Narrar degli uomini, parlar di Dio, di Giovanni Lindo Ferretti

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 04 /06 /2017 - 23:22 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo sul nostro sito la trascrizione curata da Daniela Forniti dell’incontro tenutosi il 3 maggio 2013: Lorenzo Fazzini intervista Giovanni Lindo Ferretti in un incontro pubblico presso la Congregazione dell'Oratorio di San Filippo Neri di Roma. Giovanni Lindo Ferretti, cantautore, scrittore, fondatore e leader dei CCCP- Fedeli alla linea, poi dei CSI e dei PGR, una delle voci e dei volti più importanti del punk italiano, parla del suo “ritorno a casa". Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. A questo link il video integrale della serata qui trascritto: Giovanni Lindo Ferretti, Narrar degl'uomini parlar di Dio.

Il Centro culturale Gli scritti (4/6/2017)

[...]

Lorenzo Fazzini

Io ho conosciuto Giovanni perché mi ero messo in testa di fare un libro sui convertiti. Siccome su Avvenire, con Marco direttore, avevo preso, come le barzellette, tre francesi, due inglesi, una tedesca, ma mi mancavano gli italiani.

Allora pensa un po’, cerca, ecc… io avevo sentito parlare di codesto personaggio, mi procuro il telefono, gli telefono molto tremante e gli dico: «Guardi, io non la conosco, ma vorrei fare questo libro di interviste sui convertiti. Ho sentito la sua storia, l’ho letta di qua e di là. Mi ha colpito il suo percorso. Mi domandavo se potevo intervistarla al telefono». Silenzio, ma lungo! «Beh, in effetti sono pensieri un po’ pensati ultimamente questi qua. Che ne dici se vieni su da me una giornata e stai qui con me? Me lo dici per tempo perché c’è la mamma ammalata e allora devo organizzarmi». Apriti Sesamo! Il caso non esiste, esiste la provvidenza. Era il 3 maggio del 2009, non è che è stata pensata apposta [l’incontro si svolge il 3 maggio 2013], di quattro anni fa.

Conclusione, arrivo a casa la sera a mezzanotte e mezza, mia moglie alza la palpebra e mi chiede: «Allora com’è andata?». Gli ho detto - ero stato con lui dalla mattina alle dieci alla sera alle sette e mezza -: «Guarda, le ipotesi sono due: o ci sta prendendo per… tutti, oppure è un grande!».

Giovanni Lindo Ferretti

Devo interromperla subito. Nessuna delle due ipotesi è realistica: non vi sto prendendo per il culo, ma non c’è niente di straordinario nella mia storia!

Lorenzo Fazzini

Questo lo metteremo ai voti alla conclusione!

Allora “narrar degli uomini, parlar di Dio”, con Giovanni da che bandolo lo possiamo prendere? Perché poi abbiamo fatto anche un’intervista per TV2000, anche lì abbiamo passato tutta una giornata e più insieme. Insomma andando e tornando c’è dentro, secondo me, nella sua storia la storia di tante persone e la storia di un pezzo del nostro mondo in cui la parola “uomo” e la parola “Dio” non sono così distanti o antitetici come si può pensare. E forse oggi, visto che siete venuti ad ascoltare lui e non me, lo potremo capire.

Io, Giovanni, vorrei chiederti come primo “la” ciò che a me ha sempre molto colpito, forse perché sono figlio di un alpino: la parola “reduce”, che è il titolo del tuo primo libro. La parola “reduce”, che è una bellissima parola, è una parola vecchia, è una parola che rimanda alla Campagna di Russia, che rimanda a esperienze di sofferenza.

Da cosa sei reduce? Certo, per rispondere a questa roba qua dovremmo stare qui fino a domani mattina alle sei, ma qualcuno tiene famiglia! Da cosa sei reduce e perché ti senti reduce?

Giovanni Lindo Ferretti

Perché nel mondo contemporaneo, nel mondo in cui sono cresciuto, sono cresciuto in mezzo ad una serie di infinite battaglie. Noi siamo una generazione nata alla fine della seconda guerra mondiale, cresciuti nella guerra fredda che qualcuno dice che in realtà è stata una terza guerra mondiale mai dichiarata, ma combattuta come tale anche su altri fronti. Io ho combattuto una serie infinita di battaglie proprie del mio tempo. Mentre le combattevo le immaginavo battaglie, in qualche modo, gloriose del bene contro il male e io ero convinto di stare dalla parte del bene. Poi è cominciata a presentarsi al mio sguardo qualche crepa e ho cominciato una lunga battaglia dentro di me.

Io sono nato in un piccolo borgo dell’Appennino. C’è una frase di Pasolini, una persona che per certi versi non amo e per certi versi amo moltissimo, che dice: «Disegna l’Appennino nel cielo l’ombra di un’esistenza più antica». Io sono nato in un posto in cui l’ombra di un’esistenza più antica era viva, palpabile.

Io esco mal volentieri di casa e scendo molto, molto mal volentieri in città. Ma adesso la considero una grazia di Dio. Ho una percezione fisica del viaggio. Io ieri mattina mi sono alzato presto, ho messo a posto tutte le cose in casa, ho messo a posto gli animali, ho saluto mio zio, ho lasciato pronta la colazione, poi sono salito in macchina, poi ho preso un treno e ho fatto un viaggio di millenni in realtà. Guardavo i passeggeri che facevano tratte di questo viaggio con me e io ero felicissimo perché stavo andando a Roma. Roma è qualche cosa che fa parte della mia…, le mie cellule vibrano perché sto scendendo a Roma. Roma è una grande storia, è una grande cosa.

Io sono nato e cresciuto in una disgrazia, in un mondo povero e con una morte che ha distrutto una piccola economia di una piccola famiglia, perché è morto mio padre e siamo diventati improvvisamente da poveri dignitosi a molto, molto poveri. Mia madre ha dovuto lavorare diciotto ore al giorno per mantenere i suoi figli più la famiglia di mio padre che era una vecchia nonna e un cognato malato in un ospedale a cui bisognava pagare le cure. Per cui, per un po’ di anni, ha lavorato diciotto ore al giorno. Sembra impossibile a dirsi! Lei lavorava sempre e poi arrivava a casa e io ho questi ricordi di questa donna giovane sempre affaticata, ma per me bellissima.

Io vivevo con una vecchia nonna in una vecchia casa cadente, ma a me sembrava il paradiso terrestre: era tutto bellissimo. Ero un bimbo molto amato, quindi mi stupivo che gli altri percepissero questa situazione come una situazione di dolore perché per me era così bello, avevo tutto quello che mi serviva.

Sono cresciuto come un bimbo cattolico come la maggioranza dei bimbi di qualche generazione fa, io ho sessant’anni adesso. Poi la mia famiglia ha deciso che i bimbi dovevano studiare quindi sono stato mandato in collegio. Sono stato cresciuto dai salesiani in un collegio in pianura, vicino a Reggio Emilia che è la città dei comunisti. Sono cresciuto in un ambiente molto, molto sereno e senza nessun problema come crescono i bimbi, con tanti problemi. Ho conosciuto la morte, come capitava ai bimbi di altri tempi, da subito. Però le cose stavano in un ordine naturale in cui io mi sentivo a mio agio.

Poi sono cresciuto. Ero un bimbo promettente in qualche modo perché studiavo e così via, e mi sono innamorato della modernità. In realtà ad un certo punto ho scoperto che c’era tutto un altro mondo intorno a me che sembrava così promettente, cioè prometteva delle cose molto diverse e molto più grandi di quelle che io avevo ed erano la mia gioia. Prometteva delle idee strepitose tipo la costruzione del paradiso sulla terra, per ridurre a semplicità; quindi la giustizia come regno sociale. Allora io pensavo che per esempio per mia madre, che era una povera donna che lavorava come una disperata, la giustizia sociale sarebbe stato qualcosa d’importante e lei questi discorsi non li aveva mai pensati perché in realtà lei, nella sua disgrazia, si rivolgeva a Dio, pregava, reggeva pensando che la vita è complicata. Le cose ti succedono e tu devi avere la forza di reagire, poi pian piano capisci che anche quelle cose così terribili hanno una loro ragione. Forse tu non capisci la loro ragione, comunque la vita è questa: la vita è un dono e va accettata per quello che è; non bisogna porsi problemi che non hanno soluzione possibile, perché le soluzioni sono in realtà un peggiorativo dell’esistente. C’è una saggezza popolare così forte che ad un certo punto io ho abbandonato e ho voluto costruirmi secondo aspettative altre e diverse e ho scoperto la modernità. Era più o meno il 1968, io ero un ragazzino molto giovane e c’era anche una dinamica ormonale, c’è un periodo della vita in cui non ti torna più niente ed è facile rimane preda di sogni, di predicazioni folli. Io guardo gli animali, se voi allevate dei cuccioli c’è un momento in cui tutti i cuccioli passano una fase che io chiamo “delirio dell’onnipotenza” per cui un cane si mette davanti ad un trattore e abbaia spaventosamente con la convinzione di fermarlo. Quindi arriva il padrone, o qualcuno che passa di lì, e con un gesto autoritario lo prende per il colletto, gli dà due sberle e dice: «Non si fa!» e lo butta via. Lui impara e quindi forse si salva o, altrimenti, prima o poi viene schiacciato dal trattore. Non c’è altra soluzione, è così, succede questo.

Ecco, ad un certo momento attorno a me non c’era una famiglia, una tradizione, una comunità che fosse in grado di reggere la mia necessità, la mia smania di protagonismo, non so nemmeno come definirla. Quindi ho fatto tutto il percorso della mia generazione, ma in maniera molto seria: credendo davvero che la risposta fosse possibile ai bisogni degli uomini soltanto confidando sulla forza dell’uomo con la giusta ideologia e la giusta dose di violenza perché ad un contadino è evidente che comunque serve per fare funzionare il mondo anche una giusta dose di violenza. E ho pensato per lungo tempo che questo fosse possibile: che gli uomini possedessero, se lo vogliono, con la giusta ideologia, con la giusta organizzazione, riorganizzare il mondo meglio di quello che è. L’ho creduto fino a che è stato possibile perché, comunque, l’educazione che mi è stata data da bimbo era un’educazione che possedeva una verità che è riaffiorata.

