Immigrazione, accoglienza, diritti eguali per tutti (a dieci anni dall’approvazione della Carta dei Valori), di Carlo Cardia
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Presentiamo sul nostro sito, per gentile concessione dell’autore, la Conferenza da lui tenuta il 5 aprile 2017 per gli studenti delle scuole superiori, presso l’IPSIA di Parma. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Immigrazione, integrazione e intercultura.
Il Centro culturale Gli scritti (12/8/2017)
SOMMARIO. 1. Premessa. 2. Orizzonte dei diritti umani e nuovo millennio. 3. Diversi livelli d’evoluzione nella storia e tra i popoli. 4. Accoglienza per regole eguali per tutti. 5. Rispetto della persona, questione dei simboli. 6. Eguaglianza e solidarietà, i valori a rischio.
1. PREMESSA.
Quando il ministro Giuliano Amato mi chiese di stendere la Carta dei Valori, incontrando presso il Ministero dell’Interno i rappresentanti delle principali comunità di immigrati, di tutti i culti, e dell’Islam in particolare, mi fece tornare giovane. Perché quello che mi affidò era un incarico di frontiera, come un altro che avevo ricevuto nel 1976 da Enrico Berlinguer di rappresentarlo presso le Confessioni religiose, presso la Santa Sede in particolare, anche per realizzare la riforma del Concordato e le Intese con le Confessioni Avventista, Pentecostale (Assemblee di Dio in Italia - ADI) ed Ebraica.
Svolsi l’incarico affidatomi da Berlinguer in stretta collaborazione con Pietro Ingrao, Presidente della Camera, di cui ero Consigliere costituzionale, e con Paolo Bufalini, una delle persone più straordinarie della cultura e della politica italiana, e con il tempo mi vennero affidati diversi altri incarichi, ormai a livello governativo, per la riforma generale della legislazione ecclesiastica, per le Intese concordatarie sull’insegnamento religioso nelle scuola, per i beni culturali di interesse religioso, e via di seguito. Anche per questa ragione, l’incarico per la Carta dei Valori, nel 2006, ha esteso ancor di più l’orizzonte dei rapporti di interlocuzione, degli studi e approfondimento, della collaborazione a tutte le realtà dell’immigrazione, anche nelle sue componenti religiose.
Questo indirizzo, e questa esperienza, che hanno segnato la mia vita, aprirono un mondo nuovo, unico nel suo genere: entrai in contatto con Cardinali, Vescovi, Pastori protestanti, Rabbini, Imam, con personalità religiose d’ogni tradizione, livello e carattere. Gente bellissima, bravissima, tutti però con un tratto comune che mi colpì, e che ha fatto crescere, quasi radicato nell’animo, una tolleranza e una concezione laica profonde: tutti erano convinti e sicuri di essere nel possesso della verità assoluta, tanto che alcuni di loro, pur con garbo e gentilezza, fecero trasparire un certo desiderio di convertirmi, anche in basse alla convinzione del tutto erronea per la quale, essendo io di sinistra, quasi certamente non coltivavo una fede religiosa. Devo riconoscere che è stata un’esperienza fantastica, come fantastica nello specifico è stata l’esperienza della Carta dei Valori, per la quale lavorammo un anno e mezzo al Ministero dell’Interno incontrando esponenti delle diverse comunità d’immigrati, i dirigenti di strutture e articolazioni dell’Islam, rappresentanze della società civile, sindacati. E producemmo due documenti, la Carta dei Valori della Cittadinanza e dell’Integrazione del 2007, e la Dichiarazione di Intenti del 2008con la quale l’Islam moderato si riconosceva nei valori fondamentali della nostra Costituzione e delle Carte internazionali dei diritti umani, e dichiarava di volersi organizzare in Confessione religiosa ai sensi dell’articolo 8, 2° comma della Costituzione italiana.
2. ORIZZONTE DEI DIRITTI UMANI E NUOVO MILLENNIO
Prima di soffermarmi sul secondo Documento, desidero dirvi cosa ha unito, e cosa accomuna, questi due segmenti della mia vita a servizio delle Istituzioni. Due parole li tengono uniti: libertà religiosa e diritti umani riconosciuti a tutti, senza distinzione di tradizioni, cultura, sesso opinioni e condizioni sociali. E se il Concordato e le Intese hanno promosso il pluralismo nell’ambito della nostra tradizione religiosa giudaico-cristiana, con prevalenza cattolica, la Carta dei Valori l’ha esteso a tutti, l’ha applicato al variegato mondo dell’immigrazione, a tutti coloro che si stabiliscono sui nostri territori, da qualunque parte del mondo vengano. Si tratta di un filo conduttore ricco di potenzialità e contenuti, che può far crescere la nostra società, e contribuire a risolvere tanti problemi, anche quelli che a volte ci sembrano difficili o insolubili.
