Diciannove anni, la lama, la morte... e il sacrificio di un prete “giovane”, di Fabrice Hadjadj
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Il Centro culturale Gli scritti (11/9/2016)
Il giorno dell'apertura delle Giornate Mondiali della Gioventù a Cracovia sarà ricordato anche come quello di un'altra gioventù, in Francia, a Saint-Étienne-du-Rouvray, nella prima periferia di Rouen. Perché sono proprio due giovani ad aver sgozzato padre Jacques Hamel mentre celebrava la messa di sant'Anna e san Gioacchino, dopo che, nella prima lettura, erano risuonati i versetti profetici di Geremia: «Se esco in aperta campagna, ecco le vittime della spada […] Anche il profeta e il sacerdote si aggirano per la regione senza comprendere».
E noi siamo stati sconvolti da questo “orrore”. E noi ci siamo anche vergognati di essere sconvolti, come se quanto ci era appena successo, qui, in Europa, non avvenisse quasi ogni giorno in Oriente (ah si! eravamo al corrente, i telegiornali ce l'avevano detto e ridetto, ma essere informati non è conoscere). E noi siamo rimasti storditi davanti a questa gioventù che credeva anch'essa di servire Dio.
Adel Kermiche aveva 19 anni. L'età di Giovanna d'Arco quando fu bruciata a Rouen (vicino a casa sua). Un altro giovane del suo quartiere, Bodri, di quattro anni più vecchio, lo descrive come un ragazzo gentile: «Faceva uno stage per il BAFA [Brevetto di Attitudine alle Funzioni di Animatore], era adorabile coi bambini, si comportava bene. Era poliedrico, si occupava dei laboratori di attività manuali e di quelli di danza, ed aveva una forza propositiva nell'organizzare grandi giochi». Tutte espressioni che si rivestono ora di un'ironia crudele. Si sa quale "grande gioco" Adel ha finito per proporre con forza a se stesso. Si sa quali siano stati il suo ultimo "laboratorio manuale" e la sua ultima "danza" : l'aveva imparata, come molti altri, da uno di quei video che chiunque può raggiungere in due clic; ora, lui il suo compagno e un cellulare hanno anche loro girato un video che si potrà scaricare ricercando il tag “sgozzamento rituale”.
Bisogna credere che l'“Attitudine alle Funzioni di Animatore” non sia bastata a riempire la sua esistenza. Bisogna credere che l'“Attitudine alle Funzioni di Animatore in Strutture Collettive per Minori” – tale è la denominazione completa di questa competenza brevettata dalla Direzione Dipartimentale della Gioventù e dello Sport – avesse smesso di farlo sognare… Me lo immagino Adel mentre si di occupava di quei giovani adolescenti («ti chiami Adele, come la cantante?», dovevano dirgli certi ragazzini ridacchiando). Lui li motivava per il calcio, lo hip hop, la pasta di sale. E poi eccolo che si domanda, di fronte a loro, di fronte al loro desiderio naturale di grandezza fagocitato dalle voglie artificiali della società dei consumi (consumi che sono il vuoto e la frustrazione ripetuti all'infinito senza tregua, ma che ugualmente li affascinano e dai quali si sentono frustrati: frustrati per non potere entrare nel ciclo di questa frustrazione sempre innovativa), ecco che Adel si chiede quale sia il senso di questa animazione per il nulla, di questa gioventù immolata in anticipo a un sistema che è solamente fuga davanti all'angoscia della morte…
Certo il BAFA forse per lui non era che una copertura, un modo di praticare la dissimulazione, quella taqiya prescritta da Maometto. Ma, anche se così fosse, non minore sarebbe la disperazione di questo giovane francese per il quale “Francese” – come per moltissimi altri – non voleva dire più niente nell'intercambiabilità mondiale dei lavoratori-consumatori. Per questo ha creduto di poter superare la sua angoscia provando a raggiungere il Daesh in Siria, confondendo martirio e attentato-suicida, confondendo il superamento della paura della morte nella testimonianza per la vita e la precipitazione per la quale la paura sparisce solamente perché ci si identifica con la morte stessa, perché si diventa mortiferi…
Del secondo giovane assassino, Abdel Malik Petitjean, si sa ancora poco. Il suo percorso, quando sarà conosciuto, sarà probabilmente sorgente di altre domande forse ancora più significative: lo suggerisce il suo cognome, che più francese di così non si può, e soprattutto il fatto che non soltanto è morto a 19 anni vicino a Rouen, ma anche che è nato in Lorena, riproducendo dunque nello spazio, nei suoi termini estremi, l'itinerario di Giovanna d'Arco e lasciando così sentire sino a che punto il jihadismo sia una parodia della vera gioventù combattente, e come prolifera solamente sul suo oblio.
