Tutti sposano la persona sbagliata. Alain De Botton spiega come l'idea romantica del matrimonio rovini i matrimoni, che è il tema del suo nuovo romanzo
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Il Centro culturale Gli scritti (24/7/2016)
Alain de Botton. Photo: Vincent Mentzel
Il New York Times ha pubblicato domenica una riflessione sull’inevitabile e secolare contraddizione tra le aspettative che gli umani investono nel matrimonio e i fallimenti di queste aspettative. L’autore, Alain De Botton, è un famoso scrittore svizzero che ha pubblicato libri tradotti in tutto il mondo ed è diventato noto come divulgatore – con linguaggi e argomenti efficaci e semplificati – dei temi più diversi: ha scritto libri sulla storia dei giornali, sul rapporto con l’arte, sul ruolo dell’architettura, su Proust, sul viaggiare, e altri ancora. Ma il suo primo e più famoso libro, pubblicato nel 1993, si chiamava Esercizi d’amore ed era un’analisi tra lo scientifico e lo psicologico da bar sui meccanismi che orientano i nostri comportamenti da innamorati, esposta nella forma di un romanzo.
Nell’articolo sul New York Times, De Botton torna su quello stile di “analisi logica” di comportamenti che sono in gran parte dettati da ragioni illogiche, per spiegare come mai – per quanto ci impegniamo intensamente per evitarlo – “sposiamo sempre la persona sbagliata”. Qualcuno che si rivela diverso da ciò che speravamo, o con cui costruiremo un rapporto diverso da quello che sognavamo. È un tema di cui De Botton si è occupato in passato e che è al centro del suo nuovo romanzo, The course of love.
In parte è perché abbiamo una spaventosa varietà di problemi che emergono quando ci avviciniamo di più alle altre persone. Sembriamo normali solo a chi non ci conosce tanto bene. Se vivessimo in una civiltà più saggia e consapevole della nostra, una domanda standard da fare al primo appuntamento dovrebbe essere “e che pazzie hai?”.
Magari abbiamo una tendenza ad arrabbiarci se qualcuno ci contraddice, elenca De Botton, o siamo rilassati solo quando lavoriamo, o complicati nell’intimità dopo il sesso, o ci chiudiamo in noi stessi dopo un’umiliazione: “nessuno è perfetto”. Ma queste complessità raramente emergono prima di sposarsi – o di una convivenza equivalente al matrimonio – e quando una relazione fragile con qualcuno sembra rivelarle, spesso decidiamo che sia colpa di quel qualcuno e chiudiamo la relazione. È uno dei privilegi dello stare da soli, dice De Botton, la facilità con cui ci convinciamo di essere persone con cui si convive facilmente. Lo stesso vale per gli altri nei nostri confronti: fanno dei tentativi per conoscerci, per impararci, ci convinciamo tutti di esserci applicati a capire con chi potremo avere a che fare, ma mai abbastanza. “Il matrimonio sarà un generoso e speranzoso azzardo compiuto da due persone che non sanno ancora chi siano o chi l’altro possa essere, che si incatenano a un futuro che non possono immaginare o che hanno accuratamente evitato di indagare”.
C’è stato un tempo, racconta De Botton, in cui i matrimoni erano dettati da ragioni logiche di ogni tipo: per mettere insieme delle proprietà, per associarsi a ricchezze o poteri, per aderenza a dettati religiosi, per voleri di diversa natura delle famiglie. Ma da queste pratiche considerazioni seguivano dolori, solitudini, litigi, infedeltà, violenze. Il matrimonio razionale si mostrò, col senno di poi, piuttosto irrazionale. Per questa ragione il suo sostituto – il matrimonio sentimentale – è stato in gran parte esentato dal dover esporre motivi razionali. Al contrario, ciò che conta nel matrimonio sentimentale è che le due persone coinvolte siano spinte l’una verso l’altra da un istinto irresistibile e che siano convinte nel profondo del loro cuore che sia la cosa giusta da fare. “Dai retta al tuo cuore”, eccetera. E più la scelta appare avventata e ostacolata da ragioni logiche, più questo diventa persino un argomento a favore della forza del desiderio e quindi della sua giustezza: la logica e il raziocinio sono disprezzati come freddi elementi di calcolo, da annientare con la superiorità della passione e dell’istinto. L’accezione negativa di “calcolare” in questi contesti – verbo che è altrimenti premessa di affidabilità e successi – è rivelatrice della contraddizione.
