I luoghi di San Paolo apostolo a Roma. Antologia di testi utilizzata da Andrea Lonardo per l'incontro con le guide turistiche di Roma tenutosi presso la chiesa di San Giovanni dei Fiorentini il 13/12/2016

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 14 /12 /2016 - 10:01 am | Permalink | Homepage
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Riprendiamo sul nostro sito l'antologia di testi utilizzata da Andrea Lonardo per l'incontro con le guide turistiche di Roma tenutosi presso la chiesa di San Giovanni dei Fiorentini il 13/12/2016. Per approfondimenti, cfr. la sezione Roma e le sue basiliche.

Il centro culturale Gli scritti (14/12/2016)

Andrea Lonardo
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I luoghi di san Paolo a Roma
 

1/ La Roma di San Paolo prima delle chiese di san Paolo (vedi la sezione Roma e le sue basiliche)

- non si tratta solo di parlare di chiese, bensì di descrivere la Roma imperiale

- dietro c’è una domanda: il cristianesimo è stato un evento di rilievo assoluto durante gli imperi di Augusto e Tiberio?

DINASTIA GIULIO-CLAUDIA
30 a.C.-14 d.C. OTTAVIANO (saeculum augustum) Nel 4 a.C. morte di ERODE IL GRANDE Prima del 4 a.C. NASCITA DI GESÙ CRISTO
14-37 d.C. TIBERIO 26-36 PONZIO PILATO, prefetto in Giudea *) 27-29 predicazione di GIOVANNI IL BATTISTA
*) 30 ca. MORTE E RESURREZIONE DI GESU' CRISTO
*) 36 ca. vocazione di S. PAOLO (comunque prima del 39/40 perché in quell'anno morì il re nabateo Areta IV, re di Petra, e Paolo, appena convertito, sfuggì da un governatore di quel re facendosi calare in una cesta dalle mura di Damasco (2 Cor 11, 32-33)
37-41 CALIGOLA Progetto di una statua imperiale nel Tempio di Gerusalemme  
41-54 CLAUDIO 50-52 proconsolato di GALLIONE, fratello di SENECA, in Acaia *) 49 ca. oppure 41: tumulto a Roma "IMPULSORE CHRESTO" ("a causa di Cristo che incitava"), nella Vita Claudii di Svetonio; il fatto si ritrova in At 18,1-2 che racconta di Aquila e Priscilla allontanati da Roma a causa di un ordine dell'imperatore Claudio)
*) PAOLO dinanzi a Gallione fra il 51 e il 52 ca.
*) Prima di questa data, I LETTERA AI TESSALONICESI
54-68 NERONE 64 incendio di Roma *) tra il 55 e il 58 LETTERA AI ROMANI
*) ca 59-60 PAOLO E LUCA a Roma (brani "noi" di At)
*) 62 uccisione di GIACOMO IL MINORE, il "fratello del Signore" durante l'assenza del governatore romano
*) 64 ca. persecuzione dei cristiani e martirio di a Roma
I FLAVI
69-79 VESPASIANO *) 66-70 I rivolta giudaica
*) 70 DISTRUZIONE DEL "SECONDO" TEMPIO DI GERUSALEMME
70: a partire da questa data si possono datare molti scritti del NT (ante quem o post quem)
79-81 TITO    
81-96 DOMIZIANO *) Opere di FLAVIO GIUSEPPE
*) fra l'80 e il 90 espulsione dei cristiani dalle sinagoghe
*) Persecuzioni per "ateismo"
*) Lettera di CLEMENTE ai Corinzi

Cfr. su quanto segue: Spiegare il Nuovo Testamento passeggiando per il Palatino ed i Fori imperiali. Una guida per la visita, di Andrea Lonardo

Come pure Spiegare il Nuovo Testamento passeggiando per il Palatino ed i Fori imperiali. File audio di un itinerario guidato da Andrea Lonardo con i seminaristi del seminario di Genova e le postulanti alcantarine

- Cesare Ottaviano Augusto

Per una prima bibliografia, cfr.

- I capitoli di A. Lonardo e tutto insieme il volume: L’utilizzo delle fonti letterarie (pp. 47-54), Un ponte verso il Medioevo: il potere necessario (pp. 333-339) e Le fonti letterarie (pp. 343-365), in P. Filacchione – C. Papi (edd.), Archeologia cristiana. Coordinate storiche, geografiche e culturali (secoli I-V), LAS, Roma, 2015.

- La Roma del Giubileo, San Paolo, Cinisello Balsamo, 2015.

- Dove si eleggono i papi. Guida ai Musei Vaticani. Cappella Sistina. Stanze di Raffaello. Museo Pio Cristiano, EDB, Bologna, 2015.

Capire Gesù (e Paolo) dinanzi ad Augusto e capire Augusto dinanzi a Gesù

- ecco allora che alcuni luoghi cominciano a parlare: il Palatino, l’Ara pacis, il Pantheon, il mausoleo di Augusto (ma prima ancora la Curia del Senato dove Erode il Grande venne fatto re e il tempio di Apollo al Palatino dove divennero re i figli di Erode, Erode Antipa, Erode Filippo, ecc.)

- e per Tiberio: la Domus Tiberiana, il Foro di Augusto o di Marte Ultore, la Villa di Tiberio a Sperlonga e a Capri, ecc.

(anche se Svetonio dice: “Neque ulla opera magnifica fecit” (Tib. 47, I)

- così per Nerone come si vedrà (a partire dalla Domus Aurea e alla precedente questione dell’incendio e della prima persecuzione anti-cristiana)

- fino a Costantino (che dire di lui?)

1.1/ uno stile: far immaginare (io l’ho imparato dalle guide mie maestre che mi hanno insegnato come guidare i gruppi in Terra santa)

At 17,16Paolo, mentre li attendeva ad Atene, fremeva dentro di sé al vedere la città piena di idoli. 17Frattanto, nella sinagoga, discuteva con i Giudei e con i pagani credenti in Dio e ogni giorno, sulla piazza principale, con quelli che incontrava. 18Anche certi filosofi epicurei e stoici discutevano con lui, e alcuni dicevano: «Che cosa mai vorrà dire questo ciarlatano?». E altri: «Sembra essere uno che annuncia divinità straniere», poiché annunciava Gesù e la risurrezione. 19Lo presero allora con sé, lo condussero all’Areòpago e dissero: «Possiamo sapere qual è questa nuova dottrina che tu annunci? 20Cose strane, infatti, tu ci metti negli orecchi; desideriamo perciò sapere di che cosa si tratta». 21Tutti gli Ateniesi, infatti, e gli stranieri là residenti non avevano passatempo più gradito che parlare o ascoltare le ultime novità.
22Allora Paolo, in piedi in mezzo all’Areòpago, disse:
«Ateniesi, vedo che, in tutto, siete molto religiosi. 23Passando infatti e osservando i vostri monumenti sacri, ho trovato anche un altare con l’iscrizione: “A un dio ignoto”. Ebbene, colui che, senza conoscerlo, voi adorate, io ve lo annuncio. 24Il Dio che ha fatto il mondo e tutto ciò che contiene, che è Signore del cielo e della terra, non abita in templi costruiti da mani d’uomo 25né dalle mani dell’uomo si lascia servire come se avesse bisogno di qualche cosa: è lui che dà a tutti la vita e il respiro e ogni cosa. 26Egli creò da uno solo tutte le nazioni degli uomini, perché abitassero su tutta la faccia della terra. Per essi ha stabilito l’ordine dei tempi e i confini del loro spazio 27perché cerchino Dio, se mai, tastando qua e là come ciechi, arrivino a trovarlo, benché non sia lontano da ciascuno di noi. 28In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo, come hanno detto anche alcuni dei vostri poeti: “Perché di lui anche noi siamo stirpe”.
29Poiché dunque siamo stirpe di Dio, non dobbiamo pensare che la divinità sia simile all’oro, all’argento e alla pietra, che porti l’impronta dell’arte e dell’ingegno umano. 30Ora Dio, passando sopra ai tempi dell’ignoranza, ordina agli uomini che tutti e dappertutto si convertano, 31perché egli ha stabilito un giorno nel quale dovrà giudicare il mondo con giustizia, per mezzo di un uomo che egli ha designato, dandone a tutti prova sicura col risuscitarlo dai morti».
32Quando sentirono parlare di risurrezione dei morti, alcuni lo deridevano, altri dicevano: «Su questo ti sentiremo un’altra volta». 33Così Paolo si allontanò da loro. 34Ma alcuni si unirono a lui e divennero credenti: fra questi anche Dionigi, membro dell’Areòpago, una donna di nome Dàmaris e altri con loro.

Cfr. I filosofi pagani citati da san Paolo nel discorso all’Areopago di Atene: Arato e Cleante, di Alessandro Ghisalberti

Erano credenti, molto religiosi, l’espressione sit tibi terra levis è espressione di gente che crede nell’immortalità dell’anima e nella divinità

Cfr. anche La preghiera “Che la terra ti sia lieve” e il patchwork. Breve nota di Andrea Lonardo

1.2/ il “vangelo”

dall’Iscrizione di Priene; OGIS 458

[Inizio mutilo] se il giorno natale (genéthlios) del divinissimo Cesare (toû theiotàtou Kaìsaros) [l’originale latino, trovato in frammenti ad Apamea, qui dice soltanto: principis nostri] porti più gioia o vantaggio (5) noi con ragione lo equipariamo all’inizio di tutte le cose (tôn pántōn archē)… (10) Perciò si considererà a ragione questo fatto come inizio della vita e dell’esistenza (archēn toû bíou kaì tês zōês), che segna il limite e il termine del pentimento (toû metamelésthai) di essere nati. E poiché da nessun giorno si può trarre più felice opportunità per la società e per il vantaggio del singolo come da quello che è felice (eutychoûs) per tutti, e poiché inoltre per le città di Asia cade in esso il tempo più propizio per l’ingresso negli uffici di governo (kairòn tês eis tēn archēn eisódou), (15)… e poiché è difficile ringraziare adeguatamente (kat’íson eucharisteîn) per i suoi numerosi benefici, a meno che escogitiamo per tutto ciò una nuova forma di ringraziamento…, (20) mi sembra giusto [ = chi parla è il proconsole d’Asia «Paolo Fabio Massimo» (riga 44) a nome della città] che tutte le comunità (politeíōn) abbiano un solo e identico capodanno, appunto il genetliaco del divinissimo Cesare, e che in esso tutti gli amministratori entrino nel loro ufficio, cioè il giorno 9° prima delle calende di ottobre… (32) Poiché la provvidenza che divinamente dispone la nostra vita… (35) a noi e ai nostri discendenti ha fatto dono di un salvatore (sōtêra charisaménē) che mettesse fine alla guerra e apprestasse la pace, Cesare una volta apparso superò le speranze degli antecessori, i buoni annunci di tutti (euangélia pántōn), non soltanto andando oltre i benefici di chi lo aveva preceduto, ma senza lasciare a chi l’avrebbe seguito la speranza di un superamento, (40) e il giorno genetliaco del dio (hē genéthlios hēméra toû theoû) fu per il mondo l’inizio dei buoni annunci a lui collegati (hêrxen dè tô-i kósmō-i tôn di’autòn euaggelíōn)… 

da Virgilio, IV Egloga
Giunge ormai l’ultima età dell’oracolo cumano, inizia da capo una grande serie di secoli (magnus ab integro saeclorum nascitur ordo); ormai torna anche la Vergine, tornano i regni di Saturno (iam redit et Virgo, redeunt Saturnia regna), ormai una nuova progenie è inviata dall’alto cielo (iam nova progenies caelo demittitur alto) Tu al fanciullo che ora nasce, col quale infine cesserà la razza del ferro e sorgerà in tutto il mondo quella dell’oro, sii propizia, o casta Lucina; già regna il tuo Apollo. E proprio sotto il tuo consolato inizierà questa splendida età, o Pollione, e cominceranno a decorrere i grandi mesi. Egli riceverà la vita divina, e agli dei vedrà mescolati gli eroi ed egli stesso sarà visto tra loro, e con le virtù patrie reggerà il mondo pacificato (pacatumque reget patriis virtutibus orbem). Poche vestigia soltanto sopravviveranno dell’antica malvagità. Guarda come si allieta ogni cosa per il secolo venturo. Oh, rimanga a me l’ultima parte di una lunga vita e spirito bastante per cantare le tue imprese.

Rom 1,1 Paolo, servo di Cristo Gesù, apostolo per chiamata, scelto per annunciare il vangelo di Dio – 2 che egli aveva promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sacre Scritture 3 e che riguarda il Figlio suo, nato dal seme di Davide secondo la carne, 4costituito Figlio di Dio con potenza, secondo lo Spirito di santità, in virtù della risurrezione dei morti, Gesù Cristo nostro Signore

Lc 2, 1-7
In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città. Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta. Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio. 

Cfr. i 3 censimenti nelle Res Gestae

Mc 1,1
Inizio del Vangelo che è Gesù Cristo Figlio di Dio

1.3/ il Dio ignoto, sconosciuto

Il personaggio dell'iscrizione che lo dedicò, Sextius Calvinus, è stato ritenuto il figlio dell'omonimo console il cui consolato è datata all’anno 124 a.C.; l'altare sarebbe stato dedicato quindi alcuni anni dopo, nell'età di Silla (i caratteri confermano tale datazione) a cavallo fra II e I secolo a.C. L’iscrizione dice: "Sei deo sei deivae / sac(rum) C. Sextius / C. f. Calvinus pr(aetor) / de senati sententia / restituit", cioè Sia a un dio, sia a una dea consacrato, Caio Sestio, figlio di Caio Calvino, pretore, per decreto del Senato rifece”.

