1/ Il lavoro e l'ideale. Il ciclo delle formelle del campanile di Giotto, di Mariella Carlotti 2/ L’uomo che lavora. Il ciclo delle formelle del campanile di Giotto (Brani da una relazione di Mariella Carlotti)

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 22 /05 /2017 - 00:10 am | Permalink | Homepage
- Tag usati: , , ,
- Segnala questo articolo:
These icons link to social bookmarking sites where readers can share and discover new web pages.
  • email
  • Facebook
  • Google
  • Twitter

1/ Il lavoro e l'ideale. Il ciclo delle formelle del campanile di Giotto, di Mariella Carlotti

Riprendiamo dal web la trascrizione della relazione tenuta da Mariella Carlotti il 9/2/2011, presso la Sala Conferenze della Camera di Commercio di Milano, in occasione della mostra Il lavoro e l'ideale. Il ciclo delle formelle del campanile di Giotto. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Arte e fede.

Il Centro culturale Gli scritti (21/5/2017)

[…] Dico sempre ai miei alunni che quando gli extraterrestri sbarcheranno sulla terra - spero di essere già morta! - gli dovremo spiegare come mai noi in questo pianeta contiamo cinque continenti.

Credo che faranno una strana faccia quando gli spiegheremo che una penisola dell’Asia noi lo consideriamo un continente, l’Europa, e anzi lo consideriamo in qualche modo il continente più significativo per il nostro pianeta. Infatti, come spiego sempre a loro, noi studiamo la storia, la letteratura, per capire che cosa ha fatto di questa penisola dell’Asia un continente, perché questa penisola evidentemente non essendo un continente dal punto di vista geografico è un continente culturale.

È successo qualcosa, è nata una concezione dell’uomo e del mondo che ha conquistato il mondo. Certamente uno degli ingredienti fondamentali di questa concezione del mondo e dell’uomo che si è sviluppata in Europa è il lavoro, e certamente Firenze è una città che più di altre sapeva - oggi un po’ meno - questa cosa, perché Firenze è una città che per mille anni vive il destino di un villaggio secondario a cui la condannava la geografia: Firenze non è sul mare, non è al centro di una pianura fertile come Milano, non è su un fiume navigabile, non ha materie prime.

Perciò Firenze non doveva diventare una città importante. Che cosa ha fatto? Che cosa è successo a Firenze dopo il Mille, in particolare tra il XII e XIII secolo, che ha trasformato un villaggio di 1500 metri di mura in una città che è diventata la capitale economica e finanziaria dell’Europa? È successa una cosa che i fiorentini hanno scritto nella parte bassa del campanile, è successa una creatività straordinaria, è successa una concezione del lavoro che ha investito un villaggio e ne ha fatto una capitale dell’Europa.

Questo viene raccontato nella parte bassa del campanile di Giotto. Questo è quello che Giotto disegnò alla base del campanile, quando nel 1334 divenne capomastro dell’opera del duomo.

Questo ciclo della storia del lavoro a Firenze non è l’unico ciclo che c’è in Europa, è il più grande, il più vasto ciclo di storia del lavoro di tutta la storia dell’arte. Ma i cicli sul lavoro sono tipici di tutta la cultura medievale, perché i nostri antenati sapevano una cosa che noi abbiamo dimenticato: che l’idea del lavoro che è maturata in Europa è un’idea che il mondo prima di Cristo e fuori di Cristo non conosce.

Anche la grande civiltà greca e romana ultimamente cedeva a una concezione del lavoro come schiavitù. Infatti il lavoro manuale era affidato agli schiavi e l’uomo libero era l’uomo che non lavorava. Seneca scrive “l’ozio è l’amico dell’anima”, a questo risponde cinque secoli dopo la regola di San Benedetto con la frase esattamente capovolta: “l’ozio è il nemico dell’anima” perciò il monaco continui la preghiera lavorando, ora et labora, sentendo che solo il lavoro salva la statura intera dell’uomo come la preghiera. Questa è la rivoluzione che ha fatto grande l’Europa e con orgoglio i nostri antenati sui portali delle cattedrali come a Modena o a Chartres o sulla Fontana Maggiore come a Perugia mettevano questi cicli del lavoro che normalmente erano legati al tema dei mesi perché erano culture contadine: allora c’era a giugno la mietitura, a settembre la vendemmia. Questa accoppiata interessante in fondo suggeriva l’idea che il nome cristiano del tempo è il lavoro, che non c’è tempo senza lavoro.

