«Ecco chi era il nostro amico Alessandro». Uno dei morti nella tragedia dell'hotel abruzzese di Rigopiano, un mese prima della tragedia, aveva detto agli amici: «Come faccio ad essere pronto se il Signore mi dovesse chiamare all’improvviso?».
Riprendiamo dalla rivista Tracce dell’1/2/2017 una lettera degli amici della Scuola di Comunità di Terni di Alessandro Riccetti. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Sulla tragedia di Rigopiano, cfr. anche 1/ L’uomo a Rigopiano. Brevissima nota di Andrea Lonardo 2/ Il miracolo doloroso di Rigopiano, di Annalisa Teggi e più in generale la sezione Del morire.
Il Centro culturale Gli scritti (7/5/2017)
Alessandro Riccetti, morto
nella tragedia di Rigopiano
Tra le vittime del Rigopiano c’è anche il nostro amico Alessandro. Da poco più di un anno era stato assunto come receptionist nell’hotel, dopo esperienze lavorative anche all’estero. Quando non era fuori Terni per lavoro, andava alla Scuola di comunità in uno dei vari gruppi della città, a seconda del giorno.
Una sera di dicembre, inaspettatamente, è venuto in uno di questi gruppi, senza che nessuno sapesse prima della sua presenza. Dopo alcuni interventi, ha raccontato di come al lavoro non avesse stretto particolari amicizie e di come sentisse molto la nostra mancanza. La sua preoccupazione era di poter vivere con pienezza l’esperienza cui la Scuola ci richiama costantemente. «Come faccio ad essere pronto se il Signore mi dovesse chiamare all’improvviso? Ma come faccio senza di voi, come faccio a non dimenticare, a non vivere distratto?».
Di fronte a queste domande così profonde, siamo rimasti tutti un po’ perplessi, ma sfidati dalla sua posizione. La serata è andata per le lunghe, si è aperto un dialogo dettato dalla sua provocazione ed ognuno ha raccontato di come si fosse sorpreso ad “incontrare Cristo” nel quotidiano: nello sguardo del figlio, piuttosto che al lavoro, nel dialogo con un cliente.
Alla fine è stato tangibile un fatto: è tornato a casa diverso da come era arrivato. Appariva più sereno, confortato, anche perché aveva riletto alcune circostanze degli ultimi giorni sotto una nuova luce, cogliendo dei particolari che gli erano sfuggiti.
Alcuni lo hanno ringraziato per averci ricordato cose troppo spesso date per scontate e gli hanno suggerito di riprendere il testo della SdC nei momenti di solitudine o magari di chiamare qualcuno di noi. E dire che quella sera l’incontro non avrebbe dovuto tenersi; il gruppetto è composto da dieci persone e alcuni avevano comunicato la loro assenza perché malati. Ne era seguito un rapido giro di messaggini tra gli altri, che dopo qualche perplessità avevano deciso di farla comunque.
Se non si fosse tenuta, nessuno avrebbe avvertito Alessandro, perché nessuno sapeva della sua presenza: lui sarebbe andato e avrebbe trovato la porta chiusa. Le cose sono andate come dovevano andare; Alessandro quella sera doveva essere lì, con un pugno di amici, perché stava per portare a compimento il suo viaggio verso l’appuntamento più importante della sua vita, perché è proprio vero che dove sono due o tre riuniti nel Suo nome, Lui è in mezzo a loro.
E quelle persone erano state chiamate all’appuntamento, anche se inconsapevolmente, per accompagnarlo al suo destino e ricevere la grazia di quello che, a qualcuno, è apparso il suo testamento spirituale. Il fatto che quegli amici fossero di volta in volta diversi è segno inequivocabile di come ciò che lo attraesse fosse l’unità che quelle persone gli testimoniavano, data da Colui che le aveva messe insieme e che qualunque fosse il gruppo, ogni volta era comunque un ritorno a casa, nel luogo dove lasciava un pezzo del suo cuore, nel luogo del suo incontro con Cristo, che è per sempre; e ciò gli era chiaro, anche tra mille dubbi e perplessità.
Il giorno dopo, invitato ad un incontro in università, si è presentato puntuale, anche se poi, vinto forse dalla stanchezza, ha dormito per gran parte del tempo; ma c’era e voleva esserci, per restare attaccato a quella amicizia di cui aveva bisogno per vivere. Il giorno dopo ancora, ha spostato un appuntamento per venire alla messa della comunità. È stata l’ultima volta che lo abbiamo visto.
Nel primo pomeriggio del giorno in cui tutto si è compiuto, Alessandro ha inviato ad un altro gruppo di Scuola di comunità, via whatsapp, alcune foto scattate proprio al Rigopiano, sommerso dalla neve. Le immagini erano accompagnate da questo messaggio «Ragazzi sono in hotel seppellito dalla neve. Pregate. Pregate». Da restare senza respiro. Un altro segno che la sua vita stesse giungendo a compimento e che tutto era pronto per quel momento. Quelle parole restano scolpite nel nostro cuore e a rileggerle oggi appaiono un chiaro invito a pregare per lui, anche adesso.
Impressionanti le parole del Papa, pronunciate all’udienza di mercoledì 25 gennaio, giorno in cui è arrivata la notizia che Alessandro non ce l’aveva fatta: «Cari fratelli e sorelle, non mettiamo mai condizioni a Dio e lasciamo invece che la speranza vinca i nostri timori. Fidarsi di Dio vuol dire entrare nei suoi disegni senza nulla pretendere, anche accettando che la sua salvezza e il suo aiuto giungano a noi in modo diverso dalle nostre aspettative. Noi chiediamo al Signore vita, salute, affetti, felicità; ed è giusto farlo, ma nella consapevolezza che Dio sa trarre vita anche dalla morte, che si può sperimentare la pace anche nella malattia, e che ci può essere serenità anche nella solitudine e beatitudine anche nel pianto. Non siamo noi che possiamo insegnare a Dio quello che deve fare, ciò di cui noi abbiamo bisogno. Lui lo sa meglio di noi, e dobbiamo fidarci, perché le sue vie e i suoi pensieri sono diversi dai nostri».
Al momento dell’ultimo saluto, la mamma ha ringraziato alcuni suoi amici. Li ha invitati a non abbattersi, a compiere sempre il loro dovere, perché, come ha ricordato loro, «nonostante tutto, la vita è bella». Illuminata da una fede così certa e matura, il suo dolore appariva composto e non certo disperato e l’aria sembrava stranamente leggera.
Appena usciti dal cimitero, qualcuno ha proposto di vederci a breve per condividere l’esperienza che in quei giorni aveva coinvolto alcuni di noi. «Facciamo da noi domani sera dopo cena?». «Allora perché non da me a cena?». Vada per la cena. Non importa lo spazio fisico, ogni luogo dove siamo è la nostra casa, dove tutto è cominciato e dove tutto è ricominciato due sere fa, nel ricordo di Alessandro e nel dolore per la sua morte. Uniti nel Suo nome, come piaceva a lui.
«Mi piace pensare Alessandro, in compagnia di Gesù, che nella Hall del Paradiso, continua il suo servizio gentile e competente, multilingue di accoglienza» ha detto il Vescovo di Terni, monsignor Giuseppe Piemontese, durante le esequie. Nel grande albergo dove è stato preparato un posto per ciascuno di noi, per contemplare il grande mistero di Dio. Per l'eternità.
Gli amici di Terni