1/ Il volto della Sindone. I dati scientifici: dati che pongono domande. Intervista con Emanuela Marinelli di Pina Baglioni 2/ Sindone: l'ombra (del corpo) e la luce (del mistero), di Marina Corradi 3/ Sindone, scienza e fede. «È come affacciarsi sulla soglia del mistero della Risurrezione». Un’intervista con Emanuela Marinelli di Elisabetta Longo

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 15 /05 /2016 - 22:01 pm | Permalink | Homepage
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1/ Il volto della Sindone. I dati scientifici: dati che pongono domande. Intervista con Emanuela Marinelli di Pina Baglioni

Riprendiamo dal sito della rivista 30Giorni (numero giugno-luglio 2008) un’intervista con Emanuela Marinelli di Pina Baglioni. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (15/5/2016)

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«Il mio interesse scientifico per la Sindone ha avuto inizio nel 1977, quando il dottor Max Frei, studioso di botanica, annunciò la scoperta sulla Sindone di granuli di polline appartenenti a specie vegetali che esistono in Medio Oriente ma non in Europa. Da allora ho raccolto sulla Sindone circa ottocento volumi e un enorme numero di articoli, ma in particolare circa trecento articoli scientifici, e ho scritto molti libri sull’argomento». Emanuela Marinelli, naturalista, è tra i più competenti studiosi italiani della Sindone. Carattere deciso e impulsivo, ha al suo attivo anche una vasta produzione di genere più informativo su un argomento che non è certo semplice trattare con equilibrio, in particolare di fronte a una divulgazione spesso approssimativa e, per un verso o per l’altro, preconcetta. 

Il telo di lino – o Sindone – custodito a Torino è stato oggetto, nel corso dell’ultimo secolo, di numerosi studi che hanno indagato con i metodi di svariate discipline scientifiche (includendo in questa espressione anche i vari aspetti della ricerca storica e archeologica) le caratteristiche dell’immagine che vi appare visibile – l’impronta frontale e dorsale di un uomo con evidenti ferite da crocifissione –, e in particolare si sono interrogati – finora senza successo – sulle modalità della sua formazione.

Quali sono i dati oggettivi che si possono ragionevolmente accettare come certi? 

EMANUELA MARINELLI: L’interesse scientifico per la Sindone nacque alla fine del XIX secolo, nel 1898, quando nelle prime fotografie, eseguite da Secondo Pia, apparve evidente che parte delle immagini impresse sul telo di lino ha caratteristiche simili a quelle di un negativo fotografico. Dico “parte delle immagini” perché tali caratteristiche sono proprie della doppia impronta che appare sul lino – frontale e dorsale – dell’uomo con ferite identiche a quelle di Gesù crocifisso descritte dai Vangeli, ma non delle macchie, rivelatesi poi di sangue umano, che in corrispondenza delle ferite sembrano in parte coprire l’immagine “negativa” e che in realtà si impressero sul telo prima di essa
Il primo dato assolutamente certo, dimostrato da studi diversi e indipendenti, è dunque che il rivestimento rosso dei fili del lino in corrispondenza delle ferite è sangue umano di gruppo AB. Questo risultato è confermato da indagini microspettroscopiche, dalla cromatografia e dalla reazione alla benzidina. Inoltre, il rivestimento rosso sui fili viene lisato (cioè sciolto) completamente dalle proteasi. Anche il test degli enzimi proteolitici dimostrò l’assenza di coloranti. In corrispondenza della zona dei piedi è stato rinvenuto un globulo rosso e alcune cellule epidermiche umane. Il sangue contiene Dna umano maschile. L’elevata quantità di bilirubina riscontrata nel sangue è indice di persona fortemente traumatizzata prima della morte. Inoltre, in numerosi rivoli sono evidenti componenti ematici tipici delle varie fasi della coagulazione: la crosta (con la formazione dei ponti di fibrina da parte del fattore XIII) e l’essudato sieroso; risulta quindi evidente che tali impronte si sono formate per contatto diretto del lino con un cadavere. Gli aloni di siero sono invisibili a occhio nudo, ma appaiono se illuminati con luce ultravioletta. Il sangue, coagulato sulla pelle ferita, si è trasposto sulla stoffa per fibrinolisi, fenomeno che causa una parziale lisi (cioè ridiscioglimento) dei coaguli di sangue durante le prime trentasei ore di contatto. 

Mentre l’immagine “negativa” frontale e dorsale dell’Uomo della Sindone... 

