1/ Progressismo, l'uomo nella società dell'apparire, di Fabrice Hadjadj 2/ Se la pax del mercato non è che mercimonio privato, di Fabrice Hadjadj 3/ Quella ricerca di sensazioni che ci toglie il quotidiano, di Fabrice Hadjadj 4/ Il senso “economico” del Giubileo dall'etica dei campi alle voraci città, di Fabrice Hadjadj 5/ Il cibo dell'uomo? In vitro non sarà né carne né pesce, di Fabrice Hadjadj
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1/ Progressismo, l'uomo nella società dell'apparire, di Fabrice Hadjadj
Riprendiamo da Avvenire del 13/5/2017 un articolo di Fabrice Hadjadj. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per altri articoli di Fabrice Hadjadj, cliccare sul tag fabrice_hadjadj.
Il Centro culturale Gli scritti (25/6/2017)
Cento anni dopo le apparizioni della Madonna a Fatima, il mondo ha conosciuto sconvolgimenti tali che il fenomeno delle apparizioni assume un significato diverso. Dal 1917, con lo sviluppo della radio, della televisione, di Skype e degli ologrammi, sembra che non ci sia niente di più comune dell'“apparire”; l'avvenimento raro e quasi miracoloso è diventato l'essere fisicamente presenti, in una prossimità ordinaria.
Ho sottolineato spesso che questa inversione della scoperta è uno degli aspetti più piacevoli di un mondo assoggettato al progressismo: laddove l'innovazione diventa banalità destinata all'obsolescenza, l'antico si rivela nella sua novità. Camminare su una strada di campagna è un'attività inaudita per chi ha l'abitudine di viaggiare su un'astronave. L'incontro con un albero o un lombrico è un avvenimento fantastico per chi di solito ha a che fare con dei robot. E uno che frequenta soprattutto immagini sintetiche, avatar e proiezioni bi- o tridimensionali, è completamente stupito da qualcuno che bussa alla sua porta dopo aver salito le scale a piedi…
Insomma, a furia di conquistare Marte finiremo per scoprire la Terra. Nella saturazione degli artifici, la naturalezza diventa quasi soprannaturale, al punto che la meraviglia potrebbe essere non il vedere la Madonna in un angolo sperduto del Portogallo ma avere il proprio marito a casa, a tavola, che parla con i bambini senza trafficare con il cellulare.
Tuttavia, è possibile che le due cose siano intimamente legate. L'apparizione tecnologica cerca probabilmente di avvicinarsi all'apparizione mariana o all'ubiquità divina. Si tratta di poter essere presenti dappertutto, come un nume tutelare; questo implica necessariamente, nella nostra condizione non ancora del tutto celestiale, l'assentarsi dal luogo dove si sta e il trascurare quelli che sono molto concretamente il nostro prossimo. Del resto, in queste condizioni non esiste più né il vicino né il lontano, ma ciò che Heidegger chiama il «senza-distanza»: la star che appare sul teleschermo non è più lontana, giacché l'abbiamo davanti agli occhi, nel nostro salone, ma non per questo ci sta veramente vicino, se non nelle nostre fantasie.
Günther Anders insiste sul fatto che, nella cornice telematica, la questione della presenza o dell'assenza diventa senza oggetto «perché la situazione creata dalla teletrasmissione è caratterizzata dalla sua ambiguità ontologica: gli avvenimenti trasmessi sono allo stesso tempo presenti e assenti, allo stesso tempo reali ed apparenti, allo stesso tempo qui e altrove».
È specialmente il caso del Live, dove ciò che è “vivo” è in verità ricostituito dall'elettronica, o della “diretta”, dove la pretesa immediatezza passa da una mediazione estremamente pesante ma nascosta. Sotto quest'aspetto, è abbastanza evidente che le apparizioni promosse dall'apparato tecnologico-finanziario sono più oscurantiste di quelle riconosciute dalla Chiesa (solamente 17 su più di 21.000 conosciute).
