Appunti per visitare la basilica di San Marco a Venezia, chiave per scoprire i segreti medioevali della laguna, di Andrea Lonardo
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Riprendiamo sul nostro sito un articolo di Andrea Lonardo. Per altri testi, cfr. la sezione I luoghi della Bibbia e della storia della Chesa.
Il Centro culturale Gli scritti (3/7/2017)
1/ San Marco: una chiesa medioevale
Roberto Benigni ha affermato, parlando dell’Inno di Mameli[1]: «Abbiamo inventato noi [nell’Italia medioevale] la libertà, nel 1100, 1200... i comuni liberi». Pur trattandosi della posizione di un attore e non di uno storico, la sua rilettura del passato fornisce la chiave di lettura corretta per comprendere la straordinaria storia di Venezia, con le dovute varianti rispetto ai liberi comuni medioevali del nord Italia e alle altre Repubbliche marinare.
Per comprendere Venezia, infatti, bisogna capire innanzitutto che essa è una città medioevale. Bisogna soffermarsi sulla sua storia medioevale, sul suo essere stata una repubblica medioevale. Mentre le altre “libere” città medioevali hanno visto la loro libertà distrutta dal sorgere dei regni, non così è avvenuto di Venezia che ha visto uno sviluppo senza interruzione della sua libertà medioevale fino all’arrivo dei rivoluzionari francesi.
Capire Venezia è, in fondo, capire anche il medioevo e la sua grandezza. Ovviamente la storia di Venezia non è puramente medioevale: il suo sviluppo prosegue nel Rinascimento e poi fino al Settecento, ma senza mai perdere le sue origini.
Lo sviluppo della Serenissima cesserà solo con l’arrivo delle truppe inviate dalla rivoluzionaria Parigi che determinarono la decadenza della città e la fine delle sue libertà. Prima di quella data, che segna la “fine” di Venezia, la città lagunare ha prolungato, più che altrove in Italia, quelle modalità libere di vita che ebbero principio nel medioevo.
Non a caso il simbolo di Venezia è la basilica di San Marco, appunto una chiesa medioevale.
2/ San Marco, la chiesa del doge, liberamente eletto dalla Repubblica di Venezia
La basilica di San Marco è, in realtà, la “chiesa di palazzo” dei dogi. È divenuta cattedrale solo nell’ottocento, ma fino ad allora era la chiesa palatina della “cristianissima” Repubblica. La cattedrale di Venezia, infatti, era in origine San Pietro di Castello, eretta vicino al primo insediamento fortificato della città, appunto “il Castello” (nei pressi dell’Arsenale)[2].
Già questo dato permette di cogliere un aspetto estremamente significativo della storia della “repubblica” di Venezia e di ricollegarla così alla vicenda dei comuni medioevali d’Italia. La libera e cristianissima Repubblica di Venezia, così come i comuni medievali e le altre repubbliche marinare, avevano forme di governo molto più libere e democratiche dei regni e delle nazioni dei monarchi dei secoli successivi.
E le avevano proprio perché cristiane. Il doge aveva in San Marco, cioè una chiesa, oltre che in Palazzo Ducale il luogo di esercizio della sua libera autorità: egli governava e insieme pregava e l’intercessione della città si levava per lui che rappresentava visibilmente l’unità della Repubblica.
La “normale” presentazione storica dei manuali ad uso di scuole e università vuole che Venezia e i comuni (e con loro il medioevo) siano stati istituzioni senza libertà, mentre diritti e libertà sarebbero stati conquistati solo dagli stati nati successivamente in contrasto con il cristianesimo: tale prospettiva è ovviamente ideologica, ma ancor più è frutto di ignoranza.
Si ignora che furono le monarchie e gli stati nazionali successivi, tutti molti più potenti economicamente di comuni e repubbliche, ad eliminare gli spazi di autonomia di cui il medioevo era pieno.
In Venezia le garanzie di libertà, tipiche dell’età medioevale permasero a livello istituzionale fino a quando vennero spazzate via dalla rivoluzione francese che soppresse libertà ed istituzioni di origine secolare della Serenissima. La libertà a Venezia, infatti, terminò con l’invasione francese nel 1797. L’esercito rivoluzionario decretò la fine della repubblica di Venezia e la fine delle sue libertà, obbligando tutti a leggi anti-popolari, eliminando di fatto la “sussidiarietà”, caratteristica tipica di ogni stato libero[3].
Fino a quel momento la Repubblica di Venezia era stata guidata da un doge, la cui carica era elettiva. Molto si potrebbe dire delle modalità, dei limiti, del condizionamento economico, della figura del doge. Molto si potrebbe aggiungere sulle famiglie aristocratiche che erano le sole elettrici del doge. Ma, nonostante questi giusti distinguo, resta il fatto straordinario che alla morte di ogni doge fosse necessario eleggere un successore. La Repubblica era libera, proprio perché cristiana, proprio perché ereditava dalla visione della fede la certezza della dignità di ognuno dei suoi cittadini, propri perché garantiva il ruolo dogale che non era dinastico, bensì elettivo.