MARINELLI: L’immagine del corpo è impressa in modo ancora oggi scientificamente inspiegabile. Nonostante i più disparati tentativi sperimentali condotti (alcuni dei quali – occorre dirlo – riproposti, difesi e pubblicizzati con pervicacia nonostante il loro evidente insuccesso), le più sofisticate tecniche attuali non permettono di costruire nei dettagli un’immagine simile a quella della Sindone. Essa mostra caratteristiche tridimensionali, non ha linee nette di demarcazione e si è formata sicuramente dopo la deposizione del sangue sul lino, perché sotto le macchie di sangue non è presente. L’ingiallimento del tessuto che forma l’immagine interessa solo uno strato estremamente superficiale delle fibrille del lino con cui è fabbricata la stoffa. L’immagine dorsale, infine, non è influenzata dal peso del corpo. Si può dire anche con certezza che l’immagine non è dipinta: non esiste alcun pigmento organico o inorganico sul telo, e il colore giallo traslucido dell’immagine non è dovuto ad alcuna sostanza di apposizione, ma è causato dalla disidratazione e ossidazione delle fibrille più superficiali; venticinque diversi tipi di solventi, tra cui l’acqua, non degradano o cancellano l’immagine. E si può anche dire che essa non è stata ottenuta per strinatura: è impossibile ottenere un’immagine con le stesse caratteristiche chimiche e fisiche di quella della Sindone usando, ad esempio, un bassorilievo riscaldato. 

Il tessuto della Sindone (A) a confronto con i tessuti egiziani simili (B e C) risalenti al II secolo d.C.

Un’altra serie di considerazioni può essere desunta dall’analisi interna del manufatto e dalle sostanze che nel tempo si sono depositate sul telo di lino. Che cosa si è potuto appurare? 

MARINELLI: Per quanto riguarda il manufatto, i fili del telo sindonico furono filati a mano con la torcitura “Z”, diffusa nell’area siro-palestinese nel I secolo d.C. L’intreccio del tessuto, che è a “spina di pesce”, è riconducibile a un rudimentale telaio a pedale; esso presenta infatti salti ed errori di battuta. Il tessuto a spina di pesce è di origine mesopotamica o siriaca. Nei ritrovamenti di tessuti giudaici a Masada, in Israele, è documentata una speciale tipologia di cimosa, uguale a quella presente sulla Sindone, per il periodo compreso tra il 40 a.C. e la caduta di Masada, nel 74 d.C. Sulla Sindone c’è anche una cucitura longitudinale, identica a quella presente su frammenti di tessuto provenienti dai citati ritrovamenti di Masada. Dunque la tecnica di fabbricazione e la tipologia del tessuto danno come indizio una datazione coerente con l’epoca di Cristo. Si può aggiungere che le misure del telo (pure se le dimensioni del manufatto possono essere variate anche significativamente a causa delle ripetute ostensioni, con conseguenti arrotolature, spiegamenti, tensioni e stirature) sembrano potersi riportare a numeri interi espressi in cubiti siriani, un’unità di misura di lunghezza usata nell’antico Israele. Altri sistemi di unità di misura sembrano corrispondere meno, in termini di unità intere, ai valori di lunghezza e larghezza del telo. È interessante anche segnalare che nelle parti del tessuto della Sindone che si sono potute esaminare non sono state trovate tracce di fibre di origine animale, nel rispetto della legge mosaica che prescrive di tenere separata la lana dal lino (Dt 22, 11); le uniche (minime) tracce di altre fibre rinvenute nel telo sono di cotone del tipo Gossypium herbaceum, diffuso nel Medio Oriente ai tempi di Cristo. 
Per quanto riguarda poi le sostanze che nel corso del tempo si sono depositate sul telo, si è scoperto che particelle di materiale terroso, prelevate dalla Sindone in corrispondenza dell’impronta dei piedi, contengono aragonite con impurezze di stronzio e ferro; campioni presi nelle grotte di Gerusalemme sono risultati essere molto simili. Un altro elemento rinvenuto sul telo sindonico è il natron (carbonato basico idrato di sodio), utilizzato in Egitto nell’imbalsamazione per la sua proprietà di assorbire l’acqua, e utilizzato anche in Palestina per la deidratazione dei cadaveri. Anche la presenza di aloe e mirra è stata identificata sulla Sindone. Erano, queste, sostanze usate in Palestina ai tempi di Cristo per la sepoltura dei cadaveri. Esperimenti hanno dimostrato che gli aloni dall’aspetto seghettato, lasciati dall’acqua sulla Sindone, si formano solo in una stoffa preventivamente imbevuta di aloe e mirra. Infine, l’analisi dei pollini presenti sulla Sindone conferma che essa è stata esposta in Palestina, a Edessa e a Costantinopoli. Delle cinquantotto specie di pollini identificati sulla Sindone dal botanico Max Frei, una trentina sono di piante che non esistono in Europa ma crescono in Palestina e molte sono tipiche e frequenti a Gerusalemme e dintorni (tra queste l’Acacia albida, molto diffusa nella valle del Giordano e attorno al Mar Morto; la Gundelia tournefortii, pianta dei luoghi sassosi o salati; l’Hyoscyamus aureus e l’Onosma orientalis, presenti sulle mura della vecchia cittadella di Gerusalemme; la Prosopis farcta e lo Zygophyllum dumosum, molto frequenti attorno al Mar Morto; l’Haplophyllum tuberculatum e la Reaumuria hirtella, piante desertiche). In base alla classificazione di altri diciannove nuovi tipi di pollini (in totale quindi sono settantasette), risulta anche che la Sindone attraversò le alte terre del Libano. Fra i pollini trovati, due non esistono né in Europa né in Palestina, ma una di queste specie (Atraphaxis spinosa) esiste a Urfa (Edessa) e l’altra specie (Epimedium pubigerum) esiste a Istanbul (Costantinopoli)

Dunque, tutta la serie di elementi che lei ha illustrato vanno nella direzione di attribuire la Sindone all’epoca di Gesù, e anche a confermare alcuni dati della tradizione storica che identifica il telo sindonico con il Mandylion, l’immagine del volto di Gesù nota in Oriente fin dai primi secoli del cristianesimo. Eppure, la datazione con il metodo del C14, fatta nel 1988 dai tre laboratori di Tucson, Oxford e Zurigo, fornì un’età del tessuto compresa fra il 1260 e il 1390 d.C., del tutto incompatibile con i dati che lei ci ha appena illustrato. 

