La preghiera dei Giovani, che raggiunge le Vette. Riflessione dopo la passeggiata notturna verso il monte, in attesa dell’alba, di Paolo Ricciardi
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Riprendiamo sul nostro sito un articolo di don Paolo Ricciardi, parroco della parrocchia di San Carlo da Sezze in Roma. Per approfondimenti, cfr. la sezione Tempo libero.
Il Centro culturale Gli scritti (17/9/2017)
29 luglio 2017
Ho imparato a riconoscere che il Signore si serve di tutto per continuare ad insegnarmi qualcosa.
Nel penultimo giorno della settimana di “Campo-Vacanza”, con i giovani della mia comunità, abbiamo vissuto, per illuminata proposta del mio viceparroco – innamorato della montagna – una sveglia notturna, alle 3.00, per poi camminare nella notte verso una cima più alta e lì celebrare la messa dell’alba.
Già il pensiero di questa esperienza non poteva che metterci curiosità e un senso di meraviglia, per eventi che capitano poche volte nella vita.
E così ci siamo ritrovati, in un clima surreale di silenzio e con un po’ di sonno, a prendere il pullman alle 3.30 della notte per cominciare ad andare in alto, passando vari tornanti, fino a Passo Rolle, nel buio assoluto.
La salita in pullman è stata allietata anche dall’improvvisa comparsa di un cerbiatto davanti a noi, illuminato dai nostri fari, che ha cominciato a saltellare in fuga sulla strada asfaltata, per poi ritrovare rifugio tra i monti.
Scesi dal pullman, ci ha accolto un manto di stelle. Bellissimo.
E anche qualche stella cadente, perché potessimo esprimere un desiderio.
E poi… in marcia.
Un’ora di salita, un percorso semplice, con una settantina di persone in cammino nella notte, a gruppetti da dieci-undici, tutte avvolte da felpe e giacche a vento, con il telefono in mano nella funzione di piccola torcia.
In un’atmosfera di Silenzio che non veniva da noi.
Abbiamo chiesto ai giovani di recitare il Rosario, salendo.
Anch’io mi sono aggregato ad un gruppetto e, in qualità di parroco, ho guidato la preghiera, chiedendo ai maschietti presenti di recitare con me la prima parte dell’Ave Maria, per lasciare la seconda parte alle ragazze.
Sarà stata l’aria notturna e l’altitudine – o l’età – ma il respiro, parlando, mi veniva a mancare, complici il freddo notturno e il sonno.
“Ave Maria, piena di grazia, il Signore è con te. Tu sei benedetta fra le donne…” mi fermavo qui, il mio fiato non mi permetteva oltre… Per fortuna c’era qualcun altro accanto, in particolare il giovane Samuele, con trenta anni meno di me (forse come gli altri ragazzi neanche abituato a pregare – tantomeno il rosario) che con più fiato di me riusciva a dire “…e benedetto il frutto del tuo seno, Gesù”.
E così, avanti per 50 “Ave Maria”, con il mio silenzio colmato dalla voce di Samuele.
In molte occasioni ho chiesto a tanti di pregare per i giovani. In quella notte mi sono accorto che non avevo ancora avuto veramente il coraggio di chiedere ai giovani di pregare con me e per me.
Mi serviva la mancanza del respiro, per permettere ad un giovane di prestarmi la voce, un giovane che, come il profeta Samuele, nella notte sente la voce di Dio senza riconoscerlo subito, se non grazie all’aiuto del sacerdote Eli. Ma in realtà è lui a stupire il vecchio sacerdote con la sua semplice apertura di cuore, in un tempo in cui la Parola del Signore era rara (Cfr. 1 Sam 3,1-21).
Abbiamo il dovere di chiedere ai giovani di pregare per noi e con noi, perché sia benedetto Gesù con la loro voce e il loro cuore.
Abbiamo bisogno di farci sostenere le braccia da loro, come Mosè che sulla cima del colle prega a mani alzate per la vittoria di Giosuè contro il nemico Amalek; e finché ha le mani alzate Israele è più forte, ma quando abbassa le mani per la stanchezza, risulta più forte Amalek. Allora Aronne e Cur pongono una pietra sotto di lui per farlo sedere e sostengono le sue braccia fino al tramonto (cfr. Es 17, 8-16). Grazie alla preghiera di Mosè, il popolo conquista la vittoria.
Se i giovani, più forti, ci sostengono le mani, allora possiamo vincere ancora contro i “nemici” del mondo di oggi. Abbiamo il dovere di salire con loro i monti della vita, pregando, anche nella notte più scura, fidandoci della sola luce delle stelle, affidandoci ai desideri del cuore.
E non dobbiamo temere di “fuggire” come il cerbiatto, con loro, verso rifugi sicuri, in quella “fuga” che solo l’Amore sa concedere, come si esprime l’ultimo versetto del Cantico: “Fuggi, amato mio, simile a gazzella o a cerbiatto sopra i monti dei balsami!” (Ct 8,14).
L’amore è un’Avventura sempre aperta.