Il doge, una volta eletto, iniziava il suo dogato proprio in San Marco, dove veniva presentato al popolo: nella stessa chiesa parlava ai cittadini. Ma già prima dell’elezione di ogni nuovo doge il popolo si riuniva in preghiera in San Marco ed ogni iniziativa della Repubblica aveva in San Marco il suo punto di partenza e di arrivo.
3/ Un episodio della libera storia di Venezia avvenuto in San Marco che ne sintetizza la storia
Merita ricordare un episodio avvenuto proprio in San Marco che è simbolico della storia di libertà di cui fu protagonista Venezia al pari delle altre città medioevali.
Proprio nel nartece, dinanzi alla porta che da ingresso alla basilica, vi è la lapide che indica il luogo dove Federico Barbarossa, dopo essere stato sconfitto dai comuni italiani a Legnano, chiese perdono a papa Alessandro III prima di entrare in chiesa.
Barbarossa, come imperatore del Sacro Romano Impero, aveva condotto una politica intesa a sottomettere i Comuni italiani, pretendendo obbedienza dalle libere città, mentre esse resistevano, appoggiate dal papa che difendeva la loro libertà. Per imporre il suo potere aveva anche difeso e poi fatto eleggere degli antipapa (a partire da Vittore IV) per erodere l’autorità ecclesiastica schierata a difesa dei comuni.
Quando Barbarossa dichiarò decaduto Alessandro III, il papa si rifugiò nella Repubblica di Venezia.
Sconfitto infine dai Comuni, Barbarossa si recò a Venezia per incontrare il papa che aveva avversato: si inginocchiò nel nartece di San Marco dinanzi ad Alessandro III chiedendo che gli fosse revocata la scomunica e ottenendo di essere riammesso nella Chiesa.
Riconciliato con il papa e avendo accettato la libertà dei Comuni, entrò in San Marco al suo fianco. Alessandro III, avvenuta la riconciliazione concesse a Venezia lo “sposalizio con il mare” (cfr. su questo i teleri della Scuola Grande di San Marco sui quali vedi al link I teleri con le storie di San Marco depredati alla Sala dell’Albergo della Scuola grande di San Marco (Gentile e Giovanni Bellini, Vittore Belliniano, Giovanni Mansueti, Palma il Vecchio e Paris Bordon).
L’episodio mostra come la libertà politica e civile della repubblica di Venezia, così come quella dei Comuni italiani, fosse un elemento tipicamente medioevale e venisse difeso dalla Chiesa stessa. Fu con le monarchie assolutiste, le cui origini si possono datare a partire dal regno di Enrico VIII che a Londra pretese che le leggi venissero piegate a suo piacimento, che la libertà tipica del medioevo cominciò il suo declino in Europa.
4/ Le lunette della facciata
Nelle lunette sopra le porte è rappresentata la storia della traslazione del corpo di San Marco. In quella di destra il corpo è sottratto ad Alessandria d’Egitto, nella seconda giunge a Venezia, in quella centrale è rappresentato il sogno dell’evangelista al di sotto del Giudizio finale, nella penultima il doge e il popolo che accolgono le reliquie ed, infine, nell’ultima a sinistra, l’unico mosaico antico, il corpo di San Marco viene trasportato solennemente nella chiesa di San Marco (l’opera è del cosiddetto “secondo laboratorio di San Marco”, 1270-1275).
5.1/ Le cupolette con la storia della salvezza veterotestamentaria: la cupoletta della creazione
I mosaici del nartece e delle cupolette del fianco sinistro presentano la storia della salvezza dalla creazione fino all’esodo, mentre il battistero alla destra presenta una riflessione iconografica sul sacramento della nuova vita.
Nel nartece sono raffigurate le storie dell’Antico Testamento. L’iconografia intende riaffermare e ripresentare ciò che la fede conosce: senza le storie veterotestamentarie non si può comprendere il Nuovo testamento, senza l’Antico non si può accedere all’interno della Chiesa. La storia della salvezza si dipana, in San Marco, in sei cupolette con le relative lunette e i relativi arconi, la prima dedicata alla creazione, la seconda ad Abramo, la terza, la quarta e la quinta al patriarca Giuseppe, la sesta a Mosè (l’apparato iconografico non comprende così solo le cupole del nartece, ma prosegue anche nel portico che prosegue a sinistra della basilica). Interessante è che sempre il testo biblico – o una sua parafrasi – accompagni le immagini, come due forme della stessa Parola che viene letta e vista.
Il progetto iconografico inizia con la prima cupoletta a destra (in realtà la basilica ha solo tre navate, ma dall’esterno sembra averne cinque: la prima a destra, in realtà, introduce al battistero e l’ultima a sinistra inizia il portico che gira intorno all’edificio e non ha un corrispettivo all’interno della basilica).
La cupoletta della creazione ha tre giri concentrici. Ognuno di essi inizia con la prima scena che è dinanzi agli occhi di chi guarda. I mosaici vanno letti sempre in senso antiorario.
