1/ Due donne con lo stesso vestito 2/ In ecclesia nulla salus? 3/ Senza un salvatore non c’è misericordia 4/ La morte è nemica di Dio, di Andrea Lonardo
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Riprendiamo sul nostro sito quattro brevi post di Andrea Lonardo. Per altri testi, cfr. la sezione Testi di Andrea Lonardo.
Il Centro culturale Gli scritti (21/5/2017)
1/ La tragedia di due donne che si presentano ad una festa con lo stesso vestito
Perché è una tragedia che due donne si presentino ad una festa con lo stesso vestito? Perché il vestito deve essere diverso a dire l’unicità della persona (lo stesso si potrebbe dire della barba o dell’acconciatura dei capelli per gli uomini). Ci vestiamo – l’uomo è l’unica creatura a vestirsi - per dire in forma mascherata ciò che è vero ben più profondamente: non c’è nessuno uguale a me nell’universo. Il vestito deve dirlo come un segno, deve sostenere la corretta identificazione di me come unica.
2/ Il rovesciamento dell’espressione Extra ecclesia nulla salus
I nuovi problemi che stanno dinanzi sono evidenti dal completo ribaltamento operato da alcuni “intellettuali” – e conseguentemente anche nella visione popolare di chi ne dipende – dell’adagio Extra ecclesia nulla salus.
Oggi sembrerebbe che valga piuttosto In ecclesia nulla salus. La Chiesa sarebbe marcia, non sarebbe stato Gesù a fondarla e ad amarla, di modo che egli non sarebbe morto per salvare i cristiani peccatori. Stare nella Chiesa non avrebbe a che fare con la salvezza. Appartenere alla Chiesa sarebbe qualcosa di assolutamente ininfluente e di nessuna verità e bontà. Chi facesse parte della Chiesa e la amasse ammasserebbe sul proprio capo, per ciò stesso, un elemento sospetto che porterebbe a vederlo come più lontano da Dio e dalla salvezza. Anzi la gioia di far parte della Chiesa sarebbe quasi un contrassegno di intolleranza e di lontananza dal Vangelo di Gesù.
E, invece, è vero proprio l’ln ecclesia salus est.
Come ha detto papa Francesco a Eugenio Scalfari nella lettera pubblicata l’11/9/2013 sul quotidiano La Repubblica:
«Senza la Chiesa — mi creda — non avrei potuto incontrare Gesù, pur nella consapevolezza che quell’immenso dono che è la fede è custodito nei fragili vasi d’argilla della nostra umanità. Ora, è appunto a partire di qui, da questa personale esperienza di fede vissuta nella Chiesa, che mi trovo a mio agio nell’ascoltare le sue domande e nel cercare, insieme con Lei, le strade lungo le quali possiamo, forse, cominciare a fare un tratto di cammino insieme».
Papa Francesco ha utilizzato un’immagine vivissima in un’altra occasione: la fede non nasce per fecondazione artificiale, “in provetta”, bensì nell’incontro con la comunità di coloro che già credono in Gesù e in mezzo ai quali Gesù si lascia incontrare.
«Nessuno diventa cristiano da sé. Non si fanno cristiani in laboratorio. Il cristiano è parte di un popolo che viene da lontano. Il cristiano appartiene a un popolo che si chiama Chiesa e questa Chiesa lo fa cristiano, nel giorno del Battesimo, e poi nel percorso della catechesi, e così via. Ma nessuno, nessuno diventa cristiano da sé. Se noi crediamo, se sappiamo pregare, se conosciamo il Signore e possiamo ascoltare la sua Parola, se lo sentiamo vicino e lo riconosciamo nei fratelli, è perché altri, prima di noi, hanno vissuto la fede e poi ce l’hanno trasmessa. La fede l’abbiamo ricevuta dai nostri padri, dai nostri antenati, e loro ce l’hanno insegnata. Se ci pensiamo bene, chissà quanti volti cari ci passano davanti agli occhi, in questo momento: può essere il volto dei nostri genitori che hanno chiesto per noi il Battesimo; quello dei nostri nonni o di qualche familiare che ci ha insegnato a fare il segno della croce e a recitare le prime preghiere. Io ricordo sempre il volto della suora che mi ha insegnato il catechismo, sempre mi viene in mente – lei è in Cielo di sicuro, perché è una santa donna - ma io la ricordo sempre e rendo grazie a Dio per questa suora. Oppure il volto del parroco, di un altro prete, o di una suora, di un catechista, che ci ha trasmesso il contenuto della fede e ci ha fatto crescere come cristiani… Ecco, questa èla Chiesa: una grande famiglia, nella quale si viene accolti e si impara a vivere da credenti e da discepoli del Signore Gesù. Questo cammino lo possiamo vivere non soltanto grazie ad altre persone, ma insieme ad altre persone. Nella Chiesa non esiste il “fai da te”, non esistono “battitori liberi”. Quante volte Papa Benedetto ha descritto la Chiesa come un “noi” ecclesiale! Talvolta capita di sentire qualcuno dire: “Io credo in Dio, credo in Gesù, ma la Chiesa non m’interessa…”. Quante volte abbiamo sentito questo? E questo non va. C’è chi ritiene di poter avere un rapporto personale, diretto, immediato con Gesù Cristo al di fuori della comunione e della mediazione della Chiesa. Sono tentazioni pericolose e dannose. Sono, come diceva il grande Paolo VI, dicotomie assurde. È vero che camminare insieme è impegnativo, e a volte può risultare faticoso: può succedere che qualche fratello o qualche sorella ci faccia problema, o ci dia scandalo… Ma il Signore ha affidato il suo messaggio di salvezza a delle persone umane, a tutti noi, a dei testimoni; ed è nei nostri fratelli e nelle nostre sorelle, con i loro doni e i loro limiti, che ci viene incontro e si fa riconoscere. E questo significa appartenere alla Chiesa. Ricordatevi bene: essere cristiano significa appartenenza alla Chiesa. Il nome è “cristiano”, il cognome è “appartenenza alla Chiesa”.
