Spalato: un palazzo trasformato in città a motivo delle devastazioni degli slavi nel VII secolo. Il Tempio di Giove/Mausoleo di Diocleziano e la cattedrale dell'Assunta. Bellezza e necessità nell’alto medioevo, di Andrea Lonardo
Riprendiamo sul nostro sito uno studio di Andrea Lonardo. Per approfondimenti, cfr. le sezioni Storia e filosofia (alto medioevo) e Arte e fede.
Il Centro culturale Gli scritti 17/9/2017)
Spalato come è oggi
Spalato al tempo di Diocleziano
Chiunque passeggi per il centro storico di Split/Spalato si accorge immediatamente di essere all’interno di un palazzo, l’antico palazzo di Diocleziano[1]. Le vie che oggi abitanti e turisti percorrono erano in realtà “corridoi” interni a quel palazzo e le diverse abitazioni moderne, come i ristorantini, i negozi, gli hotel, i bar, erano invece le camere e le sale di quel maestoso edificio.
Due soli edifici si sono salvati: il Tempio di Giove/Mausoleo di Diocleziano, trasformato in cattedrale, e un Tempio più piccolo, di cui non è stato ancora possibile stabilire la dedicazione (Esculapio, Marte, Giano, Cibele o Venere), trasformato in battistero.
Ogni altro edificio dell’antico palazzo è andato distrutto, con il reimpiego del materiale di costruzione per altri usi. Solo quei due templi sono giunti ai nostri tempi perfettamente riconoscibili, proprio perché trasformati in luoghi di culto cristiani e, conseguentemente, resi intangibili, altrimenti anche da essi sarebbero stati asportate marmi, colonne e pietre per gli usi più disparati, come è avvenuto per il resto del palazzo.
La storia che ha portato un palazzo a divenire una città, con la radicale trasformazione di ogni metro quadrato dello stesso, è particolarmente interessante e permette, da sola, di comprendere molto della storia dei Balcani.
Originariamente il Palazzo era esclusivamente riservato all’imperatore e al suo seguito. L’attuale Spalato, infatti, sorge a circa 6 chilometri a sud dalla città antica di Salona (in croato Solin), oggi ridotta in rovine, che era anticamente il centro maggiore, mentre il Palazzo imperiale sorgeva isolato da esso. Salona – l’antica Colonia Martia Iulia Salonitana – era in età romana la città a capo dell’intera provincia della Dalmazia. Il teatro della città aveva una capienza di 15.000 posti e già questo dato da solo indica la grandezza dell’antica città.
Quando la fede cristiana si diffuse pacificamente nella regione, prima perseguitata a morte proprio dall’imperatore Diocleziano, poi divenendo culto consentito con Costantino, la città di Salona[2] vide l’edificazione di diverse chiese, fra le quali la cattedrale della città, le cui rovine sono oggi visibili. Veneratissimi vi furono i martiri che Diocleziano fece uccidere nel suo odio anti-cristiano e, fra di essi, Domnio (il nome latino Dominus è stato variamente tradotto anche con Doimo o Domnione, in croato Dujam o Duje), vescovo della città, il cui corpo venne sepolto nel cimitero di Manastirine (il nome del luogo indica la presenza di un antico monastero sorto nei pressi di Salona, dove il corpo del martire era venerato).
La città di Salona, con i suoi palazzi, le sue chiese e i suoi monasteri conobbe, però, la tragedia della totale distruzione all’arrivo degli slavi (e degli avari che li avevano assoldati) nella prima metà del VII secolo.
La distruzione della città ad opera degli invasori slavi era posta dagli storici ottocenteschi all’anno 614[3]. La data della distruzione di Salona è fondamentale per la cronologia della trasformazione della residenza imperiale in città perché furono gli abitanti superstiti di Salona a prendere la decisione di trasferirsi all’interno del palazzo costruito da Diocleziano per potersi meglio difendere in caso di nuovo attacco slavo.
