«Noè camminava con Dio (Gen 6,9): l’universalismo di Israele», del rabbino Giuseppe Laras
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Riprendiamo il testo scritto dal rabbino Giuseppe Laras per la giornata di dialogo con gli ebrei del 17 gennaio 2002. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Sacra Scrittura.
Il Centro culturale Gli scritti (21/8/2016)
Noè è presentato dalla Bibbia come uomo “giusto e integro tra i suoi contemporanei e camminava con Dio” (Gen 6,9). Dio decise di salvarlo dal diluvio universale, affinché diventasse il capostipite di una nuova umanità, in sostituzione di quella precedente fatta perire nelle acque del diluvio, perché si era macchiata di ogni tipo di violenza: “Si corruppe la terra di fronte a Dio e si riempì la terra di violenza… Dio disse a Noè: ho decretato la fine di ogni carne, perché a causa di esse la terra è piena di violenza” (Gen 6,11.13). I commenti tradizionali rabbinici fanno notare a proposito di questi due versetti che il primo mette in risalto due tipi di colpe: quelle verso Dio e quelle degli uomini fra loro; il secondo versetto, che riporta le parole di Dio stesso, cita solo la violenza come motivo di punizione. “Questo porta a riflettere su una concezione fondamentale dell’ebraismo: le colpe tra l’uomo e il suo prossimo sono considerate più gravi delle colpe commesse dall’uomo nei riguardi di Dio. È noto che il digiuno di Kippur serve ad ottenere il perdono delle colpe commesse dall’uomo contro il suo Creatore. Viceversa, per le colpe per le quali l’uomo lede il prossimo, la penitenza non ha valore finché non si sia ottenuto il perdono di chi si è offeso o danneggiato”[1].
Dio, prima di punire manda diversi avvertimenti, perché le creature si convertano. Un midrash sul versetto “fatti un’arca di legno di pino” (Gen 6,14) recita: “Disse rav Huna, in nome di rabbi Josè: per centoventi anni il Santo, benedetto Egli sia, ammonì gli uomini della generazione del diluvio, nella speranza che si ravvedessero; ma poiché non ascoltarono, disse a Noè: fatti un’arca di legno di pino. Allora Noè si mise a piantare cedri. La gente gli domandava: cosa sono questi cedri? Ed egli rispondeva: il Santo, benedetto Egli sia, sta per mandare un diluvio sulla terra e mi ha ordinato di preparare un’arca per salvarmi insieme alla mia famiglia. La gente rideva e si prendeva gioco delle sue parole. Intanto Noè coltivava e faceva crescere i cedri. La gente continuava a domandare: ma che cosa fai? Egli rispondeva sempre nello stesso modo e la gente lo scherniva. Alla fine tagliò i cedri e ne fece delle assi, e la gente a domandare: cosa fai? Egli rispondeva sempre nello stesso modo e li ammoniva. Quando il Signore vide che, nonostante ciò, quella generazione non si ravvedeva, decise di mandare il diluvio (Tanchuma Noach)”[2].
Dio è presentato nell’ebraismo come un Padre, che tratta le sue creature a seconda dei loro bisogni e delle loro capacità. In Bereshit Rabbà (XXX, 10) nel commento alle parole: “Con Dio camminava Noè” (Gen 6,9), leggiamo: “È simile ad un principe che aveva due figli, uno grande ed uno piccolo. Disse al piccolo: Vieni con me, e disse al grande: Vai, cammina innanzi a me. Così Abramo che era forte: Cammina innanzi a me e sii integro (Gen 17,1). Ma Noè, che era debole: con Dio camminava Noè”. Dice Rashi: “Di Abramo invece è scritto: Cammina davanti a me, e: Il Signore, alla cui presenza io cammino (Gen 17,1 e 24,40). Noè aveva bisogno di un sostegno che lo reggesse, mentre Abramo era forte a sufficienza per camminare da solo nella sua giustizia”. Noè era come un bambino condotto per mano, Abramo, invece, un adulto che sa camminare da solo.
