Nuova Via Crucis in metropolitana lungo la Metro B e la linea Roma-Ostia, scritta da don Paolo Ricciardi

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 14 /04 /2017 - 09:30 am | Permalink | Homepage
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Mettiamo a disposizione sul nostro sito una Via crucis scritta da don Paolo Ricciardi, parroco di San Carlo da Sezze. Di don Paolo Ricciardi, vedi anche la prima Via crucis in metropolitana

Il Centro culturale Gli scritti (14/4/2017)

Meditazioni sulla Via della Croce lungo un tragitto della METRO B di Roma e della FERROVIA ROMA - LIDO

Introduzione

Tanti anni fa - ero un ragazzo - lessi un simpatico racconto di un padre monfortano francese, Gilbert Le Mouël, intitolato: “Dio nella metropolitana”: Dio abbandona il Paradiso per venire a osservare di persona la vita degli uomini che utilizzano la Metropolitana di Parigi.
Quella lettura mi incuriosì a tal punto che decisi di tradurla in una semplice e divertente rappresentazione, grazie ai ragazzi della parrocchia di Nostra Signora di Guadalupe a Monte Mario dove ero viceparroco, nel 1999.
Poi, l’anno seguente, nel Giubileo del 2000, provai a scrivere un testo più “serio”, meditando la via Crucis abbinando le quattordici stazioni ad altrettante stazioni della Metro A di Roma e della Ferrovia Roma Viterbo, in un tragitto da San Giovanni in Laterano a Monte Mario.
Quel testo - “Via Crucis in Metropolitana” - so che è servito a qualcuno, come spunto di meditazione, nel tentativo di scorgere la via della croce nella via di ogni uomo, di tanti che ogni giorno, a Roma come in altre parti del mondo, viaggiano in metro per andare al lavoro o a scuola e per poi tornare a casa.
A distanza di anni, offro con semplicità questo nuovo percorso, ora che sono parroco nella zona sud di Roma, e quindi sto familiarizzando con la linea B della Metro e la Ferrovia che porta al mare.

D. Paolo Ricciardi 

Colosseo alle spalle, entro in Metro.
È sera, nell’ora in cui i lavoratori
di solito rientrano a casa...

PRIMA STAZIONE “COLOSSEO” 

Gesù è condannato a morte
Una folla di gente affolla la metro,
ogni ora del giorno.
Sotto terra corrono treni
e si rincorrono vite,
in questo tratto di Roma,
scavato da storie che la resero Eterna.
Anche poche manciate di passi
– la distanza tra l’una e l’altra fermata –
sono in realtà centinaia di incontri, di scontri,
di sguardi gettati nell’Alto e cadute nel buio.
Gesù è condannato alla Croce.
L’impero di Roma s’intreccia
a quel lembo di terra lontana
in cui visse quel giovane Uomo.
Pilato si trova, incosciente,
a rappresentare il mondo di sempre
prestato al potere
e s’incontra con Chi, Onnipotente,
sceglie di amare.
L’uomo, ogni uomo, passato, presente, futuro,
condanna il Dio della Vita... alla morte.
Ignari di questo, i viandanti del treno,
viaggiando tra antiche rovine,
sembrano tutti pensosi.
Ma il cuore in rovina si vuole destare
e ricerca, incosciente,
una vita che sappia di Eterno.
Soprattutto in quest’ora, alla sera,
il ritorno alla casa si intreccia, nel cuore,
al ritorno a una pace che duri per sempre.
In un luogo che sappia di nuovo
di Misericordia.
Gesù condannato inizia il suo viaggio
nell’abisso del buio.
Per ricondurci a Casa.