L’uomo che lo consacrò non poteva dire nemmeno se la divinità protettrice cui offriva sacrifici animali su quell’altare fosse maschio o femmina, fosse un dio o una dea. Le regole rituali richiedevano che si conoscesse esattamente il nome della divinità cui ci si rivolgeva perché il sacrificio avesse effetto, ma si aveva anche paura che eventuali avversari conoscessero quel nome e lo si occultava perché non potessero pronunciarlo. Di fatto l’iscrizione denuncia l’incapacità umana di sapere quale sia il vero volto di Dio, quale sia il suo nome: per evitare di non essere ascoltati, si preferisce una formula generica in modo che – si spera – gli dei ascoltino comunque. “Ascoltami, sia che tu sia un dio sia che tu sia una dea, dato che sei sostanzialmente ignoto”.

Socrate, nell’Eutifrone di Platone "Tu credi che fra gli dei esistano realmente una guerra vicendevole e terribili inimicizie e combattimenti … Dobbiamo, Eutifrone, effettivamente dire che tutto ciò è vero?" (6 b – c).

1.4/ Il crocifisso blasfemo del Palatino

Proviene dal cosiddetto Pedagogio (dove fu ritrovato negli scavi del 1856), cioè dall’edifico nel quale si formavano i paggi imperiali.

Il graffito di fattura molto elementare viene datato alla I metà del III secolo (fra il 200 ed il 250 d.C.) e rappresenta un crocifisso con testa di asino che ha al fianco un uomo con braccio alzato. A fianco l’iscrizione graffita recita in greco: "Alexamenos sebete theon", cioè Alexamenos adora il suo dio”. La maggior parte degli archeologi concorda nel ritenere che sia stato graffito da qualche paggio che si prendeva gioco di un paggio cristiano di nome Alexamenos. La critica è evidente: chi adora un Dio crocifisso adora un asino, adora un Dio incapace.

1 Cor 1,20-25
Dov’è il sapiente? Dov’è il dotto? Dov’è il sottile ragionatore di questo mondo? Dio non ha forse dimostrato stolta la sapienza del mondo? Poiché infatti, nel disegno sapiente di Dio, il mondo, con tutta la sua sapienza, non ha conosciuto Dio, è piaciuto a Dio salvare i credenti con la stoltezza della predicazione. Mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio. Infatti ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini

Cfr. la rivolta di Spartaco con le crocifissioni del 71 a.C.

I musulmani di fronte al mistero della croce: rifiuto o incomprensione?, di M. Borrmans

1.5/ Il Tevere e il Battesimo

da Tertulliano, De baptismo 2,3
Non sussiste alcuna differenza fra chi viene lavato in mare o in uno stagno, in un fiume o in una fonte, in un lago o in una vasca, né c’è alcuna differenza fra coloro che Giovanni battezzò nel Giordano e Pietro nel Tevere, a meno che l’eunuco che Filippo battezzò con l’acqua trovata per caso lungo la strada abbia ottenuto in misura maggiore o minore la salvezza!»

1.6/ Luoghi più specifici

1.6.1/ La Curia del Senato, nella quale Erode il Grande  ricevette il regno da Antonio ed Ottaviano

da Flavio Giuseppe, Antichità giudaiche 14, 385-389
Antonio si fece avanti [nel Senato] e spiegò che anche ai fini della guerra contro i Parti era conveniente che Erode fosse re. Questa proposta fu accettata e votata da tutti... Terminata la riunione del senato, Antonio e Cesare [Ottaviano] uscirono avendo Erode in mezzo a loro, mentre i consoli precedevano gli altri magistrati, per andare a sacrificare ed esporre il decreto in Campidoglio. Così Antonio ospitò Erode nel suo primo giorno di regno, che egli ricevette nella centottantaquattresima olimpiade, sotto il consolato di Gneo Domizio Calvino, per la seconda volta, e di Gaio Asinio Pollione.

Erode, che passerà alla storia come “Erode il Grande”, dopo aver lasciato i suoi familiari assediati da Antigono nella fortezza di Masada, si imbarcò in cerca di aiuti, giungendo prima ad Alessandria d’Egitto, dove incontrò Cleopatra, poi a Roma dove giunse nel 40 a.C. La sua richiesta era che venisse fatto re il fratello di sua moglie, al posto di Antigono, ultimo sovrano della dinastia degli asmonei.
Antonio ed Ottaviano, invece, lo fecero proclamare re dinanzi al Senato riunito nella Curia, ritenendolo il più affidabile per governare in sintonia con il potere romano.
Durante il suo regno nacque Gesù.

1.6.2/ il Tempio di Apollo nel quale furono fatti re i figli di Erode, fra cui Erode Antipa

da Giuseppe Flavio, La guerra giudaica 2,18-20; 80-98
Salpato Archelao alla volta di Roma… anche Antipa(tro) si mise in viaggio per sostenere le sue pretese al trono… In Roma si riversò su di lui la simpatia di tutti i parenti che non potevano sopportare Archelao…
Cesare (Ottaviano Augusto) radunò il consiglio dei magistrati romani e dei suoi amici nel tempio di Apollo sul Palatino, che aveva fatto costruire egli stesso, adornandolo con splendida magnificenza... Sentite le due parti, Cesare sciolse il consiglio, ma pochi giorni dopo assegnò la metà dei regno ad Archelao col titolo di «etnarca», promettendogli di farlo re, qualora se ne fosse mostrato degno. L’altra metà la divise in due tetrarchie e le assegnò agli altri due figli di Erode: una a Filippo e l’altra ad Antipa che aveva conteso il trono ad Archelao. Antipa ottenne la Perea e la Galilea... mentre a Filippo furono attribuite la Batanea, la Traconitide, l’Auranitide... Dell’etnarchia di Archelao facevano parte l’Idumea, l’intera Giudea e la Samaria.

Alla morte di Erode il Grande, scoppiò una disputa sulla sua successione. Nell’ultimo suo testamento egli aveva designato re il figlio Archelao. Erode Antipa – conosciuto anche come Antipatro – facendosi forza su di un precedente testamento aspirava anch’egli al trono. Si presentarono così entrambi a Roma, al cospetto di Ottaviano Augusto, che infine decise per la divisione del regno in tre parti, pronunciando sul Palatino il suo giudizio.
Ad Erode Antipa, toccò la Galilea. Per questo motivo il tetrarca sarà poi coinvolto nel processo di Gesù, perché l’attività pubblica del Cristo si svolgerà nei territori a lui assoggettati. A Filippo (che era fratellastro di entrambi) fu assegnata la regione settentrionale della Galilea nella quale egli fondò la città di Cesarea di Filippo. Il luogo è noto nei vangeli, perché nei suoi pressi Gesù condusse i dodici per porre loro la domanda sulla sua identità: «Voi, chi dite che io sia?».
Ad Archelao toccò la Giudea con Gerusalemme. Fu, però, deposto nel 6 d.C. poiché si era reso impopolare. Augusto decise allora di nominare al suo posto un prefetto direttamente dipendente da Roma.
In occasione di un ulteriore viaggio a Roma avvenuto sotto Tiberio (descritto in Antichità giudaiche 18,109 ss) Erode Antipa si fermò ad alloggiare presso Erode Filippo e si innamorò della di lui moglie Erodiade, figlia del re nabateo Areta IV. Da questo fatto nacquero le vicende che portarono alla morte di Giovanni il Battista ed alla guerra fra Erode Antipa ed Areta. Erode, spinto dalla moglie Erodiade, venne ancora in Italia, questa volta a Baia, da Caligola, per chiedere la benevolenza dell’imperatore contro il re Agrippa. Avvisato da quest’ultimo Caligola fece, invece, esiliare la coppia a Lione, in Gallia (Giuseppe Flavio, Antichità giudaiche, 18, 240-255).

1.6.3/ Il tempio di Marte Ultore ai Fori imperiali nel quale i prefetti, e fra di essi Ponzio Pilato, offrivano sacrifici prima di partire in missione (ma anche Domus Tiberiana): Tiberio

dal vangelo secondo Luca 2,1-5
In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando era governatore della Siria Quirinio. Andavano tutti a farsi registrare, ciascuno nella sua città. Anche Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davide, dalla città di Nazaret e dalla Galilea salì in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme, per farsi registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta».

dal vangelo secondo Luca 3,1-2
Nell’anno decimoquinto dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell’Iturèa e della Traconìtide, e Lisània tetrarca dell’Abilène, sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio scese su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto.

Gesù nacque mentre a Roma veniva edificato da Cesare Ottaviano Augusto il Tempio di Marte Ultore, nei Fori Romani.
Augusto ne decise l’edificazione già nel 42 a.C., come atto votivo prima della battaglia di Filippi contro gli uccisori di Cesare, perché il dio lo sostenesse in questo atto di vendetta. Esso fu, però, terminato solo nel 2 a.C. Il tempio di Marte divenne il luogo nel quale si recavano a sacrificare prima della loro missione tutti i condottieri dell’esercito romano, così come i capi dell’amministrazione imperiale delle diverse province.
Ponzio Pilato offrì così sacrifici a Marte ultore, nel Tempio a lui dedicato, prima di partire in missione come prefetto della Giudea (magistratura che ricoprì dal 26 al 36 d.C.). Ad Augusto era nel frattempo succeduto Tiberio che aveva eretto, sempre nello stesso Tempio, gli archi di Druso e Germanico. Solo con gli imperatori successivi il titolo di prefetto fu mutato in quello di procuratore.
Nato sotto Augusto, Gesù fu crocifisso sotto Tiberio, essendo prefetto della Giudea Ponzio Pilato.

- Patì sotto Ponzio Pilato (la nuova risposta al male)

C.S. Lewis
Sto cercando di impedire che qualcuno dica del Cristo quella sciocchezza che spesso si sente ripetere: “Sono pronto ad accettare Gesù come un grande maestro di morale, ma non accetto la sua pretesa di essere Dio”. Questa è proprio l’unica cosa che non dobbiamo dire: un uomo che fosse soltanto un uomo e che dicesse le cose che disse Gesù non sarebbe certo un grande maestro di morale, ma un pazzo - allo stesso livello del pazzo che dice di essere un uovo in camicia – oppure sarebbe il Diavolo.Dovete fare la vostra scelta: o quest’uomo era, ed è, il Figlio di Dio, oppure era un matto o qualcosa di peggio. Potete rinchiuderlo come un pazzo, potete sputargli addosso e ucciderlo come un demonio, oppure potete cadere ai suoi piedi e chiamarlo Signore e Dio. Ma non tiriamo fuori nessuna condiscendente assurdità come la definizione di grande uomo, grande maestro. Egli ha escluso la possibilità di questa definizione – e lo ha fatto di proposito.

Is 53,5
Egli è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui, per le sue piaghe noi siamo stati guariti

- la nascita della laicità: chi parla di laicità parla di cristianesimo

Mandarono da Gesù alcuni farisei ed erodiani, per coglierlo in fallo nel discorso. Vennero e gli dissero: “Maestro, sappiamo che sei veritiero e non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno, ma insegni la via di Dio secondo verità. È lecito o no pagare il tributo a Cesare? Lo dobbiamo dare, o no?”» (Mc 12,13-14).

Gli uomini di potere sanno che, da sempre, la politica è un terreno scivoloso. Scelgono questo tema per cercare di cogliere in fallo Gesù. Ed, ancora una volta, la situazione più difficile diventa per il Signore non una realtà da rifiutare e da fuggire, bensì un’occasione per amare e per testimoniare la verità del Padre e dell’uomo. L’affermazione «Quello che è di Cesare rendetelo a Cesare, e quello che è di Dio, a Dio» (Mc 12,17) - una dichiarazione che cambierà il volto della storia tutta dell’umanità e che fonderà per sempre la laicità vera del potere

Romani 13,17 è una dichiarazione di principio: «Ogni persona sia sottomessa alle autorità costituite» (Rm 13,1). Seguono due motivazioni. La prima è teologica e riflette l’antica concezione biblica secondo la quale «non c’è autorità se non sotto Dio e quelle che esistono sono state stabilite da Dio», che è il Signore della storia. Opporsi ad esse è, allora, opporsi a un piano divino tracciato nella vicenda umana (Rm 13,1-2).
La seconda motivazione è di taglio più pratico: l’autorità è deputata al bene comune, osservarne le norme significa assicurare alla società serenità, violarle comporta la punizione «perché non invano essa regge la spada» (Rm 13,3-4).
La conclusione è scontata: «È necessario stare sottomessi, non solo per timore della sua collera ma anche per ragione di coscienza» (Rm 13,5). A questo punto Paolo allega una nota sulla questione fiscale: «Per questo, allora, dovete pagare le tasse, perché coloro che compiono questa funzione sono ministri [leitourgoì] di Dio» (Rm 13,6).
Certo, il discorso risente del tempo, del contesto socio-culturale, delle finalità immediate che l’Apostolo si propone, dell’ottimismo con cui si vede l’impero romano come tutore anche del cristianesimo, in opposizione al giudaismo considerato come ostile e vessatorio. È, quindi, necessaria una corretta interpretazione; essa ci permetterà di riprendere il discorso sul rapporto tra fede e politica già sviluppato da Gesù con il gesto simbolico della moneta di Cesare (Mt 22,15-22).