Questa cosa è vera anche a Firenze dove non c’è più quest’accoppiata. Ma quest’accoppiata torna in un modo particolare perché - e qui cominciamo con le diapositive - queste formelle sono alla base del campanile. Il campanile in una città medievale era l’orologio della città. Disegnare sullo zoccolo del campanile queste formelle significava dire a chi arrivava in questa piazza: “cari signori, il tempo umano nasce dal lavoro”. Si chiama storia.

Se non ci fossero i primi due piani con le formelle, il tempo ci sarebbe ma non sarebbe storia. Queste formelle sono disegnate da Giotto, realizzate dalla bottega di Andrea Pisano, ma dietro alla sua collaborazione c’è probabilmente un grande filosofo domenicano, allievo di San Tommaso d’Aquino a Parigi e a Napoli, cioè Remigio de Girolami che è tradizionalmente ritenuto il maestro o uno dei grandi maestri di Dante, l’anello tra il tomismo e Dante. Questo ciclo di formelle abbraccia tutti e quattro i lati del campanile con formelle esagonali nel primo ordine e romboidali nel secondo.

La scelta delle forme non è certamente casuale. L’esagono immediatamente richiama ai sei giorni della creazione. Il rombo è la figura geometrica della perfezione. Queste formelle girano intorno ai quattro lati del campanile facendo fare al visitatore della piazza in realtà un viaggio intorno alla storia. Adesso noi virtualmente gireremo intorno al campanile, ma in realtà faremo un viaggio nel tempo per capire così quello che l’uomo ha visto emergere nell’esperienza come coscienza del lavoro.

Si comincia dal primo lato che è quello che guarda verso il battistero. In questo lato l’autore medievale per partire a parlare del lavoro, comincia dall’unico vero lavoro che c’è nel mondo che è il lavoro che fa Dio: la creazione

Solo Dio infatti fa passare le cose dal nulla all’essere. L’uomo lavora su ciò che Dio ha fatto, perciò quella dell’uomo non è creazione ma è collaborazione alla creazione tanto che Dante dice che il lavoro a Dio è “nepote”, la figlia è la realtà, il lavoro è il “nepote”. Queste formelle cominciano infatti con la creazione di Adamo ed Eva; poi c’è il lavoro dei progenitori in cui c’è Adamo che lavora il suolo ed Eva che regge il fuso - mangiare e coprirsi erano le esigenze primordiali - e poi i primi quattro lavori secondo i capitoli 2 e 4 della Genesi: la pastorizia, la musica, la metallurgia e la viticultura.

Sopra, nell’ordine superiore, troviamo i sette cieli della divinità, i sette pianeti allora conosciuti, ma sono i sette cieli della Divina Commedia, disposti proprio nell’ordine in cui li dispone Dante: Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno. Come vedete qui si legge al contrario della scrittura. Questo è legato alla topografia di Firenze: a destra, dalla parte della luna c’è piazza della Signoria, Saturno invece, che è quello del settimo cielo - si dice “sono al settimo cielo” perché è il cielo che confina con la felicità piena - confina qui con la cattedrale.

Vediamo in questa formella la creazione di Adamo: Dio crea l’uomo a sua immagine e somiglianza, poteva fare un universo tutto scemo, invece ha creato nell’universo un essere intelligente che continuasse l’opera della sua creazione. Lo ha fatto così simile a sé che l’ha fatto uomo e donna: la creazione di Eva.

Nei cicli medievali sul lavoro a questo punto c’è il peccato originale, che invece a Firenze non c’è perché, come io dico sempre “noi fiorentini non ci s’ha”. Voi ce l’avete a Milano, ma noi a Firenze no. In realtà il peccato originale non c’è perché le formelle sono nella cattedrale dedicata a Maria e Maria non ha il peccato originale.

