Per un anno non ho fatto gli auguri su Facebook e ho chiamato amici, parenti, persone care e conoscenti. Il mio esperimento è miseramente fallito, di Omar Kamal
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Riprendiamo da L’Huffington Post del 14/2/2017 un articolo di Omar Kamal. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (19/2/2017)
Poco più di un anno fa scrissi proprio qui sull'Huffington Post come potrebbe essere la nostra vita se smettessimo di farci gli auguri sui social. Il compleanno, scrissi, è la migliore occasione per rispolverare una vecchia amicizia e per fare una domanda talmente semplice e scontata, che essendo tale, spesso evitiamo di fare: "Come stai?".
I NUMERI - Per un anno ho telefonato (in tutto) a circa duecento persone. Tra loro pochi parenti, tantissimi amici di vario grado, ma anche un cospicuo numero di conoscenti. L'impegno è partito dal 1° gennaio del 2016 e si è "concluso" a fine 2016. Le telefonate avvenivano per lo più in macchina - mentre guidavo (ohi, con le cuffie!) - nel tardo pomeriggio, ovvero di ritorno verso casa. Un'ora di traffico nella Città Eterna, impiegato per quella che ritenevo essere un'attività socialmente utile. Ogni telefonata durava dai 3 minuti (il minimo indispensabile per far capire al mio interlocutore che sì, avevo pensato proprio a lui) fino a un massimo di 30/45 minuti nei casi più fortunati. Alcuni giorni facevo più telefonate, altri invece, nessuna.
LE REAZIONI - La reazione più gettonata è stata "Non me l'aspettavo!", la seconda (molto simile alla prima) è stata "Non ci credo!". La risposta più divertente, invece, è stata "Come hai fatto a ricordarti?". Già, come ho fatto? In fondo Facebook ci avvisa ogni giorno, il calendario di Google, quello di Outlook e quello nativo dei nostri smartphone e computer, fanno la stessa e identica cosa. La cosa più facile da conoscere, è appunto la nostra data di nascita: da qui il motivo per cui conferisco alla domanda "Come hai fatto a ricordarti?" un significato divertente.
Durante ogni telefonata, senza palesare il senso del mio esperimento, ho cercato di far capire al mio interlocutore quanto sarebbe più logico dare una dimostrazione più tangibile dell'affetto che ci lega durante una giornata così speciale. Risposta: "È vero, hai ragione". Pensai che sì, l'obiettivo poteva dirsi raggiunto. E invece no. Non chiamavo sempre durante il giorno del compleanno: a volte chiamavo uno, due o anche tre giorni dopo. Il senso, era chiaro: "Mi sono ricordato che per te è un giorno speciale e voglio sapere come stai". Chi riceveva la telefonata non si poneva alcun problema se chiamavo con ritardo: il ricordo era gradito, il quando, invece, era tutto sommato una formalità trascurabile.
TOCCA A ME - Finalmente arriva il giorno del mio compleanno. È il 14 settembre. Non avevo ancora completato le 200 telefonate, ma - a memoria - ricordo che il numero raggiunto era di circa 160. Ovviamente mi aspettavo di ricevere un numero chiaramente inferiore: avrei considerato positivamente un buon 25% di telefonate di ritorno. Obiettivo per altro legittimo, se consideriamo che sui social - in media - ti arrivano 400 messaggi di auguri di cui neppure ti accorgi, dal momento che spesso vengono accorpati. Parliamo di un misero, ma comunque importante 10% dei propri amici / seguaci / follower del 2.0.
Invece, quel dì, ricevetti la bellezza (si fa per dire) di sei telefonate. Ovviamente, su Facebook, ci fu la tradizionale baraonda che tutti noi siamo abituati a ricevere. Sconsolato guardai mia moglie a fine serata, e le dissi: porca miseria, ho perso. Il concetto chiave è che il sistema basato su un affetto meno tangibile, a oggi è sempre più difficile da scardinare. Non si parla tanto di modus operandi, quanto dell'esternazione del proprio affetto per qualcuno, sempre ammesso (sarebbe la legittima osservazione) che tale affetto ci sia. La comodità della tecnologia supera l'impegno, o - quanto meno - la necessità di impegnarsi.
INFINE- Alzo bandiera bianca e ammetto a me stesso che la battaglia è persa. La comodità di inviare un messaggio supera di gran lunga il significato di trasformare l'affetto in un'azione, ma non tutto è perduto. Perché a onor del vero, chi vi scrive ha imparato molto da questa lezione: continuerò a chiamare tutti o quasi. Quelle telefonate (che al giorno d'oggi non costano nulla), sono state una più bella dell'altra. Una gioia per chi le ha ricevute? Mi fa piacere pensarlo. Una gioia per chi le ha fatte? Mamma mia, sì. Una ricchezza, una meraviglia. In fin dei conti - come detto - l'esperimento è fallito. Ma solo quello.