Sebbene un gruppo di studiosi continui a difendere quella datazione, la nuova ipotesi che pone invece il sacco di Salona intorno all’anno 639 ha ormai conquistato il consenso degli storici. Ne è convinto, in particolare, Marasović[4] che elenca una serie di argomentazioni estremamente convincenti sia letterarie che archeologiche. Un dato, in particolare, appare estremamente significativo ed è l’invio a Salona dell’abate Martino da parte del papa Giovanni IV nell’anno 641 per traslare le reliquie di Domnio - unitamente a quelle di altri martiri dalmati - da Salona a Roma. Giovanni IV, di origine dalmata, fece addirittura erigere una nuova cappella, l’attuale Cappella dei Santi Venanzio e Domnione, nel battistero Lateranense per la venerazione di tali reliquie[5].
Tutto lascia ritenere che il papa avesse inviato il suo rappresentante per salvare le reliquie del martire immediatamente dopo la distruzione della città.
L’arrivo delle popolazioni slave fu un evento veramente traumatico e ciò spiega a sufficienza perché la popolazione di Salona si decise ad abbandonare la città per rifugiarsi nel palazzo di Diocleziano più facilmente difendibile. Ostrogorsky racconta che, dopo che già verso la fine del VI secolo gruppi isolati di slavi si erano infiltrati nei Balcani, all’inizio del VII secolo «immense orde di Slavi e di Avari si riversarono su tutta la penisola balcanica fino alle sponde dell’Adriatico a occidente, e a quelle del mar Egeo a sud e a oriente. Dopo terribili devastazioni e saccheggi la maggior parte degli Avari tornò al di là del Danubio, mentre gli slavi si stabilirono sulla penisola e presero possesso del territorio. La dominazione bizantina sui Balcani crollò»[6]. Le orde giunsero alle porte di Costantinopoli e attaccarono la Tracia. Assediarono Tessalonica, ma non riuscirono prenderla.
Con la caduta di Salona, che era appunto il centro amministrativo romano-bizantino in Dalmazia, entravano in crisi anche la dominazione bizantina e il suo influsso culturale nella parte occidentale della penisola. Scrive ancora Ostrogorsky: «Oltre a Salona[7] e ad altre città dalmate, cadde in questo periodo nelle mani degli invasori anche la maggior parte delle più importanti città dell’interno della penisola balcanica, come Singiduno (Belgrado), Viminacio (Kostolac), Naisso (Niš), Serdica (Sofia). Le uniche roccaforti della potenza bizantina che resistevano nella penisola erano – oltre alla stessa Costantinopoli – da una parte, innanzitutto, Tessalonica, dall’altra poche città sulla costa adriatica, come Iader (Zadar, Zara), e Traú (Trogir) nel nord; Butua (Budva), Shkodra (Skadar) e Lisso (Lješ) nel sud»[8].
Col tempo iniziò un lento e difficile lavoro di cristianizzazione degli slavi. I cristiani, che già avevano convertito alla fede i romani, nonostante le persecuzioni, si trovarono ad iniziare un nuovo ed analogo percorso con gli invasori: fu grazie ai cristiani che, proprio a cominciare dalla Dalmazia, nacque la scrittura glagolitica, analogamente a quanto avvenne per il cirillico più a nord[9].
La costa, invece, rimase ancora sotto l’influsso di Costantinopoli e, conseguentemente di Ravenna che l’imperatore aveva costituito a capo dell’esarcato.
Tommaso Arcidiacono[10], l’autore medioevale della Historia salonitanorum pontificum atque spalatensium, detta anche più semplicemente Historia salonitana, racconta che gli abitanti di Salona, guidati da Severo Magno, che doveva essere il principale rappresentante dell’imperatore in Salona, si rivolsero a Costantinopoli, a quel tempo governata da due imperatori – sottolinea Tommaso Arcidiacono -, per chiedere di poter occupare il Palazzo di Spalato e ricrearvi le strutture cittadine distrutte nel nuovo luogo: “Legationem miserunt ad imperatores constantinopolitanos et petens ut liceret eis in Spalato abitare”[11].