Riflettiamo per un momento sul fatto che i rapporti con l’Islam sembrano, per l’Occidente, i più difficili da costruire, e non di rado si parla di una totale incompatibilità tra le nostre tradizioni e la religione islamica, e leggiamo insieme alcuni passaggi della Dichiarazione d’Intenti, che è stata il primo frutto della Carta dei Valori, sottoscritta nel 2008 dai principali esponenti musulmani presenti in Italia, in vista della formazione di una Federazione dell’Islam italiano. Nella Dichiarazione è scritto che, “insieme a altri esponenti musulmani, abbiamo aderito con entusiasmo alla Carta dei Valori e abbiamo iniziato un lavoro comune per dare vita ad una Federazione islamica che si riconosca pienamente nei principi della Costituzione italiana e unisca i musulmani che vivono in Italia, oggi dispersi in tanti rivoli, gruppi, strutture, di cui non sempre si conoscono dimensioni e attività”. Ci si sofferma poi in modo dettagliato sul programma che s’intende realizzare:
“a. aggregare le organizzazioni musulmane esistenti che condividono i principi della Costituzione italiana e della Carta dei Valori;
b. riconoscere il valore della sacralità della vita e difendere la persona umana contro ogni forma di violenza, di razzismo, di disprezzo per la sua umanità, come pratiche contrarie alla religione e all’Islam in particolare;
c. agire nel rispetto del diritto di libertà religiosa, che spetta a chiunque e in qualunque parte del mondo, e del principio di eguaglianza tra uomo e donna che deve essere realizzato per favorire il pieno sviluppo della persona umana;
d. far divenire sempre più le comunità musulmane parti attive della comunità civile nel rispetto del patrimonio di valori spirituali, religiosi e laici, della nazione italiana la cui storia cristiana e la cui Costituzione testimoniano della capacità di accoglienza verso gli altri popoli, culture, religioni”.
Ho letto questi passaggi per più ragioni. Essi sono il frutto di una discussione vera, tanto che alcuni esponenti musulmani non hanno voluto sottoscrivere la Dichiarazione di Intenti, come non avevano sottoscritto la Carta dei Valori.
In secondo luogo, dalle parole che abbiamo letto traiamo facilmente la convinzione che, se fossero tradotte in pratica e divenissero operative nella esperienza dei musulmani presenti in Italia, noi avremmo risolto una parte consistente dei problemi dell’integrazione. Infine, viene da lì un messaggio di ottimismo (pur temperato) su cui ci soffermeremmo più avanti. Quelle parole ci dicono che è possibile superare gli ostacoli, anche quelli che oggi sembrano insuperabili, è possibile unirsi attorno a valori comuni, riconoscerli come base e fondamento di una società ricca e articolata. L’ottimismo è proprio dei giovani, ma esso può proiettarsi nelle età successive perché poggia a sua volta su due elementi: la passione, la convinzione, con cui ci si impegna per realizzare i nostri ideali e obiettivi; il fondamento razionale che alimenta questa speciale forma di fiducia nella possibilità concreta di unire e amalgamare popolazioni e persone di diversa tradizione e cultura.
Chiediamoci allora qual è il fondamento razionale di un ottimismo che si afferma nell’era dell’immigrazione e della globalizzazione. Esso consiste nella convinzione e constatazione che l’uomo è per natura ed eccellenza sua, un essere evolutivo, una entità che, come singolo e come collettività, cresce, si sviluppa, si evolve di continuo, come d’altronde è capace di regredire, di vivere l’evoluzione al contrario, di fare balzi indietro nella storia. Per i nostri studi, sappiamo che abbiamo fatto tanti salti evolutivi, sui nostri territori e su altre parti del pianeta, nel passato e nei tempi più recenti, e tutti contribuiscono a spiegare perché l’evoluzione genera fiducia e perché la fiducia alimenta l’ottimismo nei confronti degli altri, di noi stessi: tutti siamo capaci di cambiare, modificarci, respingere le tentazioni autoritarie, e quelle che vogliono creare diseguaglianza, asservimento, che risorgono continuamente nel corso del cammino storico che abbiamo vissuto.
3. DIVERSI LIVELLI D’EVOLUZIONE NELLA STORIA E TRA I POPOLI
L’intera storia dell’uomo è storia d’evoluzione. Anche le civiltà e le religioni si affinano nel tempo, hanno cadute e salti di qualità, fino a raggiungere risultati stabili (li chiamiamo livello di civiltà) che noi ereditiamo dal passato, dai genitori, e a nostra volta trasmettiamo alle nuove generazioni. Osserviamo il primo carattere specifico che riguarda l’immigrazione e la globalizzazione: esse si presentano a noi come fenomeni improvvisi, senza rapporti col passato, come eventi sorprendenti e indecifrabili. In effetti, all’improvviso le pagine della storia si confondono, sullo stesso territorio, il nostro tradizionale, si incontrano popoli e persone che si conoscevano soltanto dai libri, ciascuno con un livello evolutivo diverso. Noi sappiamo abituarci a cambiamenti più lenti, siamo meno capaci di comprendere sbalzi storici improvvisi che esplodono a livello planetario.
L’Europa e l’Occidente hanno impiegato secoli per essere ciò che sono oggi, e solo con grande fatica, abbiamo raggiunto risultati che consideriamo naturali, ma che tali non sono. Anche il cristianesimo si è evoluto attraverso un lungo cammino. L’uomo ha conosciuto Dio gradualmente, ha affinato la sua etica, costruito la civiltà attraverso progressi e drammatiche regressioni. Il Dio del Vecchio Testamento lentamente è divenuto il Dio dell’amore del Vangelo, il cristianesimo ha cancellato violenza e sacrificio degli animali dal rito religioso, ha costruito i templi della modernità, luoghi di preghiera nei quali l’uomo parla con Dio nella sua interiorità. Ha poi iniziato a scavare nella coscienza d’ogni persona, innestando e diffondendo una visione etica che cancellava anche la violenza dai rapporti tra gli uomini, difendendo la vita sin dagli inizi, ponendo le basi di quella eguaglianza tra gli esseri umani che tenderà a realizzarsi nel corso dei secoli tra infinite sofferenze e angustie.
