L’educazione alla fede dei bambini dai 0 ai 3 anni: schede per i genitori. La proposta della parrocchia della Trasfigurazione in Roma

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 05 /04 /2010 - 09:52 am | Permalink | Homepage
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Per gentile concessione, mettiamo a disposizione sul nostro sito la prima e la seconda scheda preparate dall’équipe dei catechisti del battesimo e delle famiglie con bambini fino ai tre anni della parrocchia della Trasfigurazione, di cui è parroco mons. Battista Pansa e pubblicate nel volume di Fabio Narcisi, Comunicare la fede ai bambini, Edizioni Paoline, Milano, 2009.
La scheda che motiva l’intero cammino è offerta alle famiglie in occasione del battesimo dei bambini.
Dieci schede successive sono state preparate per essere inviate alle famiglie man mano che il bambino cresce:
-Prima scheda: “Il segno della croce”
-Seconda scheda: “Come parlare di Dio al bambino nel primo anno di vita”
-Terza scheda: “L’immagine della Madonna col Bambino”
-Quarta scheda (“I gesti della preghiera”), ai dodici mesi
-Quinta scheda (“La prima visita in chiesa”), ai diciotto mesi
-Sesta scheda (“La benedizione della tavola domestica”), ai ventidue mesi
-Settima scheda (“Le prime forme di preghiera ”), ai due anni
-Ottava scheda (“I primi libri che parlano di Dio e di Gesù”, ai due anni e quattro mesi
-Nona scheda (“Premesse all’educazione morale”, ai due anni e mezzo
-Decima scheda (“Presentazione di Gesù Buon Pastore), ai due anni e nove mesi)
-Undicesima scheda (“Il bambino rivive il suo battesimo”, ai tre anni
Due ulteriori schede sono state preparate in relazione ai tempi liturgici:
-“Il Natale dopo il primo anno di vita”
-“Vivere la Pasqua con i bambini”.
Per approfondimenti, vedi su questo stesso sito la Presentazione al libro di Fabio Narcisi, Comunicare la fede ai bambini. Pastorale battesimale ed educazione religiosa in famiglia, di d. Andrea Lonardo
e l’articolo Pastorale battesimale in Italia: situazione, prospettive, opportunità, di Fabio Narcisi
Il Centro culturale Gli scritti (5/4/2010)




Prima scheda per le famiglie: introduzione all’itinerario dai 0 ai 3 anni


Quando comincia l’educazione religiosa?

Fra pochi giorni il vostro bambino (la vostra bambina) riceverà il battesimo. Come abbiamo visto nella catechesi battesimale, questo sacramento significa una nuova nascita nel segno di Cristo. Il piccolo diventa figlio della Luce, tralcio della vera Vite, pecorella del Buon Pastore, del cui gregge (la Chiesa) entra a far parte. Considerata l’età, egli non ha alcuna coscienza di ciò che in quel momento avviene in lui. Per questo il battesimo è celebrato soltanto sull’impegno dei genitori a educarlo cristianamente (con il sostegno della comunità e la vicinanza di padrini e madrine).
È un impegno importante che padre e madre non debbono mai dimenticare. Ma quando iniziare a metterlo in pratica? Quando comincia l’educazione religiosa dei bambini? Per rispondere partiremo da un piccolo aneddoto.
Una donna si rivolge a un saggio, la cui fama era diffusa nel luogo in cui abitava. Vuol sapere da lui quando è opportuno iniziare a educare religiosamente sua figlia. Il saggio domanda l’età della bambina e, quando viene a sapere che ha 5 anni, dice alla madre: «Presto, corri a casa, sei in ritardo di cinque anni».

È proprio così. L’educazione religiosa comincia fin dalla culla (sono anzi i primi anni i più importanti). Bisogna, infatti, uscire dall’idea che essa nei primi anni di vita significhi trasmissione di valori e idee di fondo. Tutto questo avverrà molto più avanti, quando il bambino avrà acquisito capacità che oggi non possiede. L’educazione religiosa deve invece entrare a far parte di quella fitta rete di rapporti che fin dal primo giorno di vita si stabilisce tra madre (soprattutto), padre e bambino, attraverso la quale il piccolo struttura pian piano la sua personalità, impara a conoscere il mondo, entra nella vita.

È nei primi tre anni – come le scienze psicologiche hanno da tempo accertato – che ciò avviene. Al termine di questa stagione il bambino avrà acquisito i caratteri fondamentali del suo modo di essere, di relazionarsi con la realtà, i caratteri su cui costruirà il suo futuro di uomo e di donna. Ecco perché è importante che nel lavoro straordinario, anche se oscuro, che i genitori compiono durante questi anni, abbia una parte di rilievo la componente religiosa.


