Le tre leggende dei Templari, di Franco Cardini
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Riprendiamo da Avvenire del 27/6/2014 un articolo di Franco Cardini. I neretti sono nostri ed hanno l’unica finalità di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Storia e filosofia ed, in particolare, Il processo e la fine dei Templari: una triste storia, non un romanzo, di Andrea Lonardo e I Templari e l'assoluzione papale: la pergamena di Chinon.
Il Centro culturale Gli scritti (19/6/2016)
La cosa più simpatica che si sappia sui Templari, e forse anche la cosa più interessante e rivelatrice, l’ha scritta un principe siriano del pieno XII secolo, Usama ibn Munqidh emiro di Shaizar. La testimonianza che ci ha lasciato è, a concorde parere degli specialisti, davvero attendibile. Ebbene, Usama ci racconta che verso gli anni Sessanta-Settanta del XII secolo, quando gli capitava di recarsi a Gerusalemme allora capitale del regno crociato, usava andare ospite dei «suoi amici Templari» (è lui a chiamarli proprio così), quartier generale dei quali era la moschea al-Aqsa, ancora esistente sulla «Spianata del Tempio». Lì, dice Usama, i pauperes milites Christi et Salomonici Templi – tale il nome ufficiale dell’Ordine religioso che già allora, correntemente, veniva definito «il Tempio» –, avevano approntato un oratorio nel quale i loro ospiti musulmani potevano tranquillamente pregare. Non proprio una moschea, certo: comunque, una piccola “sala di preghiera”.
Questa testimonianza, sulla veridicità e autenticità della quale non v’è motivo di dubitare, si scontra obiettivamente con quanto verso al fine del terzo decennio del secolo aveva scritto il più grande mistico di quel secolo, Bernardo di Clairvaux, il quale contribuì con decisione alla nascita di quell’Ordine favorendolo con la sua autorevolezza e ne fece l’elogio in una lettera ch’è anche un piccolo trattato di teologia dei luoghi santi e della guerra, il Liber de laude novae militiae. Come avrebbe reagito il santo monaco allo spettacolo dell’amicizia fra i «poveri cavalieri del Cristo» e quell’elegante emiro siriano la preghiera infedele del quale essi proteggevano?
Sull’Ordine del Tempio, che fu sciolto d’autorità da papa Clemente V nel 1312 ma che (nonostante un processo inquisitoriale contro di esso intentato su impulso del re di Francia Filippo IV) mai venne condannato, esistono e convivono – alquanto male, del resto – una “leggenda rosa”, una “leggenda aurea” e una “leggenda nera”.
La prima li vuole innocenti vittime dell’avidità di un re che voleva spogliarli delle loro ricchezze e della viltà di un Papa che non osò difenderli. La seconda li dipinge come saggi, sapienti, integri, coraggiosi, detentori di arcani segreti e perfino arcanamente sopravvissuti alla soppressione e occultamente ancora presenti fra noi. La terza li vuole violenti, superbi, peccatori, sodomiti, avidi, amici dei saraceni e perfino eretici e – perché no, già che ci siamo? – necromanti.
Nessuna di queste leggende è del tutto gratuita: non esistono leggende che lo siano. Ma quel che sappiamo di loro (ch’è molto, nonostante il permanere di molti misteri e chissà forse perfino di qualche vero “segreto”…) ci fornisce un quadro lacunoso eppure nelle sue grandi linee abbastanza attendibile, e molto diverso da quelle fantasie e da quei malintesi.
Anzitutto, i Templari furono un vero paradosso: non esattamente Religio, Ordine monastico, bensì Militia, Ordine religioso che ammetteva nelle sue fila dei combattenti, al pari degli Ospitalieri di San Giovanni di Gerusalemme (oggi sopravvissuti come Ordine di Malta), degli Ospitalieri tedeschi consacrati a Maria (i “cavalieri teutonici”) e di alcuni Ordini nati nel mondo baltico nonché nella Penisola iberica.
Erano figli della necessità: chiamati a presidiare paesi in guerra e a fronteggiare milizie non cristiane mentre le forze cristiane erano drammaticamente inferiori alla bisogna, dovevano combattere. Fra loro c’erano quindi fratres ch’erano sacerdoti e attendevano al loro sacro ministero, ma anche altri che invece erano milites, cavalieri, quindi guerrieri, e altri ancora servientes, “sergenti”, fratelli “laici” addetti ai lavori più umili e faticosi e ai servizi militari secondari. Ovviamente, nessun Templare che fosse sacerdote poteva toccare le armi né combattere: ma gli altri – che sia pure non sacerdoti, erano pur sempre “chierici” – potevano farlo.
La Chiesa latina inventò dunque la categoria del religioso-combattente, in àmbito cristiano del tutto inedita (esempi in qualche modo analoghi esistono in ambiente musulmano e buddhista): un paradosso al quale le Chiese orientali hanno sempre guardato con orrore. I Templari, poi, nei loro rapporti con i mercanti occidentali si videro anche affidare somme di danaro e la loro stessa probità li trasformò nei primi banchieri occidentali moderni. Che tra loro siano serpeggiate tendenze ereticali, così come si siano affermati certi vizi e molta superbia, è probabile; come non è escluso che qualcuno si sia dato anche allo studio di scienze proibite. Era quanto accadeva un po’ in tutti gli ordini monastici. Ma furono anzitutto dei combattenti e dei difensori degli inermi e dei pellegrini: i processi inquisitoriali che subirono all’inizio del Trecento su iniziativa e dietro pressione del re di Francia che temeva la potenza e il prestigio ch’essi si erano guadagnati nelle sue terre e forse ambiva a spogliarli delle loro ricchezze si risolsero praticamente in bolle di sapone, per quanto finissero con qualche condanna e qualche rogo. Papa Clemente V non osò opporsi alla prepotenza del sovrano che voleva farla finita con loro: ma li sciolse d’autorità, evitando che fossero colpiti da una condanna infamante.
A partire dal Sei-Settecento furono i sodalizi a carattere esoterico e in genere avversari della Chiesa romana – quelli che poi confluirono nelle organizzazioni massoniche – a riesumare la loro memoria e a costruire lentamente la “leggenda templare” che ancora sopravvive in quel tipo di tendenza paraculturale che ordinariamente viene definita “templarismo”. Tutto il blaterare di segreti, di tesori, di mappe, di cappelle di Rosslyn e di Rennes-le-Château nasce da lì, da quei grotteschi grumi d’ignoranza che Eco ha satireggiato nel Pendolo di Foucault e sui quali Dan Brown ha fatto soldi a palate col Codice da Vinci. Si tratta di storielle contorte, noiose e prive di valore, delle quali ormai da anni è stata dimostrata l’inconsistenza ma che tuttavia continueranno ancora a lungo a prosperare e a circolare perché la madre degli imbecilli è sempre gravida.