SECONDA STAZIONE “CIRCO MASSIMO” Gesù è caricato della croce

“Circo Massimo” lascia deluso
il turista di Roma.
Ci si aspetta un luogo diverso,
gli spalti, le bighe, i cavalli,
icone di glorie lontane:
un film del passato è l’unica via
per riempire lo spazio lasciato dal vuoto
di un grande terreno.
Qui – a parte qualcuno – son pochi che sanno dar vita
a un tutto che sembra tutt’altro che eterno.
“Circo Massimo” fa anche pensare
a qualche concerto passato alla storia,
a glorie di calcio inneggiate da folle
che pensano solo al pallone.
Si pensa poi al traffico, al caldo d’estate,
a vuoti che è duro riempire.
Gesù prende la croce per forza.
La Forza che dona il dolore,
pressato dal vuoto spettacolo infame.
Svanisce la corsa di bighe, di fronte
alla corsa d’Amore che tira, che attira,
che spinge il Signore ad andare.
I viandanti di metro ascoltano musica in cuffia,
concerti od assoli suonati a chi è solo.
Qualcuno commenta partite di calcio,
altri pensano al tempo,
la gran parte è in silenzio.
In mezzo a una folla vociante,
il Signore riprende la croce:
il rumore del mondo, del treno, dell’uomo,
contrasta col bacio silente a quel legno.
Il “massimo” ora è l’Amore di un Dio
che corre per l’ultimo posto,
che perde la corsa a favore dell’uomo.
E mentre la metro cammina sotterra,
lassù, in qualche chiesa c’è un uomo
che adora in silenzio il Mistero,
o il cauto sussurro di un prete che assolve[1].
E son certo, ancora una volta,
che quella croce abbracciata segna già la vittoria,
nel circo massimo del mondo.

TERZA STAZIONE “PIRAMIDE” Gesù cade la prima volta

La “piramide” a Roma è un po’ fuori luogo.
Bizzarro capriccio di un uomo,
che volle una tomba così,
sperando così di restare immortale.
E dietro di essa c’è un cimitero
che sembra un salotto, un giardino[2],
un intreccio di pianto e sorriso,
una vita che torna a sfidare la morte.
La stazione dei treni è segno moderno
della Porta romana di fronte,
avvio della via che porterà al mare e al suo porto.
Piramide è un crocevia
di macchine, moto, persone,
povera gente di tutte le razze.
Un uomo chinato in un angolo guarda la terra.
Ancora, il luogo ricorda
un feroce duello del secolo scorso
che vide romani e tedeschi affrontarsi
in un lembo di Guerra Mondiale[3]3.
Per noi viaggiatori è via del ritorno,
per altri è mancanza di un tetto,
a volte la guerra per un pezzo di pane.
Gesù è tra la folla, e poi inciampa,
oppresso dal legno... e qui cade.
Le alte piramidi dietro Mosè in una Pasqua lontana
si impongono ora di nuovo,
in questa Pasqua imminente,
dove c’è una condanna e una Croce
e duello di vita e di morte.
Il mare all’asciutto che fece passare Israele
sembra chiudersi ora, di fronte al Signore.
Ma Lui si rialza,
rialzando tutti i mortali del tempo, del mondo,
i viandanti di ieri, di oggi e di sempre,
in questo incrocio di Roma e d’Egitto,
guardando ad un Mare più vasto,
dove tutti potremo Passare.

QUARTA STAZIONE “GARBATELLA” Gesù incontra sua Madre

La metro percorre di nuovo un suo tratto
ed è Garbatella, quartier popolare.
Mi immagino ancora le mamme
che chiamano i figli dall’alto,
mani dischiuse e finestre, odori di cibo,
di pane, di pizza, di panni distesi,
la semplice vita di gente che vuol camminare,
malgrado le prove.
Atti d’amore minimi o immensi,
convivono insieme con atti violenti,
piccoli o infami di vita “malata”.
Garbatella è il nome di ogni paese del mondo.  
E in ogni paese del mondo
Gesù incontra sua Madre.
Un grido, due voci, un respiro d’amore
che rende il Figlio e Maria
un unico abbraccio, malgrado il dolore.
Tra vie popolari, le case, il mercato,
tra la vita di allora e di ora,
c’è uno sguardo materno che accoglie
e che coglie l’Amore.
Anche in questo vagone di gente ammassata,
di sguardi perduti in telefoni uguali,
di idee più confuse nel giorno che muore...
in tutti, per tutti, una madre nel cuore,
che guarda, che sprona, che prega.
Non cerco riprese di fiction,
inganni falsati di questo momento.
È certo: lì sopra e qui sotto
c’è senza alcun dubbio anche ora
una madre che offre a suo figlio un sorriso.
E questo già apre a una sana allegria,
e tutto profuma del Suo Paradiso.
E mentre rifletto su questo
una giovane donna
allatta serena un bambino.