Questo cambiamento epocale fa del cristianesimo la religione spirituale per eccellenza, che ha costruito civiltà, interiorità, cultura, che si sono diffuse nel mondo senza subire una vera concorrenza da parte di altri. E tuttavia anche il cristianesimo a un certo punto è stato imbrigliato nelle maglie di regressi e involuzioni storiche che restano come macchie indelebili della sua identità. Ha dovuto superare l’orrore dell’Inquisizione, che divideva gli uomini in buoni e cattivi, che puniva gli ‘eretici’ per le loro idee con pene terribili fino alla morte. E ha dovuto superare l’istinto oppressivo dell’uomo che crea la schiavitù, esistita fino all’ottocento con le sue mostruosità razziste e poi fin quasi ai giorni nostri con l’antisemitismo e la ferocia dei genocidi. Infine, ha dovuto confrontarsi con il grande tema dell’eguaglianza tra uomo e donna che più di tutti ha diviso l’umanità e che deve ancora produrre i suoi frutti in tante parti del pianeta.
Se vogliamo guardare a epigoni minori di questi mali storici, basterà ricordare che nel nostro Paese fino a pochi decenni addietro esisteva ancora il c.d. delitto d’onore, parzialmente giustificato dalle nostre leggi. E per l’accesso pieno delle ragazze all’Università, poi alle carriere direttive (insegnamento, magistratura, e altro) s’è dovuto attendere tutto il Novecento per vedere i primi risultati positivi, e poi scoprire che in tanti campi del pensiero e dell’azione le donne sono migliori, più capaci, degli uomini. Però, nel resto nel mondo, sembra d’essere ancora in epoca pre-cristiana con lo sfruttamento della donna, la sua emarginazione e umiliazione.
Potremmo soffermarci anche su un tema apparentemente secondario, relativo al nostro rapporto con la natura e il mondo animale, sul quale pesa l’impostazione biblica (meglio, una particolare interpretazione che ne è stata data fino ai giorni nostri) dell’assoggettamento e dello sfruttamento di tutto ciò che non è umano ai desideri (spesso ai capricci) della specie umana. Noi sappiamo che in altre tradizioni, e religioni, è durata a lungo la pratica dei sacrifici animali rituali, e perdurano ancora oggi pratiche dolorose per gli animali, causate da precetti (più o meno autentici) religiosi. Ma anche noi, fuori di un contesto religioso, amiamo a tutt’oggi seviziare e maltrattare gli animali, ad esempio in pratiche crudeli come la corrida o la c.d. caccia alla volpe, dove si manifestano istinti primordiali di accanimento nei confronti di creature comunque innocenti. Questa crudeltà sembra stia diminuendo, in Inghilterra, in Spagna, occorrerà vedere se sparirà del tutto.
Fermiamoci a riflettere un attimo. Ho richiamato tanti nostri traguardi che ci rendono diversi dagli altri, e certamente più avanzati rispetto a tradizioni e religioni che non hanno vissuto la nostra evoluzione, ma ho citato anche molti limiti della nostra civiltà, durati a lungo, alcuni che permangono ancora oggi. E ciò ci deve indurre ad una meditazione umile, e onesta, su noi e sugli altri con cui veniamo a contatto. Gli esseri umani sono tutti figli di una stessa storia, ma diversificata e diacronica, e all’improvviso s’incontrano e scoprono di dover intrecciare e mischiare le proprie identità, con i rispettivi limiti e progressi: di qui, il primo traguardo che dobbiamo cercare di perseguire, quello di mettere insieme tutto ciò che di bello, positivo, progressivo abbiamo costruito, ma anche di saper criticare e superare le negatività che in tanti campi ci portiamo appresso, e che a volte appare all’improvviso davanti ai nostri occhi.
Guardiamo ad alcune piaghe che affliggono i rapporti tra le persone nell’epoca della globalizzazione. Sappiamo che esiste in diversi luoghi il fenomeno delle spose bambine, che vengono defraudate della loro infanzia e della loro libertà per essere consegnate a adulti come merce da sfruttare. Come esiste quell’orribile pratica dell’infibulazione che, in alcune aree geografiche umilia e ferisce la donna nella sua femminilità e intimità. Soprattutto, però, siamo consapevoli del fatto che in alcune tradizioni e religioni la donna vive ancora in una condizione di sistematica inferiorità e subalternità dentro e fuori la famiglia e che questa aberrazione va storicamente e giuridicamente combattuta ed eliminata perché le donne possano conquistare quel diritto all’eguaglianza che sembra ancora oggi un miraggio, un’illusione da realizzare. Infine, sappiamo tutti per averlo visto soprattutto negli ultimi anni, si sono diffuse numerose e gravissime forme di violenza motivate dalla religione, che vengono da un lontano e oscuro passato, e che, secondo le parole di Papa Francesco, offendono e deturpano il concetto stesso di religione, la sua intima sostanza di amore e solidarietà, costituiscono una vera bestemmia agli occhi di Dio e all’interno dell’umanità.