C'è oscurantismo solo dove la conoscenza possibile è sistematicamente ostacolata. Capita così con i nostri apparecchi. Sono piccole scatole che si presentano con lo slogan «unbox your life» in pubblicità dove gli utenti passeggiano in mezzo alla natura o attraverso città radiose: niente sulle miniere del Kivu, il carbone degli Appalachi, le fabbriche di Shenzen, i sinistri data centers e le centrali nucleari che permettono il funzionamento di questi oggetti così cool.
L'apparizione della Madonna è molto più semplice e limpida. Non nasconde nessuno sfruttamento profittevole ai giganti dell'industria digitale. Il suo miracolo non dipende da alcuna meccanismo vergognoso o insidioso. Lungi dal mettere in azione, come l'ologramma, tutto il dispositivo tecnologico-finanziario, la Madonna lo aggira e lo sconcerta, così che il suo modo di manifestarsi può essere considerato come il modello di ogni alternativa.
Ella arriva perfino a eludere la gerarchia romana, preferendo apparire ai pastori piuttosto che ai cardinali. Le piace di più il bee delle pecore del buzz dei media. Di fatto, mentre l'apparizione tecnologica vanta la sofisticazione e ci invischia sempre di più nella grande tela virtuale, l'apparizione mariana canta la vita semplice. È la madre che si china sui suoi figli. Che dice loro di non dimenticare di dire la preghiera. Che mostra loro i fiori o una sorgente d'acqua.
Ecco perché, per quanto soprannaturale possa essere, questo tipo di apparizione, ha più a che fare col marito che viene alla tavola familiare senza smartphone che con le ultime prodezze della videografia. Certo, l'apparizione mariana si distingue, anche per una certa “ambiguità ontologica”: fuggitiva, non si sa da dove venga, né dove vada; la sua presenza è indubitabile, ma non è quella delle cose quotidiane e sta sempre nell'imminenza di una scomparsa definitiva. Ma non finisce nel «senza-distanza» dell'apparizione tecnologica.
Tende piuttosto a restaurare il senso delle distanze reali, non solo perché è ordinata all'amore del prossimo, ma anche perché Maria, prima di scomparire, domanda generalmente che si costruisca una Chiesa in quel luogo. Il suo nome è legato a un luogo ormai benedetto nella sua stessa materialità. Le donne di Canterbury lo ricordano alla fine di Assassinio nella Cattedrale di T. S. Eliot : «Dove un santo ha abitato, dove un martire ha dato il suo sangue per il sangue di Cristo, là il suolo è santo e la sua santità non si potrà estirpare neppure se gli eserciti lo calpesteranno, neppure se arriveranno a visitarlo i turisti con le guide in mano…».
Così, si dice di san Francesco d'Assisi o di santa Teresa di Lisieux. Così si parla della Madonna di Guadalupe, di Lourdes o di Fatima. Tutta un'economia si svilupperà su questo suolo segnato, col rischio del turismo spirituale e degli ignobili negozi di souvenir, ma si tratta malgrado tutto di un'economia locale, che manifesta il carattere storico e insostituibile di un luogo. L'apparizione mariana opera al contrario dell'apparizione tecnologica dunque: non è virtualizzazione sulla rete planetaria, ma radicamento su una terra, santuarizzazione di uno spazio dove le persone di ogni parte della Terra vanno in pellegrinaggio, molto fisicamente.
2/ Se la pax del mercato non è che mercimonio privato, di Fabrice Hadjadj
Riprendiamo da Avvenire del 18/6/2017 un articolo di Fabrice Hadjadj. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per altri articoli di Fabrice Hadjadj, cliccare sul tag fabrice_hadjadj.
Il Centro culturale Gli scritti (25/6/2017)
Lo spazio pubblico occidentale è caratterizzato da un vuoto stupefacente: la questione del senso è assente (sostituita da quella della crescita economica). Ogni sapienza, ogni questione religiosa è esclusa da quello spazio e rinviata alla "sfera privata".
Certamente, però, anche i nostri politici, quando si sbarbano al mattino o nella solitudine della stanza da bagno, sono d'improvviso raggiunti dal loro bisogno di felicità e dall'angoscia della morte. Per questa ragione consultano i loro smartphone pure dentro al cesso. Il ronzio delle news gli è necessario per non sentire il cuore...