Io sono stato abituato da bimbo a fare l’esame di coscienza. Me lo ha insegnato mia nonna che era una signora... Quando la guardavo pensavo che lei fosse una regina longobarda. Non sono mai stato di quelli che pensano che l’uomo possa discendere da una scimmia, sarebbe così triste, così terribile che per me non è proprio possibile, nemmeno se è vero non è possibile! Deve essere successo qualcosa che non sappiamo, ma non è così, non fosse altro per le persone che mi hanno allevato e che mi hanno avuto bene. Erano esseri umani, uomini e donne con una forza e una capacità di reggere le disgrazie, di trovare la forza necessaria, magari chinando il capo.

Mia nonna mi ha insegnato a fare l’esame di coscienza. Che significava? Che alla sera, quando andavamo a letto, io dormivo nel lettone insieme a mia nonna perché la casa era molto grande, era molto fredda, piena di spifferi e di rumori - poi i bimbi sono sempre stati bene con i nonni, si addormentano; è una questione anche di chimica di pelle: probabilmente la pelle dei bimbi cerca la pelle dei vecchi per trovare una pace fisica –. Mia nonna la sera mi faceva dire le preghiere e poi mi faceva fare l’esame di coscienza - pensando perché lei non voleva sapere, non era un esame di coscienza fatto a voce alta. Lei m’invitava a pensare quello che avevo fatto durante la giornata, dove erano stati i problemi e, nei problemi, a cercare di capire quali erano le mie colpe, perché quello era il mio esame di coscienza. Qualche volta ci capitava di discutere e io dicevo: «Però quello lì è colpa di Luciano!» e mia nonna mi diceva: «No, noi stiamo facendo l’esame di coscienza di Giovanni. Luciano magari lo fa con sua nonna, quello lì è il suo esame di coscienza. Tu non puoi ributtare la colpa sugli altri, tu devi pensare alle colpe che sono riducibili a te». E sono stato abituato così: a non raccontarmi le bugie.

I bimbi vengono educati, l’educazione è un processo connaturato all’umanità: se l’educazione non c’è, non c’è; se l’educazione c’è, anche se tu la perdi, poi riaffiora perché, di fronte a cose importanti che succedono, le cose che ti sono state insegnate hanno lasciato un segno e a volte tu scopri che hai una forza che non pensavi di avere.

La prima forza che ho riscoperto, quando le cose non hanno più cominciato a funzionare come immaginavo, è che io sapevo fare l’esame di coscienza; dovevo ricordarmi quello che mi era stato insegnato. Poi ho ricominciato a dire le preghiere che dicevo con mia nonna. Non era una dimensione molto religiosa, era una dimensione più terapeutica e cioè la scansione del Pater Ave Gloria Requiem perché quando ero bambino noi pregavamo in latino, un latino un po’ maccheronico però molto funzionale. Quindi, tenuto conto che tra le tante mode che hanno imperversato nella mia giovinezza c’è stato un momento in cui anche la spiritualità orientale, ogni cosa strana, ogni cosa esotica per cui avevo amici, a cui volevo anche bene, che dicevano delle preghiere inverosimili e facevano della cose per cui io mi dicevo: «Ma se io devo pregare prego come mi è stato insegnato. Comunque io non prego perché io non credo più a queste cose». Ma ho ricominciato pian piano. Però c’è qualcosa che va al di là della mia volontà: c’è una terra, c’è una storia, c’è un paese, c’è una tradizione, c’è una famiglia. Non così intelligente per poter fare tutto da solo! Quindi, in realtà, credo che le preghiere di mia nonna, le preghiere di madre abbiano in qualche modo fatto un lungo percorso di fianco a me e mi siano arrivate addosso nel momento in cui io avevo bisogno di ritrovare qualcosa. Ad un certo punto ho dovuto dire che tutto quello che io avevo creato con le mie forze, con la mia intelligenza, in realtà era ben misera cosa. Erano una serie di mode che io avevo attraversato; potevo anche immaginarle come delle leggere malattie dell’anima. Niente mi tornava e facendo i conti, vent’anni dopo - io ho abbandonato la chiesa ha 14 anni, subito dopo il Concilio Vaticano II, le ultime funzioni a cui ho assistito erano quelle dove per la prima volta c’erano le chitarre, c’erano delle messe beat, delle cose strane, io pensavo che se dovevo sentire le messe beat andavo a sentire i concerti dei Nomadi che erano appena nati a Reggio Emilia, quindi ho abbandonato le messe e sono andato a vedere i concerti dei Nomadi, dell’Equipe 84 - però non ha funzionato, quello che io cercavo non era quello che io avevo nella mia vita. Avevo molto, le cose che avevo fatto funzionavano: facevo il cantante, avevo un buon pubblico. Ma non mi tornava niente, non mi tornava la realtà. Io sono stato allevato in un altro modo e questo ha fatto la vera differenza. Per cui quando molte persone mi chiedono di raccontare la mia storia, di partecipare ad incontri, io mi sento… dico che ci sono tanti maestri che sanno raccontare e spiegare le cose molto meglio di me. In realtà io semplicemente ho aperto gli occhi e ho pensato che quello che per lungo tempo ho creduto, in realtà non funzionava. Avevo un’altra strada possibile, ne ho provate tante, ma alla fine l’unica strada possibile era provare a tornare a casa.

Reduce significa questo: ho combattuto una serie di guerre durante la mia esistenza. Sono persino stato, durante la rivoluzione portoghese, armato su di una barricata. Non è una cosa che ho raccontato pubblicamente perché ero giovane. C’era la rivoluzione in Portogallo, facevo l’università e ho detto: «Va beh, voglio andarla a vedere!». E’ plausibile, cresciuto nella mitologia delle rivoluzioni ho detto: «Beh, me ne capita una, non voglio perderla!». Era una rivoluzione tristina, non ha prodotto granché, non sono stato molto fortunato! Però era evidente, anche ad un occhio stupido come il mio, che uno si può raccontare le balle fin che vuole, ma nessuna risposta che funzionasse, rispetto alle esigenze di un cuore umano, era nemmeno sfiorata dal mondo e dal modo in cui io vivevo.

Il legame con la Chiesa cattolica, per quanto io per un lungo periodo abbia combattuto coscientemente la Chiesa cattolica come origine di buona parte dei mali sociali. Ci sono delle ideologie che ti sfornano già tutto il modo di parlare; tu prendi un pacchetto, se vuoi il pacchetto anticattolico lo trovi, è facilissimo, tra l’altro ce ne sono tantissimi in giro. Non a prezzi modici. Se tu ne prendi uno ci sarà sicuramente qualcuno che, in base a quello che fai, dirà: «Guarda quello com’è intelligente, guarda com’è profondo, come è moderno, guarda che sguardo nuovo che ha sulla realtà». Io li ho presi quasi tutti questi pacchettini qua. Ho provato a pensare che fosse un problema dell’uomo, che l’uomo bastasse. Per un po’ di tempo ho voluto credere che l’uomo è in grado di bastare a sé e con la giusta dose di violenza, una buona ideologia e una prassi rivoluzionaria si può costruire il paradiso in terra. Ma l’uomo non basta a sé assolutamente e ogni volta che pensa, rispetto a qualsiasi problema, che questo può essere possibile non risolve il problema e peggiora le condizioni di vita degli uomini. Comunque dai 14 ai 35 anni sono stato un militante, adesso dire rivoluzionario mi sembra persino troppo! Sono stato comunque come le persone della mia generazione a cui voglio anche bene, tra l’altro. Quando è cominciata la guerra in Jugoslavia sono cominciati… le cose evidentemente non tornavano più. Poi ho fatto un lungo viaggio nei paesi del socialismo reale e ho cominciato a pensare che i problemi erano molto diversi da come io l’immaginavo, erano molto più profondi, erano addirittura slegati da quella che è la cronaca politica vera e propria.

È stato un lungo viaggio di ritorno. È stato un ritornare da un’esperienza che non è stata un’esperienza di guerra perché quello a cui io ho assistito è stato uno scontro sociale anche molto forte. Gli anni Settanta sono stati anni in cui lo scontro sociale è stato sull’orlo di una guerra civile, però non si è mai trasformata in guerra civile vera e propria. Ma è stata una vera guerra per chi l’ha combattuta, indubbiamente.

Per tornare a casa bisogna averla una casa. Io avevo la fortuna di avere una casa e quindi, ad un certo punto, ho deciso che sarei tornato a casa. Tornare a casa, ho scoperto subito dopo, che voleva dire in realtà tornare a casa mia, rimettere mano perché era una specie di rudere, riavere di nuovo una stalla perché quella era la mia storia. E ritrovare la strada per la casa del Padre. Come battuta una volta ho detto che il viaggio più lungo che ho fatto è stato il viaggio che ho fatto da casa mia al confessionale la prima volta che sono tornato a confessarmi, che è stata una cosa veramente molto, molto difficile. A tutt’oggi, non mi guardate come se fossi un santo: io sono un essere miserevole e molto peccatore in pensieri, parole, opere e omissioni. Faccio fatica ad andarmi a confessare perché è un percorso di umiltà che è assolutamente proporzionale alla gioia e alla pacificazione che ne deriva se questo percorso io riesco a farlo. Se non riesco a farlo aumenta il disagio, ma quando ci riesco ne ho un beneficio reale, posso sottoscrivere un verbale giuridico, c’è un beneficio. Però è faticoso. È un viaggio molto, molto faticoso.