MARINELLI: Le vorrei dire innanzitutto che è importante il suo riferimento alla tradizione storica. Io mi occupo principalmente di scienze fisiche e naturali, ma è anche mia impressione (come di altri studiosi che si sono occupati della Sindone) che su questo argomento si sia spesso trascurato il dato storico a scapito di quello scientifico, ritenuto troppe volte come di valore assoluto a confronto della presunta opinabilità della tradizione letteraria (a partire dai Vangeli), archeologica, iconografica, numismatica e archivistica. Spesso, ad esempio, si sente ripetere che sulla Sindone non esistono documenti prima della sua comparsa in Francia a metà del 1300 nelle mani di un nobile crociato, Geoffroy de Charny. Con banale deduzione qualcuno conclude che deve essere stata fabbricata in quell’epoca, e corrobora questa deduzione citando una lettera inviata nel 1389 dal vescovo di Troyes, Pierre d’Arcis, all’antipapa Clemente VII, in cui la Sindone viene dichiarata falsa perché ci sarebbe stata la confessione del pittore che l’avrebbe dipinta. Ma tutte le analisi fatte sul telo sindonico escludono che quell’immagine sia un dipinto: dunque che valore può avere una simile testimonianza che la critica storica, collocandola nel suo preciso contesto, può agevolmente dimostrare non veritiera? Non starò qui a discutere di tutti gli indizi storici e iconografici riferibili alla Sindone prima del 1300, ma è certo che quantomeno dal VI secolo si diffonde un particolare tipo di ritratto di Cristo che ha molte caratteristiche comuni con il volto sindonico. Lo studio delle pieghe del telo sindonico ci permette di capire come per un certo periodo di tempo esso dovette essere esposto ripiegato, in maniera da mostrare il solo volto di Cristo, e in un tempo successivo appeso in verticale mostrando anche parte del corpo, similmente all’imago pietatis, raffigurazione di Cristo morto che sporge dal sepolcro in posizione eretta fino alla vita, raffigurazione che forse proprio da questa particolare modalità di ostensione della Sindone prende origine. Per non parlare della miniatura della sepoltura di Cristo contenuta nel Manoscritto Pray di Budapest, risalente al 1192-1195, chiaramente derivata dalla Sindone. La Sindone inoltre viene citata nel 1204 da un cavaliere francese, Robert de Clari, che la vede a Costantinopoli durante la IV crociata. 
Come si giustifica dunque tutto questo, se il C14 ha dato una datazione tra 1260 e 1390? Dobbiamo presupporre l’esistenza di una vera Sindone in seguito scomparsa, di cui quella pervenutaci sarebbe una imitazione? Ma ciò contrasterebbe ancora con i dati, in gran parte incontrovertibili, che si desumono dall’analisi del telo e dei residui presenti su di esso di cui abbiamo parlato prima. Contrasterebbe poi con l’impossibilità di riprodurre, anche ora e con le più moderne tecnologie, l’immagine sindonica. 

La stessa precisione anatomica, fin nei minimi dettagli, dell’immagine dell’Uomo della Sindone farebbe escludere – al di là di tutte le prove scientifiche che ha illustrato – che possa trattarsi di un manufatto di epoca medievale, cosa impossibile per il grado di conoscenza del corpo umano che allora si aveva. 

MARINELLI: Certamente. Ma c’è di più: sull’immagine dell’Uomo della Sindone sono presenti tracce davvero sorprendenti, che ci indicano che la Sindone ha avvolto con certezza il cadavere di un uomo che è stato torturato e ucciso proprio come i Vangeli ci descrivono a proposito di Gesù. 

E quali sono in particolare queste tracce? 

