In morte del mafioso. Provenzano, che peccato la sciupìo di una vita, di Maurizio Patriciello
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Riprendiamo da Avvenire del 14/7/2016 un articolo di Maurizio Patriciello. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sotto-sezione Magistratura, malavita ed educazione alla giustizia.
Il Centro culturale Gli scritti (17/7/2016)
La notizia della morte di Bernardo Provenzano ci raggiunge mentre, attoniti e commossi fino alle lacrime, stiamo guardando l’ennesimo telegiornale. La strage del treno in Puglia ci ha sconvolti. «Che peccato» mi ritrovo a farfugliare. «In che senso, che peccato?» mi chiede il mio confratello. Che peccato, lo svolgersi della vita di quest’uomo che tanto male ha fatto a se stesso e agli altri. Che peccato lo sciupìo di un’intelligenza che non ha saputo farsi cultura, impegno, passione per migliorare se stesso, la Sicilia e l’Italia. Che peccato la fine di questa parabola. Che brutta vecchiaia. Che orrenda morte. Si è spento lentamente. Solo. Senza le coccole che i vecchi ricevono dai loro nipotini. Senza la compagnia dei vecchi amici che richiamano alla memoria i tempi passati. Senza il conforto della coscienza che ti dice: «Hai agito per il bene. Devi esserne orgoglioso. Al di là di quello che la gente pensa o capisce. Hai creduto in Dio, adesso lo vai a godere per l’eternità».
Bernardo Provenzano. Aveva tre anni in meno del suo vecchio amico Totò Riina. Come lui era nato a Corleone. Come lui aveva patito fame e ingiustizie. Come lui era dotato di una intelligenza viva, sveglia. Parlava poco, Provenzano. A differenza dell’altro amico, Luciano Liggio, che volentieri si lasciava andare, lui non amava aprirsi. Fin da giovane, con Riina si comprendeva con un solo sguardo. Hanno fatto male. Si sono fatti male. Hanno lasciato ai figli una tristissima eredità. Che peccato, il cedere al peccato. Che peccato, l’uomo che abdica alla sua dignità di uomo. Che peccato questa bramosia di possesso e di potere. Illogica, stupida, pericolosa. Le sue imprese, per niente coraggiose, sono conosciute da tutti. Non vale la pena ricordarle. Anche lui avrà l’onore di essere ricordato dalla storia. Le nuove generazioni verranno a conoscenza del suo nome e delle sue malefatte. Ma non lo invidieranno. Non ne avranno stima. Non lo ameranno. Un mafioso. Bernando Provenzano, deceduto mentre scontava il carcere duro, il 13 luglio del 2016, a 83 anni. Un mafioso che amava leggere la Bibbia. Chissà perché. Chissà che cosa cercava in quelle pagine. Chissà che cosa vi trovava. E nella Bibbia amava nascondere i suoi “pizzini”. Lo trovarono in un casolare. Nascosto come un animale randagio. Come Michele Zagaria, il capo della camorra cosiddetta dei Casalesi. Costui nascosto in un modernissimo bunker. Di cemento armato. Hanno ammassato una ricchezza immensa. Hanno ridotto alla fame intere generazioni. Hanno versato sangue. Tanto, tanto sangue. Sono stati trascinati in un delirio di onnipotenza impressionante. Hanno creduto di essere diventati dei. Non si sono accorti che dei lo erano davvero. Che il Dio nel quale dicevano di credere li aveva fatti immensi. Che erano uomini creati a immagine e somiglianza del Creatore del cielo e della terra.
Esce di scena, Provenzano. Mentre l’Italia piange gli innocenti morti in Puglia. Esce di scena senza troppi complimenti. La morte non guarda in faccia a nessuno. Si avvia all’altra vita, l’uomo che per decenni ha tenuto nel morso della paura tanti suoi fratelli in umanità. E adesso, signor Provenzano? Ne valeva la pena? Adesso che sei nel mistero e guardi con gli occhi dell’eternità questa povera e stupenda umanità, dimmi, ne valeva la pena? Ne è valsa la pena? Non sapevi che il male parte già sconfitto? Non sapevi che la mafia è il male assoluto? Il male non vince. Non può vincere. Non vincerà. E chi del male si fa paladino è un vigliacco che ha già perduto la sua scommessa con la vita. E tu, fratello, hai perduto tutto. Che peccato! Avresti potuto fare chissà quante cose belle. Lavorare con le tue mani. Mangiare il pane guadagnato con il sudore della tua fronte. E poi guardare negli occhi i figli e dire: «Non abbiate paura di imitarmi, sono stato un uomo onesto». Hai preferito mangiare pane velenoso. Pane che non sazia. Pane avvelenato. Hai perduto la grande scommessa con la vita. Adesso sei nelle mani del buon Dio. Anche se ti sembra strano, anche se non riesci a crederlo, sappi che c’è gente che pregherà per la tua anima.