- Il cristianesimo rifiuta subito l’anarchia e cerca di mostrare che la fede implica la fedeltà allo Stato che è necessario, pur essendo lui stesso come Stato sottoposto alle leggi morali che lo superano (il sovrano non può, ad esempio, uccidere, lui per primo)

- consapevolezza che è con il cambiare dei cuori che cambia l’istituzione (cfr. il modo in cui viene affrontata la questione del cambiamento dinanzi alla schiavitù nella lettera a Filemone)

- Sotto Ponzio Pilato: il suo nome nel Credo. Non è un “mito”. Così Paolo che incontra prima gli apostoli, poi viene e Roma

26-36 PONZIO PILATO, prefetto in Giudea

Gal 115Ma quando Dio, che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia, si compiacque 16di rivelare in me il Figlio suo perché lo annunciassi in mezzo alle genti, subito, senza chiedere consiglio a nessuno, 17senza andare a Gerusalemme da coloro che erano apostoli prima di me, mi recai in Arabia e poi ritornai a Damasco.
18In seguito, tre anni dopo, salii a Gerusalemme per andare a conoscere Cefa e rimasi presso di lui quindici giorni; 19degli apostoli non vidi nessun altro, se non Giacomo, il fratello del Signore.

Gal 21Quattordici anni dopo, andai di nuovo a Gerusalemme in compagnia di Bàrnaba, portando con me anche Tito: 2vi andai però in seguito a una rivelazione. Esposi loro il Vangelo che io annuncio tra le genti, ma lo esposi privatamente alle persone più autorevoli, per non correre o aver corso invano. 3Ora neppure Tito, che era con me, benché fosse greco, fu obbligato a farsi circoncidere; 4e questo contro i falsi fratelli intrusi, i quali si erano infiltrati a spiare la nostra libertà che abbiamo in Cristo Gesù, allo scopo di renderci schiavi; 5ma a loro non cedemmo, non sottomettendoci neppure per un istante, perché la verità del Vangelo continuasse a rimanere salda tra voi.
6Da parte dunque delle persone più autorevoli – quali fossero allora non m’interessa, perché Dio non guarda in faccia ad alcuno – quelle persone autorevoli a me non imposero nulla. 7Anzi, visto che a me era stato affidato il Vangelo per i non circoncisi, come a Pietro quello per i circoncisi – 8poiché colui che aveva agito in Pietro per farne un apostolo dei circoncisi aveva agito anche in me per le genti – 9e riconoscendo la grazia a me data, Giacomo, Cefa e Giovanni, ritenuti le colonne, diedero a me e a Bàrnaba la destra in segno di comunione, perché noi andassimo tra le genti e loro tra i circoncisi. 10Ci pregarono soltanto di ricordarci dei poveri, ed è quello che mi sono preoccupato di fare.
11Ma quando Cefa venne ad Antiòchia, mi opposi a lui a viso aperto perché aveva torto.

1 Cor 151Vi proclamo poi, fratelli, il Vangelo che vi ho annunciato e che voi avete ricevuto, nel quale restate saldi 2e dal quale siete salvati, se lo mantenete come ve l’ho annunciato. A meno che non abbiate creduto invano!
3A voi infatti ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto, cioè
che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture
e che 4fu sepolto
e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture
5e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici.
6In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. 7Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. 8Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto. 9Io infatti sono il più piccolo tra gli apostoli e non sono degno di essere chiamato apostolo perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. 10Per grazia di Dio, però, sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana. Anzi, ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me. 11Dunque, sia io che loro, così predichiamo e così avete creduto.

- Areta

36 ca. vocazione di S. PAOLO (comunque prima del 39/40 perché in quell'anno morì il re nabateo Areta IV, re di Petra, e Paolo, appena convertito, sfuggì da un governatore di quel re facendosi calare in una cesta dalle mura di Damasco (2 Cor 11, 32-33): 32A Damasco, il governatore del re Areta aveva posto delle guardie nella città dei Damasceni per catturarmi, 33ma da una finestra fui calato giù in una cesta, lungo il muro, e sfuggii dalle sue mani.

El Khasneh al Faroun

Iscrizione di Areta nel Museo Pio-cristiano nei Musei Vaticani; cfr. su questo A. Lonardo, Dove si eleggono i papi. Guida alla Cappella Sistina e ai Musei Vaticani, EDB

- L’ebraismo a Roma al tempo di Paolo (chi ha “inventato” il cristianesimo?)

2/ I luoghi di Paolo (divenuti chiese)

Le “case” di Paolo e la conoscenza dei cristiani di Roma

Di nuovo una questione di “metodologia” della buona guida che deve far amare il luogo anche se la casa di Paolo fosse spostata di qualche centinaio di metri

Su quanto segue, cfr. Paolo a Roma. Una rubrica curata da Andrea Lonardo per Romasette di Avvenire

Per i viaggi Paolo e le sue lettere cfr. il poster preparato per l’Anno Paolino da Andrea Lonardo

Cartine dei viaggi e dei luoghi di san Paolo apostolo (a cura dell'Ufficio catechistico della diocesi di Roma)

2.1/ San Paolo alla Regola

At 28,16 Arrivati a Roma, fu concesso a Paolo di abitare per conto suo con un soldato di guardia.
17Dopo tre giorni, egli fece chiamare i notabili dei Giudei e, quando giunsero, disse loro: «Fratelli, senza aver fatto nulla contro il mio popolo o contro le usanze dei padri, sono stato arrestato a Gerusalemme e consegnato nelle mani dei Romani. 18Questi, dopo avermi interrogato, volevano rimettermi in libertà, non avendo trovato in me alcuna colpa degna di morte. 19Ma poiché i Giudei si opponevano, sono stato costretto ad appellarmi a Cesare, senza intendere, con questo, muovere accuse contro la mia gente. 20Ecco perché vi ho chiamati: per vedervi e parlarvi, poiché è a causa della speranza d’Israele che io sono legato da questa catena». 21Essi gli risposero: «Noi non abbiamo ricevuto alcuna lettera sul tuo conto dalla Giudea né alcuno dei fratelli è venuto a riferire o a parlar male di te. 22Ci sembra bene tuttavia ascoltare da te quello che pensi: di questa setta infatti sappiamo che ovunque essa trova opposizione».
23E, avendo fissato con lui un giorno, molti vennero da lui, nel suo alloggio. Dal mattino alla sera egli esponeva loro il regno di Dio, dando testimonianza, e cercava di convincerli riguardo a Gesù, partendo dalla legge di Mosè e dai Profeti. 24Alcuni erano persuasi delle cose che venivano dette, altri invece non credevano. 25Essendo in disaccordo fra di loro, se ne andavano via, mentre Paolo diceva quest’unica parola: «Ha detto bene lo Spirito Santo, per mezzo del profeta Isaia, ai vostri padri:
26Va’ da questo popolo e di’:
Udrete, sì, ma non comprenderete;
guarderete, sì, ma non vedrete.
27Perché il cuore di questo popolo è diventato insensibile,
sono diventati duri di orecchi
e hanno chiuso gli occhi,
perché non vedano con gli occhi,
non ascoltino con gli orecchi
e non comprendano con il cuore
e non si convertano, e io li guarisca!
28Sia dunque noto a voi che questa salvezza di Dio fu inviata alle nazioni, ed esse ascolteranno!». [29]
30Paolo trascorse due anni interi nella casa che aveva preso in affitto e accoglieva tutti quelli che venivano da lui, 31annunciando il regno di Dio e insegnando le cose riguardanti il Signore Gesù Cristo, con tutta franchezza e senza impedimento.

Nome derivante probabilmente da San Paulus de Arenula (così nel 1186 in una Bolla di Urbano III)

- Paolo è stato agli arresti domiciliari e poi probabilmente in libertà vigilata

Attuale chiesa consacrata nel 1728 (facciata del 1721)

Terz’Ordine di San Francesco (provincia siciliana) requisito nel 1798/99 con la dispersione di tutta la biblioteca ad opera dei francesi rivoluzionari)

Abside con 3 affreschi di Luigi Garzi (morto nel 1721) con la Conversione, la Predicazione e il Martirio di San Paolo

Con Oratorio di San Paolo (detto anche la Schola)

Propter Spem enim Israel catena hac circundatus sum… sed Verbum Dei non est alligatum

L'organizzazione dei Giudei di Roma (da Romano Penna su www.gliscritti.it )

Non abbiamo nessuna notizia che gli ebrei di Roma fossero raggruppati in un unico políteuma, cioè in una associazione di cittadini autonoma, come ad Alessandria in Egitto (cf. Strabone in Fl. Giuseppe, Ant. 14,117: "Alla loro testa c'è un ethnárchés [detto in Filone Al., In Fl. 74: genárchés] che governa la nazione, decide le contestazioni e si occupa dei contratti e dei comandi, come se fosse il capo di un governo autonomo"). A Roma gli ebrei sono frantumati in varie comunità, una specie di parrocchie ante litteram, ciascuna delle quali costituiva e recava il nome di synagoghé (con cui dunque non si designa l'edificio di culto, detto invece per metonimia in greco proseuché, "[luogo di] preghiera" [cf. Filone Al, Leg ad C. 132] e traslitterato in latino con proseucha [cf. Giovenale, Sat. 3,296]). La fonte primaria delle nostre informazioni in materia sono le epigrafi sepolcrali delle catacombe ebraiche romane, da cui risultano una dozzina di queste comunità, sparse in vari punti della città ed estendentisi su di un arco cronologico di almeno quattro secoli. Per quanto riguarda la metà del I secolo, possiamo ragionevolmente dedurre l'esistenza di cinque comunità del genere, le più antiche, etichettate rispettivamente

  • "degli Ebrei" (su 4 epigrafi; il nome      si spiega come unica comunità ebraica, la più antica),
  • "dei Vernacoli" (su 4 epigrafi; si      distingue dalla precedente perché raggruppa gli ebrei già nati a Roma),
  • "degli Augustensi" (su 6 epigrafi;      contemporanea ad Augusto [morto nel 14 d.C.], di cui riconosce il      patronato),
  • "degli Agrippensi" (con 3 iscrizioni;      contemporanea probabilmente di Marco Vipsanio Agrippa, morto nel 12 a.C.      [oppure di Erode Agrippa, amico dell'imperatore Claudio, e morto nel 44      d.C.]), e
  • "dei Volumnensi" (su 3 iscrizioni;      sotto il patronato di Volumnio, Legato in Siria nell'8 a.C. e amico di      Erode il Grande). La più antica di queste comunità doveva essere insediata      a Trastevere, come risulta sia dalla sua menzione in Filone Al., Leg. ad C. 88, sia dalla catacomba di      Monteverde col più antico materiale epigrafico.

La loro organizzazione interna, stando alle notizie epigrafiche, comportava le seguenti cariche (tra parentesi la frequenza delle ricorrenze):

  • il gerusiárchés (16 volte), capo di un consiglio degli anziani,      preposto all'amministrazione della comunità e a tutelare i suoi interessi      religiosi, giudiziari, finanziari;
  • i presbyteroi (una volta al singolare), come membri del      precedente consiglio;
  • gli árchontes (almeno 50 volte), "capi, responsabili",      comitato esecutivo della gherousía, eletti per un anno, potevano      essere rieletti;
  • il preposto a raccogliere i fondi destinati alla      cassa comune (detto árchón      tés timés, 4 volte);
  • l'amministratore dei beni della comunità (detto phrontistés, "curatore,      amministratore", 2 volte);
  • un segretario, forse anche dottore della legge      (detto grammateús, "scriba", 25 volte; cf.      per Efeso At 19,35);
  • il prostátés, avvocato, protettore legale della comunità (2      volte; cf. Rom 16,2: Febe a Cencre);
  • il pátér (9 volte) e la métér (2 volte) della      "sinagoga": titolo onorifico per chi era particolarmente      benemerito di una comunità;
  • l'archisynágógos (5 volte) si occupava dell'edificio del culto e      presiedeva alle assemblee religiose ("presidente di riunione":      frequente nelle associazioni pagane);
  • chi svolgeva le mansioni più umili del servizio      sinagogale (detto hypérétés, "servitore", 1 volta);
  • infine i "sacerdoti", hiereis (tre volte al maschile e una al      femminile hierísa): semplice titolo onorifico in      rapporto alla discendenza levitica.

Come si vede, la guida delle comunità è ben articolata, ma è essenzialmente laica. Se poi volessimo identificare quelli che Paolo incontrò a Roma e che in At 28,17 sono chiamati "i più in vista tra i Giudei", dovremmo computare tra di essi almeno i gherousiárchai, i grammateis, e forse anche rappresentanti dei presbyteroi e degli árchontes.