MARINELLI: Innanzitutto l’Uomo della Sindone è stato flagellato. Tutto il corpo è stato colpito con un flagrum taxillatum romano, tranne il petto. Le ferite indicano due diverse zone di provenienza dei colpi, e si può dunque supporre che i flagellatori fossero due. Questa flagellazione non doveva essere mortale ed è stata inflitta come pena a sé stante, più abbondante del consueto preludio alla crocifissione: infatti furono dati circa centoventi colpi anziché i normali ventuno. Tanti se ne contano sul telo sindonico. Non si tratta di una flagellazione ebraica perché gli ebrei, per legge, non superavano le trentanove battute. Ogni colpo ha provocato sei contusioni indotte da altrettanti ossicini posti alle estremità delle tre corde del flagrum. Doveva seguire la liberazione; invece il condannato fu poi crocifisso (Sal 129, 3; Is50, 6; Mt 27, 26; Mc 15, 15; Lc 23, 25; Gv 19, 1). La flagellazione non è avvenuta durante il trasporto del patibulum perché esistono segni di flagrum anche in corrispondenza delle spalle. Tali ferite sono diverse dalle altre presenti su tutto il corpo perché risultano compresse da un corpo pesante
L’Uomo della Sindone fu coronato di spine: la testa presenta, su tutta la sua superficie, una cinquantina di ferite causate da corpi appuntiti. Fu intrecciato un casco di spine conforme alle corone regali dell’Oriente. Non si trattò, quindi, del cerchio di spine tramandato dalla tradizione occidentale (Mt 27, 29; Mc 15, 17; Gv 19, 2). Il rivolo a forma di 3 rovesciato che si vede sulla fronte (particolare, questo, che tra l’altro appare in varie raffigurazioni del volto di Cristo in Oriente già ben prima dell’anno Mille) corrisponde a una lenta e continua discesa di sangue venoso causata da una spina conficcata nella vena frontale; il particolare aspetto del 3 rovesciato è dovuto al corrugarsi del muscolo frontale sotto lo spasmo del dolore. La macchia di sangue a destra, alla radice dei capelli, è formata da un coagulo circolare di sangue arterioso, perché fuoriesce a getto intermittente. 
Sul volto dell’Uomo della Sindone risultano evidenti diverse tumefazioni e la rottura del naso, verosimilmente provocata da una bastonata che ha colpito anche la guancia destra (Mt 27, 30; Mc15, 19; Gv 19, 3). 
L’Uomo della Sindone presenta un’ecchimosi a livello della scapola sinistra e una ferita sulla spalla destra, correlabili al trasporto della parte orizzontale della croce, il patibulum (Mt 27, 31-32;Mc 15, 20-21; Lc 23, 26; Gv 19, 17). Nella zona delle ecchimosi, le ferite da flagrum non sono state lacerate dallo sfregamento con il legno: infatti a Gesù fu fatta indossare la veste (Mt 27, 31;Mc 15, 20) che ha protetto le ferite dallo sfregamento, ma ha poi causato notevoli dolori quando gli è stata strappata prima della crocifissione (Mt 27, 35; Mc 15, 24; Lc 23, 34; Gv 19, 23-24). Le cadute, tramandateci dalla tradizione, sono confermate dalle particelle di terriccio misto a sangue trovate sul naso e sul ginocchio sinistro. La legatura del patibulum impediva al condannato di ripararsi con le mani. È stata identificata una notevole quantità di materiale terroso anche in corrispondenza del calcagno. 
L’Uomo della Sindone non era cittadino romano, altrimenti non sarebbe stato crocifisso. Le ferite dei polsi e dei piedi corrispondono a quelle di un uomo fissato alla croce con chiodi. Nell’immagine sindonica non si vedono i pollici: la lesione del nervo mediano, causata dalla penetrazione del chiodo nel polso, causa, infatti, la contrazione del pollice. 
Dall’analisi medico-legale risulta che l’Uomo della Sindone, quando morì, era disidratato (Mt 27, 48; Mc 15, 36; Lc 23, 36; Gv 19, 28-29; Sal 69, 4; Sal 69, 22; Sal 22, 16). Per accelerare la morte, molto spesso venivano spezzate le gambe dei crocifissi: così il condannato moriva per asfissia poiché restava appeso per le braccia. Risulta dalla Sindone che le gambe non furono spezzate (Gv19, 33; Es 12, 46). L’Uomo della Sindone è stato trafitto al lato destro della cassa toracica. I margini della ferita sono allargati, precisi e lineari, tipici di un colpo dato dopo la morte. L’infarto seguito da emopericardio si ritiene la più attendibile causa di decesso. L’emopericardio è il momento terminale di un infarto miocardico ed è causato da spasmi in rami coronarici sotto la spinta di violenti stress psicofisici. La morte per emopericardio si deduce dalla chiazza di sangue che fuoriesce dalla ferita, in cui si notano grumi densi separati da un alone di siero; ciò può avvenire in un uomo deceduto in seguito a un notevole accumulo di sangue nella regione toracica. Questo accumulo può essere spiegato dalla rottura del cuore e dal conseguente versamento di sangue fra il cuore stesso e il foglietto pericardico esterno, che causa un dolore retrosternale lancinante. Nel Vangelo si legge che Gesù prima di spirare lancia un grido (Mt 27, 50; Mc 15, 37;Lc 23, 46; Sal 69, 21; Sal 22, 15). La ferita, praticata con la lancia sul cadavere dopo un certo tempo, ha quindi permesso la fuoriuscita del sangue che si era già separato dal siero (Gv 19, 34; Is53, 5; Zc 12, 10; 1Gv 5, 6; Ez 47, 1). 
La Sindone è un lenzuolo di lino dalla tessitura pregiata: i Vangeli ci dicono che il telo funerario di Gesù fu acquistato da Giuseppe d’Arimatea, un uomo ricco (Mt 27, 57-60; Mc 15, 42-46; Lc 23, 50-53; Gv 19, 38-40). Sulla Sindone sono state trovate tracce di aloe e mirra, le sostanze profumate portate da Nicodemo (Gv 19, 39-40). L’Uomo della Sindone non fu lavato perché vittima di morte violenta. Dai decalchi ematici si deduce che il suo corpo è stato avvolto nel lenzuolo entro due ore e mezza dopo il decesso ed è rimasto nel lenzuolo meno di quaranta ore. Non ci sono infatti segni di putrefazione (Sal 16, 10). 
Infine, il contatto tra corpo e lenzuolo si è interrotto senza alterare i decalchi di sangue che sono rimasti estremamente nitidi. Se il corpo fosse stato estratto dal lenzuolo, ci sarebbero sbavature che invece non si notano. Ma le impronte dimostrano che non c’è stata estrazione meccanica. 

