Baudelaire, i «Fiori» per la madre, di Rosita Copioli
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Riprendiamo da Avvenire del 7/5/2016 un articolo di Rosita Copioli. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti. cfr. la sezione Letteratura.
Il Centro culturale Gli scritti (22/5/2016)
Anna Lindup è Madame Aupick in
"The pimp: The life of Baudelaire" di Dic Edwards
Nel 1857, dopo la morte del generale Jacques Aupick, Caroline Archenbaut Dufayis, già vedova Baudelaire, si era ritirata a Honfleur nella sua casa-giocattolo bianca e cioccolato, appollaiata in un giardino spettacolare sulla falesia del Calvados, che l’oceano sgretolava. Il figlio pensò che avrebbe potuto riappropriarsi della madre, vivere con lei finalmente come due vecchi coniugi, in quella casa piccola ma tranquilla, dove l’Eden era minacciato solo dai vicini Émon e dal parroco. Erano nemici meno temibili dei due uomini che l’avevano posseduta: il proprio vecchio padre che l’aveva lasciato orfano a sei anni, congeniale perché letterato e forse un po’ artista; il patrigno tutto superego, l’emblema della borghesia pompierche era un dovere d’onore combattere con tutta la forza della propria autodistruzione. La data era fatidica, perché in giugno erano uscite le Fleurs du mal, che gli erano costate un duro processo. Sarebbe ritornato il verde paradiso degli amori infantili / L’innocente paradiso dei piaceri furtivi…
In attesa dei brevi momenti di serenità e di lavoro quieto che Baudelaire avrebbe trascorso accanto alla madre - il 1859, l’anno centrale dove le due vite si riavvicinano - si snoda l’emozionante surprise di Storia di Madame Aupick, già vedova Baudelaire (Castelvecchi, pagine 94, euro 12,50). Franca Zanelli Quarantini l’ha costruita scientificamente come «uno dei romanzi possibili», concedendosi quella «fantasia storica » che è la qualità indispensabile per cogliere il respiro vitale del passato. Accedere alla poesia di Baudelaire omettendo la madre è impossibile. Se per Adelaide Antici Leopardi ci si può accontentare del poco, per la madre di Baudelaire no. Tanto dipende da lei la poesia del figlio, che a sedici anni la definì il suo «libro perpetuo». Ma se occuparsi di lei è necessario e inevitabile, è soprattutto frustrante. Poco trapela dalle sue lettere (non sono pervenute le sue risposte alle centinaia che le invia Charles), dai documenti, dalle testimonianze, e pochissimo si sa delle famiglie di origine.
Franca Zanelli piega l’invenzione dell’incontro con il vecchio compagno del padre, fucilato a Quiberon, dove i realisti sono stati trucidati, perché serva alla storia reale di Caroline Archenbaut Dufayis. Con l’eccezionale competenza che possiede degli anni rivoluzionari - non ha portato lei in Italia l’opera di Olympe de Gouges, la Musa barbara che per prima difese i diritti delle donne e degli schiavi con gli scritti politici (Medusa, 2009) e il suo teatro (Aracne, 2013), lasciando la testa sotto la ghigliottina a due mesi di distanza da Maria Antonietta? - Zanelli racconta gli eventi tragici che costrinsero una bambina a strapparsi dal petto il cuore e a buttarlo lontano, e con lievi mani li intesse con la storia presente di un conflitto memorabile, inestricabile.
Non è solo la resa di giustizia a una piccola borghese che non capiva o non accettava il mostro che aveva generato («Quando, per un decreto delle forze supreme, / Il Poeta compare in questo mondo annoiato / Sua madre, piena di spavento e maledizioni, / Mostra i pugni al Signore, che ha pietà del suo stato: / “Avessi partorito un groviglio di vipere / Piuttosto che nutrire questa derisione! / Maledetta la notte dai fugaci piaceri / In cui il mio ventre concepì la mia espiazione!”). È molto di più: da un lato il riconoscimento delle corrispondenze che legano vite lontane: il padre di Caroline, armatore di navi, che comunica con gli alberi della foresta di Brotonne e sceglie un destino eroico leggendo Agrippa d’Aubigné, l’ebbrezza del martirio e del sangue per la Francia condivisi con il conte di Sombreuil e la sua amitié, che si trasmettono nella conchiglia rara della figlia, e diversamente corrispondono in Baudelaire. Dall’altro, dissimulato nel racconto, è un esercizio critico eccellente.
In ogni caso, tutto parte da una folgorazione fatale. Per Franca Zanelli innamorarsi a tredici anni delle Oeuvres complètes di Baudelaire nell’edizione Pléiade, significò subito proiettarsi di slancio al di là dell’estate dove leggeva - l’elegante Riccione anni Sessanta - in un sogno prolungato dell’adolescenza che è letteratura: i francesi romantici che le saranno debitori di tante cure editoriali e dell’insegnamento universitario: le loro fonti segrete. Fino ad oggi cercherà di capire il mistero delle Oeuvres, come intuiva allora: «un mondo immenso, [...] potrei leggere questo libro tutta la vita e scoprire sempre qualcosa». Vorrà andare alla fonte: il libro dei libri di Baudelaire pieno di pagine bianche, che nessuno ha mai osato scrivere: «O madre dei ricordi, regina delle amanti, / Tu, tutti i miei piaceri! Tu, tutti i miei doveri!».