QUINTA STAZIONE “BASILICA SAN PAOLO” Gesù è aiutato dal Cireneo

San Paolo emerge dal Tevere biondo
con aria maestosa.
La sera, col sole al tramonto,
risplende dorato il mosaico,
si avverte un’aria leggera,
il segno sereno di un uomo
che ha “perso la testa” per Dio
e che quivi è sepolto.
La gente di Roma dimentica i santi,
ma il viandante di metro è costretto ogni giorno,
a leggerne i nomi, ricordarne qualcuno,
sui cartelli di alcune stazioni;
è costretto a vedere, almeno di corsa,
il profilo imponente del tempio,
del suo campanile, del cielo.
Un uomo costretto fu un certo Simone.
Anche lui viaggiatore, al ritorno dai campi,
dopo il duro lavoro,
come tanti che vedo stasera.
Costretto a incrociare la via con quella del Santo,
costretto a portarne la croce.
Di croci portate ne vedo già molte,
nelle poche parole ascoltate,
nei pensieri taciuti di queste persone.
Mi chiedo se sanno di Cristo, se vedono oltre,
oltre il peso pesante, se vedono amore.
E vorrei che san Paolo toccasse, almeno stasera,
quel cuore, il cuore di un giovane triste,
che scorgo nell’altro vagone.
La via di Damasco, la via della croce,
può essere oggi uno Sguardo di luce
che renda quel giovane pronto a portare
il peso di un altro, a trovare la gioia nel dare.

SESTA STAZIONE “MARCONI” La Veronica asciuga il Volto di Gesù

Dopo lo sguardo alla Madre
e l’abbraccio a Simone
– abbraccio voluto dal legno –
eccone un altro, di incontro,
che riempie di luce, in un solo momento,
la via della croce: una donna.
Emerge, tra tanti, col panno,
nel gesto d’amore
di imprimere un soffio al Signore.
mostrarLo ai lontani
e trasmetterne i suoni.
Di togliergli il sangue, le spine,
le lacrime, tante, versate sul viso e sul cuore.
La metro fa presto a fermarsi a Marconi.
Il nome – un viale, un quartiere –
mi ricorda quel grande inventore,
che ha saputo trasmettere voci,
mandare nell’onda canzoni, notizie, parole
da un capo all’altro del mondo,
rendendo vicini gli spazi lontani.
Qui guardo dal treno il mondo di fuori
e mi fermo, un secondo, a osservare la gente.
Son tanti studenti che riempiono aule
e crescono, a stenti, tra libri e parole[4].
E scorgo una giovane donna… rallenta…
si ferma, si china su un povero uomo.
Seduto, per terra, con poche monete
e tanti dolori, non detti,
rinchiusi nel fondo del cuore.
La donna gli porge un sorriso,
gli dà un fazzoletto, gli offre calore.
È strano che  in questi momenti di fretta,
col rischio di perdere il treno,
qualcuno si fermi.
Ma è grazie a questi atti d’amore
che ancora si riesce a mandare nell’onda canzoni e a trasmetter la voce di Dio.
E, a sentirLa, vedere di nuovo,
tra i volti dell’uomo, il Suo volto di Luce.

SETTIMA STAZIONE “EUR MAGLIANA” Gesù cade la seconda volta

E’ bastato un momento a quel Volto
per essere un poco schiarito.
Di nuovo Gesù è atterrato dal giogo del legno
che pesa il peccato del mondo.
Io sono da poco “sgusciato” dal treno
per prenderne un altro.
“Magliana” è stazione di scambio,
per chi dalla metro vuol giungere al mare.
Nel sottopassaggio tra un treno e quell’altro,
ho gente davanti e di fianco e alle spalle
che passa veloce o che corre,
per essere pronta al momento.
E correndo si portano pesi
che non sono le borse, i borselli,
i pacchi o le buste ripiene di cose.
Sono i pesi del cuore, dell’uomo
che arriva alla sera sapendo che il buio
equivale a cadere, di nuovo, e cadendo a morire.
Li vedo, quei pesi, che schiacciano il Cristo
e schiacciano l’uomo
che passa davanti, di fianco e alle spalle.
Anche questo quartiere,
che vive al di là dei binari,
fu segno esteriore di un grande potere,
che presto sarebbe caduto[5].
Anche l’uomo Gesù cade più di una volta.
Ma ogni volta si alza e con questo
rialza le nostre cadute, dà il Senso più vero
a quel senso di fragile e vuoto
che riempie le nostre esistenze.
Il senso dell’Umile servo che dall’umiltà
trae la forza più vera e più bella.
E quel giovane padre che vedo lì in fondo
che prende per mano suo figlio,
mi sembra conferma di questa umiltà
di chi, grande, sa farsi di nuovo piccino.

