Le pagine del Vangelo scritte come un romanzo, di José Tolentino Mendonça
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Riprendiamo da Avvenire del 28/5/2016 un testo di José Tolentino Mendonça. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Sacra Scrittura.
Il Centro culturale Gli scritti (6/6/2016)
Anticipiamo qui alcuni brani tratti dal libro di don José Tolentino Mendonça dal titolo Gesù. La sorpresa di un ritratto, San Paolo […]
Aristotele sosteneva che l’anima del racconto è la trama, e che i personaggi vengono al secondo posto. In Luca, tuttavia, osserviamo il contrario: il protagonista è la vera anima del racconto, e la trama, come del resto la formula di apertura dichiara (1,1-4), ha la funzione di rivelare il personaggio. Sono le peculiari caratteristiche della figura di Gesù a determinare il tipo di racconto che il Vangelo costituisce. Nella vastità della letteratura antica, l’evangelista aveva a disposizione svariati modelli per narrare la vita di un personaggio storico.
Ma la verità è che pur avendo ricevuto un’ampia gamma di influenze, il Vangelo rimane un testo originale. In confronto all’elaborata produzione letteraria del mondo greco-romano, il Vangelo resta uno scritto conciso, particolare e popolare, perché il paradossale destino di Gesù non si poteva ricondurre alle tipologie retoriche della fascinazione eroica e ai suoi paradigmi. L’identità di Gesù non entra in competizione con quella dei grandi personaggi, né la finalità del Vangelo è quella di esaltarlo come archetipo di virtù da imitare. Quando il racconto è stato redatto, solo un gruppo di discepoli si interessava veramente a Gesù, che rimaneva uno sconosciuto per il mondo pagano del tempo e un proscritto per il mondo giudaico.
La finalità del racconto è quella di rivelare come Egli, essendo stato rifiutato e portato alla morte, sia colui, e l’unico, attraverso il quale possiamo varcare la soglia della salvezza. [...] Come ricorda John Darr, «il processo di costruzione di un personaggio non è neutro, né unidirezionale». L’identità di Gesù è un’identità narrativa, che si coglie attraverso i diversi momenti e la logica del racconto. Ma la trama non cessa mai di essere una conseguenza di Gesù. Se le vicende si scatenano è perché Gesù è presente: tocca, parla, ordina, agisce. Lo schema “mancanza + capacità + azione performativa + conferma”, che è proprio di molti episodi, evidenzia la funzione decisiva che Egli svolge nella trasformazione narrativa, ma anche il ruolo rivelatore che tale intervento ha nella sua costruzione come personaggio.
Luca trasforma quello che sembrava un inevitabile fallimento nella decisiva conferma del messianesimo di Gesù. La chiave della trama evangelica è il riconoscimento che Gesù è Messia e Figlio di Dio. [...] Il tipo di caratterizzazione che il Vangelo adotta, con le sue informazioni sparse e progressive, le sue ambiguità e i silenzi, il susseguirsi delle vicende, invita il lettore a prendere parte alla sua costruzione. È come se Luca incoraggiasse il lettore a vincere l’indeterminatezza del racconto, a colmare i vuoti, a dedurre dai tratti che gli vengono offerti un significato completo.
Di fronte al lettore Gesù si affaccia gradualmente, in un modo sempre inatteso ma plausibile. E la coerenza narrativa di cui è protagonista è sostenuta dal lettore nella misura in cui viene a conoscenza delle azioni e dei nessi che il testo presenta. Ma la costruzione del racconto presuppone anche la costruzione del lettore da parte del testo. Il lettore, in realtà, è anche un prodotto del testo. Le tecniche narrative sono un modo di chiedere al lettore di collaborare alla costruzione del testo e una maniera di costruire il lettore. Si instaura così un gioco circolare. La lettura è una corrispondenza segreta e vitale, una pratica di correlazione.
Nel libro che abbiamo di fronte, leggiamo noi stessi. Perché il lettore non affronta soltanto il dilemma dell’identità di Gesù, ma è come se alla luce di quell’identità fosse portato a interrogarsi su se stesso. E il Vangelo non è interessato a mostrare chi sia Gesù in un concetto o un discorso oggettivo e compiuto, ma a trovare la risposta mostrando ciò che Gesù diventa nella vita di quanti incrociano il suo cammino. Il confronto con la persona di Gesù porta a una scelta riguardo a ciò che Egli rappresenta.
Luca non ci pone di fronte a dottrine o virtù morali: ci presenta una persona come unico punto di riferimento. Qui si tratta di riconoscere una persona o no, di scegliere di seguirla o no. In questo senso, la tecnica narrativa ha una finalità cristologica evidente: la ricerca dell’identità di Gesù non è un problema che riguarda solo gli attori del racconto, essa si estende anche ai lettori, che a loro volta devono scegliere se seguire o meno l’itinerario dei discepoli, quello della fede. L’arte narrativa di Luca è molto più che l’abilità di ordire bene un racconto, creando una solida sequenza che tende progressivamente a risolversi. Il segreto dell’arte narrativa di Luca è il centro narrativo da lui scelto: la rivelazione dell’identità messianica di Gesù. Il Vangelo, tuttavia, non fa leva sulla presentazione di conclusioni definitive a proposito di Gesù: suggerisce, invece, il cammino aperto, silenzioso e paziente delle domande.
Con insistenza, e nel chiaro proposito di coinvolgere il lettore, ripete che l’enigma di Gesù è e non è risolto, proprio al fine di rivelare questo interstizio come possibilità di delineare una nuova ricerca. Il racconto evangelico si presenta allora come la soglia di una storia aperta, infinita, in cui la cristologia ci rimanda all’ecclesiologia. Il suo presente è già l’inventario del nostro futuro. L’episodio che abbiamo scelto di approfondire mostra l’incontro di Gesù con il mondo dei peccatori. Un incontro che supera le barriere della legalità sociale e religiosa e che, per questo, divide il senso comune, accende il lume dell’interrogativo, diventa azzardato. Un incontro che, nella sua inerme sincerità, smonta i falsi calcoli che la religiosità, a volte, nasconde: il silenzio e le lacrime sono l’espressione dell’indicibilità più recondita, di quella verità che ognuno di noi ha nel sangue.
Ed è così che in questo incontro, più che in altri, qualcuno indica, riconosce, tocca, inonda di lacrime e unge il mistero di Gesù. Tutto ciò che si andava dicendo di Gesù qui è come relativizzato, e tace di fronte alla domanda che ora si solleva: «Chi è costui che perdona anche i peccati?» (7,49). Niente sarà più come prima e una finestra si apre verso quel che verrà. Giunti alla fine, viene voglia di chiedersi: perché esistono le storie? Perché esse resistono all’ineluttabile manto dell’oblio? Qual è il loro potere? Perché ci attraggono? Perché vi ritorniamo, anche quando ai secoli si sono aggiunti altri secoli e il mondo che le ha generate ci appare enigmatico, segreto, distante? Qual è il movimento che ci fa esitare tanto? Solo un gioco di artifici, o lo scorrere impalpabile ma presente della verità stessa? Perché Gesù ha raccontato storie? Perché noi le raccontiamo per dire Gesù? Di una cosa siamo certi: ci sono storie che vengono raccontate perché un incontro si compia.