Punti di vista: il san Pietro crocifisso di Michelangelo e Caravaggio, i laici, il clero e l'eucarestia, di Andrea Lonardo

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 23 /05 /2016 - 19:21 pm | Permalink | Homepage
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Mettiamo a disposizione sul nostro sito due articolo di Andrea Lonardo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. Per approfondimenti su Caravaggio e per ulteriori articoli sul tema di Andrea Lonardo, cfr. le sotto-sezioni Michelangelo e Caravaggio nella sezione Roma e le sue basiliche.

Il Centro culturale Gli scritti (24/5/2016)

1/ Punti di vista: il san Pietro crocifisso di Michelangelo guarda all’eucarestia, di Andrea Lonardo

Nella Cappella Paolina, la Crocifissione di Pietro è sulla parete destra. 
Rispetto alla foto, quindi, l'ingresso è a destra e l'altare a sinistra

Antefatto

Dopo aver guidato un gruppo di sacerdoti nella visita della Paolina, mi viene offerto il dono di concelebrare nella Cappella stessa. Mentre il celebrante predica, levo lo sguardo. Pietro mi sta guardando mentre viene crocifisso. Non me ne accorgo da critico d’arte, ma da concelebrante. Non stavo studiando quel quadro, semplicemente l’ho guardato distrattamente, perché la mente era rivolta ad ascoltare le parole dell’omelia. Non c’è dubbio. Pietro guarda verso l’altare, verso chi celebra, verso l’eucarestia. Solo al termine della messa vado vicino. Le sue pupille sono rivolte indietro. Fissano l’altare. In fondo è normale che un critico d’arte non si accorga del particolare. Perché è un laico e guarda l’affresco dal suo punto di vista, che è quello del fedele seduto nella navata. Ma Michelangelo dipinge quell’affresco pensando all’eucarestia e al papa che la celebra. Continuando a fissare entrambi gli affreschi dall’altare ci si accorge poi che quello è il punto di vista corretto per contemplare entrambi gli affreschi. Anche l’affresco della Conversione di Paolo deve essere visto da quel punto peculiare di vista.

Solamente guardando dall’altare della Cappella Paolina la Crocifissione di Pietro, dipinta da Michelangelo, ci si accorge che il primo degli apostoli si volge, prima di morire, a contemplare l’eucarestia. In realtà il Buonarroti conferì all’affresco una duplice leggibilità da due opposti punti di vista, quello di chi vi accede dalla porta di accesso e quello di chi guarda dall’altare papale.

Volle così che chi fosse entrato nella Cappella si sentisse sotto lo sguardo dell’apostolo. Ma soprattutto dipinse gli occhi di Pietro crocifisso che si rivolgono all’altare, al papa celebrante e all’eucarestia. Le sue pupille non fissano chi entra, ma piuttosto il cuore della Cappella, dove si celebra e si conserva l’eucarestia.

Il punto di vista “liturgico” è per Michelangelo il punto di vista più importante: Pietro muore guardando alla celebrazione eucaristica ed al papa vivente che la celebra o la adora nella Paolina.

La Cappella Paolina o Cappella Parva – per distinguerla dalla più famosa Cappella Magna o Cappella Sistina – venne consacrata da papa Paolo III Farnese nel 1540: costruita da Antonio da Sangallo il giovane, venne dedicata al santo di cui il papa portava il nome. La Cappella venne eretta per le celebrazioni private del papa ed, in particolare, per le Quarant’Ore, l’adorazione eucaristica protratta per la lunghezza del tempo nel quale Gesù morto rimase nel sepolcro. Fra l’altro fu proprio papa Paolo III ad approvare questa pratica con un Breve apostolico del 1537.

Lo sguardo di Pietro che si rivolge alla Custodia del Sacramento – in età barocca verrà appositamente costruita una vera e propria “macchina” predisposta per le Quarant’Ore nella Paolina – esprime così la fede del committente, ma anche quella dell’artista stesso.