I due periodi nei quali si ebbero due imperatori nel settimo secolo sono il 641, quando governarono i due figli di Eraclio, Costantino III ed Eracleona[12], e gli anni che seguirono il 654, quando Costante II fece co-reggente prima il figlio Costantino IV e poi anche i due figli minori, Eraclio e Tiberio[13]. Data la concomitanza con l’invio da Roma dell’abate Giovanni, tutto porta a ritenere che la richiesta di trasferire la civitas all’interno del Palazzo dioclezianeo dovette avvenire nel primo dei due periodi, cioè dal 636 al 641, poiché altrimenti si creerebbe uno iato di alcuni decenni nei quali i superstiti di Salona non avrebbero avuto dove abitare[14].
La trasformazione della residenza imperiale in città dovette allora avvenire alla metà del secolo, sebbene esistano alcuni reperti paleocristiani precedenti a questa data, segno che già un’evoluzione era lentamente iniziata[15].
Marasović ritiene – e noi con lui – che uno dei primi interventi fu la trasformazione del Tempio di Giove/Mausoleo di Diocleziano nella nuova cattedrale cittadina, in sostituzione della precedente salonitana ormai scomparsa. Della metà del VII secolo sarebbe, infatti, il portale meridionale della cattedrale, poiché tale datazione sembra la migliore per il confronto con altre opere coeve[16]. Il primo intervento sul Tempio sarebbe stato quello del portale meridionale scolpito come accesso della nuova cattedrale, secondo quanto riferisce Tommaso Arcidiacono: “Il vescovo subito avviò la lodevole opera di purificazione del tempio di Giove dagli idoli falsi, il quale, nell’edificio imperiale si distingueva per le mura più elevate, mettendo la porta e le sbarre all’interno”[17].
La cattedrale di Spalato/Tempio
di Giove/Mausoleo di Diocleziano
Anche la croce posta sopra la Porta Occidentale del Palazzo sarebbe databile agli stessi anni[18].
La ristrutturazione del tempio in chiesa cristiana deve essere posto in relazione alla notizia dell’invio da Ravenna di Giovanni detto appunto il Ravennate. Questo Giovanni di Ravenna venne incaricato, secondo Tommaso Arcidiacono, della traslazione della sede di Salona in Spalato e, quando si trattò di scegliere il nuovo vescovo, si trovò ad essere lui stesso il prescelto[19].
Il quadro che emerge dal confronto fra i dati letterari riportati da Tommaso Arcidiacono e quelli archeologici è perfettamente aderente a quanto è noto per altri edifici del tempo, ma più ancora risponde ai dati storici relativi all’alto medioevo.
In Roma, i templi pagani restarono non toccati per secoli, nonostante la conversione della quasi totalità della popolazione al cristianesimo. Poiché essi erano ritenuti impuri non venne a nessuno l’idea di trasformarli in chiese finché vi fu memoria del loro utilizzo pagano. Solo dopo che il paganesimo non esisteva più da lungo tempo, i primi templi – che erano fin lì stati preservati a motivo del “pubblico decoro” come attestano numerose leggi imperiali[20] – vennero trasformati in chiese. In Roma il primo tempio a divenire una chiesa fu il Pantheon che venne consacrato nel 609, solo pochi decenni prima della trasformazione del tempio di Spalato[21].
A Roma, come nel caso di Spalato, la trasformazione non avvenne spontaneamente, perché i templi pagani erano di proprietà dell’imperatore e non della Chiesa. Fu l’imperatore a concedere al papa Bonifacio IV il permesso di intervenire sul Pantheon poiché esso era un edificio di proprietà della res publica imperiale. Il fatto è assolutamente rilevante anche perché rivela che l’imperatore era capo dello Stato a Roma e niente poteva essere modificato senza una sua esplicita autorizzazione.
Lo stesso si può dire dell’evoluzione di Spalato da palazzo in città, con la conseguente nuova dedicazione del tempio di Giove di Diocleziano.