2.2 L'organizzazione e la vita dei cristiani di Roma.

E' fin troppo facile, anzi inevitabile, dedurre che all'inizio vero e proprio i cristiani di Roma, provenendo dal giudaismo locale, si radunassero nelle proseuchai delle rispettive "sinagoghe" di appartenenza. Ma ci sono alcune questioni, che qui accenniamo brevemente.
Un primo problema sta nel sapere quando essi si siano poi staccati anche fisicamente dal gruppo giudaico e abbiano costituito delle nuove comunità autonome. Dobbiamo calcolare in proposito due estremi cronologici: il terminus post quem è costituito dal provvedimento restrittivo di Claudio, tradizionalmente datato al 49 (da alcuni anticipato al 41); il terminus ante quem è l'anno 64, quando dopo l'incendio di Roma Nerone mandò a morte i soli cristiani (cf. Tacito, Ann. 15,44,2-5), i quali dunque erano ormai ben identificabili come non più appartenenti tout court ai Giudei. La separazione perciò dev'essere avvenuta in quella quindicina d'anni che stanno tra la fine degli anni 40 e la metà degli anni 60[7]. Ebbene, è proprio in questo tempo (più precisamente verso la metà degli anni 50) che Paolo scrive la sua lettera ai Romani, cioè ai cristiani di Roma.
Inoltre, nella sua lettera Paolo non fa alcuna menzione di un qualche edificio di culto proprio dei cristiani, né in termini di proseuché né in termini di synagoghé. Quanto al termine ekklésía che comunque prima del secolo III non designa mai un edificio architettonico come luogo di culto cristiano, esso in Rom è presente solo nel capitolo finale dei saluti (cf. 16,1.4.5.16.23) a indicare piccoli gruppi di chiese cosiddette domestiche, ma mai per designare l'insieme dei cristiani come una comunità unica. Questi nel prescritto della lettera, a differenza di quanto avviene in altri casi (cf. 1Cor 1,2: "Alla chiesa di Dio che è in Corinto"; Gal 1,2: "Alle chiese della Galazia";1Tes 1,1: "Alla chiesa dei Tessalonicesi"), vengono semplicemente designati così: "A tutti coloro che sono in Roma diletti di Dio, chiamati santi" (1,7a). L'Apostolo infatti accenna all'esistenza di piccole comunità di cristiani, che si radunano in case private di alcuni di loro. Si deducono almeno tre di queste case di raduno: la casa dei coniugi Aquila e Priscilla (cf. 16,3-5: "Salutate Aquila e Priscilla... e l'assemblea che si raduna in casa loro"), la casa di Asincrito, Flegonte, Erme, Patroba, Erma "e i fratelli che sono con loro" (16,14), e quella di Filologo e Giulia, Nereo e sua sorella, e Olimpa "e tutti i santi che sono con loro" (16,15); a queste se ne aggiungono forse altre due, visto che si parla anche di "quelli che appartengono alla casa di Aristobulo" e"quelli che appartengono alla casa di Narcisso" (16,10-11), probabilmente gli schiavi dei rispettivi padroni menzionati, i quali permettevano loro di radunarsi insieme. Tenendo conto che una casa antica, di cui, in concreto, come ambiente di raduno entra in conto solo il triclinio (a cui al massimo si può aggiungere l'atrio), poteva accogliere al più quindici-venti persone, possiamo calcolare l'esistenza a Roma al tempo di Paolo di un numero di cristiani compreso tra i cento e i duecento (su di una popolazione di circa un milione di unità).
La prima designazione globale dei cristiani di Roma, in quanto convergenti a costituire un'unica chiesa, l'abbiamo solo nel prescritto della cosiddetta lettera di Clemente Romano ai Corinzi dell'anno 96, che comincia così: "La chiesa di Dio che è residente a Roma" (1Clem, Prol.) […] Resta comunque il fatto che la chiesa di Roma, benché composta da gruppi diversi, doveva costituire "un solo corpo", se non di fatto certamente nell'ideale e come programma, secondo quanto esplicitamente Paolo scrive in Rom 12,5: "Pur essendo molti siamo un corpo solo in Cristo" (cf. analogamente 1Cor 12,12-13.27).

Gli scavi presso San Paolo alla Regola

Tra il 1978 e il 1982 il Comune di Roma effettuò il restauro di un insieme di fabbricati di sua proprietà situati tra via del Conservatorio e la chiesa della SS. Trinità dei Pellegrini. Il restauro mise il luce strutture di età romana conservate per quattro piani di altezza, due nel sottosuolo e due al di sopra, restaurate e sopraelevate sin quasi alla situazione attuale già nel medioevo.

Il complesso archeologico di S. Paolo alla Regola, scavato, restaurato e attualmente visitabile è ubicato nel primo e secondo livello sottosuolo del cinquecentesco Palazzo degli Specchi, occupato al primo piano dalla Biblioteca comunale per i ragazzi e nei piani superiori da abitazioni private.

Il complesso archeologico è prospiciente via di S. Paolo alla Regola, strada che ricalca quell'antico tracciato stradale che fin dall'età repubblicana collegava il Circo Flaminio con la pianura del Campo Marzio.

L'urbanizzazione del Campo Marzio meridionale si deve all'intensa attività edilizia di Augusto: in particolare nella zona limitrofa agli edifici di S. Paolo, la costruzione di ponte Sisto realizzata da Agrippa, suo genero; venne inoltre tracciato un reticolo di strade parallele al Tevere ricalcate dalle moderne via delle Zoccolette e via di S. Paolo alla Regola ed ortogonali ad esso quali via del Conservatorio e via dei Pettinari, che collegava ponte Sisto con il Campo Marzio centrale.

All'epoca di Domiziano la zona venne occupata dagli Horrea Vespasiani, un vasto complesso di magazzini che si estendevano parallelamente al fiume tra via dei Pettinari e via Arenula.

In età severiana la zona fu oggetto di un radicale trasformazione, accanto e sopra ai magazzini furono edificate abitazioni e palazzi di non meno di quattro piani di altezza, successivamente distrutti da un violento incendio.

Con la ristrutturazione dell'età costantiniana venne interrato un piano per preservare gli edifici dalle piene del Tevere, e le strutture murarie vennero poderosamente consolidate. Dopo un periodo d'uso gli edifici vengono però abbandonati, cadono in rovina ed il livello del suolo raggiunge, tra crolli e depositi alluvionali, all'incirca la quota attuale.

Nell'XI e nel XII secolo a seguito di una nuova intensa attività edilizia, le rovine romane vengono consolidate fino alle fondamenta e sopraelevate.

Viene edificata una casa a torre in laterizio con sopraelevazione a tufelli a cavallo di un antico vicolo che separa tra loro due blocchi edilizi domizianei, mentre tra il XII e il XIII secolo tutta la zona viene occupata da costruzioni intensive con case di forma stretta ed allungata che saturano tutti gli spazi disponibili e che raggiungono i 4-5 piani di altezza, e che saranno nuovamente sopraelevate nel XIV secolo.

L'area archeologica di S. Paolo alla Regola si compone, nel secondo livello sottosuolo situato a 8 mt. di profondità dalla quota attuale della strada, da due grandi magazzini domizianei, in struttura laterizia e coperti con ampie volte a botte, che si affacciano sul vicolo romano parallelo al Tevere.

Su tale arcolo si aprivano due ingressi, chiusi poi in età medioevale con una muratura in opera listata di laterizi alternati con tufi. Il livello intermedio, detto "della colonna" per la presenza di una loggia con arcone ribassato sorretto da una colonna, era in origine un cortile lastricato di pietre calcaree dove si affacciano i magazzini domizianei, poi ripristinato in età severiana per ospitare due magazzini ed infine totalmente ristrutturato in età costantiniana, interrando il piano terra dell'edificio e consolidando le murature domizianee e severiane fino a triplicarne lo spessore.

Il primo livello sottosuolo del si compone di una serie di magazzini di età severiana che si sviluppano accanto ad un cortile; oltre alla ristrutturazione costantiniana vi compare una poderosa muratura moderna di rinforzo alle volte cinquecentesche sulle quali si è sviluppato il sovrastante Palazzo degli Specchi.

I rimanenti due ambienti, pavimentati a mosaico, costituiscono il primo piano del palazzetto il cui piano terra era occupato dai magazzini domizianei; i mosaici bianchi e neri a disegno sono di età severiana.

- Con affresco del XIV secolo di una Madonna che allatta, nota come "Madonna delle Grazie".

- Paolo chiamò Timoteo presso di lui a Roma

2.2/ Santa Maria in via Lata

Casa di san Luca, la Madonna attribuita a san Luca (ovviamente medioevale)

Quindi, casa di Paolo, di Pietro, di Aquila e Priscilla, di Timoteo, di Marco (cfr. San Marco al Campidoglio), ecc.

La finale degli Atti, che racconta dell’arrivo di Paolo a Roma, appartiene alle cosiddette “sezioni-noi”, in tedesco Wir-stücken, degli Atti (At 16,10-17; 20,5-21; 27,1-28,16), cioè a quei brani dell’opera che hanno il soggetto alla prima persona plurale: “noi”. Si dice, ad esempio: «Arrivammo a Roma» (At 28,14) e non: «Paolo arrivò a Roma». L’autore di quei brani degli Atti era con Paolo. In questi testi, cioè, Luca stesso o qualcuno che è una sua fonte appare come testimone oculare a fianco di Paolo. Paolo e Luca arrivarono così insieme nell’urbe. Possiamo immaginare san Paolo e l’evangelista, ed insieme a loro Aquila e Priscilla e altri cristiani romani, nel momento in cui attraversarono Porta Capena e passarono a fianco del Palazzo Imperiale e del Circo Massimo.

Le “sezioni-noi” cominciano in At 16,10: «Dopo che ebbe questa visione, subito cercammo di partire per la Macedonia, ritenendo che Dio ci avesse chiamati ad annunciare loro il Vangelo» per giungere fino alla fine degli Atti con l’arrivo a Roma: «I fratelli di là, avendo avuto notizie di noi, ci vennero incontro fino al Foro di Appio e alle Tre Taverne. Paolo, al vederli, rese grazie a Dio e prese coraggio. Arrivati a Roma, fu concesso a Paolo di abitare per conto suo con un soldato di guardia» (At 28,15-16).

“Vedi come si amano”. Romani 16 e le conoscenze di Paolo a Roma, di Andrea Lonardo
Il capitolo finale della lettera ai Romani, il famosissimo capitolo 16, presenta Paolo che, 2000 anni fa, conosce realmente fra le cento e le centocinquanta persone abitanti in una città che non ha ancora mai visitato. Sono, infatti, nominati diciassette nomi di uomini, sette nomi di donne, più due delle quali non compare il nome, più cinque gruppi di persone che si riuniscono nelle case di alcuni di loro.
Afferma il prof. Penna, nell’ultimo volume appena uscito del suo commentario alla lettera ai Romani, che le lettere dell’antichità contenevano ovviamente spesso saluti a terze persone, ma il numero massimo di esse attestato è nella lettera papiracea di una certa Diodora che, scrivendo ad un certo Valerio Massimo, lo prega di dare i suoi saluti a sei persone. La lettera ai Romani è così la lettera che contiene il maggior numero di persone da salutare in tutta l’antichità classica, superando di gran lunga il numero di sei.
Delle persone nominate Paolo sottolinea innanzitutto la loro attività evangelizzatrice. Febe, probabilmente la latrice della lettera ai Romani, la prima ad essere nominata, è definita “diacono della chiesa di Cencre” (Rm 16,1), dove “diacono” è da intendersi nella sua forza espressiva di servitrice. Paolo chiede ora ai romani di assistere Febe, come lei “ha protetto molti ed anche me stesso” (Rm 16,2).
Si parla poi di Maria “che ha faticato molto per voi” (Rm 16,6). Poi di Andronico e Giunia, “apostoli insigni che erano in Cristo già prima di me” (Rm 16,7). Qui Paolo mostra di conoscere un ulteriore significato del termine “apostolo”: se egli sa bene che il ruolo dei Dodici è unico (cfr. ad esempio, 1 Cor 15,5), tuttavia utilizza il termine anche per altri missionari della prima generazione, forse appartenenti ai settantadue di cui parla l’evangelista Luca o agli “stranieri di Roma” presenti il giorno di Pentecoste. Andronico e Giunia potrebbero, forse, essere stati i primi evangelizzatori della comunità romana.
Si accenna poi ad Urbano, “nostro collaboratore in Cristo” (Rm 16,9), a Trifena e Trifosa che “hanno lavorato per il Signore” (Rm 16,12), poi a Perside che ha, anch’essa, “lavorato per il Signore” (Rm 16,12). Si ripetono i verbi che indicano il collaborare, il lavorare, l’affaticarsi per il vangelo e la sua diffusione, per il servizio dei fratelli. Se, nel capitolo 16, il numero degli uomini citati è maggiore, si sottolinea maggiormente il ruolo evangelizzatrice delle donne: sette donne e cinque uomini sono detti faticare nel Signore. Anche la persecuzione è stata motivo di fatica: Aquila e Priscilla “hanno messo in gioco il loro collo per la mia vita” (Rm 16,4), con riferimento alla possibilità della decapitazione che era riservata ai cittadini romani, mentre Apelle “ha dato buona prova in Cristo” (Rm 16,10).
Si sottolinea di alcuni l’essere punto di riferimento, anche per aver messo a disposizione la propria casa come luogo delle riunioni liturgiche e catechetiche. Sono citati subito dopo Febe, all’inizio del capitolo, Aquila e Priscilla “miei collaboratori in Cristo Gesù” (Rm 16,3) e “la comunità che si riunisce nella loro casa” (Rm 16,5), così quelli della casa di Narciso “che sono nel Signore” (Rm 16,11), Asincrito, Flegonte, Erme, Patroba, Erma “e i fratelli che sono con loro” (Rm 16,14), Filogolo e Giulia, Nereo e sua sorella e Olimpias “e tutti i credenti che stanno con loro” (Rm 16,15).
Soprattutto, emerge la fraternità che lega i cristiani di Roma e Paolo. La fede cristiana genera un nuovo tipo di relazioni. Non esiste più solo l’amore sponsale o amicale (vedi Aquila e Priscilla o i “diletti” Ampliato e Perside), ma viene esaltato pure il legame che unisce i fratelli in Cristo. Febe è definita “nostra sorella” (Rm 16,1), “fratelli” vengono chiamati coloro che sono con Asincrito e gli altri (Rm 16,14), “credenti” coloro che sono con Filogolo e gli altri (Rm 16,15). Tutti insieme sono “santi” (Rm 1,7) e “chiamati” (Rm 1,6) da Gesù Cristo (chiesa, ekklesia, deriva dal termine greco che indica l’essere chiamati da Dio, l’essere kletoi).
Questa fraternità si esprime in un tipico gesto che caratterizzerà da allora la fraternità nelle comunità cristiane: “salutatevi gli uni gli altri con il bacio santo” (Rm 16,16). Lo scambio della pace, attraverso quel bacio santo, sarà il segno di una relazione di amore nata in Cristo che tutti abbraccia. La fraternità ecclesiale si pone come realtà che contraddistingue i credenti in Cristo. Essa viene offerto al mondo come segno che invita alla fede. Come ricorda Tertulliano, questa era l’espressione di stupore che sorgeva nei pagani che per la prima volta venivano in contatto con i cristiani: “Vedi come si amano fra loro e sono pronti a morire l’uno per l’altro” (Apologetico, XXXIX,7).
N.B. Per l’appartenenza di Rm 16 alla lettera ai Romani, contro la tesi che propone di considerarlo un biglietto inviato alla chiesa di Efeso, cfr. su questo stesso sito Paolo ed i cristiani di Roma: Rm 16 appartiene alla lettera ai Romani, di Romano Penna. Per un approfondimento sulla presenza delle donne in Rm 16, cfr. su questo stesso sito Paolo apostolo e le donne nella Chiesa. Febe (Rm 16,1-2) e Lidia (At 16,11-15.40), di Pino Pulcinelli.