Il legame di Michelangelo con Paolo III (1534-1549) è strettissimo. Il papa, che già gli aveva commissionato il Giudizio Universale della Cappella Magna, la Sistina, gli richiese nel 1542 la realizzazione dei due affreschi con la Conversione di Paolo e la Crocifissione di Pietro per la Cappella Parva. Il Buonarroti la iniziò ultrasessantacinquenne e la terminò ultrasettantenne, poiché l’opera richiese più di sette anni, dal 1542 al 1550 – l’affresco con Pietro crocifisso che guarda all’eucarestia venne iniziato per secondo, nel 1546. Michelangelo, appena sceso dai ponteggi della Sistina vi risaliva immediatamente per i due affreschi della Paolina. Contemporaneamente aveva firmato nel 1542 l’ultimo contratto per la sepoltura di papa Giulio II, con la sola statua a grandi dimensioni di Mosè, oltre a quelle minori della Vergine col Bambino, di Lia e Rachele e del papa che si solleva sul sepolcro. La tomba di Giulio II in San Pietro in Vincoli venne definitivamente sistemata nel 1545, lo stesso anno nel quale Michelangelo concluse la Conversione di San Paolo. Il corpo di Giulio II, che aveva reso famoso Michelangelo con la commissione delle Storie della Genesi e che l’artista tanto amava, non venne mai traslato nel nuovo sepolcro  e tuttora riposa nella basilica Vaticana, ma il Buonarroti con la sistemazione del Mosè realizzò finalmente il suo personale omaggio al papa defunto, chiudendo quella che chiamò la “tragedia” della sepoltura.

Nel 1546, proprio nell’anno in cui cominciò l’affresco della Crocifissione di Pietro, morì Antonio da Sangallo il giovane che aveva costruito la Cappella Paolina, ma che, soprattutto, era responsabile della Fabbrica della nuova basilica di San Pietro in costruzione. Michelangelo venne designato al suo posto e si trovò così a lavorare contemporaneamente agli affreschi della Paolina, alla tomba di Giulio II ed alla basilica con la sua cupola – lavorò alle absidi della basilica, giungendo a costruire per intero il meraviglioso tamburo della cupola, ma non la cupola stessa di cui progettò solo un modello ligneo nel 1557. La cupola doveva essere ancora iniziata quando Michelangelo morì quasi novantenne nel 1564 nella sua casa a Macel de’ Corvi, dove oggi è piazza Venezia - la facciata della sua casa venne trasferita in età moderna al Gianicolo. Venne infine realizzata da Giacomo della Porta durante il pontificato di Sisto V.

La dedizione alla basilica di San Pietro, ai papi e l’affrescatura della Cappella per le Quarant’Ore, con il primo degli apostoli che morendo si rivolge fiducioso a Cristo presente nell’eucarestia, dicono molto, nella loro oggettività, di quella fede che l’artista voleva servire. La tradizione vuole che il Buonarroti addirittura rifiutasse di essere pagato per i lavori alla basilica, perché offerti per la gloria di Dio.  

Il dipinto della Crocifissione di Pietro, osservato dalla giusta prospettiva dell’altare e della custodia eucaristica, presenta come un movimento processionale che inizia a sinistra di Pietro con i soldati che salgono e, girando intorno all’apostolo che viene innalzato sulla croce a testa in giù, ridiscendono dal lato opposto. Le donne che sono alla destra di Pietro quasi si uniscono ai fedeli presenti nella Cappella, discendendo nel popolo di Dio che, con il papa vivente, adora l’eucarestia nella Paolina.

Alla sommità dell’affresco una figura invita al silenzio, ponendo il dito dinanzi alla bocca. La morte di Pietro rimanda al sepolcro di Cristo che le Quarant’Ore veneravano e venerano, invitando al silenzio ed al raccoglimento. Ogni sguardo, a partire da quello di Pietro, si volgerà nel silenzio alla presenza eucaristica del Signore.

Quando Caravaggio decorerà la Cappella Cerasi, in Santa Maria del Popolo, vorrà, dopo avere a lungo contemplato i due affreschi dell’anziano Michelangelo, ripeterli, in quella che potremmo chiamare la “Paolina in piccolo”. Anche il Pietro crocifisso di Caravaggio non si rivolgerà a guardare chi entra nella Cappella, bensì si solleverà per rivolgersi ancora una volta all’eucarestia.

2/ Punti di vista: il San Pietro crocifisso di Caravaggio guarda all’eucarestia, di Andrea Lonardo

Nella Cappella Cerasi, la Crocifissione di Pietro è sulla parete sinistra. 
Rispetto alla foto, quindi, l'ingresso è a sinistra e l'altare a destra.
Foto di Bruno Brunelli

Antefatto

Il giorno dopo aver scoperto che Pietro guarda verso il cuore della cappella, verso l’eucarestia, telefono al parroco di Santa Maria del Popolo. Sono sicuro prima di sapere la sua risposta. Lo prego – ci conosciamo bene – di andare nella Cappella Cerasi, di mettersi di spalle all’altare e di dirmi se Pietro fissa l’altare ed il tabernacolo. E, se possibile, di scattare una foto da quell’angolatura. Sono sicuro della risposta. Mi ritelefona dopo pochi minuti: “Come facevi a saperlo? È vero, guarda verso l’altare, non me n’ero mai accorto. Tutte le guide ripetono accompagnando i gruppi che Pietro crocifisso è posto da Caravaggio in quella postura per guardare chi entra nella Cappella. Non è così, guarda l’eucarestia”.