Severo Magno, come si è visto, dovette rivolgersi a Costantinopoli, a nome del popolo di Salona, chiedendo di poter occupare il palazzo che era ancora di proprietà imperiale, mentre certamente Giovanni di Ravenna dovette richiedere un’analoga concessione per ottenere il Tempio e cambiarne la destinazione.
Non è da escludere che i due personaggi abbiano agito in sinergia. Certo è che la mancanza di una città fornita di mura nella quale riprendere l’ordinaria vita cittadina, e la contemporanea mancanza di una cattedrale dove riunirsi intorno al vescovo, dovettero spingere i “due imperatori” a concedere entrambi i permessi, per venire in soccorso della popolazione così duramente provata dall’invasione slava.
Si noti che l’invio di Giovanni avvenne da Ravenna, perché, fino alla caduta della città adriatica in mano longobarda nel 751, Costantinopoli governava la penisola italiana e i Balcani tramite quella città. È assolutamente falso che la presenza dell’impero romano in occidente sia terminata con la cattura, proprio a Ravenna, di Romolo Augustolo nel 476: è vero invece che, con la cattura di Romolo Augustolo, cessò la ripartizione dell’impero in due parti ed il vero imperatore ed unico imperatore romano tornò ad essere uno solo, quello di Costantinopoli, che continuò a ritenersi legittimo erede di Augusto e a governare l’unico impero d’oriente e d’occidente. Per questo fu ancora una volta l’imperatore romano risiedente a Costantinopoli a concedere a Roma il Pantheon e a Spalato l’intero palazzo di Diocleziano e, in particolare, anche il tempio di Giove e il tempio minore perché i salonitani, ormai senza cattedrale a causa degli slavi, potessero riavere una cattedrale e un battistero dopo la distruzione della loro città.
Allo stesso periodo Marasović attribuisce, da un punto di vista archeologico, la trasformazione della torre sud-orientale del Palazzo in residenza episcopale, come attesta dal punto di vista letterario Tommaso Arcidiacono che ricorda come l’ufficiale imperiale Severo Magno avesse deciso di donare al vescovo tale sistemazione dopo che il palazzo episcopale di Salona era stato distrutto dagli slavi[22]. Sempre negli stessi anni si deve situare la trasformazione del tempio minore situato dinanzi al Tempio di Giove/Mausoleo di Diocleziano - di cui, come si è già detto, non è chiara la dedicazione pagana (Adam pensava ad una dedicazione ad Esculapio/Asclepio[23]) – in battistero.
Il Tempio di Esculapio/Ascleio (?), oggi battistero
I due Templi erano precedentemente inseriti in un unico peristilio, in maniera da fronteggiarsi l’uno dinanzi all’altro. Anche tale Tempio si è conservato proprio perché trasformato in battistero, con la nuova dedicazione a San Giovanni Battista.
Il sarcofago ivi contenuto con l’iscrizione dell’arcivescovo Giovanni è da Marasović ritenuto proprio quello del primo vescovo di Spalato che avrebbe ereditato il titolo da Salona: sarebbe proprio il sepolcro di Giovanni da Ravenna, anche se su tale datazione del reperto gli storici sono discordi[24]. Il fonte battesimale stesso, invece, che è chiaramente ricostruito in epoche successive, non risalirebbe a questo primo periodo pre-carolingio.
Il caso di Spalato si rivela così simile all’evoluzione di altre città nell’alto medioevo, con la caratteristica, però, che qui la trasformazione fu più repentina a motivo della necessità di ristabilire le condizioni di vita basilari, dopo la distruzione slava di Salona.