Ma si vede la conseguenza del peccato originale nella formella del lavoro dei progenitori. Come sapete, quando Dio caccia Adamo ed Eva dal Paradiso dice: “Tu uomo lavorerai col sudore della fronte, tu donna partorirai nelle lacrime”. La conseguenza del peccato originale non è il lavorare o il generare, che sono i due verbi con cui l’uomo imita Dio, ma la conseguenza del peccato originale è che nell’uomo, per questa ferita originale, i due verbi con cui avviene il proprio compimento, avvengono dolorosamente, tanto che l’uomo può rischiare di sentire contro di sé ciò che lo realizza. Questo si vede nella schiena curva di Adamo che soffre lavorando la terra.

Nella formella della pastorizia troviamo un pastore, Jabal. Lo troviamo nel libro della Genesi, padre di coloro che stanno nelle tende vicino al bestiame. Questo pastore fa il lavoro più povero, più misero che esista, eppure guardate che solennità, che dignità, quasi regale, perché l’uomo che accetta la fatica del lavoro ritorna a essere simile al Dio che lo ha creato. Tant’è che questo pastore ha la stessa faccia del Dio che lo ha creato.

La musica: forse per noi è strano che la musica sia un’esigenza primordiale, forse per i giovani presenti no. Ma è un’esigenza primordiale e l’uomo che guarda l’esperienza lo sa, perché il pastore, mentre bada il suo gregge, suona, ha bisogno della musica come del pane.

La metallurgia, con Tubalcain che lavora i metalli, e da ultimo la viticoltura con Noè ubriaco sotto la vite accanto alla botte perché ha inventato il vino. Quest’ultima formella è un omaggio al centro della città, ad una delle attività che hanno fatto grande Firenze e che la fanno grande tuttora, cioè la produzione del vino.

Dei rombi vediamo solo il primo e l’ultimo. Questa è la luna, presentata allegoricamente come una fanciulla che siede sulle acque e tiene in mano una fontana, per l’influsso della luna sulle acque, sulle maree. Saturno è rappresentato come un vecchio che tiene la ruota del tempo, accanto a suo figlio Crono. Questo primo lato è il lato dell’uomo naturale, dell’uomo così come esce dalle mani di Dio, che sente il lavoro come risposta ai propri bisogni primordiali. Qui dovete immaginare che lo spigolo tra il primo e il secondo lato sia l’anno zero dell’umanità, l’irruzione dell’avvenimento di Cristo nella storia.

Infatti nel secondo lato, nei rombi dove prima avevamo trovato i pianeti, l’uomo era dominato dalle forze naturali della necessità, troviamo le virtù teologali e cardinali, cioè le virtù della conoscenza di Cristo: fede, carità, speranza, prudenza, giustizia, temperanza e fortezza.

Negli esagoni i lavori del primo incivilimento umano con degli accoppiamenti molto interessanti. Sotto la fede troviamo l’astronomia, perché dalla conoscenza di Cristo nasce la curiosità verso la totalità. La tessitura è sotto la giustizia, perché dice Remigio de Girolami che Cristo risorto nella storia fa come mestiere il tessitore, tesse la sua tunica, cioè la Chiesa perché gli uomini, toccando la sua tunica, indovinino la persona. E nella giustizia non domina la saggezza di fare le leggi, perché forse la saggezza medievale sapeva che le leggi degli uomini non sono giuste, non lo saranno mai e non devono neanche esserlo, ma devono essere governate di più dalla virtù della temperanza, cioè dalla capacità di comporre interessi diversi.

Voglio raccontarvi un episodio che per me è stato molto significativo. Quando abbiamo fatto la mostra al Meeting è venuto a vederla James Murdoch, il proprietario di Sky. Io sono rimasta molto impressionata perché ad un certo punto lui mi ha detto: “Voglio capire bene che novità introduce Cristo nel lavoro”. Stavamo parlando di questo lato e lì mi è venuto in mente un esempio che da allora in poi racconto sempre perché mi è sembrato efficace.

Gli ho risposto dicendogli che quest’anno, a fine anno, ho chiesto ai miei alunni - che dopo la maturità in larga parte vanno a lavorare - “Che cos’è il lavoro?” e sono rimasta impressionata perché insegnando, due anni fa, in una classe di trentuno ragazzi, sedici extracomunitari e quindici italiani, con tutti i continenti rappresentati - quindi era una sorta di O.N.U. studentesca - dal napoletano al pakistano, dal pratese al cinese, tutti hanno dato la stessa identica risposta: “Il lavoro è quella cosa che purtroppo bisogna fare per portare a casa la pagnotta”.