Alla scoperta del mondo e della sua dimensione trascendente

Il discorso si inserisce nella progressiva conoscenza del mondo e delle cose che il bambino fa guidato dai genitori nei primissimi anni della sua vita. È attraverso di loro che egli dà un nome alle cose e ne comprende la funzione; che arriva a capire ciò che è buono e ciò che è cattivo (o pericoloso), ciò che è bello e ciò che è brutto. È attraverso mamma e papà che pian piano acquisisce la scansione del tempo (del giorno e della notte, delle stagioni…), che entra nei ritmi della vita (mangiare, dormire, tempi della pulizia personale, giocare, osservare…), che impara a comunicare, a comportarsi, a entrare in rapporto con gli altri. Insomma, tutta la realtà prende corpo, si struttura nella mente del piccolo sotto la guida quotidiana e determinante dei genitori (altre figure familiari ed extrafamiliari hanno per ora un ruolo secondario).
In questo compito così fondamentale si deve collocare l’educazione religiosa. È necessario che i genitori aiutino il bambino a capire che la realtà non si esaurisce in ciò che vediamo e tocchiamo con mano, ma che ha anche una dimensione trascendente, ultraterrena: misteriosa, non percepibile con i sensi, ma profondamente vera. Che c’è un Dio che ci ama, che ci è vicino, che ci accompagna lungo le strade della vita. È un cammino graduale che prosegue nei mesi e negli anni che verranno, in cui un rilievo sempre maggiore avrà la figura di nostro Signore, di Gesù Buon Pastore.


La crescita del religioso nel bambino

È bene che di tanto in tanto i genitori si interroghino su come procede, in rapporto alle fasi di sviluppo attraversate, questa progressiva scoperta da parte del bambino del religioso che ci circonda e che è in noi. Così come – giustamente – si osservano con attenzione le fasi della crescita fisica, psichica e mentale (peso, altezza, dentizione, movimenti, acquisizione del linguaggio, capacità di interagire…), è importante non dimenticare la crescita religiosa nel bambino.
Certo, è un campo delicato. Qui non ci sono parametri da verificare, tabelle con cui confrontarsi. Sappiamo che nel bambino agisce la grazia battesimale che fa sì che il Signore gli sia sempre vicino. E questa consapevolezza ci trasmette una grande fiducia. C’è invece da prendere in esame i nostri comportamenti. Sappiamo che il bambino ha una naturale predisposizione religiosa. Essa, però, ha bisogno di essere sostenuta e guidata, altrimenti rischia di rimanere allo stato potenziale. Allora è opportuno domandarsi se al bambino si fornisce in questo campo il cibo di cui ha bisogno in termini di gesti, segni, parole, esempi capaci di coinvolgerlo: sostanzialmente gli stessi con i quali la fede è stata trasmessa a noi dalle generazioni che ci hanno preceduto.
Il discorso è complesso e richiede sempre sobrietà, delicatezza, empatia nei confronti del piccolo, in modo che il messaggio sia trasmesso nella misura giusta per lui e per la fase di sviluppo che sta vivendo. Fatte tali precisazioni, si deve dire che questo piccolo esame è utile e può dare buoni frutti. L’occasione giusta potrebbe essere quella di un compleanno del bambino, quando si è portati a guardare i cambiamenti intervenuti in lui nell’anno trascorso. Ma di occasioni possono essercene tante altre che emergono dai diversi vissuti familiari.


La ricettività del bambino rispetto all’ambiente circostante

Ma come agire nella pratica quotidiana? Come comportarsi? Come trasmettere concretamente la fede ai propri figli? Prima di entrare in questo discorso sono necessarie alcune premesse. Anzitutto si deve tenere conto di un fatto fondamentale: i bambini fin dai primi giorni di vita sono estremamente ricettivi nei confronti del mondo circostante. E hanno una particolare sensibilità nel recepire le comunicazioni, i messaggi che coinvolgono la sfera sensitiva e affettiva.
Proprio attraverso la vicinanza costante della madre, i suoi sguardi, le sue coccole, le sue parole affettuose, gli incoraggiamenti, la comunione intensa che stabilisce con lei, il bambino acquisisce un senso di sicurezza e inizia così ad avere fiducia nei confronti del mondo. Ed è all’interno di questa comunicazione (in cui ha un ruolo importante anche il padre) che deve trovare posto la parte religiosa dell’educazione. Sarà su queste basi che il piccolo, crescendo, arriverà a costruire la sua fede personale.


La fiducia, fondamentale per lo sviluppo della fede

Coloro che hanno cercato di capire come nasce, su quali basi poggia l’esperienza religiosa, hanno messo in evidenza l’importanza proprio dei primissimi periodi della vita umana. Così il famoso psicologo e pediatra inglese Walter Winnicott, interpellato sul tema dell’evangelizzazione in famiglia, rispondeva sottolineando la rilevanza decisiva del modo in cui il bambino appena nato è tenuto in braccio e guardato dalla sua mamma. Si tratta di una comunicazione forte, originaria, che non passa attraverso parole e pensieri, ma attraverso l’atteggiamento con cui appunto la madre tiene in braccio il proprio bambino, lo guarda, gli sorride e l’accarezza. Insomma, la madre parla efficacemente di Dio a suo figlio anzitutto guardandolo in maniera affettuosa, sorridendogli, facendolo sentire, attraverso il proprio corpo, incondizionatamente accettato e benvoluto: gli occhi di sua madre e tutto il suo volto sono il primo specchio del bambino. Egli non pensa e non parla (ancora). Ma sente, percepisce, prova emozioni e per questa via comunica con il mondo esterno, specie con i suoi genitori.