La Crocifissione di Pietro della Cappella Cerasi mostra da sola che senza una forzatura ideologica non si può presentare il Caravaggio come un pittore che avrebbe ignorato la tradizione pittorica precedente. Il Merisi, nel dipingere il martirio di Pietro cita l’affresco di Michelangelo nella Cappella Paolina e fa voltare anche lui, come il grande maestro che portava il suo stesso nome di Battesimo, lo sguardo di Pietro verso l’eucarestia. Anche per Caravaggio il punto di vista è determinante: Pietro non si volge a chi entra nella Cappella, bensì al sacerdote che consacra l’eucarestia.

Questo solo particolare basterebbe a screditare chiunque ripeta che il realismo è l’unica chiave di lettura dell’opera di Caravaggio. La pittura del Merisi è, infatti, impastata di simbolismo e riflette continuamente l’oggettività della fede cristiana, come nell’altare e nel fonte battesimale del Martirio di San Matteo, dove i neofiti si affollano nudi per il Battesimo appena ricevuto ed un ministrante in vesti liturgiche bianche fugge impaurito, così pure nella luce di grazia che accompagna la Vocazione di Matteo e, prima ancora, la Maddalena penitente.

Dalla Contarelli alla Cerasi è la stessa luce che manifesta la chiamata di Paolo – resa ancora più simbolicamente con la scomparsa della figura del Cristo – ed è la stessa realtà sacramentale testimoniata dallo sguardo di Pietro che non ha altro da contemplare prima di morire che il Cristo nascosto nell’eucarestia consacrata sull’altare.

Nella rappresentazione di Pietro, Caravaggio è debitore a Michelangelo, ne avverte il debito e lo dichiara, mentre a suo modo cerca di superarlo. Prima del Buonarroti era abitudine dipingere l’uno a fianco dell’altro il martirio dei due apostoli: la decapitazione di Paolo e la crocifissione di Pietro, Paolo decapitato in quanto cittadino romano e Pietro martirizzato con la pena più infamante riservata a coloro che non godevano di tale cittadinanza. Ritroviamo i due martiri nella stessa basilica Vaticana, nella Porta bronzea del Filarete o precedentemente nel polittico Stefaneschi dipinto da Giotto per l’altare maggiore della basilica, ora nei Musei Vaticani.

Michelangelo innovò, rispetto a questo schema, cessando di dipingere nella Cappella Paolina i due martiri affiancati: alla Crocifissione di Pietro contrappose simmetricamente la Conversione di Paolo. Ma l’originalità di Michelangelo si spinse oltre, fino a rappresentare l’apostolo nel momento in cui la croce viene eretta. L’opera presenta la crocifissione in movimento, mentre la croce non è ancora stata totalmente innalzata e fissata al suolo. La figura di Pietro viene caratterizzata da Michelangelo con un ulteriore particolare impressionante: Pietro si volge all’altare, alla custodia eucaristica, al celebrante. Testimonia il suo Signore e Maestro non solo morendo, ma insieme volgendosi al Cristo per l’ultima volta in terra.

Ebbene Caravaggio riprende da Michelangelo nella Cappella Cerasi non solo la simmetria della conversione dell’apostolo delle genti e della crocifissione del primo degli apostoli, ma anche la postura dei due. Ciò mostra a sufficienza quanto Caravaggio fosse un frequentatore abituale del Palazzo papale. Lo sappiamo con sicurezza per il fatto che ritrasse papa Paolo V Borghese, un’opera già nota dalle fonti e recentemente riconosciuta dalla critica in occasione della mostra “Caravaggio a Roma. Una vita dal vero”.

Ma lo vediamo ancor più dalle stesse opere che citano gli affreschi della Sistina e della Paolina. Il braccio con cui Gesù chiama Matteo nella Vocazione in San Luigi dei Francesi è un’evidente rimando al braccio di Adamo nella Creazione dell’uomo della Sistina.

Lo vediamo ancor più nelle due tele della Cerasi.

È commovente immaginare Caravaggio nella Cappella Paolina che studia l’opera di Michelangelo, avendo vicino il papa o i suoi amici cardinali, nel desiderio di reinterpretarla in piccolo nella Cerasi. Caravaggio si accorse che il San Pietro michelangiolesco, morendo, si volgeva all’altare. E decise che il suo San Pietro crocifisso doveva guardare similmente nella medesima direzione.

Nella Cerasi, data la ristrettezza del luogo, la torsione del capo di Pietro verso l’altare è ancora più evidente che nella Paolina. Solo il confronto con l’affresco michelangiolesco permette di collegare la postura di Pietro anche con un volgersi verso chi entra nella Cappella, perché in Santa Maria del Popolo il primo degli apostoli si volge solamente all’altare.