Per gli antichi, la politica doveva essere il coronamento della vita umana con la celebrazione degli dei della città; adesso è ridotta a sottomissione allo sviluppo materiale, con l'aggiunta di qualche serata di vittoria elettorale animata da un "d.j. techno". Quando si parla oggi di «moralizzare la vita politica» si tratta solamente di deontologia negli affari, perché questa vita politica si trova mani e piedi al di fuori di ogni elevazione morale, con la sua esigenza di giustizia, per fermarsi al livello di soluzione tecnica con i suoi meccanismi di aggiustamento.
Come è avvenuto il ripiegamento sulle speculazioni finanziarie di uno spazio che tradizionalmente si apriva ai misteri della storia? Tale ribaltamento risale probabilmente alle guerre di religione. A partire dalla riforma protestante non è stato più possibile riconoscersi in un re cattolico. Lo Stato, in questa nuova situazione di pluralismo religioso e per evitare ciò che sembra il peggio, la guerra civile, non può manifestare più nessun credo, ma solo la sua neutralità rispetto a ogni concezione trascendente del bene.
Ma come fanno a discutere tra loro, in uno stesso spazio pubblico, persone che non vogliono più affrontare temi decisivi? Riducendo tutte le loro conversazioni a questioni di commercio. Mettendo al posto della chiesa la piazza del mercato. Dove non c'è più comunione, resta il commercio. Esso solo permette di evitare la guerra aperta.
Ritornano qui alla mente le pagine di Montesquieu, riprese poi da Kant e da tutti gli artefici di "progetti di pace perpetua": «Il commercio guarisce dai pregiudizi distruttori, ed è quasi una massima generale che ovunque vi sono costumi miti, v'è commercio; e che ovunque v'è commercio, vi sono costumi miti. […] L'effetto naturale del commercio è di portare alla pace. Due nazioni che commerciano insieme si rendono reciprocamente dipendenti: se una ha interesse di acquistare, l'altra ha interesse di vendere; e tutte le unioni sono fondate su bisogni scambievoli».
Gli eurocrati che si vantano di aver creato un mercato di 500 milioni di consumatori potrebbero sembrare cinici, ma, nella loro prospettiva, chi promuove il liberismo è un costruttore di pace. I cittadini tedeschi e francesi starebbero ancora a farsi la guerra; i consumatori europei non la fanno più perché il francese ha bisogno dell'automobile tedesca e il tedesco del bicchiere di bordeaux.
Questa logica estesa alla mondializzazione conduce a una meraviglia: un capo di Stato europeo, difensore dei valori repubblicani, non avrà difficoltà a stringere la mano di un emiro wahabita, fautore della sharia. La dipendenza reciproca creata attorno al petrolio ci porta a questa dolcezza inattesa: un bacio di Giuda che è allo stesso tempo un bacio di pace. E visto che Gesù è scomparso, sono due Giuda che si baciano e consegnano l'uno all'altro il comfort, le armi e il carburante che le fa funzionare, e guadagnano molti più denari del povero Iscariota che ignorava i business models.
Montesquieu tuttavia relativizza la sua prima osservazione: «Se lo spirito del commercio unisce le nazioni, non unisce al pari i privati. Vediamo che nei Paesi dove si vive solo preoccupandosi del commercio, si fa traffico di tutte le azioni umane, e di tutte le virtù morali: le più piccole cose, quelle che l'umanità esige, vi si fanno e vi si danno per denaro». Il rovescio della medaglia della pacificazione internazionale corrisponde dunque a una prostituzione generalizzata. La sicurezza è acquisita mediante la riduzione di ogni bene a valori monetizzabili.
Montesquieu dirà nel seguito che il commercio non preserva dal «brigantaggio» impedendoci l'accesso alla virtù. E in precedenza aveva affermato tale ambivalenza: «Le leggi del commercio perfezionano i costumi, per la ragione che queste stesse leggi rovinano i costumi. Il commercio corrompe i costumi puri. Era il motivo delle lagnanze di Platone: esso dirozza e mitiga i costumi barbari, come vediamo tutti i giorni».
In altre parole, la pace che si stabilisce attraverso il commercio non può essere altro che una pace tra barbari. La violenza è soltanto spostata, tanto più che il rapporto più favorevole tra le merci esige il rapporto più concorrenziale tra i loro produttori: «È la concorrenza che dà un prezzo giusto alle merci e stabilisce i veri rapporti tra esse».