Si tratta di una relazione primaria basata su affetti e sensazioni fisiche e corporee di grande importanza per la vita successiva del piccolo (e poi dell’adulto), anche in riferimento all’esperienza religiosa. Infatti, in questo stadio preconcettuale e preverbale, il bambino forma inconsciamente una disposizione verso il mondo. Prende corpo in lui una fiducia di base su cui poi si potrà fondare il successivo sviluppo della fede. In questa fase, dunque, la madre è chiamata a esprimere gesti e comportamenti corporei sinceri, di affetto genuino e di vicinanza che manifestino accoglienza e riconoscimento. Così il piccolo, scoprendo nella madre il primo «altro» che l’accoglie e gli dà fiducia, entra in qualche modo nella dimensione del sacro e si prepara a scoprire in Dio il definitivo «Altro», le «braccia eterne» di Dio.


La memoria implicita

Queste considerazioni trovano un’ulteriore conferma in una recente scoperta delle neuroscienze sulla memoria. Oltre alla memoria che conosciamo, quella esplicita che con il passare del tempo viene dimenticata per via naturale, o rimossa (ma con la possibilità di essere rievocata dal campo dei ricordi o di riemergere dall’inconscio), esiste una memoria implicita, che si accumula nei primi due anni di vita, quando non è ancora maturo l’ippocampo (la parte del cervello che influenza i processi di memorizzazione), indispensabile per la memoria esplicita.
La memoria implicita ha una caratteristica importante: non può essere rievocata, né verbalizzata (ecco perché non ricordiamo nulla di quell’età lontana); ma neanche eliminata, spazzata via. Le esperienze ad essa collegate non sono ricordabili, ma non vanno perdute. Sono anzi parti attive della psiche che influenzano la vita affettiva, emozionale e cognitiva della persona. Ecco perché è importante il clima di accoglienza e di fiducia, ma anche di spinta alla progressiva autonomia, che il piccolo deve avvertire intorno a sé in questa primissima parte della sua vita. Se poi in tale ambito il bambino vivrà in maniera serena e significativa le sue prime esperienze religiose, è assai probabile che porti con sé un patrimonio che potrà orientarlo positivamente in questo campo negli anni e nelle stagioni che verranno.


L’importanza di parlare al bambino

Una cosa è molto importante, anche al di là della formazione religiosa (ma sottesa ad essa): il fatto di parlare al bambino. Parlare ai piccoli fin dai primi giorni di vita è – come tante ricerche dimostrano – un’abitudine preziosa per la loro crescita. Le mamme, la cui voce è riconosciuta precocemente dal neonato, hanno in questo campo una naturale predisposizione che deve però essere rinforzata mettendo da parte l’idea che «il bambino tanto non capisce», un’idea che porta a ridurre al minimo la comunicazione.
In realtà il bambino capisce molto più di quanto noi immaginiamo perché, prima ancora di afferrare la grammatica del linguaggio, egli percepisce la comunicazione che – come abbiamo visto – gli arriva per via emotiva e affettiva. Come ha detto una grande esperta di psicologia della prima infanzia: «Il bambino comprende ciò che gli diciamo se ci rivolgiamo a lui come a un adulto, iniziandolo al linguaggio parlato, evitando di parlargli come a un bebé, o con lo stesso tono che si usa con gli animali domestici».

I contenuti di questa comunicazione sono anzitutto quelli legati alla vita. Così bisogna mettere il piccolo al corrente di tutto ciò che lo riguarda, di ciò che si fa e si farà per lui nell’immediato («Adesso ti cambio il pannolino») o in un prossimo futuro. Ma anche di altri fatti della vita familiare. Se, ad esempio, il padre deve assentarsi qualche giorno per lavoro, è bene che prima di partire lo comunichi al figlio (anche se di pochi mesi): «Starò lontano qualche giorno per lavoro, ma anche da fuori io penserò a te. E quando torno giocheremo tanto insieme».
Altrettanto importanti saranno le cose che gli dirà la madre al momento dei primi distacchi, come quando andrà all’asilo nido o sarà affidato a una baby sitter e avrà bisogno di essere avvertito e rassicurato sulla breve separazione che sta per affrontare. Questa abitudine a parlare al bambino diventa preziosa nell’educazione religiosa, specie nel primo anno e mezzo-due di vita, quando il piccolo non comunica ancora con la parola e sono invece i gesti a indicare la sua crescente consapevolezza del mondo che lo circonda. E la cosa proseguirà anche un po’ oltre.
È invece dopo i 3 anni che l’adulto dovrà diventare più sobrio ed essenziale nella comunicazione parlata in campo religioso. Da quel momento troppe parole rischieranno di non aiutare più il bambino: egli comincia, infatti, ad aver bisogno di suoi spazi personali dove far risuonare la parola del Maestro interiore (lo Spirito che parla nel cuore dell’uomo).