E dunque, per ritornare alla domanda precedente, come si spiega la datazione 1260-1390 uscita dalle analisi del C14 del 1988? 

MARINELLI: Molti studiosi, già da subito dopo la comunicazione dei risultati delle analisi e poi anche recentemente, si sono convinti che non possa essere ritenuta valida. È stato detto che il campione esaminato non era rappresentativo dell’intero lenzuolo. Sui fili è stata riscontrata la presenza di un rivestimento bioplastico di funghi e batteri; inoltre ci sono fibrille di cotone e incrostazioni di coloranti, indizio di un rammendo invisibile che può avere inficiato la validità di tale prova. Purtroppo i tre laboratori non fornirono all’epoca i dati grezzi delle analisi, e questo impone di dover accettare il risultato senza una sia pure parziale possibilità di controverifica. Ma di queste analisi si è parlato moltissimo e forse anche troppo, e nell’opinione comune si tende a dare al C14 un valore quasi “miracolisticamente” definitivo. Si tratta invece di analisi complesse naturalmente soggette anch’esse a errore

In un documentario della Bbc, recentemente trasmesso anche dalla televisione italiana, il professor Christopher Ramsey, attuale direttore del laboratorio di Oxford, che all’epoca firmò i risultati delle analisi, è sembrato possibilista su un ripensamento circa i risultati del 1988. Si è detto da più parti che potrebbero essere rimessi in discussione... 

MARINELLI: Ho avuto uno scambio epistolare diretto con lui proprio a questo proposito e mi sembra che il suo pensiero sia stato un poco forzato, forse anche per dare pubblicità al documentario. In buona sostanza, egli afferma che di fronte a nuovi elementi sarebbe disposto a rimettere in discussione la questione, ma che al momento attuale non vede motivo per cui debba essere riaperta. Piuttosto speriamo che in occasione della nuova ostensione prevista per il 2010 possa essere condotto un nuovo programma di indagini a più ampio spettro. Il problema dei metodi di datazione, sia pure importante, è certamente secondario rispetto al quesito di come si sia formata l’immagine sul telo della Sindone. E il come ci aiuterebbe anche a capire il quando e il perché.

2/ Sindone: l'ombra (del corpo) e la luce (del mistero), di Marina Corradi

Riprendiamo da Avvenire del 10/10/2015 un’intervista con Emanuela Marinelli di Marina Corradi. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (15/5/2016)

Il Premio internazionale di Cultura cattolica sarà consegnato alla sindonologa Emanuela Marinelli il 23 ottobre alle 20.30, in una solenne cerimonia nel Teatro Remondini di Bassano del Grappa. La professoressa Marinelli, romana, si occupa della Sindone da 38 anni e sull’argomento ha scritto 17 libri e tenuto centinaia di conferenze in vari Paesi del mondo; è stata anche coordinatrice del Comitato organizzatore del congresso mondiale «Sindone 2000» ad Orvieto. Il riconoscimento bassanese, gestito dalla locale Scuola di cultura cattolica e giunto alla XXXIII edizione, è andato tra gli altri a personalità come Joseph Ratzinger, Krysztof Zanussi, Angelo Scola, Riccardo Muti, Camillo Ruini, Ugo Amaldi, Michael Novak, Divo Barsotti, Cornelio Fabro, Augusto Del Noce...

Nel 1977 il botanico svizzero Max Frei rese noti i risultati di una ricerca sui pollini di cui aveva trovato traccia sulla Sindone: su 58 tipi, 38 appartenevano a piante della Palestina che non esistono in Europa. I più frequenti erano pollini identici a quelli che si trovano nei sedimenti del lago di Genezaret. In Emanuela Marinelli, allora giovane laureata in Scienze naturali e in Geologia alla «Sapienza» di Roma, la scoperta suscitò un interesse profondo. Pollini dalla Palestina, come una firma sulla reliquia che dal 1933 non veniva esposta al pubblico. La Marinelli bussò al Centro romano di Sindonologia di monsignor Giulio Ricci, cominciò a studiare. Apprese che in corrispondenza del tallone dello sconosciuto avvolto nel telo c’erano tracce di un tipo di aragonite, identico a quello che si trova nelle grotte di Gerusalemme

Ed Emanuela Marinelli si innamorò della Sindone. Amore tenace: quasi quarant’anni di studio. E 17 libri, centinaia di articoli, migliaia di conferenze, dall’Indonesia al Kazakistan al Burkina Faso: lunghi viaggi, talvolta pericolosi, sempre con una copia della Sindone piegata nella valigia, per andare a spiegare, in capo al mondo. Per questa appassionata attività di divulgazione la professoressa riceve il 23 ottobre prossimo a Bassano del Grappa il prestigioso Premio internazionale della Cultura Cattolica.

