La processione liturgica dell’Evangeliario e la sua incensazione insegna cosa è la Parola di Dio per la Chiesa, di Andrea Lonardo
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Riprendiamo sul nostro sito un articolo di Andrea Lonardo. Per approfondimenti, cfr. la sezione Sacra Scrittura.
Il Centro culturale Gli scritti (17/4/2017)
Che il cristianesimo non sia una religione del Libro è evidente dal modo diverso con il quale venera i diversi libri biblici.
Si fa poco caso al fatto che non si porti in processione l’intera Bibbia, né si incensano tutti i libri della Scrittura, ma solo l’Evangeliario che contiene i quattro vangeli.
I versetti dei diversi libri non hanno lo stesso valore come avviene invece per le sure del Corano, dove ogni versetto ha lo stesso valore degli altri, bensì nella Bibbia alcuni valgono più di altri. Segno che c’è un cuore, Gesù Cristo. E segno che quel cuore è la chiave ermeneutica e che, quindi, è a partire dal Cristo che si debbono rileggere tutte le altre parole. Le altre parole hanno senso e vengono spiegate in vista e a partire da quella Parola che viene incensata.
Ma, si noti bene, proprio perché si portano in processione i Vangeli e li si incensano, anche le parole dell’Antico Testamento vengono portate in processione e incensate. Perché i Vangeli citano continuamente i libri veterotestamentari. Ad esempio, nella Messa del Crisma si porta in processione l’Evangeliario e si legge l’ingresso di Gesù nella sinagoga di Nazaret (Lc 4) che cita Isaia. Ma Gesù non cita interamente Isaia, perché, ad esempio, omette il riferimento alla “vendetta” che viene ed, ancor più, annunzia che quella profezia si adempie ora nella sua proclamazione: Isaia riguarda Gesù, perché quell’antico annunzio trova compimento nella sua persona.
Inoltre, si cita Isaia, ma non lo si cita in ebraico, bensì in greco. Certo il Concilio ricorda che è anche la lettera dell’Antico Testamento ad essere ispirata, ma ricorda al contempo che per comprendere tale lettera ispirata bisogna far riferimento all’unità delle Scritture, cioè al fatto che è Gesù che spiega quegli antichi capitoli.
Si incensa, insomma, il Vangelo di Luca (cioè Gesù), ma anche Isaia che parla di Gesù e Gesù che parla di Isaia.
L’esegesi deve ripresentare a livello di studio ciò che la liturgia compie incensando quel libro. Mostrare che non tutti i libri biblici hanno lo stesso valore, pur avendolo in qualche modo perché tutti voce dell’unico Dio, che però parla in essi in maniera ancora nascosta fino alla venuta della “parola”, Gesù.
L’unico Dio ha manifestato il cuore, il centro, il mediatore e la pienezza[1]. Ed è dal cuore che si comprende poi tutto.
Ma c'è qualcosa di ancora più importante. Si incensa l'Evangeliario durante la liturgia e non al di fuori di essa: ad esempio non lo si incenserebbe se lo si utilizzasse in sacrestia o in università. Invece, dinanzi all'Eucarestia ci si inginocchia sempre. anche se essa venisse portata in sacrestia o in università. Perché nell'Eucarestia è presente Cristo vivo, è presente la stessa Parola di Dio. Ebbene proprio quel Cristo vivo parla lui stesso nel Vangelo quando esso è proclamato nella Chiesa, cioè nella liturgia e nell'assemblea iturgica.
Quando il Vangelo è proclamato nella liturgia Cristo è presente in chi legge il Vangelo e la Parola scritta torna ad essere Parola viva, proclamata in quel preciso istante da Cristo stesso vivente. Si incensa il Vangelo, insomma, perché in quel momento è Cristo stesso che parla: perché tornano ad essere una sola cosa il Cristo Parola che parla e le parole che da lui sono state dette e sono dette. Ancora una volta è la centralità di una persona e non di un libro - che pure è ispirato e necessario - ad essere il cuore del cristianesimo.
Note al testo
[1] Cfr. su questo La Dei Verbum: la novità di un approccio personalistico alla rivelazione. I cinque punti nodali di un magnifico documento, di Andrea Lonardo e Gesù non ha scritto niente, perché è Lui la pienezza della rivelazione, di Andrea Lonardo.