Fu certamente lo stesso Cerasi a volere per la cappella di famiglia il doppio riferimento ai santi Pietro e Paolo. Tiberio Cerasi era cardinale e tesoriere della Camera apostolica, l’organismo della Curia pontificia addetto allora alla gestione economica dei beni: era – si potrebbe dire – colui che di fatto amministrava i conti dello Stato pontificio.

Nell’anticamera della Cappella fece scolpire sul lato sinistro il proprio busto e sull’altro quello del padre, Stefano Cerasi, che aveva esercitato la professione di medico chirurgo presso l’Ospedale di Santa Maria della Consolazione, ai piedi del Campidoglio. L’iscrizione lo dichiara, con la terminologia del tempo, physicus. L’iscrizione che il cardinale fece comporre ricorda anche la madre che era et corporis et animi bonis.

Il Cerasi morì prima della sistemazione della Cappella e non vide quindi la versione definitiva delle due tele del Merisi. La critica ha, comunque, chiarito che le due tavole su legno che Caravaggio aveva in origine dipinto non furono rifiutate né per motivi teologici, né di decoro. Probabilmente fu lo stesso Caravaggio a ritenerle non più adatte alla Cappella per la quale, nel frattempo, Annibale Carracci aveva dipinto la pala con l’Assunta. La prima Crocifissione di Pietro è scomparsa e ne esiste solo una copia abbozzata, ma certamente la prima versione della Conversione di Paolo è molto più manierista dell’attuale che è, invece, decisamente più innovativa nello stile che il Caravaggio andava affinando e maturando. Scompare l’affollamento di figure della prima versione e si stagliano invece solamente Paolo, lo stalliere ed il cavallo, illuminato dalla luce radente dell’apparizione di Cristo che resta invisibile.

Fu, quindi, certamente l’artista a perfezionare l’opera, di modo che anche nella Crocifissione Pietro fissasse l’altare dell’eucarestia. Caravaggio, fra l’altro, nel passaggio dalla prima alla seconda versione, invertì la posizione delle due raffigurazioni, che risultano così opposte rispetto alla Paolina: a sinistra la Crocifissione di Pietro e a destra la Conversione di Paolo. L’inversione si evince chiaramente dalla disposizione delle figure nelle due versioni.

Il fatto di porre a sinistra quella di Pietro che guarda l’eucarestia – la tavola che appare per prima allo sguardo di chi entra nella Cappella – forse venne determinato proprio dal voler mettere in rilievo quel punto di vista. Il visitatore vede in primo piano il posteriore di uno dei personaggi che crocifigge l’apostolo, ma lo sguardo di Pietro lo indirizza subito alla presenza del Cristo.

La peculiare poetica di Caravaggio che sottolinea sempre l’incontro dell’oscura materialità dell’uomo con la misteriosa e illuminante presenza di Dio nella storia è così anche qui confermata. Anche qui è Michelangelo ad essere maestro del Merisi: Buonarroti, infatti, non esitò a rappresentare addirittura il posteriore di Dio nella Creazione del sole, della luna e della vegetazione nella Sistina. Solo una meditazione profonda dell’Incarnazione permette di comprendere la vertigine di raffigurazioni cristiane delle terga divine ed umane, poiché gli antropomorfismi e la carnalità nella rappresentazione del divino e dell’umano hanno senso nella fede cristiana e solo in essa.

La Crocifissione di Pietro del Caravaggio allora è pienamente in linea con ciò che conosciamo delle sue devozioni. Si conserva, infatti, il documento della partecipazione del Merisi all’adorazione eucaristica delle Quarant’Ore per la Madonna di San Luca, patrona dei pittori, così come il “Precetto” che certifica la sua Confessione e Comunione per la Pasqua del 1605, nello Stato delle anime della parrocchia di San Nicola dei Prefetti.

Ma l’opera pittorica aggiunge a questi dati noti la vivezza della raffigurazione artistica. Caravaggio era una “testa calda” come la maggior parte dei pittori dell’epoca – si conservano notazioni dei tribunali anche su Orazio Gentileschi, Prospero Orsi, il Cavalier d’Arpino, Annibale Carracci e altri – ma contemporaneamente partecipava con convinzione alla vita cristiana della sua Roma che oggi chiamiamo con termine quasi ”dispregiativo” controriformistica, ma che Caravaggio riteneva invece degna e bella, adatta alla libera espressione artistica, tanto da aspirare a tornarvi nel 1610 non appena avuta l’assicurazione della grazia papale imminente.