La incontriamo in un caffè di Roma. Giovanile, vivace, da come parla è evidente che l’innamoramento per la Sindone continua, da quel lontano giorno in cui, dice, davanti a una sua copia si ritrovò senza parole: «Mi parve – dice – un Vangelo scritto col sangue». Ma venne il 1988, l’anno del famoso test effettuato con il carbonio 14 su un frammento del telo: la Sindone, almeno così fu detto, alla prova della scienza. Dai laboratori di Oxford, Tucson e Zurigo arrivò il verdetto: il lenzuolo risaliva al Medio Evo. Un esito tranchant, che sembrò spazzare via secoli di speranze di avere, ancora, una traccia materiale del passaggio di Cristo sulla terra. Quasi tutti a quel punto, come scrisse Vittorio Messori, si inchinarono, devoti, a «san carbonio 14»

Non proprio tutti, però. Emanuela Marinelli: «L’angolo del telo sottoposto all’analisi risultò essere stato manipolato, rammendato, inquinato da funghi e batteri. Se il campione era inquinato, la datazione poteva riferirsi alle tracce lasciate da polveri e manipolazioni». Lo sostennero poi, del resto, studiosi illustri come Gove. L’ombra che la scienza sembrava avere dissipato, in realtà rimaneva. Benché, dice la Marinelli, «si avvertisse una volontà di negare la storicità della Sindone, a prescindere da ogni elemento emerso dalla ricerca. Una volontà ideologica di negare: forse perché, come disse il cardinale Biffi, se la Sindone è falsa per un cristiano non cambia niente, ma se la Sindone è vera, per gli atei cambiano tante cose…».

La 'verità' assoluta sentenziata dal carbonio 14 fu per la Marinelli, che si era laureata in Scienze naturali con una tesi sulla radioattività dei minerali di uranio, una sfida a studiare ancora. Fu allora che pubblicò il primo dei suoi 17 libri, vagliando ogni ricerca, ogni parola pronunciata sulla Sindone. Perché ancora molto, secondo lei, non era chiaro. «Il tessuto – dice – mostra una cimosa e una cucitura particolari, ed è assimilabile ai tessuti trovati anni fa a Masada, e risalenti al I secolo dopo Cristo. Le analisi provano che in corrispondenza delle ferite c’è sangue; altre analisi dimostrano che un corpo giacque nel telo per 36/40 ore. Ma non c’è traccia del trascinamento che dovrebbe apparire, se il cadavere fosse stato rimosso». 

«Infatti sa quali studiosi, anche se atei e 'negazionisti', ammettono che nella Sindone è stato avvolto un uomo? I medici e gli artisti: i primi perché riconoscono che quello è sangue, i secondi perché capiscono che quella non è pittura. L’esperimento più significativo, però, è stato quello condotto in Italia, all’Enea. Un laser a eccimeri è stato puntato su un tessuto, e l’effetto ottenuto è quanto di più simile abbiamo all’immagine della Sindone. La stoffa risulta ingiallita, come fosse stata attraversata da un fortissima luce». 

La fede non influisce sui suoi studi? chiediamo. Lei, pacata: «No. I pollini, l’aragonite, la cimosa del tessuto, sono tutti elementi concreti. Oggi si può affermare che la prova del carbonio 14 non basta più per smentire la autenticità della Sindone». È possibile, secondo lei, svolgere nuovi test attendibili? «Temo di no, perché l’incendio cui il telo scampò chiuso in una cassetta, nel 1532 a Chambéry, può averlo comunque contaminato e ciò altererebbe i risultati dell’indagine con il carbonio»

La Sindone, dunque, cos’è per lei? «Un’immagine ancora non spiegabile, che ci lascia sulla soglia di un enigma. Come scrisse Arpino: 'In un pianeta che è rigonfio di monumenti, piramidi, colossei, archi trionfali, statue equestri, templi incontaminati o corrosi dalle muffe e dall’abbandono, in questo pianeta solo una pezza di lino, con quell’Orma, conserva il suo mistero'. Ma questa immagine, nella sua povertà, continua a chiamare gli uomini. La Sindone è icona della sofferenza umana. La gente, quando vado a parlarne, mi sta a ascoltare, ovunque: nelle regioni più lontane del mondo, nelle scuole, nelle carceri». 

Ma una sera una donna anziana, finita la conferenza, si alzò dalla platea. Era una donna modesta del Sud Italia, con le mani sciupate dal lavoro casalingo. «Professoressa – disse –, io non ho capito molto del carbonio 14, però una cosa ho capito. Ho capito che noi dobbiamo diventare come la Sindone, dobbiamo stamparci dentro l’immagine di quel volto sofferente, per portarlo a quelli che incontriamo». E quella volta fu la professoressa, commossa, a restare muta. 

