Un sistema extrasolare con sette pianeti, da Le scienze (con una breve nota di Andrea Lonardo dal titolo: La scoperta di TRAPPIST-1 ci dice qualcosa di meraviglioso sulla vita nell'universo, la nostra)
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Riprendiamo dal sito Le Scienze un articolo redazionale pubblicato il 22/2/2017, con una breve nota introduttoria di Andrea Lonardo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Scienza e fede.
Il Centro culturale Gli scritti (27/2/2017)
1/ La scoperta di TRAPPIST-1 ci dice qualcosa di meraviglioso sulla vita nell'universo, la nostra, di Andrea Lonardo
Anche l’astronomia, purtroppo, segue ormai la logica dello scoop, abbandonando la ferrea metodologia scientifica. In realtà, se si legge con attenzione, ciò che appare straordinario nell’annuncio della NASA della scoperta del nuovo sistema planetario TRAPPIST-1 è proprio la capacità dell’uomo terrestre di appassionarsi delle stelle e dei pianeti. L’uomo di questa terra è così assetato di conoscenza e così diverso da ogni altra creatura che comincia ad ipotizzare di possibili altre vite a partire da risicatissimi dati che riesce a recuperare ed elaborare. Si noti bene: se si scoprisse vita su di un altro pianeta, non verrebbe minimamente intaccata la fede cristiana che, anzi, si accrescerebbe di un ulteriore motivo di lode (cfr. per una corretta valutazione della fede cristiana nella creazione con il suo rapporto con la scienza Presentare Genesi 1 e 2: Adamo, Eva e la creazione del mondo nell’annuncio della fede e nella catechesi, di Andrea Lonardo).
Purtroppo, però, l’“annuncio” dato con TRAPPIST-1 non è un annunzio, perché le ricerche non aggiungono niente ai fatti già noti per migliaia di altri sistemi planetari: ripetono solamente che esiste una remotissima possibilità che ci siano le condizioni di possibilità per l’origine della vita. La lontananza del sistema (39 anni luce, ricordando che la velocità della luce è di 300.000 km al secondo) non permette di chiarire quasi nulla delle condizioni esatte dei pianeti della stella fredda TRAPPIST-1. Significativo è, invece, il nome scelto che, se da un lato è una sigla come bene spiega l’articolo, d’altro canto rimanda all’umiltà del monaco trappista, cosciente della sua piccolezza nell’universo, piccolezza simile a quella del minuscolo telescopio che ha dato l’avvio alle ricerche.
Se niente, insomma, sappiamo di nuovo con la scoperta di TRAPPIST-1 sull’esistenza della vita al di fuori della terra, la scoperta ci invita a guardare con uno sguardo rinnovato agli scienziati che, come piccoli trappisti, amano a nome dell’intera umanità l’universo e se ne stupiscono, perché essi sì sono viventi.
Da questo punto di vista la scoperta si rivela fenomenale, entusiasmante: esiste nell’universo chi si interessa a TRAPPIST-1, lo nomina e riesce a calcolare qualcosa di questo lontanissimo sistema, reale, vero, esistente, anche se ignoto al di là dei dati così brillantemente scoperti.
L'uomo e l'universo, due infiniti: l'infinita curiosità di quel minuscolo essere che è l'uomo che solo si accorge delle stelle e lo smisurato universo che pur senza accorgersi dell'uomo lo abbraccia e gli permette la vita a partire da un amor "che tutto move".
Credit: ESO/IAU e Sky & Telescope
2/ Un sistema extrasolare con sette pianeti, da Le scienze
Una stella non troppo distante da noi, e intorno sette pianeti di dimensioni simili a quelle della Terra, sei dei quali si trovano in una zona “temperata”, cioè in orbite tali che le temperature superficiali rimangono tra 0 e 100 gradi Celsius.
La scoperta è di Michaël Gillon, dell'Università di Liegi, in Belgio, e colleghi di una collaborazione internazionale, che la annunciano oggi sulle pagine di “Nature”, e suggerisce che nella Via Lattea questo tipo di sistema potrebbe essere comune.
Le misurazioni indicano che i sei pianeti interni hanno masse simili a quella della Terra e probabilmente hanno una composizione rocciosa. Inoltre, quelli intermedi hanno probabilmente un'atmosfera di tipo terrestre e acqua liquida sulla loro superficie.
