Perfetto, efficace, semplicemente mortale come un Kalashnikov, di Fabrice Hadjadj
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Il Centro culturale Gli scritti (17/7/2016)
Alcuni uomini sono passati alla posterità con le armi da fuoco che portano il loro nome, con quei congegni, cioè, che di solito servono a diminuire il numero degli effettivi della posterità (anche se sono pure utili a proteggerli, concediamolo).
Eliphalet Remington, figlio di un fabbro, che si rivela inventando quasi contemporaneamente il fucile e la macchina per scrivere; Orazio Smith e Daniel B. Wesson, indissolubilmente legati tra loro dal caricamento da dietro delle culatte; Oliver Fischer Winchester, che esordì confezionando camicie prima di specializzarsi nel lavoro di bucarle fino alla pelle; Samuel Colt, genio del tamburo che, prima di fabbricare la prima rivoltella, si esibiva nelle fiere con gioiose dimostrazioni di protossido di azoto: il "gas esilarante"; Georg Luger che stava per diventare chirurgo per poi finalmente orientare in modo più decisivo i suoi interventi sui corpi attraverso il caricamento automatico e la cartuccia 9x19mm parabellum; i Beretta, armaioli di padre in figlio, tanto che l'attuale direttore della fabbrica è un discendente diretto di Mastro Bartolomeo Beretta che vendette nel 1526, per 296 ducati, 185 cannoni di archibugio all'arsenale di Venezia… L'elenco è lungo, ma uno si distingue più degli altri: Michail Timofeevic Kalashnikov.
Quando nel novembre 2009 per il suo novantesimo compleanno (per cui il fucile di assalto può anche procurare una grande longevità) venne invitato al Cremlino per ricevere la medaglia di "eroe della Federazione Russa", Michail Kalashnikov ebbe a ricordare le ambizioni della sua gioventù: «Scrivevo poesie, e tutti pensavano che sarei diventato poeta. Non fu così. Ci sono già, anche senza di me, molti cattivi poeti in circolazione. Ho seguito dunque un'altra strada».
Quelli che scoraggiano, non senza ragione, i cattivi poeti, potrebbero chiedersi se non stiano commettendo un errore dalle conseguenze estremamente spiacevoli. Si sa del resto cosa ne fu di un certo candidato all'Accademia delle Belle Arti di Vienna, dopo la sua mancata ammissione nel 1907: «Ero talmente persuaso del successo, dirà nel Mein Kampf, che l'annuncio del mio fallimento mi colpì come un fulmine a ciel sereno».
Il presidente Dmitri Medvedev quel giorno si spinse anche più in là, certo che l'opera di Mikhaïl Kalashnikov valesse di più di un inno patriottico: «L'Ak-47 è una marca nazionale che riempie di fierezza ogni cittadino» disse nel suo discorso di omaggio, aggiungendo un'altra formidabile osservazione: «Kalashnikov è una delle parole russe più celebri».
È innegabile che tra i terroristi dello Stato Islamico questa parola sia adoperata incomparabilmente di più di "perestroika", "samovar" o "balalaika". Bisogna tuttavia osservare che, fatto salvo il mio rispetto per il signor Medvedev, questa promozione onomastica procede al contrario del movimento della poesia. Qui, il nome proprio diventa un nome comune mentre la poesia cerca di far risuonare i nomi comuni come nomi propri…
Qual è l'atto di nascita dell'Ak-47 con i suoi cento milioni di esemplari sparsi oggi per il mondo? Ak-47 che persino svolazza, incrociato con una zappa, sulla bandiera del Mozambico come emblema della liberazione dei popoli.
Kalashnikov nacque nell'Altai, da una famiglia di piccoli proprietari terrieri, deportata poi in Siberia all'epoca della "dekulakizzazione". Laggiù si mise a praticare la caccia, lavorò nelle ferrovie e poi in una fabbrica di trattori. La sua inclinazione per la meccanica lo fece presto arruolare in una divisione corazzata dell'armata rossa. Ferito nel suo carrarmato nella battaglia di Briansk nel 1942, venne ricoverato, e fu allora che, a 23 anni, ebbe l'idea rivoluzionaria: «Ero in ospedale quando un compagno, vicino di letto, mi chiese: "Perché i nostri soldati hanno solamente un fucile ogni due o tre uomini, mentre ogni tedesco possiede il suo fucile automatico?" Allora ho concepito il nostro fucile. Facevo il soldato, ho creato un mitra da soldato. L'ho chiamato Avtomat Kalashnikova, l'arma automatica di Kalashnikov (Ak) a cui si è aggiunta la data della sua prima fabbricazione, 1947».
È un colpo di genio: un'arma perfetta, semplice, affidabile, facile da manutenere, facile da maneggiare, appropriata per un militare, ma anche per un dilettante o un bambino-soldato. All'epoca della guerra del Vietnam, mentre gli M16 americani arrugginivano e si inceppavano, i kalashnikov dei Vietcong resistevano alla giungla, come resistono anche nella neve o in pieno deserto. Kalashnikov ha affermato che questa robusta semplicità risponde a un principio divino: «Da giovane ho letto da qualche parte la seguente cosa: Dio Onnipotente dice "ciò che è troppo complicato non è necessario, si ha bisogno solo di ciò che è semplice." È stato il motto della mia vita, per difendere le frontiere della mia patria ho inventato armi semplici e sicure».
La sua coscienza fu messa in crisi dal successo roboante, esplosivo, al tempo stesso mondiale e mortale della sua invenzione? In un'intervista concessa al Guardian all'età di 83 anni egli disse di «dormire profondamente» (cosa che d'acchito si può in qualche modo comprendere: il giornalista inglese racconta la sua difficoltà nel condurre l'intervista per la sordità quasi totale causata a Kalashnikov dai numerosi test con le armi da fuoco effettuati durante la sua vita). Lui stesso lo spiega così: «Accusate i nazisti di avere fatto di me un ideatore di armi. Da parte mia avrei voluto costruire una macchina agricola. Avrei preferito lasciare il mio nome a un tosaerba. In ogni modo, il positivo prevale sul negativo: numerosi Paesi utilizzano la mia arma per difendersi».
Ciononostante, meno di cinque mesi prima della sua morte, nel 2013, Michail è ossessionato dal tosaerba. Il vecchio ex-comunista scrive una lettera a Kirill, il patriarca di Mosca: «Il mio cuore è torturato dalla stessa insolubile domanda: se il mio fucile ha tolto la vita a così tante persone, allora io, Michail Kalashnikov, 93 anni, figlio di contadini, e cristiano ortodosso per la mia fede, non sono forse responsabile della loro morte e il loro stesso nemico?» Invece di pungolarlo in questo pentimento dell'undicesima ora, Sua Beatitudine Kiril gli risponde un po' troppo comodamente che essendo stata la sua intenzione solamente quella di favorire una difesa legittima, egli lo considera come «un esempio di patriottismo e di atteggiamento leale verso il proprio Paese». Possa l'Eterno ricordarsi di Kalashnikov come di un nome proprio.