dal Vangelo secondo Marco 10,12
Se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio.
Solo nel diritto romano erano previsti casi in cui era la donna a poter divorziare dal marito. Tale situazione non era prevista, invece, dal diritto rabbinico.
Il vangelo di Marco è l’unico vangelo ad estendere alla donna le parole pronunciate da Gesù sul divorzio.
Anche i latinismi invitano a vedere in Marco un vangelo fortemente legato ad un ambiente di lingua latina: se alcuni di questi sono comuni agli altri vangeli (denarion, modios, kensos, krabbatos, legion, phragelloun), altri sono presenti esclusivamente nel primo vangelo, in particolare xestes, boccale (7,4), spekoulator, guardia (6,27), kodrantes, quadrante o spicciolo (12, 42), hikanon poiein, dare soddisfazione (15,15), kentyrion, centurione (15,39.44-45), praitorion, pretorio (15,16).
L’analisi interna del testo conferma così le parole di un frammento di Papia, vescovo di Gerapoli in Asia Minore, del 130 d.C., in cui si dice:
«Marco, divenuto interprete di Pietro, scrisse senza un ordine, ma con esattezza, ciò che ricordava delle cose dette e fatte da Gesù. Egli non aveva udito il Signore, né l’aveva seguito; più tardi seguì Pietro».

-una diaconia (non horrea, ma una porticus)

Federico Guidobaldi: “I citati accostamenti annonari con edifici diaconali sono in realtà quasi insussistenti. Infatti, la Statio Annoanae, pur se è certamente nel Foro Boario, non è stata ancora identificata e non è comunque l’edificio riutilizzato da S. Maria in Cosmedin; il Forum Boarium non è certo un edificio annonario; il supposto horreum sotto S. Maria in via Lata non è un edificio horreario, ma una porticus, probabilmente la Vipsania o la Pollae (in GUIDOBALDI F., Gli horrea Agrippiana e la diaconia di S. Teodoro, in Archeologia Classica, 30 (1978), pp. 87-88).

Cfr. Trasformazione dell'edilizia privata e pubblica in edifici di culto cristiani a Roma tra IV e IX secolo, di Marco (lavoro guidato dal prof. Mario D'Onofrio), on-line su www.gliscritti.it

- diaconia e affreschi staccati (nel Museo della Crypta Balbi)

- il potere necessario: l’origine del potere temporale del vescovo di Roma (cfr. A. Lonardo, Il potere necessario)

- papa Leone IV

- Alessandro VII e Pietro da Cortona

- i napoleonidi e la madre di Napoleone

cfr. 5 maggio

Ei fu

Servo encomio e codardo oltraggio

Più superba altezza al disonor del Golgota giammai non si chinò

Il Dio che atterra e suscita… sulla deserta coltrice accanto a lui posò

Napoleone che aveva umiliato Pio VI e Pio VII alla caduta dell’imperatore è l’unico che lo soccorre

La madre seppellita in Santa Mara in via Lata (cfr. su piazza Venezia io balconcino da cui si affacciava)

Cfr. Fidel Castro è morto. Breve nota di Andrea Lonardo, meditando Il 5 maggio di Alessandro Manzoni

Cfr. soprattutto Dalla monarchia assoluta all'illuminismo: la rivoluzione francese e Napoleone a Roma. File audio di una lezione tenuta da Andrea Lonardo presso Santa Maria in Via Lata

"Oratorium quond  S. Pauli Apost  Lucae Evangelistae et Martialis Mtir in quo et imago B. Mriae Virginis reperta sistebat una ex VII a B. Luca depictis" 
Oratorio  di S. Paolo Apostolo, di Luca  Evangelista e di Marziale Martire, ove si trovava l'immagine ritrovata della Beata Maria Vergine, una delle sette dipinte dal Beato Luca.

L'iscrizione, (conosciuta da Aringhi nel 1651), documenta una diffusa devozione ai suddetti martiri, in particolare a Paolo prigioniero e a Luca Evangelista e Iconografo.

Già Andrea Fulvio (erudito umanista ed antiquario romano - in "Antiquaria urbis", nel 1513), ricorda la Crypta come il luogo ove Luca avrebbe scritto gli Atti degli Apostoli, dipinto immagini della Madonna, ospitato Pietro, e accolto Paolo nei due anni di prigionia in Roma. 

Il culto basato su questa tradizione viene raffigurato da Cosimo Fancelli (1620-1688), con il bassorilievo dei Santi Pietro, Paolo, Marziale e Luca.

Sulla colonna antica, l'incisione della frase di Paolo (2 Tim 2, 9) VERBUM DEI NON EST ALLIGATUM (la Parola di Dio non è incatenata) conferma tale devozione.

- La Diaconia e gli affreschi 
Alla fine del VI sec., alcuni locali dell'antico Portico o Insula diventano gli ambienti di una DIACONIA, probabilmente gestita da monaci orientali (Grecia o Cappadocia). La chiesa viene consacrata con il titolo di Diaconia dal Papa Sergio I, di origine siriana (Papa dal 687 al 701)
Tutto l'ambiente viene coperto di affreschi (santi acclamanti, orazione di Gesù nell'orto, Sette dormienti di Efeso, Giudizio di Salomone, Tempietto, attribuiti all'inizio del VII sec.). 
Fasi successive di affreschi documentano la variegata attività del monastero. Alcuni affreschi mostrano anche tre strati di pitture sovrapposte. 
All'ottavo secolo sono attribuiti quelli con il martirio di S. Erasmo. 
Tutta la Crypta subisce una profonda trasformazione quando, nel 1049, viene costruita la chiesa superiore. 
L'abside della Crypta, murata per sostenere la nuova costruzione, custodisce ancora altri affreschi da recuperare.

2.3/ Santa Prisca (che diviene poi la “casa” di Aquila e Priscilla) e l’editto di Claudio

Santa Prisca battezzata da san Pietro (prima santa martirizzata dell’occidente, battezzata da san Pietro

all’età di 13 anni, prisca, antica)

Santa Prisca martire sotto Claudio Gotico (morto nel 270 d.C.)

Priscilla e Aquila

Non c’è traccia di costruzione cristiana paleo-cristiana

Chiesa altomedioevale

dagli Atti degli Apostoli 18,2-3

[A Corinto, Paolo] trovò un Giudeo chiamato Aquila, oriundo del Ponto, arrivato poco prima dall'Italia con la moglie Priscilla, in seguito all'ordine di Claudio che allontanava da Roma tutti i Giudei. Paolo si recò da loro e poiché erano del medesimo mestiere, si stabilì nella loro casa e lavorava. Erano infatti di mestiere fabbricatori di tende.

da Svetonio, Claudius 25

I giudei che tumultuavano continuamente per istigazione di (un certo) Cresto, egli [Claudio] li scacciò da Roma».

dalla Lettera di Paolo ai Romani 16,3-5

Salutate Prisca e Aquila, miei collaboratori in Cristo Gesù; per salvarmi la vita essi hanno rischiato la loro testa, e ad essi non io soltanto sono grato, ma tutte le Chiese dei Gentili; salutate anche la comunità che si riunisce nella loro casa.

Sotto Claudio avvenne una rivolta dei giudei di Roma: infatti, un testo dello storico pagano Svetonio ricorda che si verificò un tumulto nell’urbe che coinvolse gli ebrei della città “impulsore Chresto”, cioè "a causa di un Cresto che spingeva" – il fatto è raccontato nella Vita Claudii. L’evento avvenne probabilmente nell’anno 49 ca. Lo storico pagano, avendo sentito che gli scontri fra fazioni ebraiche avvenivano a nome di un tal Chresto, deve aver pensato che questi fosse un agitatore politico o un capopopolo del tempo di Claudio. Invece quel Chresto – a motivo del fenomeno linguistico dello iotacismo che porta il suono “i” a modificarsi spesso in “e” – è proprio Gesù Cristo. Evidentemente gli ebrei dell’epoca insorgevano contro quei loro confratelli pure ebrei che erano diventati cristiani ed il nome di Cristo generava dissenso: sarà solo nell’anno 90, probabilmente, che gli ebrei decretarono la definitiva espulsione dei cristiani dalle sinagoghe.
Il nome di Cristo, solo una quindicina di anni dopo la sua morte e resurrezione, era quindi già così noto a Roma che la comunità ebraica era divisa al suo interno per questo. Una parte rifiutava Gesù, un’altra parte affermava che quell’uomo era il Cristo, che era il Messia atteso da Israele. Claudio cercò di placare gli scontri espellendo gli ebrei – cioè l’una e l’altra parte – dalla città, ma ovviamente il suo ordine dovette avere carattere transitorio.
Si ritrova traccia di questa espulsione in Atti 18,1-2, senza menzione però della causa del fatto. Gli Atti raccontano che una coppia di sposi, di nome Aquila e Priscilla, si trovavano a quel tempo in Grecia perché espulsi dall’urbe a motivo dell’editto di Claudio: «Paolo lasciò Atene e si recò a Corinto. Qui trovò un Giudeo di nome Aquila, nativo del Ponto, arrivato poco prima dall’Italia, con la moglie Priscilla, in seguito all’ordine di Claudio che allontanava da Roma tutti i Giudei».

Mitreo di Santa Prisca

Datazione agli inizi del III secolo (iscrizione che porta taluni a ritenere la costruzione del 202 d.C.)

Mitrei romani tutti successivi all’arrivo del cristianesimo (non c’è derivazione dell’uno dall’altro)

Religione solo maschile e con sacrifici umani

Sangue del toro sperma dei suoi testicoli, eppure in queste immagini “assurde” l’anelito ad una salvezza dell’uomo… l’uomo del tempo non era più affascinato dai suoi dèi

Esterno alla chiesa; distrutto ma non è assolutamente chiaro da chi

Il mitreo sottostante la Chiesa di S. Prisca fu scoperto nel 1934 a seguito di lavori di scavo intrapresi dai Padri Agostiniani. Al rinvenimento, del tutto accidentale, fece seguito negli anni 1953-1966 l’indagine archeologica condotta dagli archeologi olandesi M.J. Vermaseren e C.C. van Essen.

La datazione della prima fase del mitreo è ricavata dall’iscrizione graffita nell’estradosso della grande ni,cchia, sulla parete sinistra: 20 novembre del 202 d.C. (anno in cui furono consoli L. Settimio Severo e M. Aurelio Antonino Caracalla), giorno di sabato, luna XVIII. L’esame del testo ha condotto, però, a diverse cronologie: interpretato come oroscopo è stato riferito alla nascita reale dell’iniziato o, piuttosto, alla sua nascita mistica cioè all’iniziazione ai riti mitraici. Stabilendo, quindi, che a quella data il mitreo già esistesse, ne è stata fissata la fondazione alla fine del II sec. d.C. Intendendo, invece, la data indicata dall’iscrizione graffita come riferibile alla nascita dello stesso Mitra in quel luogo, essa potrebbe ricordare la dedicazione del mitreo. Tale indicazione costituirebbe un unicum in ambito romano e potrebbe essere riconducibile ad una propizia congiuntura astrale.

Alla seconda fase, databile al 220 d.C. sono riferibili la costruzione del bancone nel vestibolo, il restauro di diversi elementi di prima fase e l’acquisizione dei tre ambienti a nord.

La chiesa venne completamente ristrutturata per il Giubileo del 1600 (facciata, altare maggiore e pilastri che racchiudono le antiche colonne).