OTTAVA STAZIONE “TOR DI VALLE” Gesù incontra le donne di Gerusalemme

Sono giunto all’ottava stazione del viaggio,
a metà del cammino.
La sera già avanza, ma è luce,
in questo vagone affollato.
Tor di Valle richiama i cavalli, i fantini,
la gente che ha vinto e perduto scommesse[6].
A questo incrocio di corse – rotaia e galoppo -
Gesù va sempre più piano.
Era entrato trionfante,
ma in groppa ad un asino lento,
nel segno di un umile regno.
Che va a passo del debole uomo.
Del fragile mondo.
Le donne che sono qui dentro, in questo vagone,
mi sembrano piene di vuoti.
Mancanze di tempo, d’amore, di affetti.
Le vedo agitate al telefono, tese nei volti,
attesa di tempi migliori.
È chiaro, succede, se il giorno declina,
esser presi da affanni, fatiche,
pensieri dell’oggi e di sempre.
Le donne che vanno a Gesù son donne piangenti,
che portano in grembo un dolore di madri
di fronte a quel figlio che muore.
E Gesù le richiama, le esorta
a non perdere pianti per Cristo che soffre,
piuttosto a soffrire del male del mondo,
dell’uomo che uccide.
Sono troppe le volte in cui donne
son state lasciate, tradite, ammazzate.
I cui i grembi son stati svuotati
del loro santuario di vita.
In cui della donna si è fatta scommessa
come fosse un cavallo sul quale puntare
per vincere perdite di gusto e di onore.
Non si piange su Cristo che muore d’amore,
ma sull’amore che muore nell’uomo.
E mentre rifletto su questo,
colto di nuovo da un po’ di dolore,
sollevo lo sguardo
e una giovane donna si tocca la pancia.
E sorride alla vita.

NONA STAZIONE “VITINIA” Gesù cade la terza volta

Man mano che il treno cammina
il cielo si apre
e passo il mio tempo a osservare.
Il posto è Vitinia, un luogo vicino e lontano
dal centro di Roma.
Le case si fanno più basse
e sembra di entrare in un’isola vecchia,
lambita sui fianchi da due lunghi fiumi:
il “fiume” Colombo che corre a sinistra
e a destra l’Ostiense, ancora affiancata
da un altro torrente: la “via del Mare”.
Quei fiumi cambiano foce se è sera o mattina.
La foce è a Roma di giorno,
un lago che ha come sponda un anello d’asfalto,
immerso nel cuore del mondo.
La sera, al contrario, si va verso il mare
e la meta è la riva.
Tra questi pensieri serali c’è un’altra caduta.
Il Signore si accascia, isolato, perduto,
in mezzo a due fiumi di gente che grida.
Che va senza via, senza meta,
che vuole la morte di Dio.
Gesù agonizzante[7] io vedo tra altre cadute:
quel vedovo, in fondo, quel giovane biondo,
quel bimbo isolato dal mondo.
Il nostro vagone è arcipelago privo
di traghetti o di ponti.
Per comunicare abbiamo di tutto:
telefoni, video, perfino orologi da polso…
Eppure non c’è relazione,
nessuno è capace di dire se stesso ad un altro.
È questa caduta più grave tra tutte:
non esser disposti a guardarsi negli occhi,
a dirsi davvero: “Io ti amo!”
Che strano: Vitinia mi porta alla Vite,
immagine bella di un dialogo vero:
tra Cristo, la Vite, e noi tutti, i suoi tralci,
e il fiume di linfa che scorre per poi dare frutto.
Con questo pensiero vedo un giovane alzarsi
per dare il suo posto a un anziano signore.