Se si confronta l’evoluzione architettonica di Spalato con quella di Roma sono evidenti i parallelismi. L’impero, nonostante le invasioni “barbariche”, era una compagine che manteneva l’autorità sui territori e sui centri non occupati dagli invasori. Gli edifici pubblici, come i possedimenti imperiali e i templi, che ricadevano sotto la diretta giurisdizione statale, non potevano ricevere un nuovo uso senza il previo consenso dell’imperatore e dei suoi ufficiali. Nel caso di Spalato fu la necessità a spingere il massimo rappresentante cittadino Severo Magno a rivolgersi all’imperatore per chiedere di poter utilizzare l’intero palazzo per nuovi usi, mentre un rappresentante della chiesa, giunto da Ravenna, in accordo con lo stesso Severo Magno, inoltrò un’ulteriore richiesta per poter disporre nella nuova città nella quale si stavano trasferendo i fuggiaschi di Salona, un luogo che fungesse da cattedrale ed un secondo luogo che fungesse da battistero.
Come a Roma tale richiesta di un nuovo utilizzo di strutture pagane avvenne dopo che il paganesimo era ormai scomparso e, quindi, non prima degli inizi del VII secolo (a Roma nel 607, a Spalato intorno al 640).
Come a Roma, anche a Spalato, si salvarono dalla distruzione solo gli edifici romani trasformati in chiese: tutti gli altri vennero distrutti dalla popolazione laica per ricavare materiale da costruzione in tempi difficile nei quali non era più possibile far giungere da altri luoghi colonne, trabeazioni e altro materiale strutturale, così come elementi decorativi. A Roma si salvarono il Pantheon, il tempio di Antonino e Faustina, la Curia del Senato, e edifici consimili, perché trasformati in chiese, mentre tutti gli edifici imperiali vennero pian piano distrutti dalla popolazione, dopo che la città passò da una popolazione di un milione di abitanti - al tempo di Augusto - a quella di centomila abitanti in età altomedioevale. Anche edifici maestosi come il Colosseo e il teatro di Marcello divennero abitazioni private e solo gli interventi ottocenteschi liberarono il Colosseo dalle cave di calce e dalle abitazioni che vi si erano insediate nei secoli.
Spalato venne invece repentinamente occupata dalle famiglie che presero possesso di tutti i locali un tempo appartenenti al Palazzo di Diocleziano e solo il tempio di Giove/Mausoleo di Diocleziano e il tempio minore ancora oggi battistero si conservarono quasi integralmente, a motivo del loro utilizzo pubblico e non privato.
Spalato, sovrapposizione dell'antico e del moderno
Appendice 1/ Le reliquie dei santi custoditi nella cattedrale di Spalato
Nell’odierna cattedrale di Split/Spalato, dedicata all’Assunta, la seconda cappella a sinistra è quella dedicata a San Doimo, il vescovo di Salona che Diocleziano fece decapitare. La tradizione vuole che nel sarcofago siano conservate parte delle reliquie che non vennero trasferite a Roma. Nei due altari, invece, a fianco dell’altar maggiore, sono custodite le reliquie a sinistra di Sant’Anastasio e a destra di San Rainero.
Anche Sant’Anastasio è un martire di Diocleziano: era un commerciante di stoffe, originario di Aquileia che aveva voluto che una croce orasse il suo negozio. Diocleziano, nella sua violenza persecutoria, lo fece annegare nel fiume Jadro con una pietra di mola al collo.
San Raniero o Arnerio, era invece un monaco camaldolese, appartenente al monastero di Fonte Avellana che divenne vescovo prima di Cagli e poi di Spalato. Venne lapidato nel 1180, poiché cercava di ristabilire la giustizia in questioni di terreni e proprietà.
La cripta è dedicata invece a Santa Lucia: potrebbe essere stato il luogo dove in origine era posto il sarcofago di Diocleziano.
Appendice 2/ Le porte lignee della cattedrale
Le porte lignee della cattedrale di Spalato vennero scolpite da Andrea Buvina (oggi detto in croato Andrija Buvina) nel 1214.
Rappresentano in 28 pannelli la storia di Gesù.