Tornerò su questi argomenti più avanti. Ma adesso dobbiamo guadare anche alle nostre responsabilità, ai regressi che stiamo vivendo, ai grandi limiti delle nostre società, che spesso non vogliamo riconoscere. Ricordo, in primo luogo, le tante forme di sfruttamento, sul lavoro e in altri ambiti, cui sono sottoposti gli immigrati che vengono da noi senza aver nulla di loro, avendo bisogno di tutto, anche della capacità di orizzontarsi in un mondo complesso come quello europeo e occidentale. Guardiamo poi da vicino alcuni fenomeni, tipicamente occidentali, ai quali si fa poca attenzione ma che rappresentano vere e proprie cadute di civiltà rispetto alla nostra anche più recente tradizione. Abbiamo visto che su giornali e riviste, in Francia ma a volte anche da noi, appaiono terribili vignette satiriche, o disegni e opere, che offendono in modo osceno e disumano la religione, o quella cristiana, e altre ancora, e che sono giunte al punto di irridere perfino le vittime di calamità naturali, di terremoti così frequenti nei tempi più recenti. Oltre questo regresso di civiltà, c’è stato di recente chi ha sostenuto che la libertà di offendere deve essere accettata e tutelata, anche perché ad essa corrisponde l’eguale libertà di rispondere con altre offese, dileggi, che pareggiano il conto. Sembrerebbe uno scherzo, ma non lo è, anzi la prassi giuridica e intellettuali presuntivamente libertari hanno confermato l’esistenza di un diritto individuale di critica e di satira, a chiunque diretto e comunque si manifesti. Dovremmo allora concludere che la nostra Repubblica, gli Stati costituzionali moderni sarebbero fondati sul diritto di offendersi reciprocamente, con l’affossamento dei principi e valori cristiani e liberali di rispetto degli altri, delle loro opinioni, della loro fede. Un regresso formidabile verso il passato, la cancellazione di un’evoluzione secolare che ci aveva affinato, e addolcito i nostri costumi.
In questo modo, non intendo operare parallelismi tra le nostre arretratezze e quelle degli altri. Voglio però ricordare a tutti noi che non dobbiamo mai ergerci facilmente a giudici infallibili, fare lezioni di progresso e di civiltà, dimenticando i nostri errori e le nostre cadute. Non a caso, il documento di cui oggi ricordiamo il decennale si chiama “Carta dei Valori della cittadinanza e dell’immigrazione”, perché non è diretta solo a chi viene sui nostri territori per rimanervi più o meno stabilmente, ma anche a chi già è cittadino italiano e deve perciò stesso rispettare i principi, i valori, i doveri civili e morali, che fanno parte della nostra tradizione e che sono confermati dalla Costituzione italiana e dalle Carte internazionali dei diritti umani.
4. ACCOGLIENZA CON REGOLE EGUALI PER TUTTI
Veniamo adesso ad un punto che è prodromico alla Carta dei Valori, e che riguarda la critica rivolta al concetto di accoglienza dei migranti come formulato da Papa Francesco, dai nostri governanti, da tanti altri che sono impegnati nelle relative opere sociali. È una critica che sarebbe legittima se ci trovassimo di fronte ad un’apertura indiscriminata a chiunque intenda venire da noi, senza stabilire regole e limiti quantitativi e qualitativi: a volte, si ha l’impressione che sia così, e l’orientamento di alcune forze politiche, sembrano andare in questa direzione. Ma la realtà è più complessa, la critica rivolta a posizioni estremiste non di rado è come una cortina fumogena che vuole nascondere la ricerca di una accoglienza ragionata e ragionevole, che guarda al futuro con lungimiranza.
Pensiamo, ad esempio, a Papa Francesco, che più di tutti si spende con il suo magistero per l’accoglienza di tutti coloro che vengono da lontano, e che però nei primi di novembre, tornando da un viaggio in Svezia, ha ricordato che i Paesi europei e non europei devono misurare la propria capacità d’integrazione. In caso contrario, ha sottolineato, si corrono dei rischi seri, si “finiscono per creare dei ghetti”: “migrare è un diritto, ma un diritto molto regolato”, perché “ci deve essere anche la prudenza dei governanti che credo debbano essere molto aperti nel riceverli ma anche fare un calcolo di come poterli sistemare”. E ha concluso che “quando un migrante non è integrato, si ghettizza, entra in un ghetto, e una cultura che non si sviluppa in un rapporto con un’altra cultura che non si sviluppa in un rapporto con un’altra cultura entra in conflitto, e questo è pericoloso”.
Di recente, il nostro Ministro dell’Interno ha individuato nell’integrazione il vero l’obiettivo da perseguire a vantaggio degli immigrati e di chi li accoglie, e ha aggiunto che “noi dobbiamo rimpatriare chi non ha diritto e viola le regole, ma dobbiamo accogliere e integrare chi ha diritto”. Il Ministro ha proseguito su questa strada anche di recente, e lo stesso presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha ricordato che accanto al diritto dell’accoglienza esistono i doveri di tutti i Paesi europei nell’accollarsi ciascuno gli oneri materiali e civili dell’immigrazione. Progressivamente, poi, l’Occidente intero sta prendendo coscienza che l’impegno morale per l’accoglienza deve coniugarsi con i criteri di razionalità e sostenibilità economica che garantiscono le popolazioni e le persone che sono coinvolte nel fenomeno globale della trasmigrazione.