Così l’ha detta il napoletano, ma il cinese l’ha detta uguale. Io sono rimasta impressionata dalla cosa, perché io dico ai miei alunni: “Ragazzi, questa è la definizione di lavoro degli schiavi”. Perché in questa definizione del lavoro l’io non c’è, così che tu, se andrai a lavorare così, lavorerai quando il padrone ti guarda e ti sentirai libero quando andrai in vacanza, questa è la mentalità diffusa oggi e, infatti, siamo ritornati schiavi.

Allora un mio alunno mi dice: “Ma allora, se non è questo, che cos’è il lavoro?”. E io dico: “Il lavoro è il modo con cui l’uomo realizza se stesso, di cui il portare a casa la pagnotta è un aspetto”. Questo si vede qui, in questo lato, tanto che dico a Murdoch: “Vede, se avessero ragione i miei alunni, lei non dovrebbe lavorare, da che mi hanno detto che lei ha la pagnotta per una cinquantina di vite. Però, se lei cedesse a questa tentazione e non lavorasse, lei arriverebbe alla fine della vita sicuramente grasso, perché la pagnotta ce l’ha, con tre piccoli problemi: che non saprebbe niente di sé, perché l’uomo scopre sé nel rapporto con il reale, non saprebbe niente del mondo se non quel che vede nei film americani, e non riuscirebbe ad evitare tutte le sere un’angoscia di una vita inutile, perché l’uomo è fatto per dare nel lavoro un contributo al bene di tutti.

Adesso spiego i rombi: questa è la Fede, rappresentata allegoricamente come una fanciulla che tiene una croce e un calice, perché la Fede è credere in Cristo morto e risorto presente nell’Eucarestia; la Carità è come una donna prosperosa che tiene in mano un cuore e una cornucopia piena di fiori e frutta, perché è la fecondità della Fede, e la Speranza, come un angelo che a mani giunte tende a una corona.

Sotto la Fede c’è l’astronomia, c’è un astronomo che è nel suo studio, ma il suo studio ha la forma circolare perché è l’Universo, perché quest’uomo è grande come l’Universo nel suo desiderio di conoscere, e mentre guarda le stelle si accorge della testa degli angeli, dei santi e di Dio Padre, perché l’uomo da ciò che vede è condotto a scoprire ciò che non vede.

La seconda formella è la “Muratura”, ci dice la seconda idea: per lavorare occorre una tensione alla totalità, ma occorre un maestro da seguire, il bellissimo capomastro di questa formella, le cui dimensioni fisiche traducono la statura morale, è un uomo più grande perciò i due uomini più piccoli, obbedendogli tirano su la cattedrale.

La Medicina ci dice la terza idea cristiana del lavoro: guardate c’è un medico che sta guardando in controluce un vaso d’urina. È la prima analisi delle urine che io conosco nella storia, ce n’è un’altra che porteremo quest’anno al meeting. Questo medico è messo in maniera affrontata all’astronomo, a sottolineare che il valore del lavoro non dipende dalla materia trattata, uno maneggia le stelle l’altro l’urina ma sono entrambi solenni perché il valore del lavoro è nella coscienza dell’uomo non nella materia che maneggia.

La Tessitura invece è la formella più curata di tutto il ciclo, come dicono i miei amici pratesi questo telaio va, è perfetto. Ma fa impressione vedere come l’attività a cui Firenze doveva la sua ricchezza era presentata da un’azienda fiorentina del trecento in cui lavorano solo donne, siamo nel 1340.

La Legislazione con Phoroneus che consegna le leggi agli uomini, infine la meccanica con Dedalo che conquista il cielo. L’uomo che osserva il cielo apre questo ciclo, questo lato, l’uomo che lo conquista lo chiude. In questa traiettorie c’è l’uomo europeo.

Il terzo lato è un “omaggio” a Benedetto XVI, al discorso di Ratisbona: facciamo un salto di mille anni e vediamo che il terzo lato guarda verso questa via dello studio, che si chiama ancora oggi così perché in questa via nasceva negli stessi anni in cui Giotto disegnava queste formelle, lo studio fiorentino.