Lorenzo Fazzini

Non te la cavi così in fretta caro mio! Perché questa è una cosa che veramente… Io sono dell’anno dei tre papi, quindi non ho vissuto la tua epoca, come tanti qui in sala non l’hanno vissuta. Qualche tempo fa, due o tre settimane, cercando di far passare la stanchezza sul divano, alla sera, sono capitato su di una trasmissione, mi sembra “La storia siamo noi”. Una puntata molto bella in cui hanno ricostruito la storia di quell’immagine simbolo degli anni di piombo: quel ragazzo che spara a Milano, in mezzo alla strada, durante ad una manifestazione. È stata molto bella perché recuperavano, minuto per minuto, cercando di capire cosa era successo. Ma il cosa non ci spiega il perché. Allora vorrei chiederti, questa è una domanda mia, non so se è anche di altri, però cosa ha portato una generazione a questo? Ricordo che in un’intervista del libro, ad un certo punto, tu dici: «Io ero stufo di andare ai funerali dei miei amici perché metà di loro moriva per terrorismo, metà di droga». Racconti anche che hai lambito quasi la nascita delle Brigate Rosse, no? Reggio Emilia. Allora la mia domanda: come è stato possibile? E ci siamo salvati una volta per sempre, io lo dico qui, dal virus della violenza? Come è stato possibile? Una generazione che secondo me non ha fatto i conti come l’hai fatti tu… Ma non è per incensarti, però tu hai preso su, sei andato a Cerreto Alpi. Vi assicuro che per arrivare a casa sua… Io sono nato come lui in un paese a mille metri di altezza, più o meno, in Lombardia. La strada è una roba… ci arrivano i pullman, ecc… Guarda lui o ci vuoi arrivare o non ci arrivi, da tanto che è in santa malora. Allora, tu hai fatto i conti con te stesso, con la tua storia, con questa sbandata che ci hai motivato, questa ideologia. Però come mai una generazione intera non li ha fatti, secondo me, i conti in questa maniera perché chi era lì vicino a quel ragazzo che sparava oggi è in televisione, a pontificare sui giornali, non voglio fare nomi e cognomi, ma se volete li facciamo. Ma come è stato possibile che sia arrivato?

Giovanni Lindo Ferretti

Noi viviamo in una società che è molto complessa, è molto stratificata ed è difficile considerare fenomeni sociali con facilità e con leggerezza perché sono tante le dinamiche che s’incrociano. Ci sono delle parole che sono categorie politiche, ma non corrispondono alle presenze umane che fanno massa. In queste fotografie ci sono tutte le storie possibili, sulla terra sono presenti in quel momento, in una dimensione: ci sono i poveri cristi disperati, ci sono i rampolli delle buone famiglie che devono semplicemente ricostruirsi una nuova verginità per accedere allo stesso potere di cui godono le loro famiglie in un’altra dimensione. La lettura della società che noi facciamo con delle categorie politiche è plausibile se il discorso è strettamente politico, ma se riguarda l’uomo nella sua totalità non funziona, non funziona proprio. C’è tutta un’altra serie di considerazioni che vanno tenute presenti. Non ultima è il fatto che sulla terra opera anche il male. Non operano soltanto gli umani, e gli umani danno delle chance infinite all’operatività del male. Questa è una categoria che in un discorso politico è difficile fare perché ti fai ridere dietro. Però è lì, è davanti agli occhi, se uno lo vuole vedere. E non m’indurre in tentazione ha tante valenze, però, molto spesso, gli uomini creano situazioni che sono propedeutiche all’irrompere del male in una maniera incredibile. È come i ragazzini che si dilettano in un periodo dell’età. Mi è capitato, avendo sessant’anni, ho già visto varie generazioni di ragazzini dopo di me che per un attimo pensano di essere particolarmente fighi e si dilettano di satanismo. Dio è molto misericordioso: la maggior parte delle volte, basta veramente una scoppola in testa e tutto finisce. A volte invocano, proprio concedono la loro, vita perché il male possa presentarsi tramite loro. Sono parte in causa anche in maniera superficiale, grezza, però è così.

Io non so più parlare un granché con le categorie politiche perché ci ho messo così tanto tempo ad uscirne che tendo un po’ a snobbarle, in qualche modo. Per cui non so più fare tanti pensieri che io ho pensato rispetto alla piccolezza della risposta politica al disagio umano; non so ridirli perché preferisco dire un Pater Ave Gloria che star lì a dire, a fare tutto un giudizio ragionevole, in sostanza. Però è così.

Lorenzo Fazzini

Potrei entrare anche più in specifico di questo “parlar di Dio” perché vedo tanti giovani e anche parlando con Ivan, per preparare questo incontro, si sentiva anche non so come dire, un “retro pensiero”, un desiderio di acquisire quelle che Pietro, nella sua lettera, definisce “le ragioni della fede”. A me ha colpito molto, in questi giorni ho letto una trascrizione di un intervento della vedova Calabresi, la moglie del commissario Calabresi. È stata pubblicata in parte su Avvenire; non ricordo se su Avvenire c’era questa parte di cui vi cito. A me ha sconvolto, confesso non ho letto il libro del figlio “Spingendo la notte più in là”, di Mario Calabresi. A me ha sconvolto leggere di questa donna che dice: «Io ho avuto il dono della fede nell’istante in cui, giovane mamma di venticinque anni, mi hanno detto che mio marito era stato ucciso». A me personalmente, scusatemi, anche qui due ipotesi: o ci sta prendendo in giro o è vero. Non puoi dire che hai avuto il dono della fede nell’istante in cui ti sei accasciata sul divano: o lo dici perché è vero oppure non lo dici, e allora se lo dici vuol dire che è veramente vero.

Tu ci hai parlato di questo ritorno a casa, del viaggio lungo. Ma “parlar di Dio” vuol dire? In una società come oggi, a me viene da guardare con la mente subito a papa Francesco, parli di Dio se lo hai incontrato, se no oggi ti sgamano subito. Allora, l’incontro con Dio non so se per te c’è un momento stile “roveto ardente”, stile “trasfigurazione”, stile la “caduta da cavallo”, o c’è un processo, c’è un cammino per cui ci sei ancora dentro e ci puoi anche aiutare o fare un tratto di cammino oppure anche provare ad altri a fare questo cammino?

Giovanni Lindo Ferretti

Quando ho raccontato la mia storia e sui giornali cattolici, che non avevo mai letto in vita mia perché da bimbo non leggevo e da grande non li leggevo, ho visto la parola “riconversione” sono rimasto un po’ spiazzato, poi ho pensato che “conversione” è un termine che riguarda i cristiani cattolici ogni giorno; ogni giorno in realtà uno si sveglia ed è chiamato a una nuova conversione perché è una nuova giornata e quindi, da questo punto di vista, anch’io ero convertito.

In realtà io ho perso la fede nella mia vita, ma la fede non mi ha mai perso del tutto perché era stata seminata bene. Quindi c’è qualche cosa. Io prego tutti i giorni per i miei morti perché sono sicuro che loro hanno pregato così tanto per me che, in qualche modo, devo assolutamente ripareggiare questo conto perché l’essere umano è molto complesso e al di là c’è l’occhio di Dio che comprende l’uomo, ma gli uomini non comprendono. Per esempio, la cosa che tu dicevi prima della vedova Calabresi, per me è così evidente che nel momento in cui a una giovane donna di 25 anni che ha un bambino dicono: «Tuo marito è morto!» quello è il momento in cui la fede ti cade addosso perché c’è una situazione tale per cui davvero la mano di Dio ti prende, è difficile dirlo, ma credo che sia così.

Io non credo che la fede mi abbia mai abbandonato perché c’è stato un periodo in cui sono stato, per alcuni anni, un bestemmiatore di professione, perché era così nel mondo il cui vivevo, rispetto alle persone, il fatto che io sostenessi con una bestemmia un’idea dava forza a quell’idea e dava valore a me. Poi, improvvisamente, una sera mi sono vergognato di me stesso, ma mi sono vergognato di me stesso perché quando uno bestemmia fuori, poi bestemmia anche in casa, bestemmia anche con le persone, perché diventa come un’abitudine,
quindi è un intercalare, non è più un atto blasfemo. Quindi mi è capitato di vedere, due o tre volte, persone che mi hanno sgridato, persone adulte, responsabili nei miei confronti che mi hanno sgridato senza, come dite voi giovani, menarmela troppo, cioè facendomi notare che certe cose comunque non si fanno e dicendolo con il giusto modo, poche parole ma schiette e serie. Dicendomi anche, cosa che per me era l’insulto più grave: «Magari è solo una moda passeggera, poi quando vorrai liberartene ti costerà una fatica incredibile». Comunque, dopo due anni di questa pratica quotidiana di blasfemia, che dimostrava quanto io fossi veramente anticattolico, una sera mi sono vergognato e mi sono vergognato così profondamente di me stesso che proprio ho giurato a Dio che non avrei mai più bestemmiato. Allora, uno che non crede fa fatica a giurare a Dio che non avrebbe mai più bestemmiato con un peso nel cuore che io non credo di aver mai più bestemmiato, ma neanche “soprapensiero” come si dice dalle mie parti quando uno si dà una martellata su un dito, tira una bestemmia e dice: «Signore non volevo!». Non è considerata una bestemmia, è considerata un’imprecazione.

Raccontavo a Fazzini, una volta, nel periodo che ero un punkettone, un Natale che sono stato nascosto dietro una colonna ad aspettare che uscissero tutti dal duomo di Reggio Emilia perché volevo andare a vedere il presepe, perché avevo assolutamente bisogno di inginocchiarmi davanti ad un presepe.

