La visita del Papa. Giacomo Poretti a San Siro: così si vive in oratorio. Un racconto dell'infanzia trascorso sui campetti da calcio: per far crescere (non l'altezza... ) ma il cuore
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Riprendiamo da Avvenire del 25/3/2017 un articolo di Giacomo Poretti. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Educazione e oratorio.
Il Centro culturale Gli scritti (2/4/2017)
Pensate che io sono il testimonial della campagna “Cresciuto in oratorio”, gliel'ho detto al Cardinale : “Guardi che in tutta la mia vita mi sono sforzato ma non sono riuscito a superare il metro e 60”. Il cardinale mi ha rassicurato dicendomi “Non ti preoccupare la gente non se ne accorge”, ma se la prima cosa che mi dicono quando mi vedono è “Sa che la facevo più alto…” e io rispondo “ e lo sa che io la facevo meno insolente..?”.
Però dovete sapere che io sono stato un bambino prodigio: ero un fenomeno fino alla terza elementare, ero il più alto della classe, io a 9 anni ero alto 1,57, il problema che poi mi sono fermato li.
Mano a mano che mi superavano i miei compagni mi prendevano per il… per i fondelli… a questo proposito vorrei far un appello: basta con questi nomignoli odiosi: bassetto, tappetto, o nanetto, poi c’era un soprannome che mi faceva …zzzzzzre “piscinela”….e allora basta, da domani pretendiamo che ci si cambi nome: i ciechi li chiamate non vedenti, i sordi non udenti, da domani noi piccoli vogliamo essere considerati dei PORTATORI DI NON ALTEZZA!!!
Ma torniamo al nostro tema: che meraviglia l’Oratorio! nel mio c’era di tutto: il calcio balilla, il ping pong, e quando ti veniva sete c’era anche un bar, solo che l’unica bevanda disponibile era la gazzosa, c’erano alcuni bambini che ne bevevano tre o quattro ogni pomeriggio e verso le 17 si sfidavano ad una gara di rutti. Ma la cosa straordinaria del mio oratorio era il campo da calcio in erba da 11 giocatori! l’unico problema è che li sopra ci giocavamo in 280, ossia tutti i bambini dai 6 ai 13 anni del paese. Le porte erano fatte con i maglioni o i cappotti ammonticchiati; quando alla sera si andava a casa spesso si ritornava con gli indumenti di un altro…..una volta mi è capitato di sbagliarmi e di portare a casa il maglione di un certo Barlocco il quale si era lavato solo una volta nella sua vita, al battesimo, e quindi puzzava come una capra di alta montagna: la mia mamma ha cercato di lavarlo in lavatrice il maglione ma puzzava talmente tanto che abbiamo dovuto dargli fuoco.
L’arbitro di quelle decine di partite, che si svolgevano contemporaneamente sul campo, era il don, il nostro prete che alle ore 17 fischiava la fine delle competizioni e ci trascinava tutti e 280 nella cappella. Lì abbiamo imparato i Dieci comandamenti, i sette vizi capitali, le 4 virtù cardinali, le tre virtù teologali e i sette doni dello Spirito Santo; tutti abbiamo imparato tranne Martignoni che faceva un gran casino tra speranza e temperanza, si confondeva tra prudenza e sapienza; per non parlare dei 10 comandamenti che ne sapeva solo 3. Allora don Giancarlo si innervosiva e diceva che Martignoni, nonostante fosse un somaro, forse anche lui sarebbe andato in Paradiso: perché in Paradiso, diceva don Giancarlo non ci vanno solo i Santi, ci vanno anche i somari, l’importante che abbiano il cuore buono.
Quando i bambini della mia generazione andavano all’oratorio funzionava così: ore 13.30 dopo la scuola, tutti i 280 ragazzi del paese erano con le gambe sotto il tavolo di una delle nonne, la quale aveva preparato la pastasciutta al sugo, ore 13.50 tutti i bambini avevano già finito di mangiare ed erano davanti alla porta dell’oratorio, tutti tranne Gervasoni che stava facendo il tris di pastasciutta.