E questo lato è un omaggio all’università, sentita come la suprema creazione medievale. Infatti vedete che dove prima c’erano i pianeti, poi le virtù cardinali e teologali, adesso troviamo le arti del trivio e del quadrivio cioè le discipline insegnate nelle università del Medioevo, segno di quella unità tra fede e ragione che ha fatto grande l’Europa.

Sotto i lavori dell’ultimo incivilimento umano, i lavori che tendono alla perfezione del gesto artistico, infatti gli ultimi quattro sono teatro, scultura, pittura, architettura con un crescendo nelle arti dalla parola allo spazio.

Voglio farvi notare una cosa interessante, vedete che il primo rombo è l’astronomia, che prima avevamo trovato nel primo esagono. Qui c’è l’idea europea di progresso, la dico con un endecasillabo di Dante: “L’uomo da sensato apprende ciò che fa poscia d’intelletto degno”. L’esagono è il piano d’esperienza, l’uomo apprende nell’esperienza qualcosa che poi diventa rombo, cioè conoscenza, permettendo un nuovo esagono e così l’umanità procede, con esagoni che diventano rombi che diventano esagoni che diventano rombi. Infatti l’astronomia permette la navigazione in mare aperto, come la musica (questo è interessante), cioè la conoscenza dell’armonia dell’essere, tende a riprodursi nei rapporti sociali con la politica.

Dei rombi ve ne faccio vedere solo uno, la grammatica, che dedico alle mamme e alle insegnanti presenti: c’è una donna prosperosa che sta insegnando a dei bambini e ha un sorriso benevolo, fa un gesto benevolo con la mano sinistra e nella destra ha una frusta: questo significa educare.

Tra gli esagoni il primo è la navigazione, io devo a questa formella - mi dispiace ma ho fatto un voto alla Madonna e devo raccontarlo tutte le volte - dicevo io devo a questa formella la scoperta di questo ciclo. Perché c’è un abisso tra ciò che si sa e ciò che si comincia a conoscere: io queste cose le avevo studiate all’università ma d’improvviso ci sono entrata dentro.

Devo questa mia entrata ad un mio alunno, di una terza di diversi anni fa a cui dovevo spiegare la letteratura e la storia medievale; in quella classe erano bravissimi, studiavano tutto ma non capivano niente, perché un ragazzo di oggi che ha sedici anni non riesce a sentire il Medioevo se non come un ultrasuono. Andai a scuola con un caricatore di diapositive d’arte sperando che l’arte facilitasse l’approccio alla cultura medievale, proiettai questa diapositiva come prima perché quell’anno comunione e liberazione l’aveva scelta come volantone di Pasqua e per questo ce l’avevo. Proiettai questa diapositiva e dissi alla classe: ragazzi questa è una scultura medievale secondo voi cosa rappresenta? Tutti in coro dissero: “È Gesù in barca con due discepoli”, io dissi: “Bravissimi! (anche Cl l’aveva usata così) però lo scultore che l’ha fatta l’ha intitolata l’arte del navigare, cioè un lavoro”.

Allora il più intelligente della classe dice: “Allora perché ci ha detto bravissimi? Noi abbiamo detto una castroneria, abbiamo detto che era una cosa religiosa” “No, ma è tutte e due come tutte queste formelle sono tutte e due”. Allora lui dice “Come tutte e due, professoressa? O è Gesù in barca con due discepoli o è un lavoro” e fa un gesto con le dita (alza le due dita ad indicare la scelta opposta).

Io rimango folgorata da queste due dita alzate e gli dico: “Jonathan sai che cos’è questo? Questo è l’uomo moderno, che non è un uomo ateo, non necessariamente, può anche ascoltare Radio Maria tutte le mattine ma è un uomo che sente che il lavoro non c’entra nulla con l’andare in barca con Cristo. Tu riesci a immaginare un mondo in cui degli uomini lavorando, lavoravano essendo coscienti che andavano in barca con il proprio ideale? Erano uomini che facevano così, questo è il Medioevo, questo è nella storia l’uomo cristiano”. Io da quel giorno mi feci prendere dall’interesse per queste formelle.

Questo è Ercole che uccide Caco restituendo alla convivenza umana l’armonia originale. L’agricoltura con questo uomo non più curvo al suolo ma che domina la terra mentre comunica questo vigore anche ai buoi e insegna al figlio a fare altrettanto.