In realtà quello che ci diciamo è di averlo fatto, un “calcolo”, anche se dettato da ragioni sentimentali: stiamo cercando di essere felici, con questa persona. Ma non è così facile, dice De Botton: l’idea che abbiamo di felicità e di amore sono molto parziali e personali, e nel matrimonio – come in altri contesti – quello che cerchiamo di ricostruire sono situazioni familiari o infantili che associamo alla felicità: la nostra idea di amore è confusa con dinamiche molto problematiche, come può essere il desiderio di aiutare o proteggere un adulto fragile o in difficoltà, la paura di perdere l’affetto di un genitore o la paura della sua collera, il timore di non saper esprimere i propri sentimenti. Cresciamo con un’esperienza tormentata dell’amore, inevitabilmente. E quindi è facile che da adulti “finiamo per rifiutare certi candidati al matrimonio non perché siano sbagliati, ma perché sono troppo giusti – troppo equilibrati, maturi, affidabili -, dato che questa giustezza suona estranea ai nostri cuori” e alla nostra idea di amore.
Poi c’è anche il fatto che ci sentiamo soli, e non si è lucidissimi col peso della solitudine e del timore che prosegua a lungo: per fare una scelta sensata e oculata dovremmo essere completamente a nostro agio con l’idea di stare soli anche per anni, fino a che non l’avremo fatta. E infine, dice ancora De Botton, ci sposiamo anche per rendere permanente un’emozione positiva, quella di quel giorno a Venezia, di quel momento al tramonto, di quella conversazione intima e complice. Tutte cose che ci raccontiamo che si ripeteranno o che diventeranno la norma, ma che col matrimonio non c’entrano niente. Il matrimonio sarà soprattutto un’amministrazione del quotidiano, i bambini da portare a scuola, l’appartamento in un condominio, l’organizzazione delle giornate. L’unica cosa che si conserva è il partner, scelto in tutt’altre condizioni mentali e con logiche illogiche.
La buona notizia è che se abbiamo sposato la persona sbagliata, non importa.
“Non dobbiamo abbandonare lui, o lei, ma soltanto l’idea romantica su cui nel mondo occidentale il matrimonio è stato basato negli ultimi 250 anni: ovvero che esista una persona perfetta che può soddisfare tutti i nostri bisogni e accontentare ogni nostro desiderio”. La messa in discussione dell’idea dell’amore romantico e del sostanziale lavaggio del cervello a cui ci hanno sottoposto la cultura degli ultimi secoli e le sue opere letterarie e cinematografiche, è un frequente tema delle riflessioni di De Botton. Per il quale il romanticismo non ci ha aiutato e ci ha convinti che molto di quello che capita in un rapporto sia sbagliato ed eccezionale, rendendoci soli e convinti che la nostra unione e le sue imperfezioni non siano “normali”, che dovrebbe essere diverso, che esistano pretese “coppie normali” fatte come quelle di certi film o di certi romanzi, perpetuatori di quell’idea romantica.
Dobbiamo barattare la visione romantica con una tragica (e a volte comica) consapevolezza che qualunque essere umano ci sfinirà, irriterà, farà arrabbiare, impazzire e ci deluderà, e che noi – in totale buona fede – faremo lo stesso. Il nostro senso di incompletezza e che qualcosa ci manchi può essere eterno. Ma non c’è niente di anomalo, né ragioni per divorziare: scegliere a chi dedicare se stessi è strettamente una questione di individuare a quale tipo di sofferenza siamo disposti a sacrificarci.
De Botton la chiama “filosofia del pessimismo”, e sostiene che offra una soluzione a gran parte delle fatiche e delle agitazioni del matrimonio. È un pessimismo che allevia lo stress della pressione sul matrimonio imposta dalla cultura romantica, e che spiega come “il fallimento del nostro partner nel salvarci da dolore e tristezza non sia un argomento contro di lui né un sintomo che il rapporto meriti di fallire o debba essere modificato”.
La persona più adatta per noi non è una persona che condivida ogni nostro gusto (che non esiste), ma quella che sa gestire in modo intelligente le differenze di gusto: una persona che sa cavarsela con il disaccordo. È la capacità di tollerare le differenze con generosità, piuttosto che un’idea astratta di perfetta sintonia, a indicare che una persona è “non del tutto sbagliata”. Essere compatibili è una conseguenza dell’amore, non la sua precondizione.