I mosaici sono attribuiti al cosiddetto “primo laboratorio di San Marco”, operante nei primi decenni del XIII secolo (1225-1250 ca.)[4]. Gli autori si differenziano dallo stile bizantino innanzitutto per l’utilizzo di colori dominanti diversi dall’oro (nel primo cerchio dei racconti di Genesi è evidente il colore predominante dell’azzurro e nel terzo del verde), in secondo luogo perché affrontano modalità iconografiche più libere e tipicamente dell’occidente (all’interno della basilica sarà realizzata la scena del Getsemani e nella Cupolina della creazione il tema sarà trattato in maniera nuova e creativa). Anche le iscrizioni sono tutte in latino.
Nella prima scena nel cerchio centrale - quello con il diametro più piccolo - si vede lo Spirito che volteggia sul caos primordiale. Lo Spirito nella visione ebraica e cristiana non è contrapposto alla materia, ma anzi è Colui che, insieme al Padre e al Figlio, la crea e le dà forma perché sia bella. A seguire si vedono raffigurate le diverse opere create all’inizio seguendo l’ordine di Genesi 1. Nei diversi quadri è rappresentato il Figlio, la sapienza di Dio, come creatore. È il Figlio prima dell’incarnazione - non ha ancora la barba - che crea su comando del Padre. Si riconosce come il Figlio per la presenza della croce sia nel nimbo crociato che come luce che si diffonde e brilla sul suo capo, sia dalla croce che porta con la mano che è velata. Con l’altra mano crea e benedice.
Il mosaicista di san Marco raffigura Cristo che crea accompagnato da angeli, il cui numero corrisponde al corrispettivo giorno della creazione, secondo Genesi 1. Un angelo per la divisione della luce dalle tenebre, due angeli per la separazione delle acque di sotto da quelle di sopra e così via. Gli autori antichi hanno sempre notato che i giorni della creazione sono simbolici anche perché in essi non si racconta della creazione degli angeli che pure esistono e sono stati creati.
Nel secondo cerchio è da notare che tra gli animali creati sta per primo il leone, con ovvio riferimento al Leone di san Marco.
Straordinaria è la raffigurazione della creazione dell’uomo nella quale il mosaicista unisce i capitoli I e II della Genesi e, soprattutto, vi inserisce la sua esegesi che è creativa rispetto alla lettera del testo.
L’uomo, infatti, è rappresentato prima come “bruno”, perché tratto dall’argilla che Dio plasma per dargli forma (cfr. su questo il volume di Andrea Lonardo, Ma Adamo ed Eva sono esistiti veramente? Ritornare alla bellezza originaria, Edizioni Itaca, che sarà pubblicato nel settembre 2017). Ma, dopo il settimo giorno, si vede l’uomo con carnagione chiara mentre Dio gli infonde l’anima, quella realtà così indefinibile eppure così evidente che caratterizza l’uomo: la capacità di dialogare con Dio, di amarlo, come di rifiutarlo, fino all’eccesso della bestemmia. Nessun animale può pregare e nessun animale può bestemmiare, immerso com’è nell’attimo presente.
Fra i due momenti della creazione dell’uomo il mosaicista inserisce il sabato che è il culmine del primo capitolo di Genesi: il settimo angelo viene benedetto da Dio, appunto perché nel simbolo del settimo giorno Dio si riposa e concede all’uomo di fare altrettanto, donandogli il riposo e la festa, nella quale godere nel ringraziamento di tutti i doni ricevuti: è lo shabbat, il sabato, la festa che ha cambiato la storia del mondo intero, mostrando che l’uomo è fatto per il riposo settimanale e non solo per il lavoro. Da Genesi 1 il riposo settimanale si è diffuso via via nel mondo intero, dovunque sia giunto il cristianesimo.
Solo dopo aver raffigurato il sabato il mosaicista di San Marco raffigura, oltre all’insufflazione dell’anima, anche la creazione della donna. È come se il mosaicista cercasse, in questa maniera, di sintetizzare Genesi 1 e 2 in realtà molto diversi. In Genesi 1, infatti, si narra prima della creazione delle piante, poi degli animali, ed infine dell’uomo, e la donna. In Genesi 2, invece, viene creato per primo l’uomo, poi le piante, poi gli animali ed infine la donna - basterebbe questo per mostrare quanta ignoranza vi sia in chi prende alla lettera i sette giorni della creazione, sia ritenendoli positivamente significativi per un discorsi scientifico, sia per attaccare Genesi come anti-scientifica. Il testo biblico giustappone, invece, due diverse versioni della creazione, mostrando così che quei capitoli non vanno presi alla lettera.
Dunque, alla creazione dell’uomo, con l’importantissimo intermezzo del sabato, il mosaicista di san Marco fa seguire la creazione della donna secondo Genesi 2. Dio, infatti, introduce - ultimo quadro del II giro - Adamo nel Paradiso terrestre con i quattro fiumi rappresentati da quattro figure mitologiche che alla maniera classica versano dai loro otri l’acqua sulla terra. Allora il creatore conduce all’uomo gli animali - in Genesi 2 in realtà li crea in questo momento - ma l’uomo non trova in essi nessuno che gli corrisponda. L’uomo viene quindi addormentato e dal suo fianco (non dalla sua costola, il termine ebraico vuol dire anche “fianco”) Dio trae la donna, Eva, e la conduce all’uomo. L’uomo riconosce che solo lei gli sta di fronte e di fianco, che solo lei a differenza degli animali ha dignità pari alla sua: per questo è sorgente di amore, ma anche, dopo il peccato, di conflitto.