DECIMA STAZIONE “CASAL BERNOCCHI - CENTRO GIANO” Gesù è spogliato delle vesti

La sera già incombe e siamo arrivati
a un'altra stazione, che porta a due luoghi:
Centro Giano d’un lato e dall’altro il Casale Bernocchi.
Quartieri che sono paesi con storie passate,
ma si aprono a zone recenti, moderne,
palazzi e giardini con nuove famiglie
arrivate da poco. Da Roma e dal mondo.
Giano richiama il dio con due facce,
che guarda al passato e al futuro,
come queste zone antiche e moderne.
Un dio che alle porte di casa guardava,
semmai controllava, chi entrava e chi usciva.
È il dio dei passaggi che bene si addice
al passaggio di un treno, dell’uomo,
che parte e che torna.
Era il modo col quale ai pagani piaceva
Pensare la pace a cui il cuore aspira.
Ogni cuore.
Ma il cuore dell’uomo, come spesso succede,
porta ad essere ambigui, bifronti, inuguali.
Il cristiano non ha proiezioni di sé,
ma è accoglienza dei doni di Dio.
E nel corpo di Cristo spogliato
vede l’unico Volto, Amore
che passa tra il Padre ed il Figlio nel Soffio Vitale.
Un Dio, tre Persone, che ama d’amore infinito
che scende dal cielo, nel Figlio, per me,
Cristo obbediente è spogliato e rimane
con l’unico volto di tutto il dolore dell’uomo.
Nudo riveste di Grazia l’uomo perduto,
finito, abbattuto. Per renderlo Nuovo.
La gente che vedo salire o che scende
o che prende la via del ritorno
non sa che stasera il Signore l’avvolge,
com’era già ieri e come sarà domattina.
Nel buio dei cuori, mi piace pensare che
in tutte le chiese
antiche e moderne di questo settore
rimanga l’impronta di un prete
che ancora una volta riveli quel Volto,
e si faccia fratello di tutti:
Carità che veste di Luce[8].

UNDICESIMA STAZIONE “ACILIA” Gesù è crocifisso

Acilia è arrivata.
Di nuovo un paese,
un’ “isola sacra”, ricolma di tante persone,
pensando a quante ne scendono ora.
Il treno è in parte svuotato e la gente ripopola vie, palazzi, quartieri, estensioni a catena
di un nucleo centrale che vuole crescere ancora.
Acilia, Palocco, Axa, Infernetto, son tante realtà diverse ed uguali, cosparse di verde,
con strade bucate, vicoli, viali,
realtà popolari e villette con cani e guardiani.
E impianti sportivi, industrie, mercati,
e chiese che han fatto la storia di tante famiglie.
Gesù è crocifisso tra tutto il trambusto
di questi quartieri svuotati di giorno
e pieni soltanto al tramonto.
La croce si innalza per dare valore a questo via vai,
dar senso e colore al buio dell’uomo
e riempirlo di nuovo d’amore.
Non posso sapere che c’è nelle case,
dietro le tende abbassate,
o dentro le teste di quei giovani in gruppo
che escon dal treno gridando, con frasi pesanti,
scherzando, credendo di essere soli.
Gesù è crocifisso per tutti, per loro,
i giovani d’oggi svuotati di luce.
Gesù crocifisso ha Giovanni lì sotto
e incrocia il suo giovane sguardo
con quello dei volti coetanei di sempre.
Io prego per ogni ragazzo,
che possa trovar nel cammino qualcuno
capace di alzargli lo sguardo
e vedere Chi è in croce,
qualcuno che tenda la mano.
Qualcuno che riempia di gioia
l’anima e il cuore, le forze e la mente per dire:
“Io credo, io spero, io amo”[9].
Nel vuoto totale di senso,
sapere che un giorno
basterà solo Dio.

DODICESIMA STAZIONE “OSTIA ANTICA” Gesù muore sulla croce

Ostia antica: col nome il pensiero
è già alle “rovine”, memorie di vita remota,
di gente, che ora son mete di gite di scuola.
Ostia antica è anche un borgo, una piazza,
una chiesa, in cui forse stasera una coppia si sposa.
In questa stazione, in questo momento,
la via della croce è arrivata alla morte di Cristo.
È strano che questo cammino trovi ora
anche un nome, che in lingua italiana
dice anche l’offerta continua di Cristo
che dona il suo corpo e il suo sangue:
un’Ostia elevata, adorata, donata. 
Nel viavai di questo tragitto,
in cui tutti pensiamo alle cose terrene,
mi vien da volere un istante di estasi
che porti il mio sguardo a volare al di là della croce,
per giungere al cuore del cuore di Dio.
Un giorno Agostino, in questi paraggi,
vicino a sua madre, discorreva di cose di Dio[10].
E mentre parlava il discorso portava a passare
dai sensi terreni alla gioia dell’Essere stesso,
il Creatore del cielo, del sole, le stelle.
E intanto Agostino ascoltava
e Monica andava chiedendosi cosa facesse
ancora nel mondo:
“Il mio Dio le mie lacrime ha accolto
e poi mi ha accordato di vederti cristiano”.
Quello sguardo di madre e di figlio mi tornano ora,
in questo momento in cui guardo la croce
e lì sotto Maria.
Sono sempre su un treno
che in un giorno soltanto
chissà quante persone ha portato.
E di loro io parlo al Signore.
Con loro io voglio una meta migliore.
Ostia antica mi porta a sognare,
attraverso la morte di Cristo,
ad un varco che possa portarmi,
con Monica, a Dio.