L’arte degli spettacoli, c’è un attore che con una maschera sul volto gira per le città per rallegrare i cuori degli uomini. La scultura, questo scultore troppo simile al Dio che l’ha creato, l’uomo sta avvicinandosi alla perfezione; la pittura, e al vertice dei lavori umani, l’ultimo dei lavori: l’architettura. Al gesto di Dio che crea l’universo corrisponde il tailleur de pierre, il gesto dell’uomo che costruisce la cattedrale.

Infatti se questo architetto alzasse la testa dalla sua scrivania avrebbe davanti agli occhi Santa Maria del Fiore, la cattedrale che sta disegnando. Io mi ricordo che quando la prima volta ho guardato con intelligenza queste formelle mi sono domandata che cosa avessero messo sul quarto lato, che cosa c’è oltre l’arte come perfezione del lavoro umano? Il quarto lato, chi è stato a Firenze lo sa, è il lato oscuro che guarda verso la cattedrale, è un lato che oggi è proprio transennato ma nel Medioevo quando era invece assolutamente godibile, era un lato che vedeva soltanto chi sceglieva di vederlo.

In questo lato non c’erano più gli esagoni e rombi, rimanevano solo i rombi, ma in questi non c’erano più allegorie ma scene di lavoro reale. Che cosa diceva Giotto con il linguaggio dell’arte? Diceva che nella storia esistono sette gesti di lavoro assolutamente perfetti in cui l’esagono è nel rombo, in cui l’esperienza è pura conoscenza, la realtà è puro ideale. Questi sette lavori sono sconosciuti alla maggior parte degli uomini, pochissimi son quelli che li vedono.

Quali sono questi sette lavori? Sono i sette Sacramenti cioè i gesti del lavoro che fa Cristo. Perché c’è un lavoro più grande che prendere un uomo che morirebbe e renderlo eterno? Questo è il Battesimo. Aggiustarlo quando si rompe? Si chiama Confessione, e prendere l’amore tra uomo e donna e renderlo famiglia, prendere un uomo e renderlo mediatore del rapporto con Dio e prendere tutti gli altri e renderli protagonisti della storia, cioè testimoni di Cristo, e prendere un po’ di pane e di vino e renderli segni del Mistero, presenze di esso?

Tutti i nostri lavori terminano nel grande scoglio della morte che non arresta Cristo che accompagna l’uomo fino all’eterno. Questi lavori la maggior parte degli uomini non li vede ma vede l’opera che ne nasce, che è la Chiesa, la quale si trova sulla piazza degli uomini visibile da tutta la piana.

Ultimissima cosa, queste formelle furono compiute prima della grande peste del 1348, per cento anni rimasero così. Cento anni dopo, nel 1440, siccome l’accesso al campanile era molto scomodo perché andava da una finestra della cattedrale ad una finestra del campanile, questo è il motivo per cui l’ordine è fatto in quel modo, perché sotto c’era una finestra, l’accesso era quindi dalla cattedrale e molto stretto - io non ci sarei passata - allora aprirono una porticina sul terzo lato che ancora oggi è l’accesso al campanile.

Quando aprirono questa porta le due formelle, i due esagoni che erano sotto, vennero traslati sul quarto lato, dove non c’erano esagoni. Allora chiamarono Luca della Robbia e gli chiesero di fare altre cinque formelle a completare la fila. Sono cinque formelle bellissime, come questa che i nostri amici di Lima hanno scelto come logo della propria università, ma c’era un piccolo inconveniente: non ci incastrano nulla, come si dice a Firenze, non c’entrano niente.

Perché è interessante questa manomissione avvenuta cento anni dopo? Perché dimostra che non noi, dopo sette secoli non abbiamo più questa concezione del lato, ma a Firenze dopo cento anni non ce l’avevano più. Si era rotto qualcosa, in quel secolo che separa l’opera di Giotto dall’intervento di Luca della Robbia, che aveva cominciato a generare l’uomo così. C’è bisogno di una fedele amicizia e di una lunga educazione per cominciare almeno a desiderare di essere così e poi, se Dio vorrà, anche ad esserlo.