Ma la violenza più radicale non è quella della guerra economica e dei suoi danni collaterali, è quella che respinge il nostro slancio naturale verso la verità lontano dallo spazio pubblico e lo svuota di ogni profondità.
Ci sono almeno tre sostituzioni principali che derivano della pacificazione commerciale.
Primo: il paradigma del commercio si sostituisce a quello della religione per evitare la guerra civile, come se ogni dibattito sull'essenziale implicasse necessariamente la violenza. Perciò lo spazio pubblico dove la questione religiosa appare il meno possibile è in realtà costituito dalla questione religiosa stessa come da quella cosa che è necessario escludere in quanto minaccia al comfort delle società plurali.
Secondo: come dice Jean-Claude Michéa, la sola guerra che il liberalismo può tollerare è la guerra contro la natura: dato che è impossibile pensare a un progresso morale o spirituale comune, il diversivo sostituisce la conversione e non resta altro che mettersi in marcia insieme verso il progresso tecnologico: «L'ideale moderno del progresso si radica molto di più nel desiderio di sfuggire a ogni costo all'inferno della guerra civile ideologica che in un'attrattiva verso un qualsiasi paradiso terrestre».
Terzo: dato che il commercio ci rende miti solamente eccitando l'interesse individuale, l'ultima sostituzione è la più radicale. Essa opera un capovolgimento antropologico e persino ontologico: la finalità dell'esistenza non è più dare la vita ma conservarsi e "realizzarsi". Michéa ancora sottolinea: «La modernità occidentale appare come la prima civiltà della storia che abbia intrapreso di fare della conservazione di sé [e non del sacrificio eroico] la prima o addirittura l'unica preoccupazione dell'individuo, l'ideale fondatore della società che egli deve formare coi suoi simili».
Ma la preoccupazione della conservazione non può dispiegare il senso di una vita. Ecco che questa ontologia borghese provoca come reazione un'ontologia terroristica, non meno falsa, ma abbastanza comprensibile: l'immolazione viva invece di una conservazione vana. Ed è così che il mite commercio favorisce l'attentato-suicida.
3/ Quella ricerca di sensazioni che ci toglie il quotidiano, di Fabrice Hadjadj
Riprendiamo da Avvenire del 30/4/2017 un articolo di Fabrice Hadjadj. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per altri articoli di Fabrice Hadjadj, cliccare sul tag fabrice_hadjadj.
Il Centro culturale Gli scritti (25/6/2017)
Estasi o interiorità? Colpo di fulmine o pentola sul fuoco? Quando parliamo di felicità, l'idea che ne abbiamo si associa a due tipi di immagini che corrispondono a due modi opposti di rapportarsi al tempo. Il primo tipo, è quello della vita intensa: all'improvviso eccoci sorpresi, folgorati, a bocca aperta.
Il secondo, è quello della vita serena: siamo al riparo, nella calma, in un bagno di dolcezza. Là, è lo strappo; qui, la maturazione. Là, l'istante; qui, la durata. Questa separazione delle nostre visioni felici tra il fulmine e il cielo blu, l'avvenimento e l'armonia, il sublime e il piacevole, divide anche il nostro approccio alla bellezza.
Gli uni lo provano come un'effrazione: l'apparizione di una passante dal corpo splendido che passeggia sul nostro cuore. Gli altri lo percepiscono come una salita lenta ma irresistibile: la superficie del mare in Grecia, calma e scintillante, ma la cui immensità luminosa e tremante vince a poco a poco la nostra anima. Così è anche per la verità: è visione o cammino, velo che d'un tratto si solleva o dialogo che si protrae? Per il lavoro: è rapido successo o lavoro attento, efficacia immediata o paziente ricominciare? Per la conversione: è Paolo o Pietro, brusca caduta da cavallo o seguire per anni sempre inciampando?