Chiusa al culto nel 1798 durante l'occupazione francese, la chiesa venne poi riaperta e affidata agli agostiniani

Nel 1933, nell'area della chiesa vennero condotti degli scavi archeologici che misero in luce i resti della domus romana del I secolo e, nel 1940, anche di un mitreo.

Dalle fonti risulta che la chiesa vera e propria venne costruita tra il IV e il V secolo e, nei documenti successivi, menzionata come titulus Aquilae et Priscae

Venne restaurata da papa Adriano I (772-795)

Nella navata si trova un Capitello-fonte del I secolo, che un tempo si conservava nella cripta. Una leggenda narra che san Pietro battezzò santa Prisca proprio in questo fonte.

La pala d’altare è del Passignano (che si chiamava in realtà Domenico Cresti). Il dipinto è del 1600 ca. ed è quindi contemporaneo delle tre opere dipinte dal Caravaggio per la cappella di San Matteo in San Luigi dei Francesi. Vi si vede che Pietro battezza Prisca, mentre altri personaggi assistono alla scena.

Nei due grandi affreschi nelle pareti dell’abside sono rappresentati a sinistra il martirio di Santa Prisca ed, a destra, la traslazione delle sue reliquie da parte di papa Eutichiano. Entrambi sono opera di Anastasio Fontebuoni (inizi del XVII secolo).

Del Fontebuoni sono anche gli affreschi di santi e di angeli che reggono gli strumenti della passione sopra le colonne della navata centrale.

2.4/ Il Carcere Mamertino e l’abbraccio di Pietro e Paolo sulla via Ostiense

- nuovi scavi con riapertura nel luglio 2016, diretti da Patrizia Fortini

blocchi di tufo delle Mura Serviane (quelle dei re di Roma), e all’exploit di resti dell’epoca arcaica tra il IX e l’VIII secolo a.C.

resti di un luogo di culto precedente alla prigione

una antichissima stipe votiva, riutilizzata da Augusto (14 d.C.) quando il sito venne monumentalizzato: «Qui si venerava un culto legato al mondo sotterraneo degli Inferi», spiega la Fortini. Sono state proprio le offerte votive a regalare la scoperta più inaspettata: limoni, con tanto di polpa cristallizzata, del I secolo d.C. «Fino ad oggi si pensava che i limoni fossero stati portati dagli arabi nel IX secolo d.C. - riflette la Fortini - Questa invece è la prima documentazione di limoni di tutto il Mediterraneo in un contesto archeologico». Con i limoni, tutti semi di frutta autunnale, tra vite, ulivo, corniolo, nocciole. Ma anche feti di maialini.

La suggestione di questo sito sta nelle sue trasformazioni. In età imperiale il Tullianum viene inglobato dal “carcer”: «Il luogo per eccellenza legato al culto degli Inferi diventa luogo di reclusione, dove i detenuti sono relegati al mondo dei morti», dice la Fortini.

- due livelli

Il Carcer Tullianum è stato il primo carcere di massima sicurezza nella storia. Si compone di due piani sovrapposti: il Tullianum, ambiente più profondo di forma circolare che risale all’età arcaica, ed il Carcer di età repubblicana.

In epoca romana, nel Tullianum venivano lasciati morire i grandi nemici del popolo romano

antiche Scale Gemonie (Scalae Gemoniae) dove anticamente venivano esposti al piccolo ludibrio i cadaveri di coloro che venivano strangolati nel carcere o gettati dalla Rupe Tarpea, della quale non si ha ancora una identificazione certa. Qui venivano esposti i corpi degli uccisi per dare spettacolo e anche come deterrente. La pena di morte, tragicamente, per tantissimo tempo ha fatto parte della giustizia ordinaria.
L’ubicazione non è casuale. Le fonti letterarie attestano che i cortei trionfali degli imperatori, prima di salire a venerare gli dei della triade capitolina in Campidoglio, abbandonassero qui i prigionieri che dovevano essere uccisi, perché fossero rinchiusi, in attesa dell’esecuzione nel carcere. Questa fu la sorte di Giugurta, il re della Numidia, nel 104 a.C., di Vercingetorige, re dei Galli, decapitato nel 49 a.C., di Seiano, ministro di Tiberio, decapitato nel 31 d.C., dei capi della rivolta giudaica repressa da Vespasiano e Tito.

Trasformato in Chiesa: altare, mano del Padre benedicente nel Tullianum

Nel carcer: Cristo che “abbraccia” Pietro

il più antico affresco della Madonna della Misericordia del XIII-XIV secolo che con il suo manto protegge gli uomini.

Il carcere Mamertino prende il nome probabilmente da Mamers (dio sabino corrispondente al latino Marte; doveva esserci un tempio dedicato al dio Marte nelle vicinanze). La fondazione si fa risalire al VII secolo a.C. –secondo la tradizione, il fondatore fu Anco Marcio - ma venne restaurato negli anni fra il 12 e il 40 d.C., cioè venti anni prima dell’arrivo di Pietro e Paolo a Roma. La datazione risulta dai nomi dei consoli che sono ancora chiaramente leggibili sulla trabeazione, C.Vibio Rufino e M. Cocceio Nerva, perché i romani datavano gli anni con le due magistrature consolari che venivano elette ogni anno.

Nel Tullianum troverete una colonna dove, sempre secondo la tradizione, sarebbe stato legato san Pietro e sarebbe sgorgata una sorgente miracolosa con l’acqua della quale poté battezzare i suoi carcerieri Processo e Martiniano, insieme ai loro compagni.

Sia che questa storia sia una leggenda, sia che contenga un qualche elemento di verità, la cosa importante è riaffermare che la testimonianza del martirio fa nascere nuovi cristiani, come dice Tertulliano: Sanguis Martyrum, semen Christianorum (“il sangue dei martiri è il seme da cui nascono i nuovi cristiani”).

- potrebbe avervi scritto le lettere dalla prigionia

dalla Lettera di Paolo ai Filippesi 4,12
Vi salutano i fratelli che sono con me. Vi salutano tutti i santi, soprattutto quelli della casa di Cesare.

In alcune delle sue lettere (Filemone, Filippesi, Colossesi), Paolo fa chiaramente riferimento ad una situazione di prigionia nella quale egli si trova. Tali lettere vengono perciò abitualmente designate come “lettere dalla prigionia”. Secondo il racconto degli Atti, Paolo venne recluso sia a Gerusalemme – e successivamente a Cesarea Marittima - in occasione del suo appello a Cesare per potersi recare nell’urbe, sia a Roma stessa. Tradizionalmente le lettere paoline scritte dalla reclusione vengono ambientate nel corso della prigionia romana, ma sempre più si fa strada l’ipotesi che potrebbero essere invece state spedite da Efeso, nel corso di un ulteriore periodo di detenzione subito dall’apostolo.
In particolare, la lettera ai Filippesi, fa riferimento alla presenza di cristiani appartenenti “alla casa di Cesare”.
Se la lettera fosse stata scritta da Roma, si tratterebbe di convertiti al cristianesimo fra i dipendenti del Palazzo imperiale, mentre, se la redazione è avvenuta in Efeso, si tratta di dipendenti dell’autorità romana nella città dell’Asia minore.

2.5/ Le Tre Fontane

«Decapitarono Paolo presso il fondo delle Acque Salvie, vicino all’albero del pino». Così recita il testo apocrifo degli Atti di Pietro e Paolo, scritto fra il V ed il VII secolo. Acquae Salviae è un toponimo che ricorda la gens Salvia (il cui rappresentante più famoso è l’imperatore Marco Salvio Otone che regnò per un brevissimo periodo nell’anno 69 d.C.) che poteva avere avuto il possesso di quei terreni, oppure una sorgente d’acqua ritenuta “salvifica” in età romana, a motivo di una particolare presenza benedicente di divinità pagane.

Metà VII secolo De locis sanctis martyrum quae sunt foris civitatis Romae

Atti del I concilio Lateranense sotto papa Martino I nel 649

Bernardo di Clairvaux lo ricevette da papa Innocenzo II (contro Anacleto II, scisma del 1130)

Solo successivamente il luogo prese il nome delle “Tre fontane”, quando si volle sottolineare la triplice sorgente d’acqua miracolosa sorta al contatto con il capo dell’apostolo decapitato, nella quale, al di là dell’oggettività del fatto, è da vedere la verità che già Tertulliano aveva enunziato (appena vista sopra): «Sanguis martyrum, semen christianorum», il sangue dei martiri è il seme che dà la vita a nuovi cristiani.
-è significativo che il luogo del martirio di Paolo sia un luogo anche nascosto; lo portarono probabilmente alle Acque Salvie non per volontà dell’apostolo, ma per quella dei suoi carnefici. Colui che fu notissimo al mondo, colui che visse per decenni sotto i riflettori della storia, colui che percorse l’impero per annunciare il nome di Cristo, accettò poi di morire lontano dagli occhi degli uomini, per dire in semplicità ancora una volta, e questa volta pienamente, il suo amore per Cristo, la sua fiducia nel Risorto, la certezza che il Signore lo avrebbe fatto con-risorgere con lui. E da questa testimonianza il mondo continua a trarre vita, giungendo a credere al Signore della storia.

Chiesa del Martirio di San Paolo

- l’edificio attuale risale al 1599, opera di Giacomo della Porta commissionata dal cardinale Pietro Aldobrandini, su edifici precedenti

- il pavimento del vestibolo è in parte occupato da un mosaico, già esistente sul luogo al tempo della costruzione della chiesa e che è stato lasciato dove era. Sul pavimento della chiesa, invece, è stato posto un mosaico romano ritrovato a Ostia Antica che risale al II secolo d.C. ed è dedicato alle Quattro stagioni, reca infatti le iscrizioni: VER (primavera) – AESTAS (estate) – AUTU(MNUS) (autunno) – HIEMS (inverno). Fu donato alla chiesa da papa Pio IX.

-I due altari delle cappelle sono sormontati da dipinti; quello di sinistra, sull’altare dedicato a San Pietro, raffigura la copia della “Crocifissione” di Guido Reni (1575-1642) il cui originale è conservato nella Pinacoteca Vaticana, dopo che i Francesi l’avevano portato a Parigi per effetto del Trattato di Tolentino (19 febbraio 1797) e poi riconsegnato nel 1815, l’altare di destra è invece dedicato a San Paolo ed è sormontato dalla pala della Decapitazione, opera del bolognese Bartolomeo Passarotti (1529-1592).

- Sulla sinistra dell’altare di San Paolo, si trova la colonna tronca dove la tradizione vuole sia stato legato l’Apostolo durante il martirio.

- Le tre Fontane si trovano allineate lungo la parete della navata, a uguale distanza l’una dall’altra ma a diverso livello dal pavimento, disposte in edicole a nicchia. Le fonti, chiuse dal 1950, sono sormontate da tabernacoli concepiti dal della Porta, all’interno di colonne di marmo nero

La Chiesa Abbaziale (cfr. gli studi di A.M. Romanini)

La consacrazione della Chiesa avvenne nel 1221 ad opera di papa Onorio III: sulla parete della navata sinistra è visibile la lapide che ricorda l’avvenimento. Essa è stata dedicata a Sant’Anastasio, come la preesistente, e solo nel 1370 fu detta “dei santi Anastasio e Vincenzo”, quando le reliquie di quest’ultimo, martire spagnolo, giunsero al monastero delle Tre Fontane.

Della struttura su cui è stata edificata la chiesa attuale rimangono alcune testimonianze sul pavimento della navata sinistra, all’inizio del transetto, custodite sotto lastre di vetro: si tratta di resti risalenti al VII secolo. È difficile comunque stabilire la precisa ubicazione e le dimensioni della primitiva chiesa. Presumibilmente è l’attuale sacrestia quello che ne rimane, con la volta romanica realizzata con costoloni di peperino incrociati e due affreschi sulle lunette contrapposte, che rappresentano la nascita di Gesù e l’incoronazione della Vergine.

La chiesa dei Santi Vincenzo e Anastasio è stata edificata secondo le regole stilistiche cistercensi, che richiedevano caratteri di sobrietà e austerità

Non per questo, però, è venuta meno la ricerca della bellezza e dell’equilibrio, sempre presenti nello stile “bernardino”, ossia “romanico-borgognone”; tanto da rappresentare uno dei monumenti più interessanti dell’architettura medioevale romana di transizione ed ebbe una notevole influenza anche nello sviluppo dell’arte gotico-cistercense in Italia. A differenza delle abitudini del tempo, che vedeva utilizzato materiale preso da edifici in rovina, per la costruzione della chiesa venne utilizzato il mattone di tipo lombardo, probabilmente perché, come riferisce Aristide Sartorio, per la costruzione vennero chiamati artisti lombardi, presumibilmente gli stessi che avevano partecipato ai lavori di realizzazione dell’Abbazia di Chiaravalle. In più appaiono, tra le prime in Italia, le volte a sesto acuto.

All’interno, la pianta della chiesa si sviluppa a croce latina, con abside quadrata e cappelle laterali e si compone di tre navate; la maggiore delle quali, quella centrale, è realizzata in laterizio e prevedeva una copertura con volta ad arco, ma il cedimento delle pareti costrinse ad ultimare i lavori con semplici capriate a vista.