TREDICESIMA STAZIONE “OSTIA NORD” Gesù è deposto dalla croce

E’ morto. Ed ora è deposto dal legno.
È sceso, ancora più in basso,
di nuovo per terra, accolto e raccolto
da braccia di madre,
dolore che inerme grida al Signore,
chiedendo “perché”.
È morto, e ora il treno procede
ma sembra più lento, con meno persone,
che han l’aria di chi finalmente
anela al ritorno, a una meta, a una casa.
La stazione moderna di Ostia,
ripiena ogni giorno di tanti che vanno in città,
o di molti studenti che vivono qui,
a quest’ora è pervasa di una nostalgia,
che ha il profumo del mare.
Che senso ha il percorso che ho fatto stasera?
Dov’è ora la gente incontrata, dal centro di Roma,
i ruderi antichi, i nuovi quartieri, gli spazi finiti,
le madri, gli anziani, i bambini
che ho visto salire e poi scendere ancora?
Se Cristo deposto non dona speranza,
che senso ha il mio vivere umano?
Ho bisogno di alzare lo sguardo,
di nuovo guardare lontano.
Fissare negli occhi piangenti la Madre,
che soffre, ma crede… che piange, ma attende.
E che qui prende il nome di Stella del Mare[11].
Se cresce la mia tentazione,
come cresce ora il vento,
se contro gli scogli mi sento sospinto,
ora, in questo momento,
io guardo alla stella, invoco Maria[12];
se son sballottato da onde di orgoglio,
invidia, ambizione, conflitti, dolori,
ora guardo la stella, invoco Maria.
Questo fragile treno,
questa fragile nave dell’anima mia
potrà vacillare, stasera, vedendo deposto con Cristo il mio giorno che muore.
Ma voglio sperare e guardare:
ecco la stella, invoco Maria.

QUATTORDICESIMA STAZIONE “OSTIA CENTRO” Gesù è deposto nel sepolcro

Lo vediamo deposto
e ora rinchiuso in un bianco sepolcro.
Il viaggio, che è quasi finito,
mi trova ferito da tanto silenzio.
Quante volte ho veduto morire persone,
richiudere bare, veder lacrimare.
E sapere Gesù nel sepolcro, e così non vederlo,
è il dramma di chi, sconsolato,
pensa soltanto che tutto è finito,
Che non gusteremo un abbraccio di madre,
di padre, di sposi, di amici.
Che tutto è perduto.
Che il viaggio di giorno e di sera di tante persone
non porta che all’oggi, non porta che al buio.
E che il mare che abbiamo davanti
è chiuso per sempre,
segno del male che serra le porte.
Ma “Ostia” – e qui siamo al centro –
significa “bocca” di fiume,
l’uscita di un’acqua che sfocia
nel mare che avvolge il pianeta.
E che è vita per tutti.
La morte non è più la fine,
ma ponte che porta alla Foce.
Son certo che niente è perduto,
che anche il mio viaggio
ha bisogno di un’altra fermata.
E guardo la stella
e vedo la Madre
che ora invochiamo Regina di Pace[13].
La pace non è sonno eterno,
riposo nel buio,
più senza un risveglio.
La Pace è speranza di Luce:
la pietra verrà rotolata.
Non voglio fermarmi, ma andare.
E guardo la stella.
Ed è Stella Polare.