Certo è che la nostra epoca sta piuttosto dalla parte della folgorazione. Essa confonde facilmente il veloce e il vivace, forse a causa dell'accelerazione tecnologica, della banda larga e della connessione quasi istantanea che fa spuntare tutto un vellicamento virtuale sullo schermo che un attimo prima era grigio. Voluttà del treno ad alta velocità, ma che impedisce la contemplazione del paesaggio. Ecco perché facciamo tanta fatica ad afferrare il pensiero degli Antichi che cantavano la pace.
Ai nostri occhi abbagliati, la pace sembra un sonno; la sua armonia un'inerzia; la sua lunghezza una scipitezza. Quando sant'Agostino la definisce come la «tranquillità dell'ordine», pensiamo quasi alla morte, certamente non alla felicità.
Il problema con la ricerca dell'intenso è che rovina la sensibilità. Le sensazioni non sono mai abbastanza forti. Si comincia con il parapendio per passare al salto con l'elastico, la caduta libera col paracadute, il volo in wingsuit e alla fine la caduta libera senza paracadute. Il suicidio sarà sempre di intensità estrema e senza ritorno. Non faccio esempi di tipo carnale, ma, evidentemente, bisognerebbe in questo caso dirigersi verso lo stupro e l'omicidio.
Purtroppo, anche l'assassino seriale finisce per annoiarsi: tagliare una donna in pezzi, dai e ridai, lo eccita quanto pelare una patata. Si accorge che ha sbagliato qualcosa. Che si sarebbe potuto fermare alle patate, se fosse stato più sensibile, più capace di stupore. Ecco perché il gusto dell'intensità rovescia facilmente la sua logica per giocare meglio sui contrasti. Si mette al ritmo della lumaca per essere sconvolto dalla velocità della tartaruga. Si resta giorni chiusi nell'oscurità per aprire di colpo le ante e percepire un giorno di grigiore come una formidabile illuminazione. Si digiuna tre giorni e, subito dopo, niente è più intenso, più saporito, niente da più piacere di un pezzo di pane duro.
L'ascetismo è il solo metodo per vivere un edonismo che non diventa aceto. Mantenendo per molto tempo un'intensità di vita molto bassa, nella solitudine, anche il mezzo-sorriso di una vecchia signora può apparirci come un'esperienza di una potenza straordinaria. Si comprende perché la questione dell'intensità non è l'unica.
La fede sarebbe solamente un colpo di bacchetta magica se tutto si decidesse così, in una caduta da cavallo. L'amore sarebbe solamente illusione e disillusione se si riducesse all'orgasmo. La loro vocazione e la loro prova sono precisamente di passare dall'estasi all'interiore, dal colpo di fulmine alla pentola sul fuoco. I romantici volubili non mancheranno di considerare questo passaggio come un imborghesimento. È perché non riescono a entrare nella profonda poesia del quotidiano.
4/ Il senso “economico” del Giubileo dall'etica dei campi alle voraci città, di Fabrice Hadjadj
Riprendiamo da Avvenire del 7/5/2017 un articolo di Fabrice Hadjadj. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per altri articoli di Fabrice Hadjadj, cliccare sul tag fabrice_hadjadj.
Il Centro culturale Gli scritti (25/6/2017)
La grande istituzione economica di Israele è il Giubileo, sabato dei sabati e perdono dei perdoni, dato che capita una volta ogni sette volte sette anni, allo Yom Kippur. Allora si fa suonare una tromba fatta con il corno di un montone, jobel in ebraico (laddove la “tragedia” è il “canto del capro” sacrificato nel culto dionisiaco, il giubileo è la “voce dell'ariete” che prende il posto di Isacco nel sacrificio di Abramo).
