World Press Photo 2017. Quando la violenza vince sulla bellezza, di Francesco Indelicato
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Riprendiamo dal sito dell’associazione Aiart un articolo di Francesco Indelicato pubblicata il 14/2/2017. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (19/2/2017)
La notizia ha occupato le prime pagine di tanti quotidiani italiani, e sarebbe da gridare allo scandalo, se non fosse che nel relativismo dominante di questi tempi si può arrivare anche ad ammirare una scena di violenza.
L’argomento in questione riguarda la classifica delle fotografie premiate dal World Press Photo 2017, il cui vincitore è stato Burhan Ozbilici dell’Associated Press con lo scatto riguardante l’attentato all’ambasciatore russo ad Ankara il 19 dicembre scorso.
Esattamente trent’anni fa, il 22 gennaio del 1987, si suicidò in diretta con una pistola il politico statunitense Robert “Budd” Dwyer e nessuna televisione del nostro Paese trasmise il drammatico evento per tutela dei telespettatori e per rispetto della vittima. Sembra siano trascorsi secoli da quel giorno in merito ai criteri di moralità e di sensibilità della nostra società.
Oggi infatti da un lato abbiamo la presidente della Camera dei deputati, Laura Boldrini, che scrive al Ceo di Facebook, Mark Zuckerberg perché preoccupata del dilagare dell’odio nel percorso pubblico: un “fenomeno non generato certo dai social network”, riconosce, “ma che in essi ha un veicolo di diffusione potenzialmente universale”. Dall’altro lato invece abbiamo addirittura pagine Facebook di ispirazione cattolica, come quella di Famiglia Cristiana, che definiscono “belle” le foto del concorso di Amsterdam e pubblicano le immagini premiate.
Ci si domanda dove sia finita la deontologia di taluni giornalisti, se abbiano a mente quale sia la propria missione che – come a più riprese ha rammentato Papa Francesco in questi anni – consiste nel raccontare verità, bontà e bellezza. E soprattutto, riguardo a chi comunica di professione in ambito cattolico, se si ricordi quanto evidenziano i testi sacri, allorché – come recita il libro del profeta Isaia (33,13-16) – ci si dovrebbe turare gli orecchi per non udire fatti di sangue e chiudere gli occhi per non vedere il male.
Proprio nel vangelo di oggi, 14 febbraio, festa dei santi Cirillo e Metodio, il Signore riferisce dell’invio dei settantadue discepoli quali testimoni di pace: da cosa dovrebbero nascere la comunione e la pace quando si approva e si loda una immagine di un omicidio?
Per comunicare speranza e fiducia nel nostro tempo, come ci invita a fare la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali di quest’anno, occorre partire da questi “piccoli” particolari. Non può che essere dannosa l’omologazione alle dinamiche di questo mondo. E sebbene il male faccia sempre notizia e si traduca in cospicue entrate finanziarie, occorre preferire alla facile tentazione della spettacolarizzazione della violenza la faticosa ma altrettanto remunerativa ricerca della bellezza. Il giornalista dovrebbe essere pagato proprio per questo.