Il desiderio dei genitori di trasmettere la fede

Un’altra premessa importante è avere coscienza che l’amore di cui avvolgiamo il bambino (essenziale per lui come il cibo), acquista una ricchezza particolare se gli diamo una prospettiva e un sentimento religioso. Nostro figlio è un dono del Signore. Con il battesimo egli è entrato in un’esistenza che non avrà fine. Noi vogliamo dargli il meglio della vita. Per questo desideriamo che nel suo cuore trovino posto sentimenti, valori e una visione del mondo che hanno il proprio fondamento nel Vangelo. Occorre essere mossi dal desiderio di trasmettergli un patrimonio così importante, tesoro su cui potrà contare sempre. Senza tale predisposizione, i gesti e le parole rivolti al bambino rischierebbero di essere vuoti, un po’ artificiali.


La familiarità del bambino con Dio

Ma soprattutto è necessario tener conto della connaturale familiarità del bambino con Dio. Fra loro si avverte come un filo diretto: «Dio e il bambino se la intendono», ha detto con espressione felice una pedagogista montessoriana. Tenendo conto di questa familiarità possiamo capire meglio le parole di Gesù: «Se non diventerete come bambini, non entrerete nel regno dei cieli» (Mt 18,3). In effetti coloro che hanno osservato a lungo e da vicino i bambini nei primi anni di vita, hanno colto in loro un vivo senso di trascendenza.
La relazione con Dio appare come un’esigenza vitale: quella di ricevere amore e di darlo. Il bambino sembra trovare in Dio quel bisogno di amore pieno di cui è alla ricerca. Egli ha bisogno di un amore globale, infinito, che nessun essere umano (neanche la madre e il padre) è in grado di dargli e che può trovare soltanto in Dio. Aiutare il bambino a sperimentare nella sua vita la presenza di Dio significa dunque aiutarlo a formare la sua persona secondo le sue esigenze più profonde. Il genitore, insomma, deve essere consapevole del grande potenziale religioso del bambino: Dio è più vicino a suo figlio di quanto egli non immagini.


Rituali familiari

Come abbiamo visto, il bambino, fin da piccolissimo, è molto attento, attraverso la via dei sensi e delle emozioni, a ciò che accade intorno a lui. A tale proposito importante è l’ordine dell’ambiente circostante. Vedere ogni cosa al suo posto gli trasmette stabilità e lo tranquillizza. Allo stesso modo assume un rilievo significativo la ripetizione di certi atti fatta con regolarità e secondo una certa sequenza (cambio e pulizia sul fasciatoio, poppata…): lo aiuta a entrare nella dimensione del tempo.

Lungo questa linea troviamo i rituali che attraversano la giornata e più in generale il tempo della famiglia. Ogni giorno il bambino fa esperienze nuove, che registra e poi rielabora. Ma ha anche bisogno di piccoli riti, cioè di pause abitudinarie, di comportamenti che, ripetendosi sempre allo stesso modo, diventano per lui facilmente prevedibili e attesi. Un rituale è costituito, ad esempio, dalle coccole, dai sorrisi e dalle chiacchierate della mamma mentre lo cambia. Un altro è il ritorno a casa del padre che lo prende fra le braccia, gli sorride e gli parla. C’è poi il rituale del risveglio al mattino quando la mamma gli dice: «Buongiorno, tesoro», lo prende dolcemente in braccio, lo mette nel fasciatoio e intanto gli parla con tono calmo spiegandogli che cosa accadrà: «Adesso togliamo il pannolino e puliamo il sederino». Il bambino si abitua alla voce della madre, è tranquillo e soddisfatto.
A mano a mano che il piccolo cresce, questo rituale subirà variazioni e adattamenti, ma è bene mantenga intatta la sua struttura di fondo che potremmo definire il «rituale del buon risveglio». Ci sono, poi, i rituali del mangiare, della sera quando si va a letto…

Passando a tempi più distanziati fra loro, abbiamo i rituali della domenica, quelli legati alle feste di compleanno, di onomastico, di anniversario delle nozze, a Natale e Pasqua… Il riferimento a queste due grandi feste cristiane riporta il nostro discorso all’educazione religiosa, dove il rituale trova una propria, significativa collocazione diventando piccolo rituale religioso e in alcuni casi vera e propria piccola liturgia familiare.
Intendiamo riferirci a quei segni, a quei gesti, a quelle parole con cui la comunità familiare in alcuni momenti si rivolge al suo Dio, al suo Signore, entra in contatto con lui in maniera misteriosa ma reale. Tutto si svolge con la semplicità e il coinvolgimento affettivo dei rituali domestici di cui abbiamo parlato, ma anche con la percezione di un’apertura al divino che dà un senso profondo alla nostra esistenza.