Leggendo il Levitico, il cattolico romantico trattiene solamente il versetto 18 del capitolo 19, quello che contiene la frase «amerai il prossimo tuo come te stesso». L'amore sempre, ma che, così isolato, staccato dalle radici e dalle ramificazioni degli altri versetti, galleggia in assenza di gravità. Giubilare si riduce a un'emozione individuale, un orgasmo permesso anche alle vergini, senza nessun rapporto con l'economia – che idea bizzarra! Eppure basta leggere il testo che conclude il libro dei Leviti per accorgersi che invano la tromba suonerebbe la gioia se non rompesse le catene della schiavitù e non impedisse, soprattutto, ai bambini di Israele di diventare dei nuovi Faraoni: «Al decimo giorno del settimo mese, farai squillare la tromba dell'acclamazione; nel giorno dell'espiazione farete squillare la tromba per tutto il paese. Dichiarerete santo il cinquantesimo anno e proclamerete la liberazione nel paese per tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un giubileo; ognuno di voi tornerà nella sua proprietà e nella sua famiglia. Il cinquantesimo anno sarà per voi un giubileo; non farete né semina, né mietitura di quanto i campi produrranno da sé, né farete la vendemmia delle vigne non potate. Poiché è il giubileo; esso vi sarà sacro; potrete però mangiare il prodotto che daranno i campi. In quest'anno del giubileo, ciascuno tornerà in possesso del suo. Quando vendete qualche cosa al vostro prossimo o quando acquistate qualche cosa dal vostro prossimo, nessuno faccia torto al fratello». (Lv 25, 9-14).
Di cosa parla esattamente questo passaggio? Durante quarantanove anni, sono stati portati a termine numerosi scambi, a seconda dei casi del tempo e delle scelte delle persone. Uno ha fatto cattivo raccolto quando l'altro ha mietuto in abbondanza. Uno ha dilapidato la sua eredità quando l'altro l'ha risparmiata o fatta fruttare. Il ricco ha dovuto estinguere il debito del povero, e questo, non potendo onorare le scadenze del suo credito è stato assoldato come lavoratore a giornata. «Ora egli sia presso di te come un bracciante, come un inquilino. Ti servirà fino all'anno del giubileo; allora se ne andrà da te insieme con i suoi figli, tornerà nella sua famiglia e rientrerà nella proprietà dei suoi padri» (Lv 25 40). Al cinquantesimo anno, i contatori sono rimessi a zero, ogni famiglia rientra nella sua proprietà, ritrova il suo oikos. Questa prospettiva pone un limite a tutte le transazioni operate negli anni precedenti. Il businessman sa che le sue acquisizioni eccedentarie, anche se compiute in modo legittimo e meritato, come ricompensa di un acuto senso degli affari, non potranno superare una durata determinata, circa una generazione e mezzo, che corrisponde grosso modo alla sua speranza di vita e delimita dunque il surplus al suo merito individuale: «Ciascuno in Israele ritornerà alla sua eredità ed alla sua famiglia, se ne è stato alienato personalmente. Questa legge abbraccia il tempo, perché non soltanto la mannaia cade ogni cinquant' anni, ma si calcolano le vendite a partire dall'ultimo Giubileo, e questo vuol dire che l'ombra (agli occhi dell'avaro) o piuttosto la luce del Giubileo, data vivente e vibrante, dura per i quarantanove anni a venire».
Ne La contro-epopea del deserto, saggio sull'Esodo, il Levitico ed il Deuteronomio, l'eccellente esegeta Jacques Cazeaux presenta questa reintegrazione giubilare come una vera «rivoluzione sociale e politica», dove la parola “rivoluzione”, per una volta, assume pienamente il suo doppio senso di avvenimento e di ritorno: «La soppressione dei latifondi o, più semplicemente, l'impossibilità di far perdurare le grandi proprietà, sabota alla radice le velleità di un clan o di una Tribù, e a maggior ragione di un re».
Questa soppressione è tuttavia benefica per lo stesso grande proprietario: «Che cosa si può fare con un milione di acri? - si chiede un personaggio di Furore. - Si va in giro in un'automobile blindata. Si diventa un tipo grasso e molle, con piccoli occhi cattivi e una bocca simile al buco di un culo. E si ha paura di morire […] Se uno ha bisogno di un milione di acri per sentirsi ricco, deve essere perché si sente terribilmente povero dentro…». Una proprietà troppo grande, che supera la scala della nostra cura attenta, la possediamo meno di quanto essa non ci possieda: la sua realtà lascia il posto agli innumerevoli calcoli che invadono la nostra testa.