3/ Sindone, scienza e fede. «È come affacciarsi sulla soglia del mistero della Risurrezione». Un’intervista con Emanuela Marinelli di Elisabetta Longo

Riprendiamo dal sito della rivista Tempi un’intervista con Emanuela Marinelli di Elisabetta Longo, pubblicata il 5/4/2015. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Sacra Scrittura.

Il Centro culturale Gli scritti (15/5/2016)

Dal 19 aprile al 24 giugno a Torino ci sarà l’ostensione della Sindone. Tra i “pellegrini” ci sarà anche papa Francesco, che visiterà il capoluogo piemontese domenica 21 e lunedì 22 giugno. Emanuela Marinelli è sindologa di fama internazionale, da quasi quarant’anni impegnata nello studio del Sacro Telo.

Professoressa, come è nata la sua passione per la Sindone?

Studio la Sindone da 38 anni, da quando vidi in tv un servizio che parlava delle ricerche di Max Frei, il direttore del laboratorio scientifico della polizia di Zurigo. Questo botanico aveva scoperto sulla Sindone granuli di polline provenienti da piante desertiche che fioriscono in epoche diverse in Palestina, altri di piante della Turchia dell’Est, altri dei dintorni di Costantinopoli, altri ancora di specie esistenti in Francia e in Italia, e questo confermò le verosimili tappe storiche del Telo.
Le specie identificate da Frei sulla Sindone sono 58: di queste, 38 crescono a Gerusalemme ma non esistono in Europa e tra esse 17 sono tipiche e frequenti a Gerusalemme e dintorni. Ciò prova la provenienza palestinese di questo lenzuolo. È da sottolineare l’importanza della presenza sulla Sindone dello Zygophillum dumosum, che cresce solo da Gerusalemme verso sud in Israele, in una parte della Giordania e al Sinai. Le analisi di Frei sono state successivamente confermate da altri botanici. La palinologa Marzia Boi, analizzando la lista dei pollini trovati sulla Sindone da Frei e osservando le fotografie da lui pubblicate, ha notato la presenza delle piante più usate per realizzare costosi balsami, che venivano impiegati negli antichi riti funerari del Medio Oriente. Essendo laureata in Scienze Naturali e Geologiche, so quanto sono importanti i pollini per ricostruire la provenienza di un oggetto. Da questa ricerca è partito il mio interesse per la Sindone.

Quale aspetto della Sindone la affascina di più?

Sono molto interessata alle microtracce presenti sulla stoffa. Sono stati rinvenuti frammenti di terriccio in corrispondenza della punta del naso e del ginocchio sinistro, conferma delle cadute dell’Uomo della Sindone lungo la strada. In altri campioni di materiale terroso, prelevati dalla Sindone in corrispondenza dei piedi, è stata individuata aragonite con alcune impurezze; campioni prelevati nelle grotte di Gerusalemme sono risultati essere molto simili, dato che contenevano anch’essi aragonite con le stesse impurezze. Inoltre sulla Sindone sono state identificate alcune particelle di aloe e mirra, soprattutto nelle zone macchiate di sangue. Sono le sostanze profumate che si usavano in grande quantità per la sepoltura in ambito giudaico. Anche la datazione del tessuto è un campo da approfondire. In base all’analisi con il metodo del radiocarbonio, la Sindone risalirebbe al medioevo, a un periodo compreso tra il 1260 e il 1390 d. C. Numerose obiezioni sono state però mosse al risultato di questo test da parte di vari scienziati, che ritengono insoddisfacenti le modalità dell’operazione di prelievo e l’attendibilità del metodo per tessuti che hanno subito vicissitudini come quelle della Sindone, in particolare un rammendo da parte della suore clarisse di Chambéry dopo il terribile incendio che aveva danneggiato gravemente il lenzuolo nel 1532. Per verificare l’antichità di un tessuto esistono però anche altri test. Tre nuove analisi, condotte nel 2013 presso l’Università di Padova, datano invece la Sindone all’epoca di Cristo.

Sulla Sindone sono state compiute le più svariate analisi. Qual è secondo lei è il risultato che ci dà più informazioni sull’uomo avvolto in quel sudario?

Il sangue presente su quel Lenzuolo è l’aspetto più commovente: ci narra le torture subite dall’Uomo della Sindone, in tutto coincidenti con le narrazioni evangeliche. È sangue di una persona fortemente traumatizzata, che ha subito una terribile flagellazione con un flagrum romano, una dolorosa coronazione con un casco di spine, il faticoso trasporto del patibulum (la trave orizzontale della croce), le tragiche cadute lungo la strada, lo strazio dei chiodi della crocifissione conficcati nei polsi e nei piedi senza alcun sostegno, lo sfregio del colpo di lancia postmortale. Da questo squarcio uscì sangue già parzialmente raggrumato e siero separato: il “sangue e acqua” descritto da Giovanni. Dallo studio della Sindone alcuni medici legali hanno dedotto che fino a poco prima della morte fluiva sangue dalle ferite e che il corpo è stato avvolto nel lenzuolo non più tardi di due ore e mezzo dopo la morte. Per avere un decalco del sangue sulla stoffa come quello osservato sulla Sindone, il corpo deve essere stato a contatto con il lenzuolo per circa 36-40 ore. In questo tempo un ruolo importante deve essere stato svolto dalla fibrinolisi, che provoca il ridiscioglimento dei coaguli. Non ci sono tracce di putrefazione. Resta inspiegabile come il contatto tra corpo e lenzuolo si sia interrotto senza alterare i decalchi che si erano formati. Non ci sono le striature, le sbavature che sarebbero state provocate da spostamenti.