Piccoli rituali religiosi in famiglia

Ma quali sono e come possono essere vissuti questi momenti? In famiglia i rituali religiosi devono essere semplici, brevi ma anche intensi. Anzitutto debbono inserirsi nei ritmi della vita, a cominciare da quelli quotidiani. Fin dai primi mesi è bello tracciare un segno di croce sulla fronte del piccolo, sia al risveglio della mattina sia la sera prima di metterlo a letto, accompagnato con una benedizione.
Poi, a partire dallo svezzamento, sarà opportuno fare un analogo segno prima del pasto principale. Il bambino, che è un grande osservatore, coglierà il gesto come qualcosa di importante, che in questi momenti della giornata gli è trasmesso con amore dai genitori. A mano a mano che egli cresce, questi rituali acquisteranno maggiore spessore, pur mantenendo sempre le loro caratteristiche di brevità, sobrietà e intensità.
Poi ci sono i rituali che riguardano – come osservato sopra – intervalli più lunghi: la domenica, ma soprattutto Natale, Pasqua, Pentecoste, la festa di compleanno… Occasioni forti, che è importante trovino momenti religiosi da vivere in famiglia, magari recuperando alcune belle tradizioni vissute quando si era bambini. A tale proposito sono diverse le opportunità per vivere piccole liturgie familiari. Basta pensare alle quattro domeniche di Avvento con la «corona» da collocare al centro della tavola accendendo ogni volta una candelina; oppure alla notte di Natale, quando si mette il Bambinello sulla mangiatoia…
Ma una cosa è soprattutto importante: che il bambino veda, almeno in certe occasioni, i propri genitori pregare, aprirsi con fiducia al trascendente, a un Dio che ci ama e guida i nostri passi.

Concludiamo questa parte con il brano di una lettera di don Andrea Santoro, il prete assassinato in Turchia nel 2006 (da giovane è stato per diversi anni vice-parroco alla Trasfigurazione di Roma). Partecipando alla catechesi battesimale di una famiglia turca, don Andrea era rimasto molto colpito nel vedere l’intera famiglia raccolta in preghiera in maniera intensa e profonda. Ricordando quella scena scrive: «Ero commosso. Ho pensato a quelle volte che anche da noi ho visto famiglie pregare e riunirsi con fede… Ho pensato anche alle tante case e famiglie dove c’è tutto, ma si stenta a vedere Dio o un segno che parli di lui. Ci sono case dove si respira la presenza di Dio e case dove regna pesante il silenzio di Dio». Parole che fanno riflettere.


Le schede con i consigli ai genitori

Oltre ai rituali e alle piccole liturgie familiari, altre cose rientrano nell’educazione religiosa nella prima infanzia. C’è la valorizzazione dell’immagine della Madonna con il Bambino, ci sono i gesti della preghiera (mani unite, braccia allargate…), le prime visite in chiesa per scoprire quest’ambiente così particolare. Poi, quando il bambino avrà imparato a parlare, ecco le preghiere della tradizione cristiana da apprendere pian piano, e soprattutto le preghiere spontanee di lode al Signore verso cui il piccolo dimostra una particolare predisposizione. C’è ancora da vivere con lui le grandi feste cristiane come Natale e Pasqua. Giungerà, inoltre, il momento di presentare la figura di Gesù…
Ma come trasmettere al piccolo questi segni, queste tradizioni, come proporli in maniera adeguata alla sua età? Come suscitare il suo interesse? Quali momenti trovare, che parole usare? Su tutti questi aspetti la parrocchia continuerà ad essere vicino a voi genitori con l’invio di apposite schede (in forma di opuscoli, simili a quello che avete fra le mani), a mano a mano che il bambino crescendo acquisisce nuove capacità. I suggerimenti che vi si trovano sono stati sperimentati da un gruppo di lavoro di madri e padri sorto per approfondire il discorso sull’educazione religiosa nella prima infanzia.

La prima scheda («Il segno della croce») si trova nella seconda parte di questo libretto. Le altre vi saranno inviate per posta. L’elenco completo delle schede è riportato a p. 8. Una nuova serie di schede è in preparazione per gli anni che seguono, dai 3 ai 6.
C’è infine da sottolineare che le schede indirettamente serviranno anche a voi genitori per favorire la vostra crescita religiosa, per riprendere o portare avanti il vostro personale cammino di fede. È chiaro, infatti, che mettere in pratica i suggerimenti proposti significa – necessariamente – interiorizzarne i contenuti, far propri i gesti, i segni e le cose da proporre poi ai bambini. Ma anche tornare un po’ ad essere bambini nella dimensione di cui parla Gesù: «Soltanto a chi è come i bambini appartiene il regno di Dio».