Ore 14 don Giancarlo apriva la porta dell’oratorio, tutti scemavano dentro urlando a più non posso, il don, era abituato, riusciva a contarli ad uno ad uno anche se correvano come Candreva e Perisic (non ce n’erano di juventini nel nostro oratorio, il don diceva che andavano tutti all’inferno). Alla fine ne mancavano sempre 2: Gervasoni e Martignoni, arrivavano verso le 14 e 20, Gervasoni sempre più grasso e Martignoni che ripassava ad alta voce le virtù teologali. Con un calcio nel sedere il don li spingeva dentro poi chiudeva la porta con un catenaccio. Tutti i bambini stavano li dentro al sicuro fino alle ore 18, nessun pericolo si sarebbe abbattuto su di loro tranne i calci del don.
Il don del mio oratorio aveva quasi sempre la faccia imbronciata e tutti i bambini pensavano che a lui il buon Dio non gli avesse distribuito il sorriso, ma quando, 2 volte all’anno, don Giancarlo apriva la porta del teatrino il suo viso si illuminava, diventava affabile e smetteva perfino di dare calci e di insultare Martignoni. Don Giancarlo amava più Pirandello e Goldoni di San Pietro e Paolo, ed il suo sogno era creare una compagnia teatrale amatoriale: ci riuscì ed io debbo la fortuna di aver scoperto il gioco meraviglioso del teatro grazie a lui: ero uno dei 3 bambini che dovevano recitare nella commedia che si sarebbe rappresentata per la fine dell’anno scolastico, servivano un bimbo piccolissimo, uno grasso e uno smemorato. Divenne anche un trio famoso in paese: Poretti Gervasoni Martignoni.
Ai miei tempi con la scusa che gli oratori funzionavano bene, i genitori non avevano bisogno di assumere le tate e di iscrivere i figli ai corsi di judo, karate, nuoto, tennis, rugby ed equitazione e soprattutto l’inglese: ci sono delle famiglie che iscrivono i loro figli ad una scuola inglese, dove ho scoperto che nell’ora di italiano la professoressa spiega in inglese ( lei chiede “ What is this… l’alunno risponde “ Ma non vede proff? questo è un banco e questa è una sedia..” , not in italian you must speack in english..”)
Non contenti poi questi genitori il pomeriggio gli fanno fare le ripetizioni di inglese, e d’estate invece di mandarli in vacanza al mare li mandano in Scozia a fare una full immersione di inglese, a parte che gli scozzesi non li capisce nessuno, il risultato qual è: che i genitori si lamentano perché non riescono a comunicare con i loro figli: per forza i figli parlano inglese e i genitori in italiano (tipo che se il figlio per dire passami il sale si esprime così: mami please give me a salt…..come tesoro? a salt ….devo fare un salto?)
Il don, il mio prete, don Giancarlo era la tata di tutti i ragazzi del paese.
Tutti lo temevano, ma tutti si sentivano al sicuro quando c’era lui, anche quando si andava in pullman a fare la gita sulla Grigna: lui correva avanti e indietro lungo il serpentone dei ragazzi per assicurarsi che ci fossero tutti, che nessuno dicesse parolacce; ogni tanto menava qualche scapellotto, ma così bonariamente, come fanno i cani dei greggi che abbaiano non per spaventare ma per far sentire alle pecore che sono al sicuro che c’è qualcuno che le protegge.
Una volta, quando ebbe spedito a casa tutti i ragazzi tra i 6 e 15 anni, che avevano urlato, cantato e, alcuni, vomitato sui 3 pullman della gita al Sacro Monte di Varese; quando tutto era ridiventato silenzioso, l’autista vide che il don si era addormentato sull’ultima fila del pullman. Dormirono tutti e due fino alle 6 del mattino seguente poi l’autista accese il pullman, passarono al Circolone a bere un caffè corretto e il don corse in Chiesa perché c’era da celebrare la Messa prima.
Ma oggi voi siete qua in quanto futuri cresimandi, per ascoltare il nostro amato Papa al quale potrete chiedere tutto quanto riguardo alla Cresima, e lui, conoscendolo, vi illuminerà e vi dirà che condizione per ricevere la Cresima è confermare la volontà di essere dalla parte di Dio, di essere un giocatore della sua squadra e poi se siete preoccupati vi rassicurerà: se dipendesse da lui questo Papa misericordioso, la Cresima la darebbe a tutti quelli che la desiderano e anche ai somari in inglese!
Per salutarvi vorrei rassicurare tutte le mamme di Milano, che andando all’oratorio non si va per diventare alti un metro e 80, all’oratorio si va per far crescere il cuore.