Segue il peccato originale con Dio che, mentre mostra la situazione di morte in cui Adamo ed Eva sono caduti, compie la prima opera di misericordia vestendo gli ignudi, quando i due non riescono più ad essere nudi e limpidi l’uno dinanzi all’altro.
Vengono cacciati dal Paradiso originale - ne escono cioè a motivo del peccato - e l’artista rappresenta all’interno del Paradiso il roveto ardente con la croce e due fenici, simbolo della vita eterna. Quella rappresentazione sta ad indicare che Dio desidera donare quel paradiso ai due, anche dopo il peccato. Lo hanno perso, ma lo ritroveranno.
Nelle due lunette stanno invece le storie di Caino e Abele, partoriti da Adamo ed Eva che sono coricati l’uno a fianco dell’altro.
Seguono poi le storie di Noè con il patriarca che fa entrare gli animali e, per primo, il leone che prosegue il richiamo a san Marco. È rappresentata anche l’invenzione del vino con i due figli che accettano di non infierire sul padre nudo dopo l’ubriacatura.
Nell’arcone il racconto prosegue con la storia della torre di Babele. Straordinaria è la presenza del Figlio imberbe che scende sulla torre a disperdere gli uomini, perché non diventino ancor più gravemente peccatori.
5.2/ La seconda cupoletta, dedicata ad Abramo
Segue a sinistra della porta centrale la seconda cupoletta, quella di Abramo. La lunetta di ingresso presenta l’episodio più importante che il mosaicista vuole sottolineare: l’apparizione a Mamre dei tre angeli ospitati da Abramo – l’apparizione cioè della Trinità, secondo l’interpretazione dell’epoca accolta dal mosaicista.
La storia di Abramo, come le successive, non ha tre cerchi concentrici, come nel cupolino della Genesi, ma un solo giro di immagini. Si inizia sempre dal quadro che è dinanzi a chi entra e si vede Abramo che si trova dinanzi in alto il cielo stellato con la mano di Dio che lo chiama ad uscire dalla sua terra. Più volte nell’intero cerchio, il colore azzurro del cielo stellato sta ad indicare l’intervento di Dio che modifica il corso della storia di Abramo.
5.3/ Il terzo, il quarto, il quinto e il sesto cupolino dedicati a Giuseppe e a Mosè
Nell’angolo del portico è invece il primo cupolino con la storia di Giuseppe che comincia con il suo sogno. L’autore, per rappresentare il sonno di Giuseppe, così come di altri personaggi che dormono e sognano, li inscrive in una mandorla.
Seguono altri due cupolini sul fianco sinistro della basilica anch’essi interamente dedicati alla storia di Giuseppe.
Dopo di essi si trova l’ultimo cupolino mosaicato dedicato a Mosè. Anch’esso si conclude con il roveto ardente, che è chiaramente un’immagine anticipativa dell’Incarnazione e, in particolare, dell’annunciazione – ancora oggi si prega Maria riferendosi al Roveto che non si consuma.
I mosaici con le storie di Giuseppe e dell’Esodo vengono attribuiti dagli studiosi ad un “secondo laboratorio veneziano” che li realizzò fra il 1250 e il 1280: in essi si accentua l’ambientazione paesaggistica e architettonica[5].
6/ La navata centrale e i mosaici delle cupole maggiori
Entrati in basilica, vale la pena comprendere l’iconografia dei mosaici a partire dalle cupole maggiori della navata centrale e dall’abside che conferiscono significato all’intero edificio.
6.1/ La cupola del presbiterio o dell’Emanuele
La cupola del presbiterio - la più lontana dall’entrata - è detta dell’Emanuele. Raffigura infatti il “desiderio” di Dio di discendere dal cielo per essere il “Dio con noi”.
Al centro in alto è rappresentato il Cristo e sotto di lui tutti i profeti, con Davide e Salomone, che ne annunciano la venuta e con Maria che la rende possibile[6].
È la cupola che è al di sopra dell’altare perché ogni volta che si celebra l’eucarestia il Cristo vi discende: torna a visitare la terra ad ogni celebrazione eucaristica perché è già disceso una volta per tutti.
Lo stesso messaggio è comunicato dall’immagine del Cristo pantocrator che è nell’abside. L’abside fornisce un orientamento non solo a tutto l’edificio, ma a tutta la vita cristiana. Il destino dell’uomo è di incontrare quel Cristo che viene, perché in Lui Dio ci viene incontro.
Se al centro della cupola Cristo è imberbe (è cioè il Figlio prima dell’Incarnazione, è l’Emmanuele promesso), invece nel catino absidale è il Cristo “barbato”, è il Cristo che è già venuto, è il Cristo che si è fatto carne. Le sue vesti sono al di sotto rosse (il colore che indica la divinità) e al di sopra blu, il colore che indica l’assunzione della carne: Cristo si è vestito dell’umanità, l’ha indossata, l’ha assunta realmente.