Oppure, quando a cena mi chiedevi come avevano fatto i CCCP a cantare “Madre” e come ha risposto il pubblico. Ho raccontato a lui, quindi mi è venuto in mente e ve lo racconto anche a voi: l’hanno fatto. Io ho pensato questa canzone in un periodo in cui cominciavo a tornare avanti e indietro dalla montagna perché sentivo la mancanza della montagna. Così canticchiavo un qualcosa che ad un certo punto era una preghiera, mi sono anche stupito, ma mi piaceva! Allora sono tornato da Massimo Zamboni e gli ho detto: «Guarda io ho una canzone così strana, comunque è già cantata. Te la canto. Tu non dirmi niente, perché già mi vergogno a cantartela, voltati di là. Se tu pensi che possa essere una canzone dei CCCP, dopo tu ci fai la musica. Però è così, non si può cambiare niente: prendere o lasciare». Io mi sono attaccato alla chitarra sotto e l’abbiamo cantata. L’Annarella, che era la nostra soubrette, ha pensato che fosse stupenda e la Virgin non voleva che noi incidessimo su disco questa canzone perché non era adatta al nostro pubblico, quindi era un problema di marketing: “I CCCP non si possono permettere una canzone che visibilmente è vera, non è ironica. Quindi, o voi gli date un corollario, cioè gli mettete qualcosa che la incrini in qualche modo, che la faccia diventare ironica, oppure vi massacrano, il vostro pubblico, la critica e tutto quanto vi massacrano”.

È ovvio che uno non può dirmi una cosa così, perché io mi fortifico e dico: «La faccio così e via!». Ma ne è nata una discussione finché Annarella, con quella grazia che solo le donne hanno veramente, è un dono di Dio e solo loro riescono, lei ha detto: «Basta con queste menate, non ne posso più! Dobbiamo tornare a casa! Ve lo dico io cosa succederà: Zamboni attacca la chitarra, Ferretti comincia a cantare Madre di Dio, la gente rimane lì, apre la bocca, gli viene giù una lacrima e tutti salutano con il pugno chiuso!». Io ho guardato Annarella, ho guardato quelli della Virgin e ho detto: «La riunione è chiusa, l’Annarella ha parlato. Lei è la soubrette del popolo, voi siete i volgari mercanti. Chiusa la discussione, sul disco ci va questo». Ma la cosa incredibile e incantevole è che è successo quello che aveva detto Annarella la prima volta che noi l’abbiamo cantata. Quando noi pensiamo gli esseri umani per categorie noi commettiamo un atto che ha qualcosa di blasfemo perché non è così, è una semplificazione. Ci sono meravigliosi esseri umani nei luoghi più putridi della terra e ci sono esseri che sono angeli che passano di lì per caso perché hanno qualcosa da fare, lo fanno e se ne vanno via. Si trovano persone meravigliose dove meno te lo aspetti. A volte si trovano persone un po’ insignificanti dove tu penseresti di trovare chissà cosa, valgono un po’ tutti e due. Tutti coloro che ascoltavano il concerto, ed erano persone di ogni tipo e genere, comunque hanno capito subito che era una canzone vera - usare la parola emozione in un mondo che fa dell’emozione un’idolatria mi vergogno un po’ - comunque era un passaggio vero di una storia da chi la cantava, chi la suonava, a chi… e ognuno reagisce per quello che può. La cosa incantevole è che l’Annarella aveva visto le reazioni perché c’era qualcuno che, per dimostrare che questa cosa l’aveva toccato, non poteva fare altro che alzare il pugno chiuso perché era quello che nella sua vita funzionava.

Lorenzo Fazzini

Prima hai detto una cosa che mi ha colpito molto perché interviste su interviste, incontri su incontri, oramai conosco un po’ la bestia! Però qua hai detto una cosa molto bella, prima, quando dicevi che eri in preda di predicazioni folli e non avevi una comunità intorno a te che potesse reggere la tua smania di protagonismo. Mi ha colpito molto questa sottolineatura della comunità perché sotto certi aspetti mi verrebbe da dire esattamente l’opposto: provo a pensare a te a Reggio Emilia, in giro a manifestar. M’ha fatto impressione, ripeto non ho vissuto quegli anni, vedere questo documentario, questa ricostruzione giornalistica degli anni Settanta che vivevi e capivi che sta gente qua, primo non ho capito come avessero fatto a fare l’università perché tutti i giorni erano in piazza, per cui boh! Però sembra esattamente che ci fosse quella comunità! Eravate lì tra occupare le università o…

Giovanni Lindo Ferretti

La comunità non è un ghetto. Un ghetto è quando le persone vivono tra propri simili; persone che hanno la stessa età, le stesse pulsioni, si vestono allo stesso modo, fanno le stesse cose: quella è la morte della comunità. La comunità presuppone le diversità sia generazionali che di gusti di esperienze.

Da quando sono diventato una “stronzo reazionario”, scusate il termine, tutti i figli dei miei amici mi vogliono un bene esagerato, mentre prima mi snobbavano, perché io mi rapporto a loro come delle persone. Ho scoperto che sono l’unico che si mette a discutere con loro dicendo: «Guarda tu stai sbagliando tutto rispetto a questo, rispetto a questo!» perché hanno attorno una comunità o inesistente o servile. Per cui un ragazzino fa qualsiasi cosa, si trovano tutte le giustificazioni plausibili e non c’è mai qualcuno un po’ più grande che dice: «Ma cosa stai facendo?». E si prende, come dire, la responsabilità di essere odiato, detestato: è un atteggiamento servile quello di chi non fa notare le cose sbagliate. Gli adulti non ci sono.

Abbiamo cominciato noi a vivere. Noi avevamo il mito della giovinezza, che è un mito che continua e persevera. Tra l’altro lo sostengono persino quelli che lo sostenevano quarant’anni fa perché non si rendono conto che nel frattempo la giovinezza passa. È una categoria politica la giovinezza, non è una realtà. La realtà, tra l’altro, è difficilmente giostrabile sugli uomini perché c’è chi diventa giovane prima, chi non vede l’ora di crescere: è un momento della vita e niente di più. Passerà comunque! Comunque arriva e comunque passa! Se si fa della giovinezza un’ideologia salvifica si distruggono innanzitutto i giovani perché tutti coloro che non sono giovani o cercano disperatamente di sembrare giovani, ed è la cosa più patetica del mondo, o costruiscono un atteggiamento servile nei confronti della giovinezza, per cui i giovani vanno scusati. Io, non fosse altro che per reazione, perché ahimè capita anche di operare per reazione, cerco sempre di non considerare le scuse e di guardare il problema. Però scopro che alla fine i ragazzini, se hanno un problema, ne parlano con me perché sanno che io sono serio, severo. Io dirò esattamente quello che loro non vogliono sentire e il fatto che siano così bisognosi di sentire quello che non vorrebbero sentire ti dice il fatto che la comunità non c’è, non c’è più. Allora non c’era perché allora era una scelta dirompente. In realtà fino agli anni Sessanta la gioventù non esisteva come concetto: esistevano i bambini, gli adolescenti e poi bisognava diventare adulti prima possibile, dimostrare il proprio valore prima possibile. La gioventù è stata inventata allora; la musica ha contribuito in maniera clamorosa a inventare una nuova categoria e a farne il centro della vita. Poi, a dilungarla all’infinito, io ho fatto per cinque anni l’operatore psichiatrico e seguivo un’equipe di adolescenti, avevo persone che avevano 32 anni. Se un’istituzione può pensare che un 32enne, per quanto problematico, possa stare in una struttura che si chiama “Équipe degli adolescenti” vuol dire che anche la società ha perso un po’. Però se a 60 anni sei un giovanotto, non c’è dubbio che a 32 anni sei un adolescente!

Lorenzo Fazzini

Torno alla parola “comunità” perché, non vi conosco, però, qua mi sembra di respirare una qual certa aria di comunità. Allora, non so come dire, dacci un piccolo manuale di istruzione per non fare le “cacchiate”, scusa il termine, che hai fatto tu.

Oggi la gente, anche i giovani sono sempre più soli, internet ai tuoi tempi non c’era, non c’era “mi piace” e “non mi piace”, Facebook, ecc… Tu hai la fortuna di non aver internet, resta senza internet che vivi bene, così compri il giornale, così sostieni la stampa cattolica dove adesso scrivi, ecc… Compra i libri che io pubblico e non gli e-book perché non li faccio, ecc…

Or dunque, a parte gli scherzi, dove trovare delle ancore di salvezza per non perdersi in una società in cui i riferimenti sono saltati, in cui il lavoro diventa una chimera? Si parlava con mia moglie, l’altro giorno, alla mia età facevamo il conto di chi, dei nostri compagni di classe, avesse un contratto a tempo indeterminato e bastava una mano su trenta, trentacinque compagni.

Ma, soprattutto, per la fede, per vivere questo tesoro che magari abbiamo ricevuto, magari stiamo scoprendo, magari stiamo avvicinando.

Dicevi prima che un ragazzo che si affaccia alla gioventù e sente suonare la chitarra forse allora era sbagliato, forse è giusto, forse ci sono delle corde da toccare. A me fa sempre impressione sapere che, non perché sia un fan o un non fan, è un numero, è una cifra. Ogni anno in Italia oggi in maniera assolutamente carbonara - non organizzata, non istituzionalizzata – seicentomila persone vanno a Medjugorje. Seicentomila persone! Il grande Silvano Fausti, che amava [parlare de] il genocidio del cervello… non si è anestetizzato il desiderio di Dio, no?

Però, ripeto, non avevo una comunità intorno a me che reggesse la mia smania di protagonismo. Dove trovarla? Come crearla, magari?

Prima si parlava, con alcuni amici, di Enzo Bianchi che ha compiuto settant’anni, se uno va indietro ci pensa, ma anche frère Roger di Taizé sono persone che a venti, ventidue anni da “soli” si sono messi a pregare e a lavorare la terra. Adesso li acclamano tutti come… Lì, forse, c’è anche un’eccezionalità umana o un intervento del Padreterno.

