La bufala della cintura di castità medievale. Perché siamo convinti che i cavalieri Crociati obbligassero le loro mogli a indossare strumenti di tortura? Ecco com’è nato il mito, di Stefano Dalla Casa
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Riprendiamo dal sito www.wired.it un articolo di Stefano Dalla Casa del 9/10/2015. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti. cfr la sezione Medioevo.
Il Centro culturale Gli scritti (17/9/2017)
La cintura di castità ridicolizzata in una caricatura olandese
(foto: Heinrich Wirrich, Pubblico Dominio via Wikimedia Commons)
Basta entrare in un qualunque museo della tortura ed eccola davanti a noi: la cintura di castità, un diabolico strumento con cui gli uomini nei secoli bui si assicuravano la fedeltà della donna. Ci tornano in mente De André e le Crociate, perché sarebbero stati appunto questi militari a imporre nel Medioevo l’uso dello strumento per garantire la virtù delle consorti durante le loro scorribande in Terra Santa.
Tutto questo è un mito: la cintura di castità medievale non è mai esistita, e gli storici lo sanno benissimo. Perché allora l’idea di questo oggetto si è radicata così bene nelle nostre menti? Ha provato a rispondere il professor Albrecht Classen (University of Arizona) nel libro The Medieval Chastity Belt: A Myth-making Process (Palgrave Macmillan, 2007). Durante la scorsa estate l’autore è stato intervistato dalla rivista Atlas Obscura, alla quale ha così spiegato la ragione del suo lavoro.
«Come medievalista un giorno ho pensato: non posso più sopportare tutto questo. È un argomento di ricerca abbastanza circoscritto: potrei esaminare tutto quello che è stato scritto a riguardo, e spazzare via il mito in un colpo solo».
Il Medioevo che non c’era: Terra piatta e Ius primae noctis
Nel libro il professor Classen mette da subito in chiaro che la cintura di castità è solo uno dei tanti miti che si sono formati sul Medioevo. Anche la convinzione che Cristoforo Colombo abbia potuto raggiungere le Americhe perché convinto che la Terra fosse rotonda anziché piatta non ha alcun fondamento nella realtà.
Il falso storico del navigatore genovese che a Salamanca cerca di convincere una commissione di saggi che la Terra è rotonda e, quindi, il suo viaggio è realizzabile, ha però una portata molto più ampia dell’episodio stesso. Colombo nel mito non solo diventa la luce della ragione che si contrappone all’oscurantismo delle Sacre Scritture, ma in questo modo l’intero Medioevo rafforza la sua fama di età buia che si può agevolmente contrapporre alla civiltà dei periodi successivi.
Lo stesso vale per lo ius primae noctis, cioè il diritto dei sovrani a giacere con ogni donna si sposasse sul territorio da loro controllato. Il mito in questo caso deve il suo successo al tema del controllo della sessualità, in questo caso esercitata non dal marito (come nel caso della cintura di castità) ma dal potente di turno. Nel nostro stereotipo di medioevo, episodi come questi diventano plausibili anche se in realtà sono fantasie, e in entrambi i casi si sono consolidati in veri e propri miti che sono sopravvissuti fino a noi.
La cintura di castità come allegoria
La cintura di castità non è molto diversa dagli altri miti medievali, ma la sua popolarità è probabilmente maggiore. Classen ricorda in particolare il contributo del film di Woody Allen Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso* (*ma non avete mai osato chiedere) tratto dall’omonimo libro del sessuologo David Reuben.
La cintura di castità viene descritta del libro, e nel film viene mostra all’opera con conseguenze esilaranti. Ma Allen, mettendo in ridicolo i contenuti del libro, si è forse avvicinato all’essenza delle cintura di castità meglio di chiunque altro: l’oggetto infatti è citato in alcuni testi medievali, ma in queste fonti l’intento era invariabilmente comico o allegorico, cioè non si riferivano a qualcosa che esisteva fisicamente.
Esistono poi alcuni disegni di età Medievale, mentre durante il Rinascimento la cintura di castità nelle opere d’arte divenne un ingrediente molto frequente, ma lo storico spiega che oggi il disegno di un disco volante non è certo una prova dell’esistenza degli alieni. Inoltre, anche le rappresentazioni artistiche delle cinture di castità hanno chiaramente un intento satirico, e ci mostrano spesso un secondo uomo con una copia della chiave pronto ad aggirare la gelosia del marito. In effetti, anche nel medioevo peggiore che possiamo inventarci, un dispositivo come una cintura di castità sarebbe stato difficile da impiegare: non solo la mancanza di igiene sarebbe stata insostenibile (e possibilmente letale), ma procurarsi una copia della chiave non sarebbe certo stato molto complicato.
Per quanto riguarda gli oggetti che ancora si vedono in molti musei, sembra certo che nessuno di essi risalga al medioevo, e che siano invece stati fabbricati molto più di recente. A partire dal diciottesimo secolo cominciano infatti a essere regolarmente esposti strumenti di tortura attribuiti all’età Medievale, molti dei quali erano però inventati (come la Vergine di Norimberga) e, appunto, le cinture di castità. Successivamente diversi accademici estranei all’indagine storiografica contribuirono a legittimare il mito.
Insomma, per alcuni un dispositivo che controlla in modo così brutale la sessualità femminile non deve certo sembrare fuori posto nel barbaro Medioevo, e incarna perfettamente gli abusi che le donne di ogni epoca hanno regolarmente subito. Per molti altri invece è uno dei tanti strumenti di tortura in grado di titillare le proprie fantasie erotiche, e questo è più che sufficiente a far scivolare in secondo piano i dubbi sulla sua effettiva esistenza. Classen nel libro commenta:
«Apparentemente la notevole popolarità di cui gode la cintura di castità all’interno di certi circoli, ben rappresentata sul World Wide Web e quale giocattolo per pratiche sadomasochistiche tra i più favoriti, ha portato a un ultimo tentativo di verificare e confermare la sua autenticità storica. Lunga vita al mito!»