Nell’abside il Cristo ha come attributo il libro chiuso perché è Lui la Parola definitiva (il mosaico attuale è del 1506 restaurato nel settecento). A differenza di altre religioni che ritengono che Dio non possa discendere in mezzo a noi, ma solo inviarci un suo libro, un suo scritto - perché Dio non può essere vicino -, Cristo invece discende in mezzo a noi. Non ci porge un libro, ma è Lui il Libro stesso di Dio: è in persona la Parola stessa di Dio.
Per questo dall’abside benedice, compiendo l’atto che è tipico di Dio, quello di benedire. Un’iscrizione straordinaria dice nella curva dell’abside: «Sum rex cunctorum, caro factus amore reorum: ne desperetis veniæ, dum tempus habetis», che significa «Sono il re di tutti, fatto carne per amore dei peccatori: non disperate del perdono, finché avete tempo». Certo il Cristo invita a non sprecare tempo per convertirsi, ma il suo è un messaggio di grande fiducia: non disperate! E, infatti, subito al di sopra è rappresentato Cristo come agnello che ha offerto la vita per la salvezza degli uomini.
Nella cupola tutti i profeti sono intorno al Cristo, annunciandone la venuta: tutti hanno attestato a loro tempo il disegno di Dio che il Figlio doveva venire e rivelare l’amore del Padre. Al centro, fra i profeti, la vergine orante: è in lei che Dio si è fatto carne.
A suo modo il mosaico attesta così la lettura unitaria delle Scritture tipica del cristianesimo: già i profeti, a volte inconsapevolmente, hanno parlato di Cristo e tanti loro versetti rimarrebbero senza possibilità di interpretazione corretta se Gesù non fosse venuto, perché erano scritti “per” lui: d’altro canto si comprende appieno l’incarnazione solo come compimento di tale promessa.
Nei quattro pennacchi è rappresentato il tetramorfo di Ezechiele (cfr. su questo: Il tetramorfo: non è importante perché Giovanni sia l’aquila, Luca il bue, Marco il leone e Matteo l’angelo o l’uomo con ali. Breve nota iconografica di Andrea Lonardo) che indica la mobilità di Dio la cui opera di grazia si diffonde in ogni luogo della terra e ovunque è adorata (l’allusione è ovviamente anche agli evangelisti, ma essi sono rappresentati più precisamente solo nella cupola centrale).
Dio vuole abitare in mezzo al suo popolo e quei quattro esseri simbolici precedono gli evangelisti, profetizzano cioè che il Vangelo sarà annunziato ai quattro angoli della terra. Dice l’iscrizione: «Quaeq[ue] sub obscuris de Cristo dicta figuris his aperire datur et in his Deus ipse notatur», che significa «Tutto ciò che fu detto di Cristo in oscure raffigurazioni, è dato a questi (esseri viventi) di manifestare e in loro Dio stesso si rivela».
A chiarire ulteriormente il ruolo rivelativo di Cristo stanno le teofanie poste nell’arco che collega la cupola dell’Emmanuele a quella dell’Ascensione.
I mosaici sono tardivi rispetto a quelli medioevali (ad esempio quello dell’adorazione dei magi è su cartone del Tintoretto), ma gli attuali ripetono quelli antichi che si erano rovinati. In cinque scene si raffigura che Dio stesso si rivela in Gesù. Al centro è la Trasfigurazione, a sinistra l’Adorazione dei magi e l’Annunciazione, a destra la Presentazione al tempio e il Battesimo di Gesù[7].
6.2/ La cupola centrale o dell’Ascensione
La cupola centrale è la più alta ed è quella dell’Ascensione. Il mosaico venne realizzato nell’ultimo quarto del XII secolo[8]. Nella zona sottostante sedeva il doge fin dal primo giorno di governo quando veniva presentato ai veneziani. Con lui sedeva il Maggior Consiglio della Repubblica.
Se nella cupola dell’Emmanuele il cielo è come se si contraesse per far discendere Dio stesso, la cupola centrale ricorda che il Dio infinito abbraccia l’esistenza degli uomini. Al centro è Cristo asceso al cielo, ma l’iscrizione dice che quel Cristo non si è allontanato e che tornerà: «Dicite quid statis quid i(n) etere co(n)sideratis filius iste D(e)i I(esus) C(hristus) cives galilei sumptus ut a vob(is) abit (et) sic arbiter orbis iudicii cura veni(et) dare debita iura», che significa «Dite, perché ve ne state qui, che cosa guardate in cielo? Questo Gesù, figlio di Dio, o uomini di Galilea, come si è allontanato da voi, poiché è asceso in cielo, così tornerà arbitro del mondo a dare le giuste ricompense».
Il Cristo è assiso su di un arco di luce, su sfondo del cielo stellato.
Intorno a lui, dopo i 4 angeli che lo accompagnano nell’ascensione, sono la vergine tra due angeli e i 12 apostoli (fra i quali san Paolo e san Marco) e al di sotto le virtù: la carità è collocata proprio dinanzi all’ingresso dal quale il doge accedeva in San Marco, perché la vedesse per prima e reca scritto «Karitas mater virtutu(m)», «Carità, madre delle virtù». La virtù che il doge trovava dinanzi a sé è vestita come una “basilissa”, cioè come un imperatrice con abiti regali che offre pane a chi ha fame. A quella carità egli doveva conformarsi.