Si deve riconoscere, per la verità, che tra i soggetti più lungimirante nel vedere in anticipo i problemi dell’accoglienza è stata proprio la Chiesa, e la dottrina sociale degli ultimi Pontefici. Il più grande papa riformatore della modernità, Paolo VI, ha affrontato per primo la questione nell’Enciclica del 1967, la “Populorum Progressio”, di cui quest’anno ricorre il cinquantenario, e ha affermato che per superare il fossato che divide i popoli poveri da quelli ricchi occorre spendere per l’istruzione, perché “un analfabeta è uno spirito sotto alimentato”, “affrancare i poveri dalla miseria, liberarli da ogni forma d’oppressione”. Sono seguite poi le indicazioni di Benedetto XVI per il quale l’integrazione deve avere come obiettivo quello di “salvaguardare le esigenze e i diritti delle persone e delle famiglie emigrate e, al tempo stesso, quelli della società di approdo degli stessi emigrati”.
Si pone qui la domanda cruciale, che ci conduce al merito della Carta dei Valori: è possibile realizzare l’integrazione con regole eque e umane, è possibile coniugare l’accoglienza con i diritti di tutti, immigrati e cittadini? Io credo di si, penso che questo sia il compito di tutti noi, soprattutto di voi giovani che vivrete sempre più in un mondo globalizzato, nel quale la circolazione delle persone crescerà esponenzialmente, le popolazioni si incontreranno, ciascuno con il proprio baglio di tradizioni, culture, religioni. Guardiamo ai capisaldi del documento del 2007, che provocò positivamente discussioni e approfondimenti con i nostri interlocutori e portarono a formulazioni conclusioni condivise.
Il primo caposaldo riguarda la nostra identità storica e ideale, e il nostro tradizionale rapporto con le popolazioni euro-mediterranee: “l’Italia è uno dei Paesi più antichi d’Europa che affonda le radici nella cultura classica della Grecia e di Roma. Essa si è evoluta nell’orizzonte del cristianesimo che ha permeato la sua storia e, insieme con l’ebraismo, ha preparato l’apertura verso la modernità e i principi di libertà e di giustizia”. Al tempo stesso, “la posizione geografica dell’Italia, la tradizione ebraico-cristiana, le istituzioni libere e democratiche che la governano, sono alla base del suo atteggiamento di accoglienza verso altre popolazioni. Immersa nel Mediterraneo, l’Italia è stata sempre crocevia d popoli e culture diverse, e la sua popolazione presenta ancora oggi i segni di questa diversità”.
L’altro caposaldo proietta il nostro ordinamento nell’era della globalizzazione sulla base di valori etico-giuridici imprescindibili, e assume un solenne dell’Italia perché “ogni persona sin dal primo momento in cui si trova sul territorio italiano possa fruire dei diritti fondamentali, senza distinzione di sesso, etica, religione, condizioni sociali. Al tempo stesso, ogni persona che vive in Italia deve rispettare i valori su cui poggia la nostra società, i diritti degli altri i doveri di solidarietà richiesti dalle leggi”.
Questo è il cuore della Carta dei Valori, e sta a significare che vogliamo dare tutti noi stessi agli altri, renderli partecipi e protagonisti della cose più belle che abbiamo (libertà, giustizia, solidarietà) e proponiamo agli altri di rispettare, e fruire, di questi valori, di ciò che di meglio abbiamo costruiti nella nostra lunga evoluzione. È possibile realizzare questo programma così vasto e impegnativo, conseguire questo risultato di dimensioni epocale? Evidentemente crediamo di si, anche se siamo consapevoli che non sarà affatto facile. Quanto sta avvenendo davanti a noi, da alcuni anni, in termini di rimescolamento di popolazioni, culture, tradizioni a livello planetario non è mai avvenuto (a questi livelli quantitativi e qualitativi) nella storia umana, e le paure, le speranze, i timori, le aspettative non hanno precedenti nel passato anche lontano, dal momento che quasi l’intera umanità è oggi in movimento e vive una trasmigrazione globale.
Soffermiamoci su alcuni dei temi più difficili, affrontati direttamente dalla Carta dei Valori, cercando di esporli secondo una precisa graduatoria. Il primo, e decisivo, riguarda il principio di eguaglianza tra uomo e donna, che in Occidente abbiamo conquistato ed elaborato a fatica, e che deve conseguire ancora molti traguardi. Esistono tradizioni e culture religiose che sul punto hanno vissuto un’evoluzione molto limitata, dal momento che oltre agli esempi già fatti (spose bambine, infibulazione) prevedono una subalternità strutturale e sistematica della donna, dentro e fuori la famiglia, la sua sottomissione al marito, agli elementi maschili della famiglia, e poi ancora nel diritto privato, successorio, penale. Qui si gioca la parte più difficile delle differenze di civiltà, dobbiamo prendere coscienza che nessuna tutela della libertà religiosaconsente e legittima per i nostri ordinamenti alcuna tolleranza per chi teorizza e pratica qualsiasi forma di inferiorità femminile. L’incontro tra culture e religioni non può, in questa materia, che spingere e costringere all’abbandono di ogni arretratezza e di ogni forma di subalternità femminile. La Carta dei Valori respinge qualunque motivazione religiosa dell’inferiorità della donna, e della subalternità dei giovani agli adulti, e lo fa con parole molto belle, che immagino già conosciate.
Devo elencare questi principi in modo quasi scolastico, ma è necessario perché non esistano equivoci su questo versante decisivo del rapporto tra culture. Per il documento del 2007, “l’uomo e la donna hanno pari dignità e fruiscono degli stessi diritti dentro e fuori la famiglia” (n. 4) Inoltre, “l’Italia riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”, mentre “il matrimonio è fondato sulla eguaglianza dei diritti e di responsabilità tra marito e moglie, ed è per questo a struttura monogamica. La monogamia unisce due vite e le rende corresponsabili di ciò che realizzano insieme, a cominciare dalla crescita dei figli” (n. 17).