Cominciando dalla porta di sinistra in alto si vedono (ove manca l’indicazione della scena ciò dipende dal fatto che non si è stati in grado di riconoscerla per la bassa qualità delle foto disponibili on-line):
1/ Annunciazione e Natività
2/ Viaggio dei Magi e Adorazione dei Magi
3/ Strage degli innocenti e Fuga in Egitto
4/ Presentazione al Tempio e Battesimo
5/ Nozze di Cana e Gesù servito dagli angeli
6/ ? e Samaritana
7/ Cieco nato e Resurrezione di Lazzaro
Nella porta di destra a partire dal basso si vedono:
1/ ? e ?
2/ Ingresso a Gerusalemme e Ultima cena
3/ Lavanda dei piedi e Preghiera nel Getsemani
4/ Bacio di Giuda e Processo di Gesù
5/ Flagellazione e Crocifissione
6/ Deposizione e Sepoltura
7/ Discesa agli Inferi e Ascensione
Note al testo
[1] Sul Palazzo di Diocleziano, cfr. R. Adam, M. Navarra (a cura di), Ruins of the Palace of the Emperor Diocletian at Spalato in Dalmatia, Cannitello, Biblioteca del Cenide, 2001 (che ripubblica la prima descrizione del Palazzo che lo rese famoso nel settecento), A. Lorenzi, Il palazzo di Diocleziano di Spalato, Firenze, Aion, 2012 e T. Marasović, Il Palazzo di Diocleziano - Il nucleo storico della citta di Spalato, Split-Zagreb, Naklada Nediljko Dominovic, 2008.
[2] Su Salona, vedi le voci nelle diverse enciclopedie Treccani, con relativa bibliografia, disponibili on-line: J. Vokotopoulou - K. Soueref, Salona, in Enciclopedia dell'Arte Antica (1997); M. Mirabella Roberti, Salona, in Enciclopedia dell'Arte Antica (1965); C. Cecchelli, Salona, in Enciclopedia Italiana (1936). Così sull’ordinamento della Dalmazia in età imperiale: M. Suić, Dalmazia (sottovoce della voce Provincie Romane, in Enciclopedia dell'Arte Antica (1971) e M. Pavan, Dalmatia, in Enciclopedia dell'Arte Antica (1959). Analogamente sulla Spalto imperiale: N. Cambi, Spalato, in Enciclopedia dell'Arte Antica (1997); M. Mirabella Roberti, Spalato, in Enciclopedia dell'Arte Antica (1966).
[3] Infatti a quel tempo il reperto conosciuto più recente degli scavi di Salona era il sarcofago della badessa Giovanna, databile all’anno 612 (cfr. T. Marasović, La Spalato dell'epoca precarolingia e carolingia, in “Hortus Artium Medievalium. Journal of the International Research Center for Late Antiquity and Middle Ages”, 8 (2002), p. 223.
[4] T. Marasović, La Spalato dell'epoca precarolingia e carolingia, in “Hortus Artium Medievalium. Journal of the International Research Center for Late Antiquity and Middle Ages”, 8 (2002), pp. 223-234.
[5] Le reliquie traslate in Roma e oggi custodite nella Cappella dei santi Venanzio e Domnione del Battistero Lateranense riguardano Venanzio (vescovo martire sotto Valeriano nl 257 [?]), Domnio vescovo martire con Diocleziano, Anastasio (commerciante martire sotto Diocleziano), Settimo (diacono martire sotto Valeriano o Diocleziano), Asterio (presbitero martire sotto Diocleziano), Paoliniano, Antiochiano, Gaiano e Telio (quattro soldati martiri sotto Diocleziano), Mauro (vescovo martire di Parenzo); cfr. su questo N. Cambi, Salona, in Nuovo dizionario patristico e di antichità cristiane, Marietti 1820, Genova-Milano, 2008, vol. III, coll. 4669-4672.
[6] G. Ostrogorsky, Storia dell’impero bizantino, Torino, Einaudi, pp. 85-86.
[7] Ostrogorsky ritiene ancora che la distruzione di Salona sia da datare al 614; cfr. G. Ostrogorsky, Storia dell’impero bizantino, Torino, Einaudi, p. 86.