Così questi giovani hanno perduto la loro giovinezza. Così si sono lasciati segnare dalla senilità della distruzione. La loro gioventù, tuttavia, non era lontana. L'avrebbero potuta ritrovare in quel vecchio prete di 86 anni, nella sua ingenuità, nella sua fedeltà al Dio che si è fatto bambino e che è morto giovane, portando le armi del disarmo, lasciandosi portare da quella Croce che è il vero scettro del potere, capace di dominare fino al cuore del nemico (Sal 109) – perché per dominare il nemico fino al cuore, e cioè, cosa quasi incredibile, per trasformarlo in fratello vivente e non in avversario morto, c'è soltanto la forza dell'amore umiliato.
Nella sua Summa Teologica, Tommaso d'Aquino spiega, ispirandosi a Aristotele, perché la gioventù è fonte di speranza: «Prima di tutto, i giovani hanno molto avvenire e poco passato. E, poiché la memoria porta sul passato, mentre la speranza guarda all'avvenire, essi hanno poca memoria ma molta speranza. – Di più, i giovani, a causa del loro calore naturale, abbondano in spiriti vitali, ciò che dà al loro cuore molta apertura. Ora è l'allargamento del cuore che fa tendere alle cose difficili. Ecco perché i giovani sono intraprendenti». Che cosa succede tuttavia quando un giovane ha l'impressione di non avere più alcun avvenire? Come farà il suo calore naturale a cercare una via d'uscita?
Tommaso parla qui della speranza come passione sensibile e non della speranza come virtù teologale. Dall'una all'altra, la logica che opera è la stessa. La speranza teologale è causata anche da una giovinezza soprannaturale che è quella di Dio («Dio è più giovane di tutto» dice sant'Agostino nel suo De Genesi). La promessa della vita eterna fa sì che anche un vecchio prete di 86 anni abbia sempre più avvenire che passato, e più attesa che memoria… Ha anche quel cuore allargato, non dagli "spiriti vitali", ma dallo Spirito Santo, che lo spinge alle cose grandi e ardue come Gesù nel deserto. Questa speranza si basa su Dio e non sul mondo e per questo può aprire una strada anche là dove non ci sono più speranze. E siccome ha l'eternità dalla sua parte, ha l'ardore ma anche la pazienza, un' "ardente pazienza" (che non ha nulla a che vedere con l'impaziente freddezza dei nostri sgozzatori in erba).
Tale è la nostra gioventù. Una gioventù che tuttavia si smarrisce, se non le si propongono cose grandi. Che si dissipa nelle piccolezze o nelle false grandezze. Ora a quali cose grandi sono chiamati i cristiani oggi? Perché gli è stata predicata così spesso un'umiltà a tal punto separata dalla magnanimità da sembrare solo una bassezza compiacente, molto lontana dall'eroicità alla quale un giovane cuore aspira?
Il tempo della carità ridotta ad Attitudine alle Funzioni di Animatore è finito. È giunta l'ora di ritrovare la fierezza della nostra eredità. L'ora è venuta di ritrovare il tuo onore che è di correre al combattimento per la giustizia, la clemenza e la verità (Sal 45, 5). Sapremo batterci come si deve. E avremo troppe gole per non esaurire i loro coltelli.