La Carta dei Valori approfondisce questo principio sistemico su due binari fondamentali, quello della libertà nella famiglia, e l’altro del pieno rispetto per l’autonomia e la crescita dei giovani. Si afferma, infatti, che “l’ordinamento italiano proibisce ogni forma di coercizione e di violenza dentro e fuori la famiglia, e tutela la dignità della donna in tutte le sue manifestazioni e in ogni momento della vita associativa”; e ancora, “base dell’unione coniugale è la libertà matrimoniale che spetta ai giovani, e comporta il divieto di coercizioni e di matrimoni forzati o tra bambini”. Infine, il principio cui io tengo moltissimo: “l’Italia tutela la libertà dei minori nello sviluppo della propria personalità,che si realizza anche nell’incontro con altri giovani e nella partecipazione alle attività sociali. Il principio di eguaglianza non è conciliabile per le pretese di separare, a motivo dell’appartenenza confessionale, uomini e donne, ragazzi e ragazze, nei servizi pubblici e nell’espletamento delle attività lavorative”.
Questi principi indicano la freccia dell’evoluzione, la fiducia nei giovani che devono costruire il proprio futuro nel mondo in cui nascono, crescono, e non devono subire sin dall’inizio il peso di divisioni, separazioni, paratie, che si sono inventate gli adulti per i più strampalati motivi, e per qualche più nascosto obiettivo di esercitare potere sulle persone. A ben vedere, separare i ragazzi dalle ragazze, farli vivere senza quell’incontro e quel rapporto comunitario che li arricchisce reciprocamente, vuol dire predisporre le basi per l’inferiorità della donna sin da quand’è bambina, gettare le fondamenta di una società diseguale, segnata da rapporti di sottomissione che si radicano nelle leggi, nel costume, nella prassi quotidiana. Quando si accettano sin dall’inizio piccole sottomissioni ci si prepara ad accettare rapporti di subalternità più gravi complessi.
5. RISPETTO DELLA PERSONA, QUESTIONE DEI SIMBOLI.
Si situa qui un tema di cui si parla molto sui media (per me anche troppo), la questione dei simboli religiosi, e quindi del velo islamico, del Crocifisso, del Burqa, della stella di Davide, che provoca discussioni, animosità, faziosità, anche nei rapporti interpersonali. Ricordo preliminarmente che esiste una netta divergenza tra l’Italia (con tanti altri Paesi) e i nostri cugini francesi, i quali sono stati pervasi, lo dico con simpatia, da una concezione francamente maniacale della laicità, fino al limite dell’autolesionismo culturale.
Teniamo presente, per comprendere l’assurdità del contendere, che in Francia s’è giunti al punto di proibire il velo islamico, il Crocifisso, la stella di David e ogni altro simbolo religioso, nei luoghi pubblici, a scuola (ai ragazzi, agli insegnanti, al personale tutto) e perfino nelle gite scolastiche. Si sono raggiunte autentiche punte di interesse psichiatrico, quando s’è proposto (anche alla FIFA) il divieto per gli sportivi di farsi il segno della croce (o altro gesto religioso) al momento d’entrare in campo, o quando si ottiene un buon risultato, per esempio si segna un gol. L’insegnamento scolastico è stato a tal punto spogliato di contenuti e conoscenze religiose, che un Rapporto commissionato dal Governo (1989), steso da Philippe Joutard, ha denunciato l’ignoranza di ragazzi e ragazze su aspetti centrali della storia dell’arte, della cultura. Visitando il Louvre, dice Joutard, molti giovani hanno chiesto alle insegnanti chi fossero tutte quelle Babysitter con il bambino in braccio rappresentate nelle grandi opere figurative. Oppure, vedendo il San Sebastiano del Mantegna nella posa classica del martirio, hanno creduto che le frecce che lo colpiscono provenissero dagli Indiani d’America. Sembra uno scherzo, è una cosa tremendamente seria.
Inoltre, poiché l’Italia ha vinto la sua giusta battaglia per salvare la presenza del Crocifisso nella nostra scuola che è aperta a diverse presenze confessionali e ideali, pensiamo alle conseguenze che avrebbe avuto, o avrebbe, l’oscuramento del simbolo della croce in Europa. Nel 2010, molti Stati europei, da quelli di tradizione ortodossa a quelli del Nord a tradizione protestante, compresero i rischi che si correvano con la prima Sentenza della Corte di Strasburgo, che negava legittimità alla presenza del Crocifisso nelle scuole italiane, capirono che in tempi brevi sarebbero state cancellate, per via giurisprudenziale, la presenza della Croce nella scuola, nelle bandiere nazionali, in riti e cerimonie pubbliche, con un oscuramento privo d’ogni razionalità di momenti e tracce essenziali della nostra tradizione e civiltà. Anche per questo motivo, molti Stati sostennero la tesi italiana di fronte alla Grande Chambre, alcuni si costituirono in giudizio insieme all’Italia, e si ottenne una sentenza equilibrata e saggia che andava in direzione opposta alla tradizione francesizzante che si andava affermando in diversi ordinamenti.
