1/ Copti uccisi in odio alla fede al monastero del santo confessore, di Giorgio Bernardelli 2/ Dai predicatori d’odio egiziani «campagna mediatica» anti-cristiana, di Camille Eid
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1/ Copti uccisi in odio alla fede al monastero del santo confessore, di Giorgio Bernardelli
Riprendiamo da La Nuova Bussola quotidiana del 27/5/2017 un articolo di Giorgio Bernardelli. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. le sezione Islam e Chiesa copta.
Il Centro culturale Gli scritti (29/5/2017)
Aveva resistito a violenze di ogni tipo il monaco Samuel. Tra il VI e VII secolo questo santo copto aveva dovuto fare i conti prima con i bizantini e poi - sul monte Qalamoun - anche con i beduini. Ma il padre del deserto, saldo nella sua fede, si era rivelato più forte di entrambi. E per questo ancora oggi i cristiani d'Egitto lo venerano come «confessore della fede». Neanche il grande patriarca, però, avrebbe mai potuto immaginare che un giorno, sulla pista nel deserto che porta al suo monastero, i persecutori si sarebbero accaniti persino contro i bambini. Compreso un piccolo di appena 2 anni, anche lui di nome Samuel.
Sì, sono proprio i martiri bambini il volto più crudo del nuovo eccidio contro i copti, consumatosi ieri nella regione di Minya, nell'Alto Egitto. La quarta strage in meno di sei mesi dopo quella del Cairo a dicembre e le due di Tanta e Alessandria nella domenica delle Palme. Senza contare gli otto cristiani uccisi uno alla volta ad al Arish, nel nord del Sinai, e il tentativo di assalto al monastero di Santa Caterina, uno dei tesori più preziosi del cristianesimo d'Oriente.
Eppure - se possibile - stavolta è stato ancora più terribile. Perché tra le vittime - 28 il bilancio ufficiale a ieri sera, più un'altra ventina di feriti - tanti sono i ragazzini. C'erano soprattutto loro - infatti - nel convoglio di pellegrini copti che il commando jihadista ha preso di mira con la precisa intenzione di insanguinare l'inizio del Ramadan, il mese sacro per i musulmani.
A salire in pellegrinaggio al monastero erano un pullman di famiglie della zona di Beni Suef, un minivan carico di bambini di un parrocchia di Maghagha e un pick-up con un gruppo di lavoratori di un altro villaggio della zona di Minya. Uno spaccato di quell'Alto Egitto che è il cuore della Chiesa copta; in alcune zone, qui, i cristiani arrivano a toccare anche il 40 per cento della popolazione. Non a caso è la stessa regione dove nell'estate del 2013 furono più violenti gli attacchi contro le chiese, dopo la deposizione del presidente islamista Mohammed Morsi. La zone ideale da colpire per chi - come afferma l'Isis - si propone di sradicare i cristiani dall'Egitto.
Così, mentre saliva verso il monastero, il convoglio si è trovato sbarrato il percorso da tre fuori strada carichi di miliziani in divisa, spuntati dal deserto. Secondo le testimonianze hanno fatto scendere tutti e li hanno depredati; poi hanno chiesto ai cristiani di rinunciare alla propria fede e di fronte al rifiuto hanno cominciato a sparare. Perché il legame con l'inizio del Ramadan fosse chiaro a tutti, poi, hanno lasciato sul posto anche dei volantini con la frase «un digiuno gradito a Dio cancella tutti i peccati», frase che tutti i musulmani amano ripetere (con benaltro significato) durante il mese sacro.
Non sono riuscito a ricostruire di preciso quante delle 28 vittime siano bambini. Ma le proporzioni le ha date indirettamente una fotografia diffusa dal sito di informazione copto Watani: ritrae il vescovo di Maghagha, l'anba Agathon, insieme a tre piccoli dallo sguardo spaurito e con le magliette sporche di sangue. Quei tre sono Bishoi, Fadi e Amir; e Watani spiega che sono gli unici bambini sopravvissuti del gruppo partito la mattina per recarsi al monastero di San Samuel.
Come al solito dopo la nuova strage in Egitto è arrivato il coro delle condanne. Accompagnato dalle polemiche per l'evidente incapacità delle forze di sicurezza egiziane di fornire protezione ai cristiani, nonostante lo stato di emergenza decretato dopo le stragi di aprile. Anche per questo ieri sera il presidente al Sisi ha scelto la strada dei raid aerei: ha mandato l'aviazione a bombardare le postazioni dell'Isis a Derna, in Libia.