Ma dove trovare, secondo te, come crearsi le occasioni per cercare questa comunità?

Giovanni Lindo Ferretti

Io non so proprio rispondere a questa domanda. Noi viviamo davvero la prima grande crisi antropologica e proprio, oltre che la realtà quotidiana, l’idea stessa che noi abbiamo di uomo che non è più applicabile. Stanno succedendo delle cose che non permettono che la vita sia come è sempre stata ed è difficile… Voglio dire una cosa: quando papa Benedetto ha rinunciato al soglio pontificio io sono rimasto malissimo, ero davanti alla televisione, ho sentito questa cosa e per un giorno ho pensato solo pensieri brutti perché non lo so, non mi sembrava una notizia pensabile. Era una realtà. Poi ho provato a pensare a tante cose belle. Poi mi sono rifiutato di scrivere per i giornali che me lo hanno chiesto perché ho pensato che ci sono dei momenti in cui cosa vuoi scrivere? Qualsiasi cosa tu scriva sarà una banalità: o sei un esegeta, un’intelligenza acuta, quindi puoi fare qualche riferimento, ma qui siamo in un campo che non è che di gran riferimenti se ne possano fare, oppure sarebbe anche una bella occasione per stare zitti una volta tutti quanti e magari pregare, perché tutti dicono sempre dell’importanza della preghiera, allora ci sarebbero dei momenti in cui varrebbe la pena che almeno chi dice di essere credente e cattolico dica: «È un momento di quelli che non c’è niente da dire. Stiamo zitti e preghiamo». Io ho imparato a pregare “Vieni Santo Spirito”, che è una preghiera che non recitavo da bimbo, non recitavo normalmente, è bellissima. Si comincia a recitarla durante la giornata e ho pensato che era l’unica cosa che io potevo fare.

Poi i signori cardinali hanno eletto un nuovo papa ed è stata una sorpresa non indifferente. Io penso che sia un regalo incredibile che Benedetto ha fatto alla Chiesa, perché comunque è un suo regalo. È stata la sua rinuncia che ha permesso la comparsa di Francesco.

Quindi le preghiere qualcosa producono, o comunque accompagnano qualche cosa che succede, ci sono quindi momenti in cui è inutile voler fare gli intelligenti: non c’è intelligenza plausibile e bisogna vivere quello che c’è. Se uno pensa che la preghiera sia un’arma potente, ha un’arma potente da usare ed è quella. Io di altre armi non ne conosco.

La società. Come vi ho detto all’inizio, io percepisco profondamente come carne il senso della storia, le generazioni su generazioni. Posso dire che il senso della storia, secondo me, significa possedere anche il senso della geografia perché in realtà la storia si sviluppa in un contesto, in un paesaggio.

Questa storia che noi possediamo, che è la storia della cristianità, è una storia che si sta sgretolando e non è facile ipotizzare una risposta allo sgretolamento. Non è nemmeno facile porre degli argini. Però è quello che ci tocca, è quello per cui comunque saremmo giudicati, ma non ci sono delle risposte.

Il cristianesimo ha costruito una cristianità che è qualcosa di diverso, di collegato che comunque è una società, un modo di pensare l’uomo, di raccontare l’uomo, di tramandare un percorso educativo, di organizzare le comunità in senso spirituale, ma anche in senso materiale perché ci sono le disgrazie, ci sono le calamità. Quindi organizzare una società significa avere quelle risorse che permettono di fare fronte alle disgrazie, alle calamità naturali, alle pestilenze, alle guerre. La cristianità è riuscita a pensarsi come società, a costruirsi.

La cristianità è, dal mio punto di vista, nella sua grande crisi antropologica. Non c’è un protestantesimo, non c’è qualcosa che distrugge con un taglio violento, con una polemica politica e religiosa: è uno sgretolarsi della socialità, è uno sgretolarsi delle famiglie, è uno sgretolarsi delle parrocchie, è uno sgretolarsi delle generazioni. Subentra una specie di umanità aliena. Per uno che vive fuori dal tempo come vivo io, poi salgo in macchina e arrivo in città il primo colpo d’occhio, se sto tre mesi senza scendere in città, sembra un mondo di alienati. Le persone girano con le cuffiette, tutti guardano qualcosa. È successo in un attimo: in un attimo in realtà questa folle idolatria della comunicazione ha spezzettato l’umanità in contesti. Vedi la gente che sta al ristorante attorno ad un tavolo, che è il luogo che l’uomo pensa come luogo della convivialità, e ognuno ha un cancherino di diversa foggia; in treno ognuno sta parlando con qualcun altro. Io credo sia una pestilenza dell’anima.

So che ci sono anche tante condizioni di necessità, di sopravvivenza di un mondo complesso come il nostro, ma è un eccesso. Io ho rifiutato da subito le nuove tecnologie perché ho una storia alle spalle, conosco i miei difetti. Allora, se io voglio stare lontano dalle tentazioni le devo proprio tenere lontane materialmente perché io sono tra quelli che ci cadono se concedo loro spazio. Percepisco che l’apologia si fa sulle utilità, ma l’utilizzo reale è tutto un altro. Sta veramente disgregando la società perché sta portando l’umanità ad un livello tale di solitudine che però si glorifica di essere comunicativa. La follia è questa: gli uomini diventano sempre più solitari nella convinzione di essere sempre più collegati e comunicativi. È una follia! Io non ho una soluzione e ringrazio Dio di essere abbastanza vecchio e abbastanza fuori mano per…

Lorenzo Fazzini

Parecchio fuori mano! Infatti quando abbiamo ragionato su quella rubrica di Avvenire che poi abbiamo messo nome “Dal crinale” perché solo dal crinale…

Giovanni, siamo all’ombra di san Filippo Neri che viene pensato, ingenuamente, come santo dell’allegria, ecc… ma come tutti i grandi santi era innanzitutto un uomo che aveva un rapporto con Cristo da cuore a cuore, da persona a persona.

Io ricordo un’intervista che facevo per TV2000 una tua professione di fede sull’Incarnazione che mi colpì molto e mi ha fatto venire in mente una lettura che abbiamo in comune che è Cormac McCarthy quando in Sunset Limited dice: «La cosa è molto semplice: il cristianesimo è carne e sangue». Carne e sangue vuol dire che è la vita, non è qualcosa sopra la vita o staccata dalla vita. È la tua vita concreta. Io mi ricordo anche in questa intervista (se digitate il suo nome e ci mettete vicino “conversione” la vedete su YouTube) il tuo andare nella chiesa di Cerreto, il tuo paese, e il vederti familiare con quella chiesa, vederti familiare con quel tabernacolo. Allora vorrei chiederti, anche un po’ nell’intimità di un incontro come questo, chi è Cristo per te? Chi è questo Dio che si è fatto uomo che tu hai ritrovato? Cos’è, chi è per te?

Giovanni Lindo Ferretti

Ma è tutta la storia dell’umanità! Tutto quello che io sono e quello che io penso è legato a questo avvenimento. È per me quello che era per mio padre e per mia madre, quello che era per i miei nonni. Io, di fatti, sono felice nel pregare usando le stesse preghiere, le stesse parole, nello stesso luogo. È una condizione, ormai, credo di grande privilegio perché non è una cosa che sia praticabile. Davvero sono un essere molto miserevole nel mio essere cristiano. Voi non dovete pensare delle cose che non fanno parte della realtà. Sono un essere umano, un montanaro; però faccio parte di un mondo che è finito, che è irrimediabilmente finito.

Quando io penso nei miei pensieri, quelli folli che non si dicono, che Dio si è costruito nella storia dell’uomo il proprio popolo: c’erano gli ebrei e poi ci sono i gentili e poi ci sono i barbari. L’incontro di queste tre storie umane hanno prodotto la cristianità. Io faccio parte dei barbari, non pensate che io sia un gentile! Il mio approccio alla divinità è un approccio forte e molto, io vedo nella creazione il Creatore. Io farei fatica a vivere in un mondo artefatto. Hanno costruito per andare a casa mia, che è un viaggio molto facile adesso, ci si mette pochissimo, delle gallerie per cui adesso in un attimo fai un pezzo che prima dovevi serpeggiare nella zona matildica su tornanti infiniti. Adesso ci sono le gallerie che percorro mentre torno a casa la notte, dopo i concerti. Una notte è capitato che una galleria era tutta al buio, aveva una luce lampeggiante e pensavo che in realtà il mondo contemporaneo in cui vivo ha costruito un livello tale di artificialità che non è più cosciente: è come se tutti vivessero all’interno di una galleria e il problema vero è che non scompaia la luce, che la lampadina non sia intermittente, che ci siano le corsie di sicurezza. Ma il Creatore ha creato un mondo molto più bello per gli esseri umani, molto, molto più bello dove è possibile vivere con più gioia e in qualche modo in faccia al Creatore, di fronte a Dio.

Io ho la fortuna di essere barbaro e vivo ancora in un mondo in cui la presenza di Dio è ovunque. Dio è in cielo, in terra e in ogni luogo. Nel mondo che Dio ha costruito questo è molto percepibile. Nel mondo che gli uomini costruiscono diventa sempre più difficile: le città sono sempre più fatte per entità che non sono gli esseri umani. Chi vive a Roma vive in un contesto che è un’altra storia, vive nell’Urbe, nella Caput Mundi dei gentili. La civiltà greco-romana qua ha prodotto qualcosa. Difatti i barbari da tutto il mondo vengono a Roma perché qua c’è comunque la civiltà dei gentili. Sulla civiltà dei gentili la Chiesa Cattolica ha posto il proprio accento. Ma le città del mondo moderno, le nuove grandi metropoli sono fatte contro l’uomo, non per l’uomo. Ed essendo fatte contro l’uomo hanno eretto barriere incredibili nei confronti della presenza di Dio perché comunque sulla terra il gioco è fra Dio e gli uomini e se tu togli spazio agli uomini togli spazio anche a Dio.