Possiamo fare, anche in virtù di questo successo italiano ed europeo a favore del Crocifisso, una ulteriore riflessione. Osteggiare il simbolo della Croce in Europa, spegnerlo in ogni spazio pubblico, senza criterio o ragione, ci condurrebbe a una dimensione provinciale, ci farebbe perdere quella ispirazione universalista che ha prodotto storia e cultura per secoli, oscurerebbe quella capacità di parlare agli altri, che ci ha reso attivi a livello universale. Pensiamo per un attimo di estendere la guerra ai simboli in altri continenti, abbattiamo in tutta l’Asia le statue di Buddha, o i segni dell’Induismo, cancelliamo i simboli religiosi delle sue tradizioni nel resto d’Occidenti, i segni ebraico-cristiani, i Dieci comandamenti, la Bibbia, tanti altri simboli minori. Pensiamoci un attimo, compiremmo il più ottuso atto di oscurantismo religioso e culturale che si possa immaginare contro le radici e le tradizioni cui s’ispira ciascuno popolo, commetteremmo qualcosa di cui dovremmo vergognarci davvero.
Riflettiamo infine su un altro aspetto della questione. Singolarmente in Italia, che pure vanta una lunghissima tradizione confessionista, non abbiamo fatto alcuna guerra al velo, o a simboli di qualsiasi religione, eppure non abbiamo avuto nessuna tensione sociale, né conflitti ideologici. Bene, questo è il frutto della nostra storia e identità: come avremmo potuto noi italiani fare la guerra ai simboli se nella nostra storia, nell’arte, nelle nostre città e paesi, ne abbiamo conosciuti a centinaia e migliaia? Se guardo alla mia felicissima e cattolicissima infanzia vedo un mondo pieno di simboli, anche negli spazi pubblici, dai frati con i sai d’ogni colore e foggia, ai diavoli dei giudizi universali che colpivano e affascinavano la fantasia dei bambini con le code, le corna, le fauci spalancate, tutti avvolti in un fuoco senza fine. Vedo ancora gli angeli che riempivano l’immaginario collettivo con la loro bellezza e dolcezza, ovunque sculture e opere d’arte a non finire, e ricordo poi le suore c. d. “cappellone”, sui cui cappelli noi bambini, dalle finestre delle elementari, lanciavamo degli aeroplanini di carta, cercando di farli atterrare sopra le loro teste: le suore, con aria di finto rimprovero, affrettavano il passo e sorridevano intimamente compiaciute. Se pensiamo all’esperienza italiana possiamo individuare facilmente le radici della nostra tolleranza, e possiamo renderci conto che il pluralismo, anche nei simboli religiosi, porta accoglienza, rispetto per gli altri, soprattutto libertà.
In quanto ho detto sta la ragione di quel punto 26 della Carta dei valori che, però, introduce una differenza che eviti equivoci: “in Italia non si pongono restrizioni all’abbigliamento della persona, purché liberamente scelto, e non lesivo della sua dignità. Non sono accettabili forme di vestiario che coprono il volto perché ciò impedisce il riconoscimento della persona e la ostacola nell’entrare in rapporto con gli altri”.
Capiamo subito che stiamo parlando del burqa che, oltre a non essere tecnicamente un simbolo religioso, lede la dignità della persona, della donna, la nasconde agli altri come non-persona. E forse nessuno meglio di voi giovani può comprendere questo giudizio negativo sul burqa. L’uomo e la donna sono stati creati con un volto che parla agli altri con i propri lineamenti e movimenti, con il sorriso e con gli occhi che dicono molto dell’anima e del cuore di coloro che incontriamo, ed esprimono spesso, soprattutto nei ragazzi, quella scintilla di simpatia e di amore che fa avvicinare gli uni agli altri. Non possiamo, e non vogliamo, nascondere tutto ciò che di bello abbiamo, e certo non dobbiamo impedire che le persone si parlino, si guardino, scambino reciprocamente i propri sentimenti. Tutto ciò è un dono di Dio, non dobbiamo mai dimenticarlo.
6. EGUAGLIANZA E SOLIDARIETA’, I VALORI A RISCHIO
Come già accennato, le nostre società oltre a sperimentare, e vivere, l’evoluzione sul grande tema dei diritti umani, stanno attraversando una fase di regressione che ferisce la dimensione della solidarietà soprattutto nei confronti della donna, dei giovani, di coloro che nascono e vengono privati di quelle tutele naturali a causa della cultura relativista e dei suoi epigoni nichilisti. Si realizza una nuova antitesi antropologica tra la società dei moderni e le società che sono più legate alla morale naturale, ai principi di solidarietà elaborati e acquisiti nel corso dell’evoluzione storica. Questa antitesi può ulteriormente accentuarsi e lacerare irreversibilmente i grande affresco dei diritti umani da parte dei nuovi egoismi della modernità. È sufficiente un esempio che riassume tutti insieme questi nuovi egoismi, che deriva dalle deformazioni più abnormi della disciplina della famiglia, della filiazione, della maternità. In particolare, la maternità surrogata e il bambino cui è stata tolta la mamma sono due facce della stessa medaglia, sono conseguenze e frutti di uno strappo inumano che ha violato ogni legge umana e divina. La prima conseguenza è quella di togliere la genealogia al bambino, e la filiazione alla madre, senza che nessuno dei due possa ricordare davvero chi è sua mamma o chi è e dove si trova suo figlio, e impedisce per sempre di poter parlare rispettivamente della madre e del figlio: sono stati come rapiti, secondo le parole della filosofa umanista Sylviane Agacinskji, da un “mercato crudelissimo”, dimezzati della propria umanità, il bambino delle proprie origini, la donna del proprio futuro di madre. Un altro esito è quello di far vivere ai figli una esperienza lontana dalla sua naturalità: essi sono destinati a non sperimentare mai l’unicità del rapporto con il corpo femminile, con quel grumo di sentimenti e di tenerezza che tutti conosciamo, e che possono cercare le femminilità più tardi, fuori della famiglia. Susanna Tamaro non poteva meglio sintetizzare: “Cento anni di psicanalisi, milioni di studi sul Dna e la scoperta dell’epigenetica cancellati con un colpo di spugna. Il bambino su ordinazione viene proposto come una tabula rasa da plasmare a piacimento”.