La dimensione comunitaria

Finora abbiamo parlato di rituali e di segni religiosi da vivere all’interno della famiglia. C’è però da considerare un’altra dimensione importante, quella della comunità. Questa dimensione naturalmente acquisterà un rilievo sempre maggiore a mano a mano che il bambino cresce. Ma è bene che egli fin d’ora cominci a individuarla e a viverla insieme con i suoi genitori.
Senza considerare per ora la messa della domenica, che richiede un discorso a parte (ne parleremo in una delle prossime schede), durante l’anno la parrocchia organizza alcuni incontri specie per preparare le grandi feste religiose dell’anno: Natale, Pasqua, Pentecoste. Poi, all’inizio dell’anno (quando la Chiesa ricorda il Battesimo di Gesù) e a ottobre, dopo il periodo estivo.

Questi incontri sono articolati in due parti. Nella prima – che si svolge in chiesa – si vive insieme una breve liturgia (quindici-venti minuti) fatta di canti, di rivisitazione di un segno battesimale in rapporto alla festività vicina (la luce a Natale, l’acqua a Pasqua, i doni dello Spirito Santo a Pentecoste…), della lettura di una pagina del Vangelo, della recita del Padre nostro. La seconda parte è dedicata a una riunione di amicizia nei locali della parrocchia: si fa merenda insieme, ci si conosce meglio fra genitori, ci si aggiorna sulle cose accadute, si ha la possibilità di vedere e acquistare libri… Il tutto aiuta i piccoli a familiarizzare con l’ambiente chiesa, con alcuni segni e gesti della fede, con la figura del parroco; ad ascoltare e poi a cantare canzoni della tradizione religiosa, alla recita comune del Padre nostro, a scoprire progressivamente la propria comunità parrocchiale.


Per riflettere, approfondire, saperne di più

Questa introduzione all’educazione religiosa dei bambini piccoli non esaurisce naturalmente le tante cose che ci sarebbero da dire sull’argomento. Indichiamo qui di seguito qualche pista per ulteriori riflessioni e approfondimenti. Alcune provengono dalla Bibbia, dalla parola di Dio; altre dalla psicologia dello sviluppo nei primi anni di vita (perché il messaggio religioso è strettamente connesso alla dimensione umana della persona).


Dai Salmi
Ci sono alcuni Salmi la cui lettura ci parla in termini poetici e al tempo stesso profondi della vicinanza di Dio al bambino. Ne segnaliamo in particolare tre.
* Il salmo 23 (22), detto del Buon Pastore. È quello letto insieme con i catechisti e che vi ha fatto capire i significati profondi del battesimo, specialmente il rapporto forte che si stabilisce tra Gesù Buon Pastore e il bambino (la nuova pecorella del suo gregge). È bello di tanto in tanto a rileggerlo per riflettere sulla ricchezza dei suoi messaggi.
* Il salmo 130 (131). È uno dei salmi più brevi. Pochi versetti ma molto intensi che descrivono la straordinaria capacità di affidarsi dei bambini: un modello per la fede degli adulti.
* Il salmo 138 (139). La vicinanza amorosa di Dio per l’uomo è descritta in questo salmo con un linguaggio poetico di grande fascino, a partire dall’inizio stesso della vita («Sei tu che hai creato le mie viscere e mi ha intessuto nel seno di mia madre…»).

Brani del Vangelo sull’amore di Gesù per i bambini
Diverse volte Gesù nei Vangeli manifesta particolare attenzione e amore verso i bambini. Sono passaggi brevi ma penetranti, ricchi di significato. Ecco i principali:
* «Lasciate che i bambini vengano a me… a chi è come loro, infatti, appartiene il regno di Dio» (cfr. Mc 10,13-16; Mt 19,13-15; Lc 18,15-17).
* «Chi è il più grande? (…) E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse…» (cfr. Mc 9,33-37; Mt 18,1-5; Lc 9,46-48).
* «Ti rendo lode, Padre (…) perché hai rivelato queste cose ai piccoli» (Mt 11,25).


Per saperne di più

Conoscere le diverse fasi di sviluppo dei bambini nei primi anni di vita è importante per adeguarvi nella maniera più consona gli interventi educativi, anche dal punto di vista religioso. Vi segnaliamo anzitutto tre libri divenuti ormai classici sull’argomento (pubblicati negli Oscar Mondadori). Scritti sotto forma di intervista, sono raccomandati per la chiarezza espositiva, la completezza dei temi e la competenza con cui sono trattati. Dalla loro lettura i genitori ne traggono di solito grande arricchimento. Anche noi ne abbiamo desunto diversi spunti per il discorso sviluppato in questa premessa.
S. Vegetti Finzi, A piccoli passi. La psicologia dei bambini dall’attesa ai cinque anni, Mondadori, Milano 1997.
F. Dolto, Come allevare un bambino felice e farne un adulto maturo, Mondadori, Milano1995.
F. Dolto, I problemi dei bambini, Mondadori, Milano1995.

Più specificamente rivolti all’educazione religiosa sono i volumi:
Conferenza Episcopale Italiana, Catechismo dei bambini. Lasciate che i bambini vengano a me, LEV, Città del Vaticano 1992.
M. Diana, Dio e il bambino, Elledici, Leumann (TO) 2007.
S. Cavalletti, Il potenziale religioso del bambino, Città Nuova, Roma 1993.