Il Giubileo ci alleggerisce di questo peso. Delimita un campo alla nostra misura, a quello della nostra famiglia, dove possiamo agire realmente come "signori". Di questa legge, insopportabile per l'egemonia del mercato liberale, bisogna fornire una spiegazione e notare un'eccezione. La spiegazione è che ogni acquisizione si fonda su un dono originario, sia della cosa acquistata che dell'acquirente stesso, l'una e l'altro essendo creati dall'Eterno: «Le terre non si potranno vendere per sempre, perché la terra è mia e voi siete presso di me come forestieri e inquilini». (Lv 25 23).
Paradossalmente, sta veramente a casa propria solo chi riconosce che è solamente un ospite sulla terra che Dio gli dà. In questa riconoscenza, egli accoglie la sua eredità come una provvidenza e si ricorda che senza la mano forte e il braccio teso del Signore sarebbe ancora nel paese della schiavitù, a sgobbare per le città-deposito di Pitom e Ramses. Così , sapendo che deve la sua situazione ad una grazia, uno non cerca di arrogarsi ciò che appartiene all'altra famiglia e il cui accaparramento sarebbe anche la sua propria alienazione.
Al contrario, avendo ricevuto senza merito, egli restituisce senza ritorno, si libera del surplus, lascia agli spigolatori le stoppie della sua mietitura e i bordi del suo campo: «Quando mieterete la messe della vostra terra, non mieterete fino al margine del campo e non raccoglierai ciò che resta da spigolare del tuo raccolto; lo lascerai per il povero e per il forestiero. Io sono il Signore, il vostro Dio». (Lv 23 22).
L'eccezione riguarda le città. Le case urbane – perlomeno quelle che in origine non appartengono ai Leviti – sfuggono alla legge del Giubileo. Il primo proprietario dispone di un diritto di riscatto, ma, se non ne ha i mezzi, non recupera automaticamente il suo bene. La città è il luogo proprio del commercio, mentre la campagna è quello dell'agricoltura. Ora, ciò che si tratta di garantire non è innanzitutto l'appartamento, né il palazzo e neppure il World Trade Center, che hanno il loro valore secondario e relativo, ma l'oikos, la casa con il suo pezzo di terreno che permette di assicurare la sussistenza della famiglia. Ma chi, oggi, conserva ancora questo senso economico del Giubileo? Gli economisti non sanno che l'economia ha un rapporto con tutto questo. E i cristiani evaporano in un giubileo astratto.
5/ Il cibo dell'uomo? In vitro non sarà né carne né pesce, di Fabrice Hadjadj
Riprendiamo da Avvenire del 4/6/2017 un articolo di Fabrice Hadjadj. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per altri articoli di Fabrice Hadjadj, cliccare sul tag fabrice_hadjadj.
Il Centro culturale Gli scritti (25/6/2017)
Il futuro è la bistecca stampata. Non parlo di immagini, ma proprio di bistecche commestibili che compaiono sul nostro piatto prima di scomparire nella nostra bocca. Grazie a questo procedimento, la carne diventerà cool e sarà accettabile perfino per gli adepti del Vegan. Potrà essere fatta a forma di cuore, di un fiore, di uno smartphone, per la gioia di grandi e piccini – qualsiasi cosa che la collochi meglio tra gli oggetti di design e che faccia dimenticare la sua origine insanguinata.
Del resto, non sarà più versato il sangue per ottenerla. Si aboliranno i macelli industriali, non per tornare al vecchio senso del sacrificio e alla necessità di un abbattimento raro, comunitario e rituale, ma perché l'ingegneria sarà riuscita a far crescere la carne come una qualsiasi verdura Toshiba. La Pentecoste avrà infine il suo sfogo sulla costata sintetica.
La sociologa Jocelyne Porcher mette in evidenza un accordo di fondo tra i due grandi nemici: gli industriali della carne e i difensori dei diritti degli animali. I primi sono specialisti di “zootecnia”: vedono nell'animale una macchina per generare bistecche. I secondi sono paladini della “liberazione animale”: la bestia è per essi un individuo sensibile come noi, e perfino migliore di noi, perché non ha mai causato una Guerra Mondiale (e possiamo sperare che la tigre e lo squalo un giorno si arrenderanno agli argomenti dei vegetariani).