RESURREZIONE “STELLA POLARE”  Eterna è la Sua misericordia

Eccomi, sono arrivato.
Scendo alla “Stella Polare”,
ripieno di volti, di storie, persone.
Ogni giorno la via della croce
incrocia la via dolorosa dell’uomo.
E a ognuno vorrei dare coraggio, infondere forza,
perché non c’è croce
che non porti alla Vita,
come la foce si apre nel Mare.
Uscendo, vedo persone
che forse si recano al vicino ospedale[14].
Vanno a portare conforto,
forse a imboccare un parente nell’ora di cena.
E anche il più piccolo gesto
mi sembra stasera una fonte di luce.
Io mi inoltro al tramonto, percorro le strade
che portano lì dove Ostia è si perde nel mare.
Vorrei scavalcare, entrar sulla spiaggia.
Mi fermo, guardando tranquillo quell’acqua,
in quest’ora serale di pace.
Non è un mare di splendide rive,
di limpide acque, riflessi di luce.
È un mare che va oltrepassato
per giungere a specchi più puri.
E penso che Stella Polare è la Fede
che porta ben oltre.
La morte non segna la fine,
è immergersi in Cristo che emerge da morte,
e che apre alla Vita infinita.
Giungerà il momento di entrare
in un mare che riva farà a un altro mare
e questo ancora a un altro, per arrivare
all’Oceano d’Amore Infinito[15].
A Gesù, alla sua tenerezza
Alla Misericordia, che è tutto,
in tutti, al momento
in cui semplicemente e per sempre
saremo trafitti dalla Sua Gioia[16].

Note al testo

[1] Il pensiero è alla Basilica di Sant’Anastasia, presso il Circo Massimo, dove da anni c’è l’Adorazione perpetua.

[2] Si fa riferimento al cimitero acattolico di Roma.

[3] Ci si riferisce alla battaglia di Porta San Paolo del 10 settembre 1943.

[4] “Marconi” è una delle fermate vicina alle sedi dell’Università di “Roma 3”.

[5] Si tratta del l’Eur, quartiere simbolo dell’era fascista.

[6] “Tor di Valle” è un ippodromo di Roma, chiuso nel 2013.

[7] La parrocchia di Vitinia è intitolata al Sacro Cuore di Gesù Agonizzante.

[8] È una dedica a don Luigi Di Liegro, fondatore della Caritas diocesana di Roma, che per venti anni operò nella parrocchia di S. Maria del Ponte a Centro Giano.

[9]Io credo, io spero, io amo” è la sintesi della vita e della testimonianza di don Mario Torregrossa, fondatore del Centro di Formazione Giovanile Madonna di Loreto, ad Acilia. Per gli ultimi 12 anni della sua vita fu costretto ad un sedia a rotelle in seguito ad un attentato incendiario sulla sua persona. La sua vita e il suo sacrificio furono generosamente spesi per i giovani e per i poveri.

[10] Sant’Agostino racconta nel IX libro delle Confessioni la morte della madre Monica, preceduta qualche giorno prima dall’ “Estasi di Ostia”.

[11] Presso questa stazione c’è la chiesa parrocchiale di “Stella Maris”.

[12] Il riferimento è ad una famosa omelia di San Bernardo sulla Madonna: “Chiunque tu sia, che nel flusso di questo tempo ti accorgi che, più che camminare sulla terra, stai come ondeggiando tra burrasche e tempeste, non distogliere gli occhi dallo splendore di questa stella, se non vuoi essere sopraffatto dalla burrasca! Se sei sbattuto dalle onde della superbia, dell’ambizione, della calunnia, della gelosia, guarda la stella, invoca Maria. Se l’ira o l’avarizia, o le lusinghe della carne hanno scosso la navicella del tuo animo, guarda Maria. Se turbato dalla enormità dei peccati, se confuso per l’indegnità della coscienza, cominci ad essere inghiottito dal baratro della tristezza e dall’abisso della disperazione, pensa a Maria. Non si allontani dalla tua bocca e dal tuo cuore, e per ottenere l’aiuto della sua preghiera, non dimenticare l’esempio della sua vita. Seguendo lei non puoi smarrirti, pregando lei non puoi disperare. Se lei ti sorregge non cadi, se lei ti protegge non cedi alla paura, se lei ti è propizia raggiungi la mèta”.

[13] Ad Ostia c’è la parrocchia di Regina Pacis.

[14] Si tratta dell’ospedale “Grassi” di Ostia.

[15] Versi ispirati a una poesia di Emily Dickinson:

“Come se il mare separandosi / svelasse un altro mare, / questo un altro, ed i tre / solo il presagio fossero /

d’un infinito di mari / non visitati da riva - / il mare stesso al mare fosse riva - / questo è l’eternità”.

[16] Cfr. Benedetto XVI, Spe Salvi, 12.