Dante Lattes ha fatto una affascinante presentazione di Noè: “È il primo tipo dello tzaddiq, del giusto che passa incontaminato fra le tristizie dei contemporanei. La figura dell’uomo giusto, che assumerà poi tanto significato etico e una così vasta funzione redentrice nella ideologia ebraica, dalla Bibbia al Chassidismo, ha in Noè il suo primo modello. Noè è uno dei tre giusti, insieme a Giobbe e a Daniele, passati nella letteratura profetica (Ezechiele, 14,12-21) a rappresentare il tipo del perfetto uomo… Noè è l’uomo; l’uomo senza alcun altro aggettivo; non misurato secondo criteri di razza, di lingua, di nazionalità, di religione, di classe, di partito, ma secondo un criterio unicamente morale, e riconosciuto pieno di perfezione dinanzi a Dio, o in modo assoluto, e quindi posto ad esempio alle generazioni, per quanto remote e diverse dal suo tempo, o, se si vuole, in modo relativo, secondo il grado di perversione del suo secolo. L’ammaestramento è importante. Chi parla di progresso lento e tardivo della concezione etica ed universalistica dell’ebraismo, oppure di un monopolio o privilegio che gli ebrei si sarebbero attribuiti nella scala delle perfezioni, delle elezioni, delle beatitudini, dimentica questo primo ed antichissimo tipo di uomo tzaddiq il quale, pur essendo vissuto prima di Mosé e prima della Torà, è rimasto modello di virtù fino nei tardi tempi del profetismo”[3].
Con Noè Dio stringe un patto che vale per lui e per la sua discendenza, cioè per tutta l’umanità; anzi il patto si estende a tutte le creature viventi: “Dio disse a Noè e ai suoi figli con lui: Quanto a me, ecco io stabilisco la mia alleanza con voi e con i vostri discendenti dopo di voi; con ogni essere vivente che è con voi, uccelli, bestiame e bestie selvatiche, con tutti gli animali che sono usciti dall’arca. Io stabilisco la mia alleanza con voi: non sarà più distrutto nessun vivente dalle acque del diluvio, né più il diluvio devasterà la terra. Questo è il segno dell’alleanza che io pongo tra me e voi e tra ogni essere vivente che è con voi per le generazioni eterne: Il mio arco pongo sulle nubi ed esso sarà il segno dell'alleanza fra me e la terra” (Gen 9,8-11).
Dio, prima di siglare l’alleanza benedice Noè e i suoi figli e dà loro alcuni precetti (Gen 9,1-7). Tali precetti sono entrati nella tradizione ebraica come “precetti noachici” o “noachidi” destinati a tutte le genti, che sono considerate “giuste”, se li mettono in pratica. Qual è il contenuto di questa legge? Nel trattato Sanhedrin (56-60) del Talmud babilonese ci sono diverse enumerazioni dei precetti noachici. La tradizione più come è che siano sette, uno positivo e sei negativi. Quello positivo prescrive l’obbligo della giustizia (di istituire giudici e tribunali), gli altri proibiscono: l’idolatria, la bestemmia, le relazioni sessuali illecite, l’omicidio, il furto, il consumo delle membra di un animale vivo. Non esiste, però, l’unanimità fra i maestri. Il Talmud riporta l’opinione secondo la quale “i figli di Noè accettarono trenta precetti”[4]. Questo è dovuto anche al fatto, come gli stessi maestri ebrei sottolineano, che non si tratta di precetti puntuali, ma di categorie giuridiche ciascuna delle quali comprende diverse prescrizioni, anzi, la loro caratteristica è proprio quella di essere delle indicazioni passibili di sempre nuove interpretazioni e applicazioni ai diversi tempi[5]. Di fatto, “le sette leggi noachidi sono più che sette rigidi pronunciamenti”[6]. Benamozegh scrive: “Quale che sia il numero dei precetti noachidi, è certo che ciascuno di essi rappresenta non un comandamento unico, ma tutto un gruppo di obbligazioni della stessa natura”[7].