Cari amici, chiediamo al Signore, per intercessione della Vergine Maria, Madre della Chiesa, la grazia di non cadere mai nella tentazione di pensare di poter fare a meno degli altri, di poter fare a meno della Chiesa, di poterci salvare da soli, di essere cristiani di laboratorio. Al contrario, non si può amare Dio senza amare i fratelli, non si può amare Dio fuori della Chiesa» (catechesi nell’udienza generale del 25/6/2014).
3/ Solo se abbiamo bisogno di un salvatore ha senso parlare di misericordia
Nella fede cristiana è evidente che l’uomo non si salva da solo. Egli viene salvato. Viene salvato dal salvatore. La pochezza dei meriti dell’uomo, della sua bontà, del suo impegno per gli altri, viene guardata dalla bontà di Dio. Anche san Francesco d’Assisi sapeva di essere stato salvato. Sapeva di non potersi salvare da solo, ma di salvarsi solo perché amato dal Cristo crocifisso e non per i propri meriti.
La Riforma protestante ha sottolineato la necessità della grazia che supera i nostri meriti. Ma già i Padri della Chiesa, e in particolare sant’Agostino, avevano sottolineato che non sono le opere a salvarci.
Sono le opere, piuttosto, che nascono dalla salvezza cristiana, dall’amore ricevuto immeritatamente. La misericordia di Dio precede le opere e sola le rende possibili.
Ecco perché Gesù è il salvatore: senza un salvatore non ci sarebbe salvezza possibile. La sola legge, il solo dovere, la sola responsabilità personale, il solo impegno profuso dall’uomo per essere buono, lo renderebbero ancora più orgoglioso e chiuso al dono di Dio.
È per questo che nelle religioni antiche dove non esiste un salvatore e dove l’uomo si deve salvare con le proprie forze, esiste una legge così dura. In tale prospettiva, infatti, si ritiene, in fondo, che l’uomo debba essere giusto: solo a condizione che egli lo sia, può entrare nella vita eterna.
Se non esiste un salvatore esistono solo due possibilità alternative: che si possa giungere alla salvezza solo obbedendo integralmente alla sua legge, oppure, all’opposto in una visione lassista, che si possa entrare nella salvezza e nella vita eterna qualsiasi cosa si faccia, perché la salvezza sarebbe concessa a tutti, semplicemente per il fatto di esistere.
Ovviamente la prima è la visione più condivisa dall’antichità: la mancanza di un salvatore implica in questa prospettiva un irrigidimento dell’esigenza legale sull’uomo, perché l’uomo, la donna, i giovani, debbono obbedire ai comandamenti divini. Se l’uomo si può salvare da solo, allora “deve” salvarsi da solo. E la via è quella di obbedire ai comandamenti. E il compito dell’autorità religiosa diventa quello di pretendere che tale legislazione sia rispettata da tutti e pubblicamente, altrimenti l’uomo che deve salvarsi da solo non si salverà da solo e non avrà scampo, non essendoci un salvatore.
Se, invece, c’è un salvatore che perdona e redime, ecco che l’autorità religiosa diventa quella che porge il perdono del salvatore e invita a credere nella sua misericordia.
La novità del cristianesimo consiste nell’annunzio di un salvatore e quindi della misericordia. Proprio la venuta del salvatore (quella venuta nella carne di un Bambino che mai l’uomo avrebbe potuto immaginare), proprio la sua morte in croce per i nostri peccati (quella morte che mostra la vera immagine di Dio che è follia e scandalo) dicono che esiste un salvatore e che quindi solo la misericordia ha senso. La fede cristiana afferma certamente che la Legge divina è buona, ma attesta al contempo che la legge non è l’unica realtà decisiva, anzi che essa non è poi così decisiva, perché a fianco di essa esiste il salvatore con il suo perdono: la morte del salvatore per i nostri peccati è la realtà decisiva.
L’esistenza di un salvatore e la scoperta della misericordia di Dio sono così due aspetti della stessa rivelazione del vero volto di Dio. Se l’uomo si potesse salvare senza salvatore ecco che la misericordia di Dio per l’uomo avrebbe meno rilevanza e tutto il peso si sposterebbe sulla legge e sulla necessità di obbedirvi senza riserve.
Nella fede cristiana, invece, l’uomo è debole e peccatore: ma, nonostante questo, è amato da Dio che lo salva. Ecco perché la legge perde la sua durezza e lo sguardo del credente si muta in compassione.
San Paolo ha avuto ragione nel mostrare che, proprio per la misericordia di Dio rivelatasi in Cristo, la legge muta di significato. Il posto centrale non può che essere occupato o dal salvatore (e dalla sua misericordia) o dalla legge.
Se, invece, l’uomo potesse salvarsi solo con una vita giusta, ecco che le relazioni fra gli uomini si dovrebbero necessariamente inasprire e resterebbe come unica via possibile quella di esigere di vivere una tale vita giusta, come condizione imprescindibile di ogni possibile salvezza.
4/ L’affermazione che la morte non venga da Dio e nasca invece dal peccato conserva tutta la sua forza di verità
Dio è il creatore e il salvatore. La morte ha tutti i tratti del distruttore e del devastatore, il nemico di Dio. Paolo la chiama giustamente l’ultimo nemico di Dio. Non si può sovrappensiero negare il rapporto fra la morte e il peccato. La morte non è nel piano di Dio.