Sul burqini, cari postatori-facebookari-di-immagini e cari intellettuali occidentali, cerchiamo di non essere banali. Breve nota di Giovanni Amico
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Riprendiamo sul nostro sito una breve nota di Giovanni Amico. Per approfondimenti, cfr. le sotto-sezioni Islam e Dialogo fra le religioni e libertà religiosa nella sezione Cristianesimo, ecumenismo e dialogo fra le religioni.
Il Centro culturale Gli scritti (21/8/2016)
Si può discutere di un padre che decida di imporre ad una ragazza sedicenne minorenne di indossare il burkini o anche un altro abito che le lasci scoperti solo gli occhi su di una spiaggia francese. Che lo indossi, contenta, una donna di 25 anni non credo, invece, sia affatto un problema.
Ciò di cui, invece, dovrebbe occuparsi la Repubblica francese, fondata su Libertà, Fraternità e Uguaglianza, è se i maschi di famiglia della stessa sedicenne, una volta raggiunta la maggior età, le concederanno di indossare un sobrio costume se lei lo desidererà.
Ciò, invece, di cui dovrebbe occuparsi la Repubblica francese, è se i maschi di famiglia della stessa venticinquenne la lasceranno libera di frequentare, se un giorno lo desiderasse, i Dieci Comandamenti di don Fabio Rosini (è solo un esempio, ma è proprio quello che mi è venuto in mente).
Ciò, invece, di cui dovrebbe occuparsi la Repubblica francese, è se i maschi di famiglia la lasceranno libera di frequentare, se lo desiderasse un giorno, e addirittura di sposare un ragazzo non musulmano.
Se la Repubblica francese ritiene che tale liberta per le donne che vestono il burqini sia già garantita, allora discuta pure di burqini. Ma se ritenesse invece – e con lei i cari amici postatori-facebookari-di-immagini e i cari amici intellettuali occidentali – che tale libertà non è una realtà, allora cessi di fare discorsi da salotto e da spiaggia con fotine carine e ammiccanti con tanto di suore gioconde sulla spiaggia a fianco di fotine con bikini e burqini ed inizi a discutere delle questioni serie che il femminismo deve affrontare ai nostri giorni (e, con il femminismo, chiunque ha cara la libertà).
Che piaccia o no, la posizione di chi critica da decenni la Repubblica francese per il suo odio verso l’esposizione di simboli religiosi di qualsiasi fede, è la più saggia. Ma, una volta criticata giustamente la Francia per il suo rifiuto del burqini e degli altri simboli religiosi, la domanda resta comunque aperta: in Francia come in molte nazioni del mondo la donna è veramente libera? E cosa può aiutare la liberazione della donna, ove questa volesse essere più libera (e noi siamo convinti che molte donne musulmane lo vorrebbero, che vorrebbero essere più libere sia di portare il velo in pubblico, sia di frequentare invece fidanzati non musulmani e libere addirittura di cambiare religione senza dover subire poi violenza dai maschi di famiglia)?
Il mio amico don Andrea mi ha parlato una volta di come in Roma stessa molti musulmani che si battezzano lo fanno in segreto per paura di violenze da parte dei loro correligionari o anche solo per la paura di perdere il lavoro o di subire ostracismo (ma anche perché non siano ostracizzati i loro parenti che non si sono opposti al battesimo).
Diversa è ovviamente la questione del burqa in luoghi che hanno un loro dress code come le scuole superiori o l’università o un posto di frontiera o un ospedale. Lì, forse, una legge che autorizzasse il velo ma vietasse il burqa non sarebbe sbagliata. È tipico, infatti, di un luogo di insegnamento o di controllo di polizia o di cura sanitaria che il responsabile di quel servizio, fosse pure maschio, possa vedere in viso chi deve aiutare. E, d’altro canto, è normale che chi è alunno o paziente sia tenuto ad un codice di comportameno diverso dai suoi standard abituali.
Vale qui anche il reciproco: la legge deve prevedere che una donna in pubblico servizio – ad esempio un poliziotto femmina non velata e in divisa di ordinanza oppure un’infermiera in tenuta da ospedale – tratti da pari a pari un uomo che è invece sposato con una moglie che veste il burqini consenzientemente. In questo caso, infatti, la donna in pubblico servizio non è consenziente ed è l’uomo abituato al burqini a doversi adattare alle regole di comportamento dei pubblici ospedali o dei pubblici posti di polizia o di vigilanza urbana dettate non da questioni religiose, bensì dalle esigenze di quel servizio pubblico e dalla normale rotazione del personale stesso.
Ricordo un vigile urbano femmina che si vantava giustamente di aver tenuto testa ad un uomo religioso del nord-Africa che si rifiutava di pagarle una multa: l’uomo asseriva, infatti, che una donna non aveva il diritto di rivolgergli la parola, perché una donna sconosciuta non parla con un uomo che non è suo parente da sola a solo. All’arrivo dei suoi colleghi vigili urbani che proponevano alla donna di farsi da parte, la donna, intelligente e cosciente dei suoi pubblici doveri, aveva risposto che non aveva bisogno di tale aiuto perché la Repubblica italiana e il Comune di Roma avevano conferito a lei l’incarico di emettere la multa e, quindi, era l’uomo a doversi adeguare alla nostra Costituzione italiana che prevede l’uguaglianza di maschi e femmine.
Io le ho fatto i miei complimenti: ho capito quel giorno quanto sia esposta la posizione di un pubblico ufficiale e quale senso di coscienza del dovere essa esiga.