Non si deve guardare alla legge noachide come se fosse un codice basato sulla ragione umana, poiché è anch’essa, come la Torà di Mosé, una rivelazione divina. Dice Maimonide: “Chiunque accetti i sette comandamenti e li osservi con cura è considerato un gentile devoto, e ha parte alla vita eterna, a condizione, però, che riceva e segua tali precetti perché Dio li ha imposti nella sua Legge e ci ha rivelato tramite Mosè, nostro maestro, che quelli sono i comandamenti ricevuti in origine dai figli di Noè”[8]. La distinzione tra gli obblighi ai quali è tenuto chi appartiene al popolo ebraico e quelli che sono propri degli appartenenti agli altri popoli, anche se non si parlava ancora esplicitamente di precetti noachidi, risale ad epoca assai precedente alla stesura del Talmud. Ne abbiamo un’eco nel capitolo 15 degli Atti degli Apostoli dove nel cosiddetto concilio di Gerusalemme l’assemblea degli apostoli e degli anziani decide di non chiedere ai credenti in Cristo provenienti dal paganesimo di farsi circoncidere, ma di seguire solo quattro precetti fra quelli della Torà obbligatori per tutti i figli di Israele: “astenersi dalle sozzure degli idoli (cf Lv 17, 3-9), dall’impudicizia (cf Lv 18), dagli animali soffocati (cf Lv 17, 15-16) e dal sangue (cf Lv 17, 10-14)” (At 15,20).
Legge mosaica e legge noachide non sono in contrasto, i precetti contenuti in quest’ultima fanno parte dei 613 precetti, che gli ebrei sono obbligati ad osservare per compiere la missione particolare loro affidata da Dio in vista del bene di tutta l’umanità: “In te si benediranno tutte le famiglie della terra” (Gen 12,3). “Ecco perché l’ebraismo vede nella figura di Noè la fonte di salvezza per tutti i popoli, e la premessa a tutte le successive alleanze bibliche… E sull’arcobaleno ci sia permesso di raccontare, a conclusione, una storia rabbinica del primo o secondo secolo della nostra era: secondo i maestri, l’arcobaleno non appare se nel mondo c’è qualche giusto così giusto da placare l’ira del Signore. In quei giorni c’era un giusto così, e l’arcobaleno non apparve. Ma al giusto fu chiesto se avesse visto l’arcobaleno, ed egli, nella sua profonda umiltà, mentì e disse di averlo visto, per stornare da sé ogni ‘sospetto’ di santità. Non importa, dunque, che nel mondo tutti siano giusti: importa che sempre ci sia qualche giusto. Noi tutti abbiamo visto molte volte i bei colori dell’arcobaleno, quasi il sorriso di Dio. Ora sappiamo che se un capo dell’arcobaleno poggia su di lui, l’altro poggia su un umile, sconosciuto giusto”[9].
Note al testo
[1] J. Zegdun, Guida allo studio della Torà. I. Genesi, a cura dei Rabbini d’Italia, 22s.
[2] R. Pacifici, Midrashim fatti e personaggi biblici, Marietti, Casale Monferrato 1986, 21.
[3] Nel solco della Bibbia, Laterza, Bari 1953, 39.
[4] Avodah Zarah 8, 4-6.
[5] Una trattazione moderna ed esauriente sul significato del “noachismo” è stata fatta da Elia Benamozeg (1823-1900), Israele e l’umanità, Marietti, Genova 1990; cf. in particolare, 209-240.
[6] A. Lichtenstein, Le sette leggi di Noè, Lamed, Milano s.d.
[7] E. Benamozegh, Israele e l’umanità, Marietti, Genova 1990, 220.
[8] Maimonide, Hilkhot Melakhim, 8, 11 citato in E. Benamozegh, op. cit., 219.
[9] P. de Benedetti, “Il Dio dell’arcobaleno”, in Annali di Studi religiosi I (2000), 27-35, qui 35.