Impossibile immaginare due campi più avversi. E tuttavia gli industriali della carne e i difensori degli animali partono da un punto comune: si oppongono all'allevatore tradizionale. Possono dunque trovare un accordo finale: la fabbricazione di carne in vitro. L'associazione americana Peta, People for the Ethical Treatment of Animals, si è così avvicinata all'In Vitro Meat Consortium. Ha promesso un milione di dollari all'équipe di ricercatori che riuscirà a produrre, senza allevare neanche un galletto, carne di pollo «il cui gusto e la cui struttura non siano distinguibili da quelli di un vero pollo sia per i vegetariani che per i consumatori di carne».
Basta con le carneficine! Basta con le fattorie industriali! Basta pure con le stalle! La Sacra Famiglia potrà deporre il bambinello in un cassetto sterile. New Harvest, che vuol dire “Nuovo Raccolto” è un'associazione senza scopo di lucro che si è data il compito di promuovere “tecnologie innovative” che garantiscano la “sicurezza alimentare” in una cornice attenta “all'etica e all'ambiente naturale”. La sua homepage si adorna di tre fotografie in cui alcuni scienziati presentano con mani inguantate di plastica il “latte senza mucca” fabbricato dalla ditta Perfect Day, l'“albume senza uovo” fabbricato dalla ditta Clara Foods e il “manzo senza manzo” brevettato da Mark Post dell'università di Maastricht.
Il tutto consiste nel prelevare alcune cellule da un animale, e pronti, via! le si mette in un'incubatrice riempita di un siero ricco di sostrati energetici, amminoacidi e sali minerali, e dopo qualche giorno si forma un sottile strato di tessuto muscolare che non è meno saporito della carnazza già insipida e contraffatta dell'agrobusiness.
Il dottor Amit Gefen, del dipartimento di ingegneria biomedica dell'università di Tel-Aviv, si è specializzato nel petto di pollo artificiale. Quasi, crede di aver trovato qualcosa capace di far impallidire il miracolo della manna e delle quaglie nel deserto: «Nell'ipotesi che si riesca un giorno a creare grandi linee di produzione di carne di pollo per mezzo del tissue engineering, semplicemente coltivando cellule in vitro e lasciandole dividersi e moltiplicarsi, questo equivarrà a produrre un alimento a partire dal nulla. La biologia ci fornirà allora una sorgente alimentare quasi inesauribile».
Produrre a partire dal nulla, non è forse diventare simili a Dio creatore? Ma un creatore, ammettiamolo che ha un grande bisogno di nuggets. Al momento però occorre ancora ben più di un po' di tessuto animale. Le installazioni biotecnologiche inghiottono molto denaro. Il 5 agosto 2013 Mark Post ha presentato alla stampa il suo primo hamburger prodotto interamente in provetta: è costato in tutto circa 290.000 euro. La degustazione è stata trasmessa in diretta dalla televisione inglese, e i tre critici e-gastronomici sono stati abbastanza lenti nel masticare, ogni boccone equivaleva a 30 anni dello stipendio medio di un lavoratore del Panama.
Tuttavia, se questa industria si sviluppa rapidamente quanto l'informatica, niente impedisce di immaginare che il prezzo potrebbe raggiungere presto quello del McDonald's. Soluzione d'avvenire, affermano alcuni che vedono nella carne in vitro un mezzo per rispondere alla crescita demografica, diminuire la consumazione di energia legata agli allevamenti, lottare contro la deforestazione e aumentare la superficie delle colture alimentari per l'uomo, poiché il 70% di questa è al momento accaparrata dall'alimentazione del bestiame.
Già negli anni Cinquanta, Georges Bataille notava ne L'erotismo: «Noi mangiamo ormai soltanto carni preparate, inanimate, astratte dal brulichio organico col quale sono apparse dapprincipio. Il sacrificio legava il fatto di mangiare alla verità della vita rivelata nella morte». La tecnologia ci promette di superare la morte e, di fatto, sta già trionfando sulla vita. Pretendendo di portarci al di là della carne e del sangue, ci trascina invece molto al di qua, verso la provetta di vetro e i circuiti integrati. Perciò l'uomo che mangerà carne artificiale dovrà essere abbastanza artefatto lui stesso. Ed è questo che ci permette di credere che non succederà mai. Un tale uomo non avrà già più bisogno di carne: gli basterà attaccare la spina.