Prima scheda: Il segno della croce con cui i genitori possono benedire i neonati


Per l’educazione religiosa dei bambini piccoli, un gesto che si può mettere in pratica fin dai primi giorni di vita è il segno della croce. È il segno più familiare della vita cristiana, una sintesi del mistero di salvezza e della manifestazione di amore di Dio per noi. Nelle parole che lo accompagnano troviamo la figura del Padre, quella del Figlio e quella dello Spirito Santo che ci avvolgono con il loro amore (come emerge dal movimento che compiono le nostre mani).
Il segno della croce ha anche un significato cosmico, in quanto la croce indica i quattro punti cardinali (cioè l’intera realtà) nei quali si diffondono la salvezza e l’amore di Dio attraverso Gesù. Si tratta, infine, dello stesso segno – il primo – con il quale il bambino è accolto nella Chiesa il giorno del suo battesimo.

Vi suggeriamo di prendere l’abitudine di tracciare ogni giorno (se possibile entrambi i genitori) il segno della croce sulla fronte di vostro figlio (lo si fa con il pollice: il dito capace di imprimere più forza). È il gesto di base di quei rituali religiosi in famiglia di cui abbiamo parlato nella Premessa, da fare soprattutto la mattina al risveglio e la sera prima di dormire. E più avanti, dopo lo svezzamento, al momento della pappa. Ma anche altri momenti della giornata, di tanto in tanto, possono essere buoni, specie quando la mamma è a contatto diretto con il bambino (mentre lo allatta, lo accudisce…) e lui si mostra tranquillo e ricettivo.

Il segno sulla fronte può essere accompagnato da una piccola benedizione, come: «Dio ti benedica, amore della mamma!», oppure: «Dio ti benedica e ti protegga sempre». Pian piano il piccolo si accorgerà del gesto, lo sentirà come una comunicazione affettuosa e al tempo stesso particolare.


La piccola liturgia familiare della sera

La sera il segno della croce può diventare l’occasione per una piccola liturgia familiare, breve ma di grande intensità. Sia la mamma sia il papà sono ormai a casa, il piccolo sta per addormentarsi. È fra loro due. Si fa un momento di silenzio, poi entrambi tracciano il segno della croce sulla fronte del bambino (sarà avvertito da lui come una carezza diversa dalle altre), accompagnandola con una breve invocazione che può essere sempre la stessa oppure variare, così come suggerisce il cuore, la giornata trascorsa, il momento attraversato. Ecco alcuni possibili esempi, utili soltanto per orientarsi (inserendo il nome del bambino):

* Gesù ti sia sempre accanto, bambino mio.
* Dormi tranquillo, piccolo, il Signore ti ama ed è sempre con te.
* Piccolo della mamma, dormi sereno: l’amore di Gesù è con te anche nel sonno.
* Oggi abbiamo avuto una buona notizia… Siamo contenti e vogliamo trasmettere anche a te la nostra gioia: ti benediciamo e chiediamo al Signore di starti sempre vicino.
* Stasera siamo un po’ tesi, un po’ nervosi. Anche tu te ne sarai accorto. Ma adesso mettiamo tutto da parte, torniamo calmi e sereni. Tu sei per noi una fonte di gioia e noi ti benediciamo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

Ripetuto quotidianamente, il gesto diverrà familiare al bambino. Lo aspetterà ogni sera da mamma e da papà come un segno d’amore. Lo sentirà come una comunicazione di affetto differente (per la particolarità del gesto, per il tono sommesso ma intenso della voce), perché contenente un di più che pian piano imparerà a scoprire. Crescendo ne acquisterà sempre più consapevolezza, finché – dopo i 2 anni – diverrà capace di farlo da solo (nella versione tradizionale) con la guida dei genitori. Allora per qualche tempo genitori e bambino faranno insieme il segno della croce (unendoci magari una preghiera spontanea, quando il piccolo avrà appreso a parlare), fino a che sarà divenuta una sua abitudine personale. È bene che anche successivamente, quando avrà acquisito questa autonomia, i genitori continuino a tracciare sulla fronte il loro segno, per sottolineare che il flusso d’amore nei suoi confronti non viene meno (talvolta sono gli stessi bambini a volerlo).

Quando il bambino diventerà più grande, saranno i genitori a valutare se e quando sarà il caso di interrompere questa consuetudine familiare (il segno della croce fatto sulla fronte). Essa però non deve essere abbandonata, ma riservata almeno a certe occasioni: il compleanno, l’onomastico, alcune festività, altre circostanze della vita come il primo giorno di scuola o altri eventi importanti. Assumerà il significato di una benedizione particolare dei genitori che continuano ad assicurare il loro amore ai figli anche quando crescono e acquistano autonomia.
L’esperienza dice che saranno poi gli stessi figli – anche nelle età successive, da grandi – a chiedere in certi momenti (un esame o una prova da superare, un viaggio, un avvenimento che conta…) quel segno, di cui avranno colto tutta la ricchezza. Ma questo sarà il frutto di una tradizione familiare che ha le sue radici nell’infanzia.