Con la carità, sono poi le virtù della speranza, della fede, della giustizia, della fortezza, della temperanza, della prudenza, dell’umiltà, della mitezza, della compunzione, dell’astinenza, della misericordia, della pazienza, della castità, della modestia e della costanza. Cristo ascende al cielo, ma tornerà e vuole che la Repubblica viva tutte le virtù nel suo governo pubblico e privato.
Ai quattro pennacchi, sono i quattro evangelisti che compiono la profezia relativa ai quattro esseri viventi della Cupola dell’Emmanuele. L’iscrizione dice di loro: «Sic actus Christi describunt quattuor isti», che significa «Così questi quattro descrivono le gesta di Cristo».
Subito sotto di loro sono le rappresentazioni dei quattro fiumi del Paradiso terrestre e della Gerusalemme celeste. Dai quattro evangelisti, dall’annuncio del vangelo cioè, scorre l’acqua che disseta e dà vita al mondo intero. Merita ripetere che nei simboli di ognuno degli evangelisti ciò che conta è il numero quattro (il cosiddetto tetramorfo, come si è già visto), per la sua corrispondenza con i quattro punti cardinali: la gioia del Vangelo raggiunge il mondo intero.
Nell’arco tra la cupola dell’Ascensione e quella della Pentecoste stanno le scene della Crocifissione e della Resurrezione di Cristo. È tramite il dono reale della croce e la reale resurrezione in corpo e anima – nella prima il Cristo ama il Padre offrendo la propria vita in sacrificio d’amore, nella seconda il Padre ama il Figlio donandogli la resurrezione – che giunge all’uomo il dono dello Spirito, il dono dell’amore del Padre e del Figlio.
L’arco si legge da destra a sinistra, iniziando con l’arresto di Gesù, cui segue la Crocifissione. Al centro, come chiave di volta, stanno le donne che ricevono al sepolcro l’annunzio della resurrezione, mentre in basso i soldati si risvegliano. Si prosegue con la discesa agli Inferi e, infine, con la Maddalena che incontra Gesù risorto, a sinistra, e la professione di fede di san Tommaso che mette la sua mano nelle piaghe del Cristo a destra.
6.3/ La cupola della navata o Cupola della Pentecoste
Nella terza cupola, quella che è sopra il luogo nel quale si raduna il popolo di Dio sta invece la raffigurazione della Pentecoste[9]. Se nella prima cupola è al centro il Padre che si rivela nel Figlio e nella seconda è al centro il Figlio che infonde un nuovo corso al mondo, nella terza è al centro lo Spirito Santo che santifica tutte le genti.
Dio non solo si rivela, ma infonde in noi la sua stessa vita, viene ad abitare nell’uomo. Al centro della cupola è il simbolo dello Spirito. Lo Spirito è rappresentato sotto forma di colomba che siede sul trono divino (come Cristo anche egli è Dio e regna). Inoltre sta ritto in piedi sul Libro, perché anch’egli parla e insegna la vita al mondo.
L’iscrizione inserita nelle traiettorie di fuoco che raggiungono i diversi apostoli recita: «Spiritus in flamis sup(er) hos distillat ut amnis corda replens munit et amoris nexibus unit hinc varie gentes miracula conspicientes fiunt credentes vim lingue percipientes», che significa «Lo Spirito, in forma di lingue di fuoco, scende su di loro come un fiume, riempiendo i cuori, li fortifica e li unisce in vincoli d’amore. Per questo, genti diverse, vedendo i prodigi, divengono credenti, percependo la potenza della parola».
Lo Spirito scende sui dodici, ma si diffonde poi ulteriormente sulle genti che sono rappresentate più in basso, ogni popolo con una coppia di persone: sono indicate per nome tutte le genti, simbolicamente presenti nelle persone che si trovavano a Gerusalemme al momento della Pentecoste secondo gli Atti degli Apostoli. I popoli elencati sono: “Parti, Medi, Elamiti, Mesopotamia, Giudea, Cappadocia, Ponto, Asiatici, Frigia, Panfilia, Egitto, Libia, Romani Giudei, Cretesi, Arabi”.
I fedeli laici, mercanti, cittadini, soldati, mariti e mogli, genitori e figli, ricevono lo Spirito per mostrare a tutti i popoli con cui Venezia viene in contatto la verità dell’amore di Dio rivelatosi in Cristo.
6.4/ La volta a botte al di sopra dell’ingresso con le storie dell’Apocalisse (Volta dell’Apocalisse o del Paradiso)
Infine, seguendo sempre l’asse più importante, quello verticale, nel corpo a botte sopra l’ingresso è la rappresentazione del mondo alla fine dei tempi secondo l’Apocalisse (anche qui i mosaici sono recenti, ma ripetendo l’iconografia precedente): l’ultimo libro della Bibbia è un libro cristianissimo che svela (apokalupto=svelo) che il male sarà sconfitto e che Cristo ed i cristiani riporteranno la vittoria, poiché Cristo giudicherà il mondo e punirà chi avrà commesso il male. Si vede la croce sul trono, perché è il Cristo innocente che ha offerto se stesso per la salvezza, ma proprio per il dono che ha fatto di sé può assidersi sul trono di Dio: è l’etimasia, cioè il trono divino con sopra gli strumenti della passione.