[8] G. Ostrogorsky, Storia dell’impero bizantino, Torino, Einaudi, p. 86.
[9] Il glagolitico o glagolito è l’antico alfabeto degli slavi meridionali la cui scrittura venne inventata dai missionarî salonicensi Cirillo e Metodio. Il termine deriva forse da glagola ("dixit, inquit") che s’incontra spesso nei testi sacri paleoslavi e dipende dal corsivo greco del sec. IX. Il glagolitico è composto di 40 lettere. Venne utilizzato la prima volta probabilmente nell’863 (cfr. J.M. Veselý, Scrivere sull'acqua: Cirillo, Metodio, l'Europa, Milano, Jaca, 1982, pp. 62-63 e la voce A. Cronia, Glagolitico, in Enciclopedia Italiana Treccani, 1933, disponibile on-line). Nonostante sia stato osteggiato talvolta da Roma, venne difeso dalla Chiesa slava ed, in particolare, da san Gregorio di Nin (in croato Grgur Ninski): i sinodi di Spalato degli anni 925, 928, 1060, sono testimoni di tale conflitto: Roma, che lo aveva approvato in origine insieme al cirillico, creato dagli stessi Cirillo e Metodio per gli slavi settentrionali, ora lo proibì, ora lo permise. Il glagolitico deve comunque la sua origine e la sua sopravvivenza nel medioevo proprio alla Chiesa ed è segno dell’opera di cristianizzazione dei popoli slavi e del rispetto della loro cultura e tradizione. La creazione dell’alfabeto glagolitico da parte dei santi Cirillo e Metodio seguirebbe la conversione al cristianesimo del principe croato Viseslav di Nin (avvenuta intorno all’anno 800 d.C. secondo la storiografia ottocentesca) o la precederebbe (se la conversione fosse più tardiva e dovesse essere coeva alla nuova datazione dell’iscrizione del fonte battesimale di Nin, ora al Museo Correr di Venezia, che Jakšić propone di porre tra l’874 e l’886, nella missione compiuta dal presbitero Johannes, inviato da papa Giovanni VIII presso gli slavi meridionali; cfr. N. Jakšić, Una vasca battesimale altomedievale fra le due sponde dell’Adriatico, in A. Chavarría Arnau – M. Jurković, Alla ricerca di un passato complesso. Contributi in onore di Gian Pietro Brogiolo per il suo settantesimo compleanno, Zagreb - Motovun, 2016, pp. 243-256). L’iscrizione recita: HEC FONS NEMPE SUMIT INFIRMOS, UT REDDAT ILLUMINATOS. HIC EXPIANT SCELERA SUA, QUOD DE PRIMO SUMPSERUNT PARENTE, UT EFFICIANTUR CHRISTICOLE SALUBRITER CONFITENDO TRINUM PERENNE. HOC IOHANNES PRESBITER SUB TEMPORE VUISSISCLAVO DUCI OPUS BENE COMPOSUIT DEVOTE, IN HONORE VIDELICET SANCTI IOHANNIS BAPTISTE, UT INTERCEDAT PRO EO CLIENTULOQUE SUO.
[10] Tommaso Arcidiacono fu un personaggio del XIII secolo che ebbe modo di ascoltare personalmente da giovane la predicazione di Francesco d’Assisi. Si coinvolse nelle vicende del Comune di Spalato lottando per l’indipendenza del Comune stesso e della sua chiesa. La sua opera più famosa, con traduzione scientifica in inglese, è reperibile in Thomas, Archidiaconus Spalatensis, Historia Salonitanorum atque Spalatinorum pontificum - Thomas the Archdeacon, History of the Bishops of Salona and Split, O. Perić – D. Karbić – M. Matijević Sokol – J. Ross Sweeney (edd.), Budapest , Central European University Press, 2006 (Central European medieval texts, vol. 4). Il manoscritto è custodito nel tesoro della cattedrale di Spalato.