Decorazioni affrescate sono presenti sia sui pilastri laterali, dove sono state realizzate figure degli Apostoli, riprodotti da un lavoro in chiaroscuro che Raffaello realizzò per un salone del Vaticano, sia sui pilastri di fondo della navata centrale in cui sono stati raffigurati “il battesimo nel Giordano” e “Cristo e la Maddalena

Arco di Carlo Magno

La costruzione risale presumibilmente al tempo di papa Onorio III (XIII secolo) con esplicite funzioni di difesa: questo si intuisce dalla presenza, sui montanti dell’arco marmoreo di centro, di solidi cardini a sostegno di una pesante porta.

La costruzione è chiamata Arco di Carlo Magno perché verso il XIII secolo le pareti interne, quelle laterali tra il primo e il secondo arco, vennero affrescate con un ciclo decorativo, oggi quasi completamente scomparso, a ricordo dell’episodio della donazione all’abbazia di alcune proprietà in Maremma e nell’arcipelago toscano da parte di Leone III e Carlo Magno, fatta nell’anno 805, per la miracolosa intercessione delle reliquie di Sant’Anastasio, conservate alle Tre Fontane, che contribuirono alla conquista di Ansedonia. Non si è persa la memoria di questi affreschi per via di una riproduzione ad acquerello eseguita da Antonio Eclissi nel 1630, ora custodita presso la Biblioteca Apostolica Vaticana.

L’interno della struttura risulta decorato anche con altri affreschi, di cui oggi rimangono in discrete condizioni le figure dei quattro Evangelisti e dei loro simboli, ai lati della volta, tra il primo e il secondo arco e l’immagine di Cristo, oggi scomparsa, al centro della volta; sopra l’arco centrale restano parti delle figure della Madonna, San Benedetto, San Bernardo e altri Santi.

2.6/ La basilica di San Paolo

I recenti scavi nella basilica di San Paolo fuori le Mura: il sarcofago di San Paolo, la primitiva abside costantiniana e la basilica dei Tre imperatori, dell’archeologo Giorgio Filippi

La basilica sorge sul sepolcro dell’Apostolo nella via Ostiense, ove alla fine del II secolo il presbitero romano Gaio, nella citazione di Eusebio, segnalava l’esistenza del tropaion eretto a testimonianza del martirio di Paolo. Nel luogo si avvicendarono, nel corso del IV secolo, due edifici, quello "costantiniano" e quello "dei tre imperatori", legati al pellegrinaggio devozionale alla tomba dell’Apostolo e utilizzati per scopi cimiteriali e liturgici.
L’unica documentazione riferibile alla situazione archeologica del monumento consiste in pochi disegni e schizzi con misure, di interpretazione talvolta enigmatica, redatti dagli architetti Virginio Vespignani (1808-1882) e Paolo Belloni (1815-1889), dopo l’incendio del 1823, durante gli scavi per la nuova confessione (1838) e la posa delle fondamenta del baldacchino di Pio IX (1850). I resti archeologici allora rinvenuti non furono più visibili successivamente perché in parte distrutti e in parte obliterati dall’attuale Confessione.
Che la Basilica di S. Paolo fosse sorta sulla tomba dell’Apostolo è un dato incontrovertibile nella tradizione storica, mentre l’identificazione del sepolcro originario è una questione rimasta aperta. La Cronaca del Monastero parla di un grande sarcofago marmoreo rinvenuto durante i lavori di ricostruzione della basilica dopo l’incendio del 1823, nell’area della Confessione, sotto le due lastre iscritte PAVLO APOSTOLO MART[YRI], di cui però non esiste traccia nella documentazione di scavo, a differenza degli altri sarcofagi che furono scoperti e rilevati nella stessa occasione, tra cui il famoso "dogmatico" oggi conservato nei Musei Vaticani.
Le indagini archeologiche nell’area tradizionalmente considerata il luogo di sepoltura dell’Apostolo, iniziate nel 2002 e terminate il 22 settembre 2006, hanno permesso di riportare alla luce un importante contesto stratificato, formato dall’abside della basilica costantiniana, inglobata nel transetto dell’edificio dei Tre Imperatori: sul pavimento di quest’ultimo, sotto l’altare papale, è stato riscoperto quel grande sarcofago del quale si erano perse le tracce e che veniva considerato fin dall’epoca teodosiana la Tomba di S. Paolo.
Tali esplorazioni avevano il fine di verificare la consistenza e lo stato di conservazione dei resti della basilica costantiniana e teodosiana sopravvissuti alla ricostruzione dopo l’incendio e di proporne la valorizzazione a fini devozionali. Dal 2 maggio al 17 novembre di quest’anno si è ultimato, nell’area della Confessione, il Progetto di accessibilità alla Tomba di S. Paolo. Dopo aver smontato l’Altare di S. Timoteo si è scavata l’area sottostante per riportare alla luce, sull’intera superficie di circa 5 mq, l’abside della basilica costantiniana. Per raggiungere i resti del IV secolo si è scavato materialmente dentro il nucleo murario della moderna platea di fondazione che aderisce perfettamente alle strutture antiche, sia in fondazione che in elevato, fino a raggiungere il punto di distacco tra la parte antica e quella moderna rilevabile dal differente colore della malta, rosata quella del XIX secolo e grigia quella del IV secolo.

Poiché la quota del transetto dei Tre Imperatori, sul quale giace il sarcofago di S. Paolo, è più alta rispetto al piano dell’attuale Confessione, è evidente che qui il piano è stato demolito in occasione dei lavori del XIX secolo. Il massetto invece si conserva, resecato a forma di gradino, dietro l’altare di Timoteo, dove è strutturalmente incorporato nel muro moderno che delimita il lato est della Confessione. Al momento dei lavori del XIX secolo, poiché la cresta dell’abside presentava probabilmente alcune parti instabili, queste furono rimosse avendo prodotto l’effetto di un gradino nell’emplecton, di circa 10 cm. di altezza e pari a due file di mattoni, che inizia sul bordo interno dell’abside della quale ricalca l’andamento curvilineo. Sulla fronte del gradino si vedono le impronte lasciate nell’opera cementizia dai mattoni da cortina rimossi.
Per raggiungere la quota pavimentale costantiniana si è rimossa la metà sud del settore absidale. Nello scavo non si sono rinvenuti altri reperti archeologici se non resti di murature. Per aumentare la visuale sul sarcofago di S. Paolo si è allargato fino a m. 0,70 il vano attraverso la muratura del XIX secolo già aperto durante i lavori del 2002-2003. È stato possibile rilevare le dimensioni del sarcofago: cassa lunga circa m. 2,55, larga circa m. 1,25 e alta m. 0,97; coperchio alto circa m. 0,30 e spesso nel bordo anteriore m. 0,12. La porzione dell’abside scoperta costituisce l’unica testimonianza visibile della Basilica attribuita comunemente a Costantino.
Rimane aperto il problema topografico del rapporto tra la basilica e il pavimento stradale rinvenuto nel 1850 immediatamente ad ovest dell’abside costantiniana. Il Belloni vi riconobbe l’antica via Ostiense, che sarebbe stata trasferita nella sede attuale per ordine dei Tre Imperatori, ma non rilevò la quota di quel selciato. A questo riguardo risulta di particolare interesse la scoperta, all’interno dell’abside costantiniana, di alcuni grandi blocchi di basalto reimpiegati come materiale da costruzione nelle fondazioni della basilica dei Tre Imperatori.
Per quanto riguarda la pianta della basilica costantiniana, poiché non abbiamo altri elementi al di fuori delle nuove misurazioni dell’abside, è prematuro fare nuove ipotesi, salvo che confermare le modeste dimensioni dell’edificio. Il piano di cocciopisto scoperto sopra la quota di rasura dell’abside costantiniana corrisponde al transetto dei Tre Imperatori (390 d.C.) sul quale poggia il grande sarcofago che segnalava la Tomba dell’Apostolo all’epoca della costruzione della nuova grande basilica, ed era delimitato da un podio presbiteriale monumentale, come lascerebbe supporre la poderosa platea di fondazione spessa m. 1,66, che grava direttamente sul pavimento dell’abside costantiniana. Non è escluso che all’interno di tale fondazione possano esservi i resti del tropaion eretto sulla tomba dell’Apostolo Paolo.
Si può ritenere che tra il 1838 e il 1840 nell’area della Confessione sia stato rimosso o demolito tutto ciò che poggiava sul pavimento dei Tre Imperatori. Per gettare le fondazioni del nuovo presbiterio e dell’altare papale fu persino spostato il sarcofago di S. Paolo. Nell’area indagata non sono stati finora rinvenuti, tra il livello pavimentale del 390 e la fondazione del 1840 resti di strutture riferibili ad altre epoche.

La basilica di San Paolo è l’unica delle quattro basiliche giubilari romane ad essere ancora preceduta da un quadriportico. Tale struttura, in età paleocristiana, era un luogo di collegamento fra la città cosmopolita e la comunità cristiana. In particolare, i catecumeni che partecipavano tutte le domeniche all’ascolto della Parola insieme ai fedeli, inserendosi così nell’Eucarestia ancor prima di essere battezzati, ne uscivano però quando cominciava la seconda parte della messa, la liturgia eucaristica, ed i catechisti li istruivano nel quadriportico, dove riecheggiavano a breve distanza i canti e le preghiere dei già battezzati. Terminata la liturgia, tutti si ritrovavano insieme in questo spazio che era quindi liturgicamente molto significativo.

Il monumentale quadriportico odierno ha al centro l’ottocentesca statua di san Paolo, che lo raffigura secondo un’iconografia stabilita fin dai primi secoli del cristianesimo: egli regge una spada che ricorda lo strumento con cui venne decapitato. Nell’altra mano ha un volume a ricordo delle lettere che Dio gli ispirò perché divenissero sua Parola per la vita dei credenti.

In un angolo del quadriportico sta, invece, la statua di san Luca. L’evangelista accompagnò Paolo a Roma, come indicano le cosiddette “sezioni-noi” degli Atti degli Apostoli, i brani cioè nei quali l’autore del libro, Luca, cammina al fianco dell’Apostolo. Il simbolo dell’evangelista è il toro. Più che preoccuparsi di determinare perché proprio quell’animale rappresenti Luca, vale la pena ricordare che i 4 esseri viventi, passati poi ad indicare gli evangelisti, rappresentano in Ezechiele e nell’Apocalisse i quattro punti cardinali nei quali l’Arca di Dio si dirige e dai quali l’Agnello di Dio è adorato: insomma quei 4 simboli, applicati ai Vangeli, indicano che l’annunzio della fede è per il mondo intero.

La Porta Centrale venne fatta eseguire da padre Schuster (allora abate della basilica): reca una gigantesca croce e le immagini della vita e del martirio di Pietro e Paolo.

A destra è collocata la Porta Santa. Essa è antichissima e per ammirarla pienamente dal lato più lavorato bisogna entrare nella chiesa. Fatta eseguire a Costantinopoli da Staurachio di Scio nel 1070, è composta da cinquantaquattro pannelli bronzei incisi, disposti su nove registri, e svela un programma iconografico di stile bizantino. I primi dodici pannelli in alto a sinistra illustrano le dodici feste della liturgia bizantina e possono aiutare a riscoprire con spirito ecumenico la grande ricchezza dell’Oriente cristiano.

Ad esempio, il terzo pannello della quarta fila rappresenta la Pentecoste: i dodici Apostoli sono raccolti intorno ad una porta dalla quale esce il Kosmos, quale immagine del mondo che emerge dall’oscurità per ricevere dalla Chiesa l’annuncio della salvezza.

Il monumentale arco trionfale ripete nella lavorazione ottocentesca lo schema iconografico presente nella basilica antica, con la rappresentazione del capitolo più importante dell’Apocalisse, il quinto. Cristo è al centro - nell’Apocalisse, sotto forma di agnello, qui con il viso radioso - adorato dai 4 esseri viventi e dai 24 vegliardi, rappresentanti i 4 angoli della terra ed il popolo di Dio erede dei 12 figli di Giacobbe e dei 12 apostoli del Signore.

Il catino absidale originario, di cui l’attuale ripete l’iconografia, venne realizzato sotto papa Onorio III (1216-1227), raffigurato ai piedi del Cristo. Al centro troneggia Cristo benedicente che mostra il libro sul quale è incisa la frase: «Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo» (Mt 25,34).

Alla sinistra san Pietro accompagnato dal fratello Andrea, e alla destra san Paolo accanto all’evangelista Luca, autore degli Atti degli Apostoli e testimone dell’evangelizzazione romana di Paolo. Nella fascia inferiore due angeli e gli altri apostoli, ognuno con un cartiglio che recita una frase del Gloria, a partire dal primo angelo a destra che dice Gloria in excelsis Deo.

Al centro della fascia si erge l’Hetimasia, cioè il trono di Dio con gli strumenti della passione allusiva del giudizio finale nel quale la croce di Cristo “peserà” a salvezza dei peccatori.

Vicino al trono si intravedono i due committenti (il sacrista Adinolfo e l’abate Giovanni Caetani), mentre dal basso non è visibile la raffigurazione dei Santi Innocenti, i primogeniti di Betlemme uccisi da Erode. La parte bassa del mosaico, molto più bella, è l’unica sopravvissuta all’incendio.

Il fulcro della devozione è posto sul sepolcro dell’Apostolo cui si sovrappone l’altare, poiché nella celebrazione eucaristica la Chiesa del cielo e quella peregrinante in terra si uniscono.