Il Cristo appare in mezzo ai sette candelabri che rappresentano le sette chiese, cioè la totalità della Chiesa: Cristo è in mezzo alla Chiesa, inseparabile da essa. Il maligno perseguita Cristo ed insieme la sua Chiesa, ma Cristo trionferà sul male insieme ad essa che sarà vincitrice con Lui.
7/ Il corpo di san Marco e la sua figura nell’abside
Nell’altare è custodito il corpo di san Marco che i veneziani portarono via da Alessandria d’Egitto nell’anno 827. Al di sotto dell’abside quattro figure di santi fanno da cornice significativa alla presenza delle sante reliquie.
A sinistra si vede san Nicola, rappresentato non solo perché Venezia ne custodisce alcune reliquie ma ancor più perché è il patrono delle genti di mare. Alla sua destra è san Pietro con in mano il vangelo che, però, porge a san Marco che è alla sua destra. A sua volta Marco lo presenta a sant’Ermagora che è il primo vescovo di Aquileia, il santo che è l’evangelizzatore del basso Veneto.
Tale raffigurazione ha certamente un significato politico-ecclesiastico, vuole cioè affermare che se Aquileia fu patriarcato prima di Venezia, lo fu solo perché evangelizzata da un santo che era stato a sua volta inviato da Marco, divenuto patrono di Venezia e quindi superiore ad Ermagora. Ma ricorda anche come il vangelo non sia stato inventato e come invece Pietro lo abbia annunziato con la propria parola e testimonianza, come Marco lo abbia messo per iscritto dopo averlo testimoniato a sua volta, e come Aquileia e Venezia siano diventate cristiane per l’arrivo di testimoni della fede che donavano alle genti il vangelo ed anche il vangelo scritto concretamente secondo Marco.
Al di fuori del nartece, dinanzi alla porta centrale, è un bassorilievo con san Marco addormentato che sogna e viene visitato da un angelo. La tradizione vuole che quando Marco inviò Ermagora si trovasse proprio nel luogo dove ora sorge la basilica: lì avrebbe sognato Dio che gli diceva “Un giorno qui riposerai”. Secondo la tradizione fu Pietro ad inviare Marco ad Aquileia[10].
8/ Il luogo dove sedeva il doge e i mosaici corrispondenti
Nella navata centrale sono due pulpiti. Quello a sinistra è per la proclamazione in basso dell’epistola, cioè della prima lettura ed, in alto, del Vangelo. Lo utilizzava il primicerio, cioè il vescovo di palazzo, o i suoi ministri diaconi o presbiteri per la proclamazione della Parola di Dio.
Quello di destra, invece, è quello dove sedeva il doge: da esso si rivolgeva al popolo.
Possiamo immaginarlo, ad esempio, parlare al popolo prima delle battaglie decisive contro i turchi, ad esempio, prima della battaglia di Lepanto, per invitare tutti ad avere coraggio, perché le diverse nazioni europee non fossero devastate dal percolo che incombeva. Ma lo possiamo immaginare anche nel giorno dell’elezione o in occasione della peste o in occasione di importanti decisioni da prendere per il bene di Venezia.
Le quattro scene a mosaico intorno al pulpito del doge sono state scelte dalla Repubblica con estrema attenzione. Il doge aveva davanti a sé l’ultima cena, con Cristo che offre la vita e Giuda che tradisce. La scena dice da un lato che siamo vicini all’altare dove si celebra la stessa eucarestia, ma anche che non si deve tradire e che si può essere traditi.
Il traditore, Giuda, è posto due volte di profilo, quasi a dire che non si vede tutto il suo volto, che egli è doppio.
Al di sotto la lavanda dei piedi, dice che la vera autorità è il servizio. Gesù lava i piedi a Pietro e il bacile ha una forma ottagonale, battesimale. Non è un semplice servizio: è l’acqua della grazia divina.
Di fronte stanno invece l’ingresso di Gesù a Gerusalemme, con la gloria che egli riceve dalla folla che però subito si muterà in condanna e, al di sopra, le tre tentazioni del diavolo a Gesù: Gesù è posto dinanzi al pane, poi sul pinnacolo del tempio, poi su di un mucchio di denaro. Alla fine è il diavolo che viene de-tronizzato: infatti gli cade la corona mentre precipita.
Il doge entrava in chiesa dal transetto destro, dove una porta dà tuttora accesso al palazzo ducale.
Come a mostrare ulteriormente l’esistenza di due diverse autorità, dal lato del doge sta il re Davide e dal lato del vescovo sta un arcangelo. Proprio a motivo della compresenza di queste due autorità, mai riunite in una sola persona, si è sviluppata in occidente la democrazia, l’indipedenza del potere civile da quello religioso e di quello religioso da quello civile. Non esiste una sola autorità, bensì due. Possono essere talvolta in conflitto, ma tale conflitto testimonia dell’indipendenza tipicamente medioevale dell’una dall’altra, pur nel rispetto reciproco.
Nell’arcone a sinistra stanno poi le nozze di Cana (altro simbolo eucaristico) e due lebbrosi mondati.