[11] Toma Arhiđako, Kronika, Split, Rismondo, 1977 (Tommaso Arcidiacono, Historia salonitana, in traduzione croata), p. 41, citato da T. Marasović, La Spalato dell'epoca precarolingia e carolingia, in “Hortus Artium Medievalium. Journal of the International Research Center for Late Antiquity and Middle Ages”, 8 (2002), p. 233.
[12] G. Ostrogorsky, Storia dell’impero bizantino, Torino, Einaudi, pp. 98-99.
[13] G. Ostrogorsky, Storia dell’impero bizantino, Torino, Einaudi, p. 107.
[14] Marasović ricorda altri due dati che concordano con tale datazione. Si ha notizia di un nipote di Severo Magno, vissuto al tempo dell’imperatore Teodosio III (715-717) e dalle fonti risulta anche che il quinto vescovo di Spalato, a cominciare ovviamente da Giovanni di Ravenna, visse sotto lo stesso imperatore: risalendo all’indietro ben si collocano alla metà del VII secolo, allora, il nonno di tale nipote e il primo vescovo a cui seguirono poi i quattro successori; cfr. su questo T. Marasović, La Spalato dell'epoca precarolingia e carolingia, in “Hortus Artium Medievalium. Journal of the International Research Center for Late Antiquity and Middle Ages”, 8 (2002), pp. 225-226.
[15] T. Marasović, La Spalato dell'epoca precarolingia e carolingia, in “Hortus Artium Medievalium. Journal of the International Research Center for Late Antiquity and Middle Ages”, 8 (2002), p. 224.
[16] T. Marasović, La Spalato dell'epoca precarolingia e carolingia, in “Hortus Artium Medievalium. Journal of the International Research Center for Late Antiquity and Middle Ages”, 8 (2002), p. 226.
[17] Toma Arhiđako, Kronika, Split, Rismondo, 1977 (Tommaso Arcidiacono, Historia salonitana, in traduzione croata), p. 41, citato da T. Marasović, La Spalato dell'epoca precarolingia e carolingia, in “Hortus Artium Medievalium. Journal of the International Research Center for Late Antiquity and Middle Ages”, 8 (2002), p. 226.
[18] T. Marasović, La Spalato dell'epoca precarolingia e carolingia, in “Hortus Artium Medievalium. Journal of the International Research Center for Late Antiquity and Middle Ages”, 8 (2002), p. 224.
[19] T. Marasović, La Spalato dell'epoca precarolingia e carolingia, in “Hortus Artium Medievalium. Journal of the International Research Center for Late Antiquity and Middle Ages”, 8 (2002), p. 225, che cita Toma Arhiđako, Kronika, Split, Rismondo, 1977 (Tommaso Arcidiacono, Historia salonitana, in traduzione croata), p. 41.
[20] J. Gaudemet, La legislazione antipagana da Costantino a Giustiniano, in P.F. Beatrice (a cura di), L’intolleranza cristiana nei confronti dei pagani, Bologna, EDB, 1990, p. 31.
[21] Cfr. su questo A. Lonardo, Il potere necessario. I vescovi di Roma e il governo temporale da Sabiniano a Zaccaria (604-752), Roma, Antonianum, 2012, pp. 70-72.
[22] T. Marasović, La Spalato dell'epoca precarolingia e carolingia, in “Hortus Artium Medievalium. Journal of the International Research Center for Late Antiquity and Middle Ages”, 8 (2002), p. 229, che cita Toma Arhiđako, Kronika, Split, Rismondo, 1977 (Tommaso Arcidiacono, Historia salonitana, in traduzione croata), p. 41.
[23] R. Adam, M. Navarra (a cura di), Ruins of the Palace of the Emperor Diocletian at Spalato in Dalmatia, Cannitello, Biblioteca del Cenide, 2001, tavole XL ss.
[24] T. Marasović, La Spalato dell'epoca precarolingia e carolingia, in “Hortus Artium Medievalium. Journal of the International Research Center for Late Antiquity and Middle Ages”, 8 (2002), p. 226.