Sulla Sindone esistono molti studi e teorie. Quali sono a suo avviso le teorie più strampalate? 

Di teorie strampalate ce ne sono parecchie e purtroppo queste assurdità affascinano molto gli sprovveduti che non si documentano da fonti serie. C’è chi ha avanzato l’ipotesi che l’immagine presente sulla Sindone sia stata provocata da un fulmine o da un terremoto e chi sostiene l’opera di un artista, tirando in ballo addirittura Leonardo, senza considerare l’assoluta mancanza di pigmenti pittorici sulla stoffa. Oltre al fatto che l’esistenza della Sindone in Francia è documentata già cent’anni prima della nascita di Leonardo… Anche la fabbricazione dell’immagine sindonica con un bassorilievo riscaldato o strofinato con pigmenti acidi è insostenibile, alla luce delle analisi condotte direttamente sul lenzuolo. C’è poi chi sostiene che l’Uomo della Sindone non fosse morto ma solo in coma e dunque la risurrezione di Gesù sarebbe una semplice guarigione; ma nessun sostenitore di questa teoria si è mai reso disponibile per un esperimento da compiere su di lui, sottoponendosi alle torture subite dall’Uomo della Sindone; anche a fronte dell’offerta della camera di rianimazione, che non c’era all’epoca di Cristo.

Nella sua carriera di studiosa si è mai trovata a “litigare” per difendere l’oggettività delle sue scoperte?

Di “litigate” ne ho dovute fare parecchie, alle mie conferenze o in tv, perché c’è ancora chi nega che sulla Sindone ci sia sangue umano! Purtroppo c’è chi è intimorito dalla Sindone e vuole negarla a tutti i costi per non essere coinvolto in un cambiamento di vita, naturale conseguenza di un’autentica conversione.

La Sindone è stata studiata centimetro per centimetro, ma esistono ancora dei misteri insoluti? 

Il mistero più difficile da risolvere è quello dell’origine dell’immagine umana. È certo che il lenzuolo ha avvolto un cadavere, ma è altrettanto certo che quel cadavere non è rimasto a putrefarsi nel lenzuolo. Inoltre – fatto unico e inspiegabile – ci ha lasciata impressa una specie di fotografia di se stesso. L’immagine è una disidratazione e ossidazione della stoffa, senza sostanze di apporto. La colorazione, estremamente superficiale, penetra solo per 200 nanometri nelle fibrille.
Nel corso degli ultimi decenni si sono tentate molte strade per spiegare l’immagine sindonica con le sue particolari caratteristiche. In modo particolare, la superficialità dell’immagine e la sua assenza sotto le macchie di sangue hanno privilegiato l’ipotesi che un’esplosione di luce potesse essere alla sua origine. Molte prove sperimentali sono state fatte a questo scopo con vari tipi di laser, ma solo ultimamente l’utilizzo di laser ad eccimeri potenti e con impulsi di breve durata hanno dato risultati interessanti. Infatti, con laser ad eccimeri che emettono nell’ultravioletto si è ottenuta una colorazione giallina, compatibile con le immagini sindoniche e le loro caratteristiche. Però non sapremo mai come un cadavere ha potuto formare un’immagine che si può spiegare solo con un’esplosione di luce…

Qual è, a suo avviso, il fascino della Sindone?

Davanti alla Sindone si ha la sensazione di affacciarsi sulla soglia del mistero della Risurrezione di Cristo. La Sindone è l’icona della misericordia di Dio, che dona suo Figlio per la salvezza dell’umanità. Quel corpo martoriato è la fotografia dell’amore donato, del peccato espiato, della salvezza compiuta. Egli ci trattò secondo la sua misericordia, secondo la grandezza della sua grazia (Isaia 63,7). Quel volto tumefatto ma sereno garantisce la dolcezza del perdono. Non si può restare indifferenti dinanzi al sacrificio del Figlio di Dio, testimoniato dalla Sindone con il linguaggio cruento di un documento insanguinato. “L’Amore più grande”, motto dell’ostensione della Sindone 2015, si richiama direttamente alle parole di Gesù: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15,13). Il Signore ha lasciato l’impronta indelebile della sua misericordia su un semplice lino, fragile testimone dell’evento che ha cambiato la storia. Ecco il senso profondo della Sindone, ecco svelato il mistero del richiamo di milioni di persone: la Sindone non lascia passivi, la Sindone coinvolge chi la osserva in un dialogo silenzioso che cambia il senso della vita, mostrando l’unica forza che vince il dolore e la morte. Davanti al venerato Lino potremo ripetere con maggiore forza le parole della secolare preghiera tradizionale, oggi ricamata sul drappo che avvolge la teca della Sindone: «Tuam Sindonem veneramur, Domine, et Tuam recolimus Passionem», veneriamo la Tua Sindone, o Signore, e meditiamo sulla Tua passione.