C’è da tener, infine, presente che se e quando nascerà un fratellino o una sorellina, anche lui parteciperà alla piccola liturgia familiare della sera, tracciando sulla fronte di lui (o di lei) il segno della croce.


Mamma e papà fanno il segno della croce

Il segno della croce, come gesto essenziale della fede cristiana, offre un’ulteriore opportunità, specie nel secondo anno di vita (tra i 12 e i 24 mesi, ma anche prima), quando il bambino ha fatto grandi progressi nella comprensione delle parole, dei gesti, degli atteggiamenti degli adulti, con i quali interagisce ormai in maniera viva e intensa. In certe occasioni della giornata, saranno loro stessi a fare il segno della croce tradizionale, in maniera visibile per i figli. Ad esempio, prima di cenare, o prima del pranzo della domenica…
In genere in questi momenti il bambino è sveglio e attento accanto ai suoi genitori. Vedere mamma e papà fare quel gesto così diverso da tanti altri, e pronunciare le parole che lo accompagnano, lo aiuterà a entrare nella dimensione della trascendenza, a cogliere la presenza di un Dio che ci ama e che ci è accanto. E quando comincerà a dire le prime parole, anche lui potrà concludere la formula con l’Amen finale.


Difficoltà

Questo primo gesto, che dà inizio all’educazione religiosa dei bambini, è semplice da attuare ma anche denso di significati. Non presenta difficoltà, tranne una: la continuità, la sua pratica quotidiana. Pur essendo sufficienti pochi secondi, talvolta presi da molte incombenze, si finisce col dimenticarsene. Ma se si è intimamente convinti dell’importanza del segno, se non ci si scoraggia di fronte a qualche inadempienza, se si troveranno i modi giusti perché il gesto si trasformi in un’abitudine a cui si tiene, l’obiettivo della regolarità sarà raggiunto. Importante è evitare che il segno della croce diventi un gesto episodico, occasionale: rischierebbe di perdere gran parte del suo valore educativo, legato proprio alla ripetizione del gesto che lo trasformerà in un appuntamento della giornata importante e atteso.


Esperienze dirette

Un piccolo rito che cresce con il bambino. Abbiamo cominciato il rito serale del segno della croce in famiglia, quando Francesco era molto piccolo. È un rito bello che cresce con il bambino, si arricchisce di segni, parole ed emozioni. Infatti, a mano a mano che Francesco è cresciuto abbiamo inserito una canzoncina e poi una piccola preghiera di ringraziamento. Le preghiere che inizialmente erano fatte soltanto da mamma e papà, sono poi venute spontanee per Francesco. E via via che è cresciuto sono diventate più complesse. Nel frattempo è nato Emanuele, che si è inserito benissimo in questo rito. Ora anche Emanuele partecipa con il suo «grazie a Gesù per la bella giornata», o per qualcosa in particolare. Noi siamo molto felici di questa piccola liturgia familiare, perché è un momento qualitativamente bello da passare con la propria famiglia e offrire a Dio le nostre gioie e le nostre difficoltà. Ci dà l’opportunità di sentirci veramente in comunione (Valentina e Stefano).

Quando i fratelli fanno da traino. Il segno della croce, accompagnato magari da un bacio e da una frase di benedizione, è sempre stato apprezzato, soprattutto se praticato con continuità, perché i bambini amano la ripetizione. Abbiamo notato che è una cartina di tornasole del nostro umore, dei nostri ritmi quotidiani, della nostra attenzione e del nostro livello di stress. Per questo tante volte l’abitudine si è interrotta. In questi casi riprenderla richiede uno sforzo non piccolo per superare una forma di timidezza sempre in agguato nell’ambito del sacro. In definitiva è una forma di testimonianza e come tale talvolta richiede «coraggio». L’esperienza di questo gesto con la nostra terza figlia è stata abbastanza emblematica. Il segno della croce è stato praticato nei suoi confronti con minore continuità, forse anche per la fatica accumulata al termine delle giornate. Tuttavia, paradossalmente, la piccola ha mostrato di frequente, a partire dal secondo anno di vita, una chiara partecipazione alla vita religiosa, specialmente attraverso i suoi «Amen». In qualche modo ha avuto l’opportunità di assorbire i gesti e le parole pronunciate in famiglia, ad esempio quelle dei momenti di preghiera o di benedizione con i fratelli, crescendo in un ambiente che le ha reso più semplice entrare in contatto con il senso del religioso. Una conferma dell’attenzione dei bambini di questa età verso i segni e i gesti vissuti nell’ambito familiare (Stefania e Alessandro).


Per saperne di più:
Conferenza Episcopale Italiana, Catechismo dei bambini. Lasciate che i bambini vengano a me, LEV, Citta del Vaticano 1992, pp. 150-151.

Indice delle schede


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