2/ L’uomo che lavora. Il ciclo delle formelle del campanile di Giotto (Brani da una relazione di Mariella Carlotti)

Riprendiamo dal web alcuni brani dalla trascrizione della relazione tenuta da Mariella Carlotti il 22/8/2001 al Meeting di Rimini, in occasione della presentazione del libro di Mariella Carlotti e Maria Pia Cattolico, L’uomo che lavora. Il ciclo delle formelle del campanile di Giotto, Firenze, Società Editrice Fiorentina, 2001. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (21/5/2017)

[…]

Al centro di Firenze ci sono tre grandi monumenti: il battistero, la cattedrale e il campanile. Pochi sanno che su questi tre monumenti, cuore della città, ci sono delle decorazioni scultoree che fanno fare al visitatore un percorso che va dal battistero alla cattedrale al campanile.

Il battistero è a forma di ottagono, come è ottagonale la base della cupola della cattedrale; e l’ottagono nel Medioevo aveva un significato chiaro, era il simbolo dell’octava dies, dell’ottavo giorno, il tempo nuovo introdotto nella storia dalla Resurrezione di Cristo. Nel battistero i rilievi scultorei sono sulle tre porte che sono dedicate rispettivamente alle storie dell’antico testamento, del Nuovo Testamento e di Giovanni Battista, cui è dedicato il battistero e che il patrono della città. Il significato delle sculture del battistero è chiaro, è l’avvenimento che compie la storia ebraica; Giovanni Battista è l’anello di congiunzione tra la storia ebraica che è il culmine intelligente della storia umana, intelligente dal punto di vista del suo significato, cioè dell’attesa che caratterizza il cuore umano.

La cattedrale è invece dedicata a Santa Maria del Fiore, e segna un passaggio tematico rispetto alle sculture del battistero. Questa cattedrale venne costruita alla fine del Duecento al posto della vecchia cattedrale di Santa Reparata per volere del comune fiorentino; tra gli uomini del governo della città che approvarono la costruzione della nuova cattedrale c’è Dante.

L’intitolazione è molto interessante perché la nuova cattedrale veniva dedicata non più a una santa pressoché sconosciuta come era santa Reparata, ma a Maria, e con il titolo di Santa Maria del Fiore. Che cos’è il Fiore? Evidentemente il termine giocava su un doppio significato: il fiore è Firenze, che è la città del fiore, ma il Fiore è anche Gesù, e infatti su questa immagine del fiore come Gesù si chiude la Divina Commedia «Per lo cui caldo nell’eterna pace così è germinato questo fiore».

La cattedrale viene concepita come un’immagine del corpo di Maria, infatti è tutta rivestita di marmi come una sposa adorna per lo sposo, è un’immagine perfetta di Maria e della Chiesa, mentre all’interno è tutta in bugnato rustico originariamente, simulando quasi l’utero della Madonna, perché dentro doveva evidenziarsi solo il fiore, ovvero Gesù concepito nel grembo di Maria. Esemplificativa di tutti i rilievi scultorei della cattedrale, sia quelli originali, sia quelli ottocenteschi, perché la facciata è stata fatta successivamente, è l’Annunciazione nel prospetto laterale della cattedrale.

L’Annunciazione è un mistero particolarmente caro alla spiritualità fiorentina, basti pensare che l’anno fiorentino cominciava il suo capodanno, a differenza di tutte le altre città d’Europa, non il 1° gennaio ma il 25 marzo, cioè il giorno dell’Annunciazione.

I rilievi scultorei del battistero ci dicono dunque che Cristo è il compimento di tutta la storia umana che ha trovato la sua espressione intelligente nella storia ebraica; questo crea nella storia un protagonista nuovo, un tempio, che è Maria, immagine perfetta di quello che è la Chiesa.

La Chiesa affronta la storia, la cambia attraverso il lavoro. Ed al lavoro è dedicato il ciclo scultoreo del campanile.

[…]

Questo ciclo che abbraccia tutti e quattro i lati del campanile è stato realizzato in larga parte dalla bottega di Andrea Pisano; per il quarto lato invece alcuni parlano di Alberto Arnoldi, altri fanno il nome di Masso di Banco, che è un giottesco del Trecento. Resta evidentemente incerto il peso che Giotto ha avuto nella progettazione di queste formelle.

Una cosa interessante è il fatto che dietro un ciclo di questo genere non c’era soltanto una bottega che lo realizzava, ma evidentemente un ideatore che dava il progetto iconografico.