Infine, un’altra dimensione innaturale dello strappo tra madre e figli, con la scomparsa della prima, è quella della commercializzazione di ciascuno di essi. Una dimensione che grida contro ogni cultura solidarista che ha fondato la modernità, e di cui è permeato lo Stato sociale. Sono culture che hanno percorso l’evoluzione umana portandoci in alto perché hanno lottato per porre fine allo sfruttamento per la dignità della persona: quella marxiana per porre fine allo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, quelle religiose per umanizzare i rapporti sociali e l’economia, quelle giuridiche-umaniste perché mai la persona sia oggetto di compravendita, di sfruttamento, di alienazione, con il divieto previsto in tutti i codici civili di atti dispositivi anche parziali del proprio corpo.
Oggi, invece, si torna paurosamente indietro. La diffusione internazionale della maternità surrogata, con la compravendita del figlio, ripropone pratiche pre-moderne, patriarcali e paleo-capitalistiche: per Kajsa Ekman “nel patriarcato le donne esistono in funzione degli uomini e nel capitalismo i poveri in funzione dei ricchi”. Tutto ciò fa del nascituro un ordinario oggetto di mercato con una contrattualistica che non avrebbe potuto pensare neanche il Dr. Stranamore della biogenetica, con clausole compromissorie e rescissorie, con assicurazioni per i danni recati: al figlio, ai genitori “sociali” che acquistano i figli, alle madri che fanno nascere i bambini per poi consegnarli. Un mercato in cui le persone, uomini e donne, figli e madri, ragazzi e ragazze sono catalogate in un tariffario disumano il cui vero prezzo è la dispersione dell’anima, la perdita d’ogni identità.
Per questa ragione, la Carta dei Valori è rivolta a chi viene da fuori, perché cresca insieme a noi e recuperi ciò che è possibile dell’evoluzione e della crescita mancate, e a chi sta dentro la nostra tradizione e cultura perché non torni mai indietro, soprattutto su quei valori di solidarietà verso i più deboli, verso chi non ha voce per parlare e difendersi. Penso si possa concludere con un concetto riassuntivo di questo documento. La nostra accoglienza verso gli altri non deve essere solo materiale, deve sempre comprendere ciò che di più positivo abbiamo elaborato e realizzato nel nostro cammino storico: in primo luogo quei diritti umani che spettano a chiunque, da qualunque religione o tradizione culturale provenga, senza che si formino, o s’innestino sui nostri territori, nuove sudditanze o subalternità nei rapporti tra esseri umani. Dobbiamo impegnarci perché non si costituiscano, come avviene in alcuni Paesi occidentali, delle enclave nelle quali prevalgano antichi usi d’oppressione rispetto ai diritti dei moderni, dove si affermi in forma più o meno nascosta la poligamia, gerarchie sociali inaccettabili, dove esistano uomini di religione che emettono fatwa di condanne inaccettabili, che comportano gravi forme di istigazione al reato contro altri uomini. E dobbiamo impegnarci perché non si creino nuove enclave ove siano chiusi i nuovi poveri, tutti coloro che, spesso sin dalla nascita, non sono più tutelati a quel livello antropologico, affettivo, morale, per soddisfare pretese e desideri dei più forti, per esaltare l’egoismo di vuole tutto, senza dare nulla agli altri, anzi togliendo loro tutto ciò che possono.
È questo il contributo decisivo che tutti noi dobbiamo dare per far evolvere la società globalizzata che si sta formando sotto i nostri occhi, quello di crescere noi e aiutare gli altri a crescere e ad evolversi rispettando i diritti d’ogni persona. Per realizzare questo obiettivo, dobbiamo credere che anche la religione può evolversi, cambiare, insieme con l’uomo che si evolve e cambia. Papa Francesco ha detto più volte che la violenza in nome della religione è una bestemmia contro Dio. Noi dobbiamo impegnarci tutti i giorni perché ogni religione coltivi e diffonda il rispetto degli altri, respinga i violenti e gli intolleranti, coltivi i semi dei diritti umani dovunque, respinga chi vuole assoggettare gli altri, discrimina le donne, pretende di imporre il proprio credo.
Ogni religione deve migliorare la persona, mai avvilirla o sottometterla, deve spingerci a rispettare il prossimo, mai ad emarginarlo. È un compito difficile? Certamente, ma più che altro dobbiamo dire che è un compito nuovo, e come tale deve impegnare le nuovo generazioni, come ogni volta è accaduto nelle grandi svolte storiche. Però non è un compito impossibile, perché è coerente con una regola che guida la storia, con una importante freccia dell’evoluzione, per le quali quando si fruisce dei diritti che ci spettano non si vuole più tornare indietro, e questo accade a tutti, a qualunque religione o cultura appartenga. D’altronde, voi giovani avete qualcosa che non è di tutti, avete quella passione è che della vostra età, e che due grandi Autori come Georges Bernanos e Charles Peguy, definiscono come la passione della libertà, che in certo modo assomiglia alla fede, perché sposta le montagne.
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