Io guardo con sgomento il mondo in cui noi viviamo e faccio riferimento per quello, per quello che riguarda la mia vita che è la vita di una persona che è anziana. Io sono alla fine della mia vita, poi se Dio mi concede qualche anno ancora ho delle cose da fare. Ho intenzione, nei limiti del possibile, di morire lavorando, facendo le cose che potrò permettermi di fare.

Io faccio affidamento su di una tradizione, ma mi rendo conto che è plausibile per pochissime persone ormai perché quando la tradizione la spezzi è spezzata irrimediabilmente. Non ci sono più le case, non ci sono più le famiglie, non ci sono più le comunità, non c’è più generazione su generazione e quindi ognuno deve fare fronte da solo al disastro.

Io voglio vivere in un posto dove ci sono dei vecchi e dei bambini perché io non sono un bimbo però i bimbi traggono beneficio dalla mia insignificanza. Comunque il fatto che io sia vicino a loro è per loro un arricchimento e posso aiutare i vecchi che non devono andare all’ospedale finché ci sono e quindi mi devo prendere cura di loro. Devo tenere in piedi la casa, tenere in piedi la chiesa e tenere in piedi la stalla. Tutto il mondo è organizzato per fa sì che io distrugga la casa, che abbandoni la stalla, che lasci cadere la chiesa. Quindi è una cosa difficile ed il cambiamento in atto è tanto grande che io non ho risposte. Penso che se una risposta c’è, è la Chiesa che può aiutare gli uomini a trovare una risposta.

Abbiamo un papa che viene da una terra molto, molto lontana. Noi siamo cattolici, quindi abbiamo un’idea dell’umanità piuttosto complicata. Non so, io non ho risposte però posso pregare, vivo la mia vita quotidiana cercando di lasciare il maggior spazio possibile alla presenza di Dio nella vita e cercando di essere dignitoso nei confronti degli uomini con cui mi rapporto, di trattarli con dignità che vuol dire: dire no quando è no. Sarei ancora anche per una sana sberla, se è un giovane un calcio nel culo, perché è un gesto di affetto, è proprio una fisicità che lascia il segno: tu non puoi dare una sberla a qualcuno di cui non te ne frega niente, non di questi tempi! In altri tempi magari sì, ma ora uno rischia la galera perché ti sta a cuore il problema.

Però credo che la Chiesa possa aiutare, se è aiutata da Dio e dallo Spirito Santo, a trovare uno spazio per l’umanità in un tempo che presenta molti pericoli ed è comunque un tempo di transizione. Le cose cambiano, ci sono in Vaticano due papi perché è così. Il papa è Francesco, però uno può pensare: «Il Signore è meraviglioso: ci sono due papi!». Comunque è una grande novità. Tra l’altro nessuno dei due, a quello che risulta al popolo di Dio, abita nell’appartamento pontificio: uno abita in clausura in un posto dove prima stavano le suorine e quell’altro abita nel Convitto di Santa Marta. Beh, è una bella notizia! Qualcuno pensa anche a noi, a darci una mano. Però che i tempi siano tempi molto difficili è indubbio e che ci siano delle risposte piccole: non ce ne sono. Non è la nostra buona volontà, non è la nostra intelligenza, per quanto tutta la buona volontà di tutti serve sempre e serve anche tutta l’intelligenza. Però noi abbiamo creato il disastro e non abbiamo la soluzione per il disastro. Il problema è che non sappiamo nemmeno arginarlo, per cui tutto si sgretola e dilaga una idolatria inverosimile intorno a noi.

Lorenzo Fazzini

Però, non so se perché sei uno “stronzo reazionario”, ma tendi al fosco, forse non so se è il mal tempo, però quando dici “lasciar spazio a Dio” mica dici una cosa così da quattro soldi!

L’ultima domanda, poi c’è il modo di lasciar spazio alle vostre. Di tutto quel periodo in cui abbiamo tratteggiato all’inizio della tua vita, quel periodo di furore in cui, come racconti anche nelle interviste, eri il rappresentante del mondo dell’acciaio dell’Unione Sovietica contro il mondo degli americani che erano sporchi, brutti, cattivi, imperialisti, ecc… Di quel periodo lì, che tu hai cercato di superare e hai superato, c’è qualcosa che salvi? C’è qualcosa che un uomo adulto come te da errori giovanili, da quelli che tu oggi guardi come errori giovanili, salvi nel senso che dici: «Mi resta come lezione o comunque come un lascito»? Insomma, anche i giovani possono avere il diritto di sbagliare o neanche questo hanno?

Giovanni Lindo Ferretti

No, ma io ho un buon rapporto con le cose che ho fatto nella mia vita. Per altro, per me i CCCP sono già parte di una guarigione. Il peggio era prima. Già il fatto che io abbia trovato la forza di trasformare le mie ansie, le mie rabbie in una riflessione da presentare onestamente stando su un palco nella sincerità di uno che era già su una buona strada. Io ero già sulla buona strada quando sono salito sul palco con i CCCP. Era molto peggio prima! Al giudizio di Dio offro le mie canzoni e ce ne sono alcune che non mi piacciono un granché, si poteva sicuramente far di meglio, però la mia vita è quella lì, non è che posso offrirgli qualcos’altro. Se la vita è un dono di Dio, lo è in tante forme e in tanti modi. Se con la mente e il cuore che ho adesso facessi quelle cose sarebbe vergognoso, ma non ci sarebbe nemmeno motivo di farle. Comunque era il canto di un uomo vero quello che io facevo al tempo del CCCP per cui posso permettermi, con il sorriso sulle labbra, di cantarle anche ora perché sono pezzi di carne di una storia umana, non devo vergognarmi, non ho niente di cui vergognarmi!

Andrea Monda

Innanzitutto grazie a Lorenzo e a Giovanni Lindo Ferretti per questa bellissima testimonianza. Adesso voi siete pregati, chi vuole, di scrivere bene le vostre domande e poi ne pescheremo quattro o cinque. Alcune già sono arrivate.

Tra l’altro, mentre parlavi, io stavo qui e ti ascoltavo e vedevo questo quadro alle tue spalle e c’era una parola che mi rimaneva sempre in testa che era la parola, è stata un po’ detta anche, la parola “corpo” perché si è parlato molto di questa dimensione, della fisicità. Tu hai detto del calcio famoso da dare perché il calcio ti lascia un segno. Allora questo aspetto della fisicità mi ha molto colpito. Anche perché io sono insegnante e che, come dice la parola, è uno che lascia il segno dentro, spero. Anche l’altra volta con Costanza parlavamo qui della problematicità oggi di educare, di insegnare in un mondo che si è sgretolato in gran parte, quindi mancano un po’ i punti di riferimento.

Mi ha fatto piacere che Lorenzo ha citato un autore che non sapevo ti piacesse tanto, Cormac McCarthy, che è proprio la carne e il sangue. Ecco, con i miei studenti sto mettendo in scena Sunset Limited; a fine maggio faremo questo spettacolo teatrale perché è un testo straordinario che proprio fa capire che quello che papa Benedetto, ma tutta la Chiesa c’insegna da sempre, che non è una teoria, non è un’idea il cristianesimo, ma è un incontro con una persona. Per esempio a scuola l’altra volta ho usato questa espressione con i miei colleghi, ho detto: «Ma noi siamo il corpo docente!». E quello mi ha guardato un po’ storto perché non era più abituato a questa che però è un’espressione linguistica molto importante. Siamo un corpo, una comunità (altra parola che è stata detta) di docenti oppure altre cose? Questo però ci sfugge. Noi siamo un po’ in una società che ha sgretolato soprattutto l’aspetto della materia, della fisicità. Siamo un po’ smaterializzati. Giustamente Romano Guardini, il grande teologo, diceva: «La religione cristiana è la più materialista di tutte. Se dimentichiamo questo cadiamo nello spiritualismo che è sempre poi la fonte di tutte le peggiori eresie».

Adesso facciamo quattro o cinque, dipende dalla quantità e dalla qualità delle domande. Pesco io.

Domanda

Siamo sicuri che si possa parlare di conversione? Da quando ti seguo, dal 1985, ti ho visto vivere con la stessa religiosità di ora. Cosa diresti a quei giovani che guardano con nostalgia alle guerre che tu hai attraversato? A chi non ha avuto una nonna che ha tramandato preghiere ed esami di coscienza?

Giovanni Lindo Ferretti

In qualche modo alla prima parte ho risposto prima. Io considero dal momento in cui sono salito sul palco dei CCCP già la fase positiva del mio vivere; fa parte del mio ritorno a casa, per quanto ci abbia messo tanto tempo e sia stato un lungo viaggio.

Io non so dare consigli, per cui proprio non so consigliare i giovani. È uno dei motivi per cui sono profondamente in imbarazzo quando mi invitano a parlare e dico sempre di no a tutti. Però, siccome sono le persone che fanno la differenza, io sono qua perché alcuni anni fa, durante una festa di paese a casa mia, c’erano due persone timide e gentili che mi hanno fermato. Io, quando le persone mi fermano, sono un po’ di quelli nervosi, per cui cerco di fare paura in modo che qualcuno vada via prima, mettiamola così. Però sempre per un attimo guardo negli occhi le persone e poi abbasso lo sguardo, perché in realtà bisogna avere anche della giusta dose di pudore nel rapportarsi fra esseri umani. Un’altra cosa che il mondo contemporaneo ha perso: il pudore permette agli uomini di avvicinarsi tra di loro. La mancanza di pudore in realtà diventa una barriera che gli uomini poi non riescono più a scalfire. Comunque io, per un attimo, ho guardato negli occhi queste persone e ho pensato che erano belle persone e ho ascoltato, con il sorriso, quello che loro avevano da dire. Loro mi hanno invitato a venire a Roma a raccontare. «No, non se ne parla neanche! A Roma?». Poi ho detto: «Va beh, certo che voi siete venuti fino a Cerreto a casa mia. Quindi, comunque, è un bell’inizio: siete venuti qua, mi avete incontrato, mi avete chiesto: “Vieni a Roma a casa nostra”. Forse è possibile, quindi è un bell’inizio!».

