Perché Gesù non ha scritto, di Nello Vian
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Riprendiamo da N. Vian, Il cardinale che sapeva leggere. Storie di libri e scritture, Genova, Marietti, 2017, pp. 11-12, un articolo di Nello Vian. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sotto-sezione Cristianesimo, ecumenismo e religioni e in particolare Gesù non ha scritto niente, perché è Lui la pienezza della rivelazione, di Andrea Lonardo.
Il Centro culturale Gli scritti (11/6/2017)
Pur predicando, operando, disseminando i miracoli, Gesù avrebbe potuto affidare al papiro i punti essenziali della sua dottrina, lasciare una raccolta scritta dei suoi pensieri. Scrivere non è altro che una forma d’azione. Gesù non l’ha fatto: non ha scritto che una volta sola, ma sulla sabbia (e il senso del gesto, qualunque ne sia l’interpretazione, rimane chiaramente simbolico nel contesto del fatto: la traduzione davanti a lui della donna adultera). Si sarebbe quasi tentati di dire che il carattere della sua missione gl’interdiceva l’attività d’autore, perché egli fosse esclusivamente un’autorità.
Cristo non ha voluto che gli uomini fossero conquistati più dalla sua opera scritta che dalla sua persona, come avviene per l’eredità letteraria lasciata da uno scrittore. L’opera di Platone importa più che Platone, ma di Socrate che non ha scritto attira unicamente la sua persona. Gesù non ha voluto che tra lui e i discepoli si ponesse lo schermo, anche trasparente, dell’opera scritta.
Fedele al metodo dell’insegnamento orale tradizionale del suo popolo, e del quale anche Platone nel capitolo 61 del Fedro notava la superiorità, egli ha gettato il seme della sua dottrina non sulla carta, ma in spiriti e cuori vivi, dove il suo amore lo avrebbe fatto germogliare e fruttificare.
Questa prima ragione non è la sola che possa fare intendere perché Gesù non ha scritto. Egli non era un filosofo che dopo anni di riflessione proponga una bella teoria: era la giustizia, la verità, la potenza viventi, «via, verità e vita». Era il profeta, potente non solo in parole, ma anche, e più ancora, in opere: sulla materia e lo spirito, sui corpi che guariva e le anime che convertiva. Non si limitava a insegnare, poiché alle grandi lezioni univa gli atti portentosi. La sua vita era il dogma in atto. Ogni suo comportamento, il minimo dei suoi gesti era un segno, un simbolo del divino. Spettava ai discepoli testimoniare la gloria del Maestro, narrare le sue grandi opere, e a un tempo esprimere l’impressione che essi per primi ne avevano ricevuta. In altri termini, erano i discepoli che dovevano scrivere, consegnare alla carta questa storia.