Contemporaneamente è apparso in televisione per dire che la strategia dei jihadisti è seminare discordia tra cristiani e musulmani e che il fine ultimo è abbattere lo Stato egiziano. «Sono ormai finiti in Siria e adesso vogliono venire qui - ha detto il generale presidente -. Ma noi li colpiremo nei loro campi di addestramento in Egitto e anche fuori».
Nel caos libico è difficile pensare che questi raid dimostrativi possano produrre qualcosa di significativo. Perché il problema vero di al Sisi non sta tanto all'esterno dei confini, ma dentro il suo Egitto: nel Sinai che resta ampiamente fuori controllo e ora anche nell'Alto Egitto, guarda caso già roccaforte dei Fratelli Musulmani. È lì che i copti oggi piangono i loro martiri bambini. Ennesimo banco di prova di una fede forte che non è certo finita con il santo Samuel.
2/ Dai predicatori d’odio egiziani «campagna mediatica» anti-cristiana, di Camille Eid
Riprendiamo da Avvenire del 28/5/2017 un articolo di Camille Eid. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. le sezione Islam e Chiesa copta.
Il Centro culturale Gli scritti (28/5/2017)
Monastero di San Samuele confessore
L’escalation di violenza contro i copti è anche la conseguenza di una campagna mediatica condotta da alcuni predicatori locali. Detta campagna va contro la linea del dialogo interreligioso promossa dal Grande imam di al-Azhar e il presidente egiziano.
Due settimane fa, le autorità egiziane hanno sospeso le attività del predicatore Salem Abdel Galil, colpevole di aver pronunciato a più riprese sermoni offensivi verso cristiani ed ebrei. Il predicatore aveva affermato che i fedeli di Gesù e di Abramo seguivano culti «corrotti» e «non andranno in Paradiso». Abdel Galil, un tempo funzionario del ministero dei Beni religiosi, ha fatto queste osservazioni durante una trasmissione televisiva che egli conduce sull’emittente al-Mihwar.
La tv ha deciso di interrompere il contratto con il predicatore dopo l’ondata di proteste e indignazioni sollevata dalla comunità copta. Parlando ai media, il ministro degli Affari islamici Mohamed Mokhtar Gomaa ha allora dichiarato che «le osservazioni di Abdel Galil, che descrivono i copti come infedeli, danno un senso di fastidio e rammarico». Il predicatore ha successivamente presentato scuse ufficiali alla comunità copta e venerdì ha pure espresso sulla sua pagina Facebook cordoglio «ai fratelli copti» per le vittime dell’attentato.
Ieri, alcuni dignitari del sufismo, la corrente mistica dell’islam, hanno chiesto però di impedire a certi predicatori di accedere ai canali televisivi. L’hashtag lanciato, «No agli sceicchi della discordia nelle tv satellitari», è accompagnato dai noti volti di diversi predicatori salafati, tra cui Mohamed Hassan, Abu Ishaq al-Howayni e Mohamed Hussein Yacoub. Il coordinatore delle confraternite sufi, Mustafa Zayed, ha affermato che questi predicatori stanno dietro la campagna di incitamento contro i copti e sono perciò responsabili dell’ondata di violenza, esattamente come i terroristi.
Dalla Turchia dove è rifugiato da anni, Wagdi Ghoneim, un altro predicatore egiziano vicino ai Fratelli musulmani, inonda intanto Youtube di prediche incendiarie contro i cristiani. Il 30 aprile un tribunale del Cairo ha condannato Ghoneim a morte in contumacia: il suo canale, però, continua a essere seguito da oltre 212mila persone.
Il 66enne predicatore, che si era pesantemente scagliato contro la visita del Papa in Egitto, è solito chiamare i copti «crociati» e considera il presidente al-Sisi un «apostata» che va inventando un proprio islam per soddisfare i suoi padroni occidentali. L’ultimo video di Ghoneim porta proprio il seguente titolo sotto forma di domanda retorica: «I crociati o i cristiani o la gente del libro sono per caso miscredenti?».
In questi anni diversi provvedimenti sono stati attuati per controllare i contenuti delle prediche dei vari religiosi, sia nelle moschee che nei programmi televisivi. Lo scorso 5 aprile il ministro degli Affari islamici ha annunciato che rimuoverà qualsiasi predicatore che diffonda idee estremiste. Il 3 maggio il presidente dell’Università di al-Azhar, Ahmed Hosni Taha, è stato sostituito dopo aver definito «apostata » Islam al-Behairy, un intellettuale musulmano riformista. Behairy aveva criticato alcuni scritti sunniti considerati fonte di ispirazione per gli estremisti, così come alcuni libri di giurisprudenza islamica pubblicati da al-Azhar, definendoli non conformi ai tempi moderni. La sostituzione di Taha è stata considerata una risposta alle accuse di non fare abbastanza per combattere l’estremismo religioso.