Poi questa domanda mi è stata fatta da Ivan un’altra volta. Gli ho detto: «Guarda non ce la faccio a parlare. Mi sento così stupido quando parlo. Poi che cosa dovrei raccontare? Non ho consigli da dare a nessuno! Avrete un sacerdote amico, immagino, avrete un padre confessore, avrete qualcuno a cui chiedere quelle cose che chiedete a me e ci sono delle persone che tutta la loro vita è in funzione di questo aiuto e sono lì, sono state chiamate, tra l’altro, hanno un grande valore. E voi lo chiedete ad un cantante stupido?». C’è qualcosa che non va! Però almeno il cantante stupido vi dice: «Però andate dal vostro prete o comunque cercatevi un prete per certe cose perché è lui che può aprirvi uno scrigno. Io posso darvi la voglia di accedere allo scrigno, ma non ho la possibilità di aprirlo. Però c’è una struttura che è molto più antica di noi che ci accompagna da sempre.

Stamattina mi sono alzato e sono andato ai Santi Martiri Coronati, erano un po’ di anni che non ci andavo e pregavo mi avvicinavo: «Spero che non l’abbiano messo a posto!». Perché adesso quando valorizzano e ristrutturano qualcosa tocca andare via. Invece è lì intoccata, bellissima. Sono entrato e mi sono messo a dire le preghiere al mattino, poi si sono accese le luci e sono uscite una serie di suorine e abbiamo recitato il Rosario, perché era l’Ora Sesta. Poi è cominciato un canto assolutamente celestiale. Io, che non ascolto da anni musica riprodotta, proprio non ascolto niente, sono rimasto lì a bocca aperta ad ascoltare queste suorine, non so neanche come chiamarle, che cantavano ed era bellissimo. Ma quando noi recitavamo, alla fine della decina di Ave Marie si dice il Gloria, e dire: «Nei secoli dei secoli» e hai gli occhi per terra, guardi questo pavimento e poi ti giri intorno non è una formula, tutto il mondo ti offre delle formule che valgono una stagione poi bisogna abbandonarle perché sono subito vecchie. Tutto quello che è nuovo diventa impresentabile in una stagione. Noi abbiamo la fortuna di vivere nel cuore dell’istituzione umana più antica della nostra storia ed è la più antica perché non è solo umana, perché ovviamente se fosse umana l’avremmo distrutta e ri-distrutta almeno duecento volte in duemila anni. Quindi non chiedete consiglio a me. È per questo che io faccio fatica ad uscire. Però le persone fanno la differenza perché loro sono venuti, mi hanno incontrato, mi sono stati simpatici, poi mi è arrivata una lettera, una perorazione, perché io potessi venire. Io sono rimasto, ho detto: «Va beh, a questo non posso più dire di no!». Ed era la relatrice della volta scorsa, quella che mi ha scritto questa lettera. Poi anche Fazzini mi ha chiesto, mi ha detto: «Guarda, devi assolutamente andare dai filippini». Ho risposto: «Sì, chiudiamola qua, andiamoci subito!». Questo era l’unico modo che avevo per rispondere ad una serie di domande a cui non so rispondere, non so che cosa dire. Però, nella mia miseria, io ero serio anche quando ero il cantante dei CCCP e anche nei momenti più discutibili di quella storia perché ci sono state, da certi punti di vista, cose che non riuscirei a difendere proprio così. Lo farei, però sapendo che di fronte agli uomini ci sono tante cose. A Dio non si può nascondere niente. Ma Dio ama gli uomini nella loro miseria, non nella loro perfezione. Come dire, abbiamo chances tutti, anche io qualcuna ce l’ho, anche voi!

Domanda

Che rapporto hai con i membri del gruppo e con le vecchie amicizie in comune?

Giovanni Lindo Ferretti

Innanzitutto i gruppi sono stati diversi: i CCCP, i CSI, i PCR. Io non ho rapporti con nessuno perché non uso internet, non uso il telefono, non uso nessun mezzo tecnologico moderno. Quindi i rapporti sono plausibili solo in una dimensione…

Frequento i miei vicini di casa che non sono molto intelligenti, non sono neanche molto simpatici, ma sono i miei vicini di casa e io gli voglio bene anche perché sono quelli lì, non li ho scelti io. Io devo contare su di loro e loro possono contare su di me.

Ho dei buoni rapporti mentali con tutte le persone. Con qualcuno ho litigato e poi ho fatto la pace, ma non ci vediamo e quindi, non vedendoci, in realtà non ci sono più rapporti. È una storia finita, ma se fossero i miei vicini di casa io li frequenterei molto volentieri! Ma il problema è quello che, non abitando vicini, io sono tradizionalista nella realtà, non nelle idee. Li penso con piacere e li penso bene. Sono stati i miei amici, pezzi di vita e non avrei potuto fare le cose che ho fatto senza il loro aiuto, senza la loro amicizia, la loro stima. Quindi non posso che pensarne bene. Però non ci frequentiamo per una impossibilità.

Mi scrivono molte persone, io non riesco più a mantenere rapporti neanche con le persone con cui vorrei mantenerli. Noi abbiamo questa idea che uno sta bene quando si rispettano le nuove tecnologie: più aumenta la quantità delle persone che si rapportano a te e più tu hai dei rapporti sociali. Io ho già detto che non sono né un ebreo né un gentile, ma sono un barbaro. Quindi sono un po’ limitato rispetto alle altre due tipologie umane. Però vale un po’ per tutti: più aumentano le persone che stanno intorno a te e meno tempo tu hai da dedicare a loro. Solo rispetto a Dio aumenta la possibilità di amare le persone che ti stanno intorno, ma nei rapporti tra le persone tu non ti puoi prendere cura di tutti, non puoi seguire tutti quanti. Quindi non è un giudizio perché ogni storia è una storia a sé e giudice della vita umana è solo Dio. Noi ci sottomettiamo alla legge perché è una necessità inderogabile del vivere umano e della società, ma in un rapporto libero con la legge, perché la legge è la legge di Dio ed è Lui l’unico giudice. Ci sono persone che dedicano tutta la loro vita agli altri, ma quelli che lo fanno in una dimensione religiosa rispondono ad una chiamata e sono in un ordine che contempla una serie infinita. Chi lo fa da sé, chi lo fa come una ONG, il papa l’ha già detto un sacco di volte che la Chiesa non è una ONG perché un conto è essere un sacerdote e un conto è dispensare un amore generico che non tiene conto delle persone che ti stanno più vicino. Tu non puoi mettere tua madre malata in un ricovero per andare a sostenere tutte le persone che ti sono lontane con idee teologiche. Il sostegno degli anziani, il sostegno della famiglia è un dovere, è il quarto comandamento dopo i primi tre che riguardano Dio, c’è “onora il padre e la madre”. Poi ognuno verrà giudicato da Dio, però un uomo non può dimenticare questo: ha dei doveri nei confronti dei genitori, della famiglia, dei vicini di casa e poi, pian piano, dei doveri nei confronti di tutti.

La Chiesa è saggia ed è aiutata dallo Spirito. Un conto è essere chiamati e fare una scelta religiosa ed entrare in una dimensione del sacerdozio, della vita consacrata. Ma nella vita quotidiana del popolo di Dio le regole valgono da sempre: i genitori vanno rispettati, vanno accompagnati nella malattia, nel dolore, nella morte e i bambini vanno educati in questo. Non si può fare il bene di tutti e infilare i propri vecchi dentro agli ospizi e dentro ai ricoveri perché questa è ideologia. Invece l’amore cristiano è qualcosa di più, di più complesso e comunque è sempre molto legato alle persone.

Domanda

Quanto c’è nella riscoperta di Dio della nostalgia del mondo scomparso contadino, pastorale, comunitario della bella gente d’Appennino? P.S. grazie per la cacchiata del miglior gruppo punk rock italiano di sempre!

Lorenzo Fazzini

Questo è naturalmente un inciso che, penso, dagli applausi molti hanno sottolineato. Magari, se vuoi rispondere alla prima parte.

Giovanni Lindo Ferretti

Come dicevo, c’è molto perché io percepisco molto il Creatore attraverso la Creazione, ma non è la ricerca di un bel tempo andato, il ritorno al passato, la riscoperta, i vecchi mestieri è una cosa un po’ più profonda, un po’ più grande. Io ho bisogno di vivere nella Creazione.

Dio ha fatto gli esseri umani a propria immagine e somiglianza, ma in questo ci sta una libertà infinita. Non tutti nascono per vivere in città. Dio ha creato l’uomo e poi gli ha dato la possibilità di popolare la terra. La terra è varia e ci sono persone che hanno più bisogno di una vita solitaria, di una vita austera; ci sono persone che sentono più il bisogno di una comunità, di una socialità e c’è posto, secondo me, nella misericordia di Dio per i cittadini e anche per i paesani, per i montanari e per i marinai. C’è un po’ posto per tutti e io sono cosciente della mia storia.

Io faccio parte di quella popolazione, che è un po’ minoritaria, che ha bisogno di vivere in montagna, di vivere la dimensione in cui sono presenti i boschi, gli animali, in cui ci sono le stagioni, in cui c’è il primo rapporto. Io non apro le finestre perché non ho gli scuri, quindi quando apro gli occhi vedo se piove, se c’è bello e ci sono delle giornate che penso che sembra il primo giorno della Creazione: è tutto così nuovo, sembra che Dio abbia appena costruito la terra! Immagino che si possono avere le stesse sensazioni e lo stesso rapporto con Dio aprendo la finestra di una città su di una piazza piena di gente e con tanto traffico. Non c’è una soluzione. Uno apre le finestre sul mare, pensa al mare e dice quanto è bello. Lo so, salvaguardiamo le nostre diversità con piacere, non è necessario obbligarci alle stesse socialità.