Scendendo si può oggi vedere con i propri occhi il sepolcro di Paolo.

Il ciborio sottolinea la presenza dell’altare. Vi sono scolpiti i santi Pietro e Paolo, san Benedetto (o l’abate Bartolomeo) e san Timoteo, il primo in memoria del fondatore dell’ordine che presiede a tutt’oggi il Monastero di San Paolo, mentre il secondo ricorda il più fedele discepolo di Paolo.

Sui pennacchi degli archi sono raffigurati, insieme all’offerta del ciborio a san Paolo da parte dell’abate Bartolomeo, tre coppie di personaggi dell’Antico Testamento: Adamo ed Eva che compiono il peccato originale, Caino e Abele che sacrificano i prodotti delle greggi e dei campi a Dio, Davide e Salomone. Il ciborio fu scolpito da Arnolfo di Cambio intorno al 1285.

Per ripercorrere le tappe della vita di san Paolo un ciclo di 36 affreschi corre lungo la parte alta delle pareti della navata centrale e del transetto, dipinti per volere di Pio IX nel 1857.

Dove ha inizio questo ciclo di affreschi si sviluppa parallelamente una serie di ritratti di papi a partire da san Pietro: la sequenza ovviamente non ha finora un termine, perché viene aggiornata con l’immagine di ogni nuovo papa eletto.

La prima cappella a sinistra dell’abside conserva il crocifisso della fine del XIII secolo (attribuito da alcuni studiosi al Cavallini), che secondo la tradizione parlò nel 1350 a Santa Brigida di Svezia, una delle sante che più vissero il desiderio di unità dei cristiani.

Nella stessa cappella, nel 1541, dinanzi all’icona della Vergine con il Bambino ancora presente, Ignazio di Loyola e i suoi primi compagni fecero la loro professione religiosa di gesuiti.

Il cero pasquale

Il candelabro pasquale rappresenta la vittoria della luce di Cristo sul peccato e sulla morte. Fu scolpito dai Vassalletto tra la fine del XII e l’inizio del XIII secolo e si salvò dall’incendio del 1823. Il basamento presenta quattro figure che afferrano al collo coppie di animali simbolici (sfingi, montoni e leoni) da interpretare quale raffigurazione della sconfitta del male.

Seguono alcune fasce con animali e motivi vegetali. La figura di vendemmiante che compare tra i racemi vuole ricordare la ciclicità del lavoro dell’uomo, illuminata dalla storia della salvezza.

Salendo ancora si vedono tre fasce “storiche”.

Nella prima è raffigurata la cattura di Cristo da parte di guardie in armatura cui si accompagnano, alla sinistra di Gesù, due volti raffiguranti un sommo sacerdote e Giuda (quasi figura demoniaca) a ricordare il complotto che portò all’arresto. Il racconto prosegue con Caifa nel Sinedrio che, con il libro sacro alla mano, giudica Cristo colpevole, seguito dalla derisione di Cristo, legato mani e piedi ad un trono, con in mano una canna quale scettro, beffeggiato da soldati.

La fascia sovrastante raffigura Cristo portato da Caifa a Pilato. A Pilato che si lava le mani segue la Crocifissione con i due ladroni nelle croci più piccole, Maria alla destra e Giovanni alla sinistra di Gesù, personaggi recanti i simboli della passione.

L’ultimo registro narrativo raffigura la Resurrezione: i soldati addormentati vicino al sepolcro si confondono con gli angeli reggenti la mandorla entro la quale avviene l’Ascensione, dove Cristo appare in tutta la sua maestà, seduto sopra l’arcobaleno, con una mano benedicente e uno scettro nell’altra.

L’iscrizione recita: Arbor poma gerit. Arbor ego lumina gesto. Porto libamina. Nuntio gaudia, sed die festo. Surrexit Christus. Nam talia munera p[rae]sto (L’albero reca i frutti. Io sono un albero che reca luce. E doni. Annunzio gioia in un giorno di festa. Cristo è risorto. Ed io offro tali doni).

- cfr. gli scavi sulle fortificazioni della basilica dopo gli attacchi musulmani arabi dell’846

3.1/ Quasi per concludere: Caravaggio e la Conversione di Paolo

Caravaggio e le Storie di San Matteo nella cappella Contarelli: un’introduzione alla visita, di Andrea Lonardo

Spostare Pietro da sinistra a destra per evidenziare il rimando all’eucarestia: la posizione della Crocifissione di san Pietro in Michelangelo ed in Caravaggio, dalla prima alla seconda versione della cappella Cerasi, di Andrea Lonardo

Cappella Paolina. Quell’ultimo sguardo rivolto all’Eucaristia. Nell’affresco di Michelangelo, gli occhi di Pietro prima del martirio sono puntati verso l’altare. Un’idea fatta propria anche da Caravaggio, di Andrea Lonardo

Cfr soprattutto Caravaggio: un pittore controriformista? (pp. 73-80), La Cappella Paolina in miniatura per il cardinale Cerasi (pp. 129-136), Nella Madonna dei Pellegrini il classico incontra il moderno (pp. 171-178), A casa di san Filippo (pp. 213-220), I luoghi di Caravaggio a Roma (insieme a Ernesto Maria Giuffrè , pp. 254-259), Tornare per desiderio nella Roma papale dopo l’esperienza crociata maltese (pp. 263-269), in Michelangelo da Caravaggio che fa a Roma cose meravigliose, A. Rodolfo (a cura di), Edizioni Musei Vaticani, Città del Vaticano, 2014.

3.2/ Sintesi Paolo e Roma 

- accettazione della critica storica (cfr. la questione del “volo notturno del profeta”)

- la critica è quella di una frattura originaria, non moderna

- Gesù non avrebbe voluto la Chiesa (cfr. Cyrano: senza la Chiesa non c’è rivelazione)

- Gesù solo un ebreo che rivede l’idea di Dio (secondo alcuni nemmeno quello, anzi un rivoluzionario)

- proprio il Saulo pre-cristiano dimostra quanto siano false le tesi di Vassalli e consimili 

Non è stato Paolo a cambiare il cristianesimo, ma Gesù a cambiare Paolo, di Andrea Lonardo
 “Ultimo fra tutti Cristo risorto apparve anche a me come a un aborto” (1 Cor 15, 8). Paolo descrive qui se stesso, prima della conversione sulla via di Damasco, come una vita non nata, come un’esistenza non giunta alla gioia della nascita. Egli ha cominciato a vivere solo dopo l’incontro con il Signore.
Chi è stato veramente Paolo e qual è la radice ultima che lo portò alla decisione di arrivare a Roma e di giungere fino al martirio nell’urbe? Per chi vorrebbe, snaturando gli scritti neotestamentari, che Cristo sia stato solo un rabbino fra i tanti maestri del suo tempo, non resta che affermare che Paolo è il secondo fondatore del cristianesimo o ne è addirittura l’iniziatore stesso, colui che ha ellenizzato il cristianesimo, colui che ha portato a tutti – contro le stesse intenzioni di Gesù, a loro dire – il messaggio del rabbì di Galilea.
Secondo altri egli avrebbe, invece, giudaizzato il cristianesimo, reinserendo in esso gli elementi liturgici e ministeriali dei quali un Gesù in versione liberale avrebbe fatto piazza pulita in episodi come la cacciata dei mercanti del Tempio (il tutto sostenuto con un’esegesi a dir poco approssimativa di quel passo). Altri ancora, invece, sulla scia di una certa interpretazione della Riforma, lo vedrebbero come l’unico vero interprete di Gesù, a motivo dell’accentuazione paolina dei temi della grazia e della misericordia che renderebbero superflua – a loro dire – ogni esigenza morale del cristianesimo.
La testimonianza stessa di Paolo indica, invece, con precisione una via totalmente differente: non è stato l’apostolo a trasformare il Signore, ma è stato Gesù a cambiare Paolo! Egli che non aveva mai vissuto, ha trovato la vita sulla via di Damasco.
La cecità fisica, sperimentata da Paolo in quell’occasione, ha un suo corrispettivo interiore nell’accorgersi in quel giorno di non aver mai visto niente nel giusto modo. È solo l’incontro con la chiesa, l’invio a lui di Anania ed il dono sacramentale del battesimo, a far sì che egli cominci a vedere, che egli abbia la vista.
Il cavallo che la tradizione iconografica ha voluto aggiungere al racconto degli Atti non è in dissonanza con questo, ma rappresenta in maniera straordinaria e vera l’accaduto a partire dal simbolo. L’elegante e possente animale è sempre stato immagine di potenza. Gli imperatori, i re, i nobili, hanno sempre voluto essere rappresentati in sella – si pensi solo al Marco Aurelio del Campidoglio – a manifestare la loro autorità. Caravaggio e Michelangelo a Roma, insieme a tanti altri prima e dopo di loro, hanno voluto sottolineare il rovesciamento dei valori avvenuto nell’esistenza di Paolo in quel giorno. Cristo lo aveva disarcionato, smontato dalla sua sicurezza. Gli aveva rivelato il suo essere ‘come un aborto’.
Questo non significa dimenticare i tratti ebraici o greci di Paolo, ma tutto, in quel giorno, assunse un diverso significato. Paolo era ancora ebreo, Paolo era ancora greco e romano. Ma Paolo era divenuto cristiano.
Vengono qui in mente le famose espressioni di G. K. Chesterton quando scriveva che l’eresia non è necessariamente una affermazione falsa, ma più spesso è una verità che dimentica tutte le altre verità. E continuava sostenendo che il cattolicesimo è l’unico luogo dove tutte le verità si danno appuntamento. Ha senso parlare di un Paolo ebreo, di un Paolo che conosce a menadito le Scritture, è lecito parlare di un Paolo impregnato di cultura ellenistico-romana, pensando ad episodi come la discussione avvenuta all’Areopago di Atene o ancora all’uso della Bibbia nella sua versione greca elaborata dai rabbini di Alessandria d’Egitto. Ma l’evento che è la chiave di volta per capire l’uno e l’altro è ormai il suo rapporto con il Signore Gesù, è l’incontro sulla via di Damasco.
È così importante quella svolta nella vita di Paolo che Luca, negli Atti, la descriverà ben tre volte (At 9, 1-18; 22, 1-21; 26, 2-23). Paolo stesso nel suo epistolario vi farà continuamente riferimento (1 Cor 9, 1; 1 Cor 15, 8; 2 Cor 4, 6; Gal 1, 11-16; Fil 3, 7-14; Ef 3, 1-12; 1 Tim 1, 11b-17). Se Paolo fu per nascita ebreo e romano, formato nella tradizione ebraica e nella cultura greca, ciò che lo segnò in maniera radicale fu il suo diventare cristiano.
Quel giorno nacque in lui la vocazione che lo spinse poi fino a Roma. Come gli disse sulla via di Damasco il Signore: «Va’, perché io ti manderò lontano, tra i pagani» (At 22, 21).

Raggiungere Roma è stato, per Paolo, un sogno lungamente atteso e preparato. Si è calcolato che Paolo abbia percorso a piedi, a cavallo o in barca 16.500 km nei suoi tre viaggi apostolici e nel quarto viaggio, quello della prigionia, alla volta di Roma, tanta era l’urgenza che sentiva di portare il Vangelo dove non era ancora conosciuto.
Scrisse la Lettera ai Romani per preparare la comunità alla sua visita. In essa insegna che sia gli ebrei, sia i pagani, non possono giungere alla salvezza con le proprie forze - Romani e Galati sono le due grandi lettere che annunziano la bellezza e la necessità del dono della grazia. La ferita del peccato originale, infatti, è talmente evidente, che l’uomo non riesce ad amare con quell’amore che desidererebbe e si ritrova a fare spesso ciò che sa essere male, cioè il peccato.
La misericordia di Dio, però, non abbandona l’uomo ed è in grado di cambiare il cuore: ricevere l’amore di Cristo, rende capaci di amare a nostra volta.
Per la prima volta ad Efeso, nel corso del III viaggio missionario, Paolo dichiarò di voler venire a Roma: «Dopo essere stato a Gerusalemme, devo vedere anche Roma» (At 19,21). Fu al ritorno da tale viaggio che si concretizzò l’occasione per predicare a Roma. Paolo venne infatti arrestato e falsamente accusato a Gerusalemme. Per poter sfuggire al tentativo di un gruppo di integralisti giudaici che avevano fatto voto di digiunare finché non lo avessero ucciso e per sottrarsi ad un processo ingiusto si appellò a Roma (At 22,27; 25,10-12), essendo cittadino romano.
La persecuzione divenne così per Paolo un’ulteriore occasione per annunziare il Vangelo. Fu lo stesso Gesù ad apparirgli ancora una volta, mentre era recluso nella Città Santa, nella Fortezza Antonia e ad incoraggiarlo: nella notte «gli venne accanto il Signore e gli disse: “Coraggio! Come hai testimoniato a Gerusalemme le cose che mi riguardano, così è necessario che tu dia testimonianza anche a Roma”» (At 23,11).
Paolo poté così «portare il vangelo fino agli estremi confini della terra». Roma non è geograficamente il confine estremo della terra (finis terrae era piuttosto la Spagna, dopo la quale cominciava il grande Oceano), ma, essendo l’urbe il cuore dell’Impero romano, giungere lì voleva per lui dire giungere al cuore delle “genti” che non conoscevano il Vangelo. «Arrivati a Roma, fu concesso a Paolo di abitare per suo conto con un soldato di guardia» (At 28,16).