9/ La navata centrale con le tentazioni di Gesù e il martirio degli apostoli
Nella navata centrale alle pareti corrispondenti alla Cupola dell’ascensione stanno a destra le storie di Gesù nel Getsemani.
Il mosaicista fa una sintesi dei diversi vangeli presentandoci una storia unitaria: si comincia a sinistra con Gesù prostrato sul monte mentre tutti gli apostoli dormono, si prosegue con Gesù che scende a rimproverare Pietro una prima volta, poi Gesù prega di nuovo e su di Lui comincia a comparire il cielo con le stelle - segno del suo abbandono progressivo al Padre che si rivela - poi Gesù scende a rimproverare ancora Pietro, poi è di nuovo sul monte e questa volta fra le stelle appare la mano del Padre ed un angelo che lo conforta - segno della piena accettazione della volontà del Padre - ed infine Gesù rimprovera Pietro per la terza e ultima volta.
Dalla parte opposta - in mezzo è la Cupola della Pentecoste - sta il martirio degli apostoli: quegli apostoli che erano stati così pavidi nel Getsemani, ora per il dono dello Spirito, sono capaci della testimonianza suprema, quella del martirio.
Al cento della navata sta un famoso lampadario con 116 lumi trafugato dai veneziani nel 1204 da Costantinopoli insieme ai cavalli della basilica. I cavalli, a loro volta, vennero trafugati da Napoleone quando occupò Venezia.
Sulle pareti stanno poi miracoli di Gesù. Come nel duomo di Monreale la presenza dei miracoli sta ad indicare che Gesù ha veramente l’autorità di risanare l’uomo. Il vangelo è credibile non solo perché ci parla in verità di Dio, ma anche perché risana l’uomo. L’uomo risanato è prova della verità del vangelo.
10/ Il Battistero
Nel Battistero sono raffigurati i 12 apostoli che battezzano.
Note al testo
[1] In occasione del Festival di Sanremo, il 17/2/2011.
[2] San Pietro di Castello era la sede del vescovo di Venezia, mentre San Marco era la “sede” del doge, nella quale un primicerio – un sacerdote “primo” – presiedeva la liturgia con funzioni distinte da quelle del vescovo della città, a servizio, piuttosto, delle istituzioni cittadine.
[3] Secondo la prospettiva della sussidiarietà è lo Stato ad essere “sussidiario” delle realtà sorte dal basso per iniziativa del popolo, come le corporazioni, le famiglie, le libere organizzazioni, le Scuole così tipiche di Venezia (per la soppressione delle Scuole, espressione del laicato veneziano indipendente dal clero, cfr. i link Le Gallerie dell’Accademia di Venezia. Guida per la visita, prima parte, di Andrea Lonardo. La vera storia delle Gallerie dell’Accademia di Venezia: per capire la storia d’Italia all’arrivo dei rivoluzionari francesi e La vera storia delle Gallerie dell'Accademia di Venezia per capire la vera storia d'Italia all'arrivo dei rivoluzionari francesi (II parte). L’istituzione laica delle Scuole di Venezia, di Andrea Lonardo) e le altre realtà: lo Stato non pretende ogni potere, ma anzi si pone a servizio di esse (ne è “sussidiario”, e sa bene che il benessere della società dipende appunto dalla vivacità creativa delle istituzioni nate dal popolo). Lo Stato, insomma, non è statalista e non si misura solo con i singoli cittadini, ma anche con le istituzioni millenarie che i cittadini hanno spontaneamente creato.
[4] Cfr. su questo M. d’Agostino – N. Panciera, Il mistero della salvezza nei mosaici di San Marco, Castel Bolognese, Itaca, 2005, pp. 7-9.
[5] Cfr. su questo M. d’Agostino – N. Panciera, Il mistero della salvezza nei mosaici di San Marco, Castel Bolognese, Itaca, 2005, p. 8.
[6] I mosaici della cupola dell’Emanuele sono del XII secolo, precedenti cioè quelli dei due laboratori delle cupoline che raffigurano nel portico l’Antico Testamento; cfr. su questo M. d’Agostino – N. Panciera, Il mistero della salvezza nei mosaici di San Marco, Castel Bolognese, Itaca, 2005, p. 34.
[7] Nel sottarco fra la Cupola dell’Emmanuele e la volta dell’annunciazione sta invece l’iscrizione che recita: «Italiam Libiam Venetos sicut leo Marce doctrina tumulo requie fremituque tueris», che significa «Come un leone proteggi l’Italia, l’Africa (Libia) e Venezia con il tuo insegnamento, la tua tomba, la tua pace e il tuo ruggito».
[8] Cfr. su questo M. d’Agostino – N. Panciera, Il mistero della salvezza nei mosaici di San Marco, Castel Bolognese, Itaca, 2005, p. 64.
[9] Il mosaico è della metà del XII secolo; cfr. su questo M. d’Agostino – N. Panciera, Il mistero della salvezza nei mosaici di San Marco, Castel Bolognese, Itaca, 2005, pp. 67-68.
[10] I riferimenti incrociati si arricchiscono poi, secondo la Emmerick, per il fatto che la casa del Cenacolo sarebbe appartenuta ai parenti di san Marco.