nel suo senso dell’uomo.
Nella luce di Cristo
Ponendosi al centro della Scrittura, nel suo cuore, progredendo con sempre maggiore scioltezza ed eleganza, penetrazione e semplicità, nel vivo della parola di Dio in tutta la sua ampiezza canonica, Paul Beauchamp appare ai nostri occhi come un’esegeta d’eccezione. I suoi due interventi al Symposium sulle radici dell’antisemtismo, a Roma nel 1997, condensano la sua riflessione e il suo lavoro ecumenico per una riavvicinamento degli ebrei e dei cristiani. Una dimensione, questa, che non è mai stata assente dalla sua opera e dai suoi scritti. Essi riflettono le chiavi del suo interesse di sempre per la tipologia e manifestano anche il radicamento esistenziale della sua ricerca[20]. Egli è sempre stato preoccupato di sottolineare il carattere permanente del rapporto fra l’Antico e il Nuovo Testamento, come le implicazioni di rilievo che questa permanenza implica per le relazioni fra Israele e la Chiesa.
Gesuita, compagno di Gesù fino alla sua agonia, non ha mai voluto percorrere una via che non fosse quella che il suo Signore gli mostrava mediante l’incontro con la Bibbia. A questo proposito è eloquente il suo contributo in occasione del XC anniversario di fondazione dell’Istituto biblico: “È assolutamente certo che la lettura cristica ha per orientamento ultimo quello di raggiungere l’atto di obbedienza di Gesù che riconosce la volontà del Padre nelle Scritture. Ma ciò non è contrario alla dignità della ragione, a causa dei legami che nel più profondo della struttura umana uniscono "comprendere" e "consentire"”[21].
Note al testo
[1] «Nella misura in cui si porta all’incontro con l’atto cristico del portare a compimento in quanto atto di obbedienza, quest’esegesi si accorda con una teologia il cui asse principale è la ricerca di ciò che fonda l’etica, nel momento stesso in cui la riposiziona in subordine (dans le soubassement de l’éthique). È proprio della natura stessa della verità che si manifesta nell’ordine etico di non costringere la libertà, ma, al contrario, di assicurarla ponendole un’obbligazione, per la quale ho più volto proposto il termine di “intimazione”» (LCAT, «Biblica» 81 [1981] 2000, 105-115).
[2] «L’assoluto è nella parole della Scrittura, ma solo a condizione che restino veramente delle parole, a condizione che si trovi il punto in cui esse possano entrare fino al cuore della nostra parola, di quella che veramente ci appartiene... Il Cristo-Parola è veramente uomo e veramente Dio, e non un dosaggio dell’uno e dell’altro. Altrimenti detto, non basta che la Scrittura, per raggiungerci e toccarci, parli dell’amore di Dio. Poiché parla nella nostra lingua, ecco un segno d’amore. Parla di carità divina, ma in primo luogo, pure, parla carità proprio perché essa parla come uomo agli uomini. Il punto cruciale è che, se noi uomini cessiamo di “parlare da uomini”, allora non possiamo intendere Dio, manchiamo l’appuntamento!» (PES, 22-23).
[3] «La deuterosi si presenta come segue: nella Legge come un imperativo il cui contenuto ritorna su se stesso, perché ingiunge di osservare la legge: nei profeti come una parola di Dio il cui contenuto è che Dio parla, e che è Dio; nei saggi come un invito centrato su “principio della Sapienza, acquista la Sapienza”» (UAT I, 173).
[4] Analiticamente descritta, comporta: a) corporeità/cosalità cosmicamente e socialmente integrata; b) centralità (niente minuzie allegoriche); c) intrinseca deficienza (non compimento), con correlativa tensione al compimento. Un racconto è nient’altro che una sequenza di figure che appaiono e spariscono, lasciando posto ad altre.
[5] P. Beauchamp, Cinquante portraits bibliques, Seuil, Parigi 2000.
[6] Id., D’une montagne à l’autre. La Loi de Dieu, Seuil, Parigi 1999 (tr. it. La legge di Dio, Piemme, Casale 2000).
[7] Ouvrir les Écritures, a cura di P. Bovati-R. Meynet, Cerf, Parigi 1995.
[8] P. Beauchamp, "Le récit biblique: l’herméneutique biblique et le choix éthique de liberté", in Fremdheit und Vertrautheit. Hermeneutik im europäischen Kontext, Peeters, cura di H.J. Adriaanse-R. Enskat Lovanio 2000, 253-258.
[9] P. Beauchamp, Création et séparation. Étude exégétique du chapitre premier de la Genèse, Aubier-Montaigne - Delachaux et Niestlé, Parigi - Neuchâtel 1969.
[10] Il testo è stato letto come prima lettura alla messa del suo funerale da F. Muckensturm, sua segretaria negli ultimi anni.
[11] P. Beauchamp, Le Deutéro-Isaïe dans le cadre de l’Alliance, Faculté de théologie de Fourvière, Lione 1970.
[12] Dictionnaire critique de théologie, a cura di J-Y. Lacoste, P.U.F, Parigi 1998.
[13] Cf. P. Beauchamp, "Narrativité biblique du récit de la Passion", in Recherches de Science Religiuese 73 (1973) 39-60; P. Ricoeur, "Le récit interpretatif", ivi. L’intreccio con la ricerca filosofica risale ai tempi di Création et separation. La stima di P. Ricoeur nei confronti di P. Beauchamp è resa manifesta nella conferenza tenuta il 5.10.1995 a Parigi su Accomplir les Écritures selon L’un et l’autre Testament II. Si veda anche P. Ricoeur, Lectures III. Aux frontières de la Philosophie, Seuil, Parigi 1994, 307-326. F-X. Amherdt ha attirato l’attenzione sull’interesse di Ricoeur per l’opera di Beauchamp nella sua introduzione a P. Ricoeur, L’herméneutique biblique, Cerf, Parigi 2001, 17.47-48.
[14] P. Beauchamp, Psaumes nuit et jour, Seuil, Parigi 1980.
[15] P. Beauchamp, L’un et l’autre Testament II. Accomplir les Écritures, Seuil, Parigi 1990 (tr. it. L’uno e l’altro Testamento. 2. Compiere le Scritture, Glossa, Milano 2001).
[16] Cf. P. Beauchamp, "Accomplir les Écritures. Un chemin théologique biblique", in Revue Biblique 99 (1992) 132-162; questo testo offre il vantaggio di vedere riassunto l’intento e il progetto da parte dello stesso autore. Qui egli spiega, come mai altrove, il suo rapporto con la psicoanalisi.
[17] P. Beauchamp, Le récit, la lettre et le corps, Cerf, Parigi 1982 (testo riveduto e ampliato del 1992).
[18] P. Beauchamp, Parler d’Écritures Saintes, Seuil, Parigi 1987.
[19] P. Beauchamp, La violence dans la Bible, Cerf, Parigi 1991.
[20] P. Beauchamp, "La typologie dans l’ Évangile de Jean" e "Remarques additives sur l’antijudaïsme", in Radici dell’antigiudaismo in ambiente cristiano. Colloquio intra-ecclesiale, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2000, 95-109 e 110-126.
[21] P. Beauchamp, "Lecture christique de l’Ancien Testament", in Biblica 81 (2000) 105-115 – qui 115.