Negli ultimi decenni, la ricerca di pianeti al di fuori del sistema solare ha avuto un successo incredibile: se ne contano ormai a migliaia. Il metodo più utilizzato per la “caccia” è la fotometria di transito, basata sul fatto che la luce emessa da una stella diminuisce quando un pianeta passa di fronte al disco della stella stessa rispetto alla direzione di vista dalla Terra. La variazione è minima, ma può essere misurata con gli strumenti attuali, che consentono anche di stimare anche la massa planetaria.
Quando la stella è di limitate dimensioni, la misurazione fotometrica è particolarmente agevole, perché la percentuale della superficie stellare che viene oscurata è notevole: ciò permette di documentare il transito di pianeti di dimensioni simili a quelle terrestri. Ora, nella Via Lattea, la maggior parte delle stelle è più piccola e meno luminosa del Sole, il che ha spinto i planetologi a monitorare in modo continuativo proprio la nostra galassia.
Nel 2010, Gillon e colleghi hanno iniziato a monitorare le stelle più piccole vicine al Sole con il telescopio robotizzato da 60 centimetri di diametro TRAPPIST (the Transiting Planets and Planetesimals Small Telescope) dell'European Southern Observatory (ESO) di La Silla in Cile.
E nel maggio dello scorso anno hanno riferito la sensazionale scoperta di tre esopianeti in orbita intorno a una stella nana ultrafredda, che hanno battezzato TRAPPIST-1 ed è situata a circa 39 anni luce dal nostro Sole.
In seguito, hanno approfondito le osservazioni sia con telescopi terrestri sia effettuando un monitoraggio continuo per 20 giorni con il telescopio spaziale Spitzer della NASA. Risultato: ben 34 transiti documentati, attribuiti a un totale di sette pianeti.
Ora il quadro generale è completo. Il sistema TRAPPIST-1 è estremamente compatto, piatto e ordinato. I sei pianeti interni hanno periodi orbitali tra 1,5 e 13 giorni e sono tutti “quasi risonanti”: ciò significa che nello stesso tempo in cui il pianeta più interno compie otto rivoluzioni, il secondo, il terzo e il quarto pianeta ne compiono cinque, tre e due, rispettivamente.
Questo schema fa sì che vi siano mutue influenze gravitazionali, che si manifestano in lievi variazioni nei tempi di transito osservati, che gli autori hanno utilizzato per stimare le masse planetarie.
Da queste stime, è emerso che il sistema planetario è incredibilmente somigliante a quello costituito da Giove e dai satelliti galileiani (Io, Europa, Ganimede e Callisto), anche se ha una massa circa 80 volte superiore. Le quattro lune, infatti, orbitano intorno a Giove con periodi compresi tra 1,7 e 17 giorni, anche in questo caso in condizioni di quasi-risonanza. Questa somiglianza suggerisce che i pianeti di TRAPPIST-1 e i satelliti galileiani si siano formati ed evoluti in modo simile.
Ma i dati forse più interessanti riguardano le dimensioni dei pianeti, la loro possibile composizione e il loro clima. L'analisi dei dati mostra che cinque di essi (b, c, e, f e g, secondo la sigle attribuite dagli autori, cioè il primo, secondo, terzo, quinto e sesto) hanno dimensioni simili a quelle terrestri, mentre g e h (il quarto e il settimo) hanno dimensioni intermedie tra quelle della Terra e quelle di Marte. Per i sei pianeti più interni, le stime dimensionali fanno ipotizzare che si tratti di pianeti rocciosi.
Utilizzando un semplice modello climatico e considerando le temperature tipiche della stella, si è stimato inoltre che e, f e g (cioè il quarto, il quinto e il sesto) potrebbero avere un'atmosfera di tipo terrestre e persino un oceano liquido. Per i tre pianeti più interni invece si ipotizza che l'acqua liquida sia completamente evaporata a causa di un intenso effetto serra.
Nel caso del settimo e più esterno pianeta, i ricercatori non sono riusciti a determinare il periodo orbitale e l'interazione con i pianeti più interni, che saranno oggetto dei prossimi studi.
A questo proposito c'è grande attesa per le possibilità di ricerca che potrà garantire il telescopio spaziale James Webb della NASA, il cui lancio è previsto per il prossimo anno. I suoi strumenti potranno dire qualcosa sulla composizione dell'atmosfera dei pianeti e sulla loro emissione termica, ponendo dei limiti alle condizioni climatiche presenti sulla superficie.