Per me la tradizione è una strada maestra rispetto alla mia vita, ma le tradizioni non sono i bei mestieri di una volta. Se avessi la capacità scriverei un’ode per la lavatrice, un’ode per il pick-up, un’ode per la motosega. Ci sono delle cose che sono assolutamente un progresso in senso buono. L’intelligenza umana che rispetta le cose. Io sono nato in un mondo in cui le donne lavavano d’inverno nel canale spaccando il ghiaccio. Esteticamente è bellissimo, ma garantisco che l’invenzione della lavatrice è da benedire!

Domanda

Non vedo un motivo perché la costruzione di un paradiso in terra posso entrare in contraddizione con la tua fede.

Giovanni Lindo Ferretti

Io ho la netta convinzione che ogni volta che l’uomo vuole costruire un paradiso in terra, che pretende troppo dall’uomo, peggiora enormemente la dimensione della vita sulla terra. È l’accettazione di un limite. Non è possibile. Grazie alla ideologia, la legge ha la forza di togliere il male dalla terra. Più aumenta questa pretesa, più il male trova il modo di… Questo è rapportabile anche a degli esempi molto bassi e molto comprensibili.

Io ho un grosso problema con le amministrazioni pubbliche, con le istituzione in cui io vivo: i comuni e il parco. Sono mesi che combatto una battaglia sorda e quotidiana. Però il mio problema qual è? C’è qualche cosa che io voglio salvare, quindi il mio problema è salvare quella cosa, non è trasformare né fare una denuncia, produrre l’indignazione popolare rispetto a un mal governo qualsiasi. Ci sono centomila esempi di cose che non funzionano. Io ne ho uno che mi sta addosso e mi riguarda. La mia scelta è di non parlarne, non far crescere l’indignazione e cercare di risolvere, per quella positività che è plausibile, il problema. Non ho nessuna intenzione di fare una denuncia, uno scandalo, i sigilli e la cosa è finita. No! La cosa deve rimanere in piedi perché comunque è qualche cosa che mi sta a cuore, per cui abbiamo speso dei soldi. Quindi bisogna trovare le possibilità ed è difficilissimo. Accontentarsi della denuncia e dell’indignazione vuol dire che questa cosa sarà finita. Tutti siamo contenti perché possano indignarsi due giorni e poi dopo non ci sarà mai più niente.

Il paradiso sulla terra proprio non è possibile. Quando gli uomini pretendono troppo dagli altri uomini significa che pretendono troppo poco da se stessi ed è un gioco a rimando. Io, vi dicevo, in questa storia è con le amministrazioni esiste una normativa burocratica che peggiora quotidianamente con l’arrivo delle nuove normative europee e adesso c’è di nuovo una cosa che è una nuova normativa contro la corruzione. Che di per sé è la cosa più giusta e più logica che ci sia. Uno dice: «Va beh! Non se ne può più!». Siccome non se ne può più io vi garantisco, nel mio caso, non serve un’ulteriore legge per la corruzione perché se ne arriva un altro solo dei corrotti esagerati riusciranno a sopravvivere perché è tanta e tale la mole di normative burocratiche che una ulteriore aggiunta diventa impossibile praticare il giusto e il bene, è impossibile! Siamo già a un livello tale in cui solo i malfattori riescono a rapportarsi perché solo loro sono in grado, sono abbastanza forti, per rapportarsi ad una normativa contro i malfattori. L’anno scorso ho detto al mio presidente del parco, che è una persona che stimo molto, siamo vecchi amici, è un po’ troppo comunista, ma è simpatico ed è anche intelligente, gli ho detto: «Senti Giovannelli, torniamo al giudizio di Dio sulle piazze: mettiamo una carbonella accesa e facciamo che camminiamo sui carboni. Chi sopravvive ha ragione!». Solo un barbaro in un eccesso di regolamentazione può trovare una soluzione che deve essere sicuramente una soluzione a ridurre, non ad aumentare, una normativa che è veramente a livelli folli. Passano gli anni, si pagano perizie a ogni piè sospinto. Gli ho detto: «Scusa ma non era conveniente pagare le mazzette?». Dobbiamo pagare tutte queste perizie e costruire continuamente dei bandi che sono sempre più complessi, sempre più al ribasso. Soltanto i ricchi possono ribassare più di tanto perché una persona, che si mantiene con il proprio lavoro e lavora bene, al di sotto di un ribasso non può andare. Se tu fai un’asta al ribasso tagli fuori tutti coloro che lavorano bene. Noi viviamo un’amministrazione in cui tutte le aste sono al ribasso. Quindi chi lavora bene e con coscienza è di per sé un malfattore. Chiudiamola lì, torniamo al giudizio di Dio che è qualcosa di imprevedibile, però almeno riduce i tempi e anche i partecipanti, tra l’altro!

Domanda

Qual è il tuo rapporto attuale con la musica e con il pubblico, soprattutto con quel pubblico che, dato il tuo essere cattolico, oggi ti considera un traditore?

Giovanni Lindo Ferretti

Anche questa è una leggenda metropolitana. Che ci siano persone del mio pubblico che non hanno assolutamente apprezzato il nuovo Ferretti sta nell’ordine delle cose ed è anche giusto che sia così perché altrimenti non esisterebbe il piacere di vivere con delle diversità. Io per tanto tempo ho pensato che, prima o poi, mi sarei trovato di fronte una parte di pubblico in contrapposizione. Siccome sono ancora un vecchio punkettone per un po’ di tempo ci ho anche sperato perché la lotta un po’ rinvigorisce gli anni. Se tutti ti dicono “bravo, bravo” ti senti svilito. Se invece qualcuno ti dice qualcosa magari trovi il modo per… non fa male un po’di sano contradditorio. I nemici irrobustiscono. La vita io penso che valga la pena di accettarla per quello che è. Non li ho mai visti, anche perché se uno non ti piace non lo vai a vedere! Paghi un biglietto per andare a sentire uno che disprezzi? Comunque non è mai successo. Sono favole che viaggiano in internet dove uno apre una sottoscrizione “Ridataci Ferretti”e mi dice: «Sai che “Ridateci Ferretti” è arrivata a 10.000, a 12.000?». Sì, ma sono inesistenze. Magari anch’io potrei, trovassi una roba con scritto “Ridateci Ferretti” dico: «Perché no?». Cosa vuol dire? Ci sono centomila buoni motivi simpatici per firmare una sottoscrizione che dice “Ridataci Ferretti”!

Non lo so, ma io cantavo in tempi non sospetti “Non fare di me un idolo o mi brucerò”. Sta nell’ordine delle cose. Le persone che mi hanno voluto bene, a cui in qualche modo ho raccontato qualcosa, non mi sembra che siano così stupiti. Forse si aspettavano che io fossi più simpatico e più intelligente, però io sono quello che è. Questo non è un problema, non è mai stato un problema.

Ci sono i giornali, queste cose funzionerebbero anche senza l’ausilio di internet. Quando ero di sinistra “La Repubblica” mi faceva sempre dei paginoni inverosimili, poi dopo, diventato di destra non posso mica pretendere che continui a farmeli e non ci metta un po’ di sgradevolezza. Signori miei è la vita, è giusto che sia così!

Perché tutti devono parlare bene di te? Io già al tempo dei CCCP ero imbarazzato perché c’era della gente che parlava bene di noi e noi non parlavamo bene di loro!

Lorenzo Fazzini

Allora, l’ora è andata avanti per quanto sia venerdì sera. Io volevo chiudere questa, per me sempre arricchente chiacchierata con Giovanni, con quattro righe di Chesterton, che da queste parti è di casa: «Non appena ebbi chiaro nella mia mente, come qualcosa di tangibile, il carattere unico ed eccezionale della storia divina, quello che mi colpì fu che esattamente lo stesso carattere, singolare e tangibile, avevo riscontrato nella storia umana, in quanto la storia umana aveva le sue radici nel divino».

Ascoltare Giovanni oggi per me è stato, spero per tutti, chi ama di più il Giovanni di prima, chi ama di più il Giovanni di adesso, chi ha conosciuto quello di adesso e riscopre quello di prima che poi è “Giovanni” senza preposizioni, penso che sia stato un narrare degli uomini parlando di Dio e un parlare di Dio narrando degli uomini.

Fuori trovate qualcosa da leggere di Giovanni e io lo ringrazio davvero perché realmente so che c’è una sua fatica fisica, oserei dire, come per me è una fatica fisica andare al mare. Ecco, per lui è una fatica fisica andare in città e confrontarsi con una platea attenta e, permettetemi in senso buono, esigente come la vostra. Quindi mi sento di ringraziare e forse la telefonata e la perorazione in carta bollata che è partita anche prima di Natale e finalmente il 3 maggio ha portato bene, non so che santo è oggi!

Giovanni Lindo Ferretti

Dico un’ultima cosa che fa parte di questa lunga storia: vi canto la “buonanotte”. Una cosa molto vecchia che viene dai secoli dei secoli:

[Canta]

«Per reverentia de la Vergine Maria, la quale è cotale,

cioè al nome di Dio,

et fare si debia con laude et a reverentia del Salvatore

in quella parte e luogo de meglio è più bello fare si potrà, si potrà,

acciò che questa comunità in buono et pacifico stato

si conservi, si conservi.

Per reverentia de la Vergine Maria la quale è cotale

cioè al nome di Dio».

Questa viene dalle terre toscane, è del 1200.

Devo essere onesto fino in fondo: c’è una piccola variazione personale perché in realtà era “Affinché la città di Siena” però, siccome io non ho nessun rapporto con i senesi…