Il processo a Galileo Galilei e l'esegesi. File audio di una relazione di Andrea Lonardo
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Riprendiamo sul nostro sito il file audio dell'incontro tenuto da Andrea Lonardo presso la parrocchia di San Leone Magno il 7/4/2016. Per altri files audio di Andrea Lonardo vedi la sezione Audio e video. Per approfondimenti, cfr. la sezione Scienza e fede.
Il Centro culturale Gli scritti (1/5/2016)
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ANTOLOGIA DI TESTI UTILIZZATA COME SCHEMA DELL'INCONTRO
1/ La “purificazione della memoria” con l’ammissione della grave colpa
DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II PER LA COMMEMORAZIONE DELLA NASCITA DI ALBERT EINSTEIN, 10 novembre 1979
La grandezza di Galileo è a tutti nota, come quella di Einstein; ma a differenza di questi, che oggi onoriamo di fronte al Collegio cardinalizio nel nostro palazzo apostolico, il primo ebbe molto a soffrire – non possiamo nasconderlo – da parte di uomini e organismi di Chiesa. Il Concilio Vaticano II ha riconosciuto e deplorato certi indebiti interventi: “Ci sia concesso di deplorare – è scritto al n. 36 della Costituzione conciliare Gaudium et Spes – certi atteggiamenti mentali, che talvolta non mancarono nemmeno tra i cristiani, derivati dal non avere sufficientemente percepito la legittima autonomia della scienza, e che, suscitando contese e controversie, trascinarono molti spiriti a tal punto da ritenere che scienza e fede si oppongano tra loro”. Il riferimento a Galileo è reso esplicito dalla nota aggiunta, che cita il volume “Vita e opere di Galileo Galilei”, di Monsignor Paschini, edito dalla Pontificia Accademia delle Scienze.
A ulteriore sviluppo di quella presa di posizione del Concilio, io auspico che teologi, scienziati e storici, animati da uno spirito di sincera collaborazione, approfondiscano l’esame del caso Galileo e, nel leale riconoscimento dei torti…
2/ Alcuni elementi per una de-mitizzazione del caso Galilei
Per introdurci al problema: la questione delle nuove inquisizioni laiche
- dalla rivoluzione francese (4 gennaio 1791, obbligo per il clero di giurare fedeltà alla Costituzione: clero “giurato” e clero “refrattario” che viene dichiarato decaduto) ad oggi
- omofobia e ? (le nuove inquisizioni)
2.1/ La libertà di espressione nel seicento e in età odierna
- in Inghilterra c’è la lunga serie di repressioni e di decapitazioni sotto Elisabetta (cfr. l’ipotesi di Shakespeare cattolico in Shakespeare era cattolico? I "ricusanti" durante il regno di Elisabetta I su www.gliscritti.it )... Elisabetta come la “vera” fondatrice dell’anglicanesimo
- La censura degli spettacoli in età elisabettiana e la chiusura dei teatri durante il governo di Cromwell, negli anni di Galilei e del teatro barocco. Appunti di Andrea Lonardo sul volume di P. Spinucci, Teatro elisabettiano teatro di stato. La polemica dei puritani inglese contro il teatro nei secc. XVI e XVII
- nei Paesi bassi la straordinaria storia di Johannes Vermeer, cfr. Vermeer cattolicissimo. Il pittore di Delft padre di almeno dieci figlio che portavano, fra gli altri, i nomi di Ignatius e Franciscus, dipinse anche Santa Prassede che raccoglie le reliquie dei Santi ed un’Esaltazione della Chiesa cattolica, di Andrea Lonardo (www.gliscritti.it )
Vermeer, Allegoria della fede (dentro una cosiddetta
“chiesa nascosta” nei Passi Bassila Chiesa cattolica) sotto
forma di una donna è in estasi dinanzi il crocifisso
ed il calice dell’eucarestia)
- Quando i puritani presero il potere con Cromwell passarono da perseguitati a persecutori. Si opposero inizialmente in forma generale al teatro, già nel 1642 e giunsero poi a misure drastiche nel 1647 quando venne emanata l’ordinanza che prevedeva la distruzione sistematica dei teatri. Tutti i teatri vennero così demoliti dalle fondamenta (si confronti il fatto con la contemporanea esaltazione del teatro barocco in territori cattolici):
- così la Svezia luterana (la messa cattolica fuori dalle ambasciate solo nel 1951!)
- così la scomunica ebraica e poi protestante e poi cattolica di Spinoza (27 luglio 1656)
da H. Méchoulan, Gli ebrei di Amsterdam all’epoca di Spinoza, ECIG, Genova, 1991, pp. 145-146
I Signori del ma'amad [consiglio degli anziani] comunicano alle vostre Grazie che, essendo venuti a conoscenza da qualche tempo delle cattive opinioni e della condotta di Baruch de Spinoza, si sforzarono in diversi modi e promesse di distoglierlo dalla cattiva strada. Non potendo porre rimedio a ciò e ricevendo per contro ogni giorno le più ampie informazioni sulle orribili eresie che praticava e sugli atti mostruosi che commetteva, e avendo di ciò numerosi testimoni degni di fede che deposero e testimoniarono soprattutto alla presenza del suddetto Spinoza, egli è stato riconosciuto colpevole; esaminato tutto ciò alla presenza dei Signori rabbini, i Signori del ma'amad hanno deciso, con l'accordo dei rabbini, che il suddetto Spinoza sia messo al bando ed escluso dalla Nazione d'Israele a seguito del cherem che pronunciamo ora in questi termini: Con l'aiuto del giudizio dei santi e degli angeli, noi escludiamo, cacciamo, malediciamo ed esecriamo Baruch de Spinoza con il consenso di tutta la santa comunità, in presenza dei nostri libri sacri e dei seicentotredici precetti in essi racchiusi. Formuliamo questo cherem come Giosuè lo formulò contro Gerico. Lo malediciamo come Elia maledisse i figli e con tutte le maledizioni che si trovano nella Legge. Che sia maledetto di giorno, che sia maledetto di notte; che egli sia maledetto durante il sonno e durante la veglia, che sia maledetto quando entra e che sia maledetto quando esce. Voglia l'Eterno accendere contro quest'uomo tutta la Sua collera e riversare su di lui tutti i mali menzionati nel libro della Legge. E voi restiate legati all'Eterno, vostro Dio, che Egli vi conservi in vita. Sappiate che non dovete avere con (Spinoza) alcuna relazione né scritta né verbale. Che non gli sia reso alcun servizio e che nessuno l'avvicini a meno di quattro cubiti. Che nessuno viva sotto lo stesso tetto con lui e che nessuno legga alcuno dei suoi scritti.
-Ma anche successivamente
Cfr. «La Rivoluzione non ha bisogno di scienziati», sembra abbia detto Coffinhal il giudice che condannò alla ghigliottina il grande chimico Antoine-Laurent Lavoisier durante la Rivoluzione francese
Cfr. gli scienziati e Hitler (cfr. Konrad Lorenz, Heisenberg, von Braun)
Cfr. la Russia stalinista e Lamarck, con la persecuzione dei darwinisti
Cfr. G.-E. Lemaitre, Apollo 11, Cristoforetti
2.2/ Non è la scienza la vera questione del caso Galilei, bensì la corretta interpretazione della Bibbia
Madonna di Ludovico Cardi, detto il Cigoli, nella
Cappella Paolina, in Santa Maria Maggiore (1610-1612),
Marco Bona Castellotti l’ha chiamata la “Madonna galileiana”
Il pittore toscano Ludovico Cardi, detto il Cigoli dal nome del luogo natio, rappresenta una Immacolata Concezione in modo tutt’altro che tradizionale. La Madonna del Cigoli, infatti, si erge su una luna del tutto insolita. Non si tratta del “classico” crescente lunare, ma di una rappresentazione molto più naturalistica, frutto appunto delle osservazioni che Galileo aveva pubblicato nel Sidereus Nuncius: «In primo luogo diremo dell’emisfero della Luna che è volto verso di noi. Per maggior chiarezza divido l’emisfero in due parti, più chiara l’una, più scura l’altra: la più chiara sembra circondare e riempire tutto l’emisfero, la più scura invece offusca come nube la faccia stessa e la fa apparire cosparsa di macchie». L’affresco in Santa Maria Maggiore fu realizzato per e con il consenso del papa Paolo V Borghese, nella cappella che doveva diventare il suo mausoleo. È significativo ricordare il giudizio che diede dell’affresco uno degli uomini più colti di Roma, Federico Cesi, scienziato e fondatore dell’Accademia dei Lincei, in una lettera inviata a Galileo nel 1612. È un elogio sperticato all’affresco del Cigoli, il quale «come amico e leale» di Galileo, «sotto l’immagine della beata Vergine ha dipinto la Luna nel modo che da Vossignoria è stata scoperta, colla divisione merlata e le sue isolette».
2.3/ La vera questione fu l’interpretazione della Scrittura ed, in particolare, il Libro di Giosuè
Gs 10,12 Quando il Signore consegnò gli Amorrei in mano agli Israeliti, Giosuè parlò al Signore e disse alla presenza d’Israele:
«Férmati, sole, su Gàbaon,
luna, sulla valle di Àialon».
Lettera a Benedetto Castelli del 21 dicembre 1613
Parmi che prudentissimamente fusse proposto […] non poter mai la Scrittura Sacra mentire o errare, ma essere i suoi decreti d'assoluta ed inviolabile verità. Solo avrei aggiunto, che, se bene la Scrittura non può errare, potrebbe nondimeno talvolta errare alcuno de' suoi interpreti ed espositori, in varii modi: tra i quali uno sarebbe gravissimo e frequentissimo, quando volessero fermarsi sempre nel puro significato delle parole, perché così vi apparirebbono non solo diverse contradizioni, ma gravi eresie e bestemmie ancora; poi che sarebbe necessario dare a Iddio e piedi e mani e occhi, e non meno affetti corporali e umani, come d'ira, di pentimento, d'odio, e anco talvolta l'obblivione delle cose passate e l'ignoranza delle future. […]
Stante, dunque, che la Scrittura in molti luoghi è non solamente capace, ma necessariamente bisognosa d'esposizioni diverse dall'apparente significato delle parole, mi par che nelle dispute naturali ella doverebbe esser riserbata nell'ultimo luogo: perché, procedendo di pari dal Verbo divino la Scrittura Sacra e la natura, quella come dettatura dello Spirito Santo, e questa come osservantissima esecutrice de gli ordini di Dio; ed essendo, di più, convenuto nelle Scritture, per accomodarsi all'intendimento dell'universale, dir molte cose diverse, in aspetto e quanto al significato delle parole, dal vero assoluto; ma, all'incontro, essendo la natura inesorabile e immutabile e nulla curante che le sue recondite ragioni e modi d'operare sieno o non sieno esposti alla capacità de gli uomini, per lo che ella non trasgredisce mai i termini delle leggi imposteli; pare che quello de gli effetti naturali che o la sensata esperienza ci pone innanzi a gli occhi o le necessarie dimostrazioni ci concludono, non debba in conto alcuno esser revocato in dubbio per luoghi della Scrittura ch'avesser nelle parole diverso sembiante, poi che non ogni detto della Scrittura è legato a obblighi così severi com'ogni effetto di natura.
Lettera a Cristina di Lorena, Granduchessa di Toscana, 1615
Io crederei che l'autorità delle Sacre Lettere avesse avuto solamente la mira a persuader a gli uomini quegli articoli e proposizioni, che, sendo necessarie per la salute loro e superando ogni umano discorso, non potevano per altra scienza né per altro mezzo farcisi credibili, che per la bocca dell'istesso Spirito Santo.
Ma che quel medesimo Dio che ci ha dotati di sensi, di discorso e d'intelletto, abbia voluto, posponendo l'uso di questi, darci con altro mezzo le notizie che per quelli possiamo conseguire, non penso che sia necessario il crederlo, e massime in quelle scienze delle quali una minima particella e in conclusioni divise se ne legge nella Scrittura; qual appunto è l'astronomia, di cui ve n'è così piccola parte, che non vi si trovano né pur nominati i pianeti, Però se i primi scrittori sacri avessero auto pensiero di persuader al popolo le disposizioni e movimenti de' corpi celesti, non ne avrebbon trattato così poco, che è come niente in comparazione dell'infinite conclusioni altissime e ammirande che in tale scienza si contengono.
Le quali proposizioni, sì come, dettante lo Spirito Santo, furono in tal guisa profferite da gli scrittori sacri per accomodarsi alla capacità del vulgo assai rozzo e indisciplinato, così per quelli che meritano d'esser separati dalla plebe è necessario che i saggi espositori ne produchino i veri sensi, e n'additino le ragioni particolari per che e' siano sotto cotali parole profferiti.
Mi par di poter assai ragionevolmente dedurre, che la medesima Sacra Scrittura, qualunque volta gli è occorso di pronunziare alcuna conclusione naturale, e massime delle più recondite e difficili ad esser capite, ella non abbia pretermesso questo medesimo avviso, per non aggiugnere confusione nelle menti di quel medesimo popolo e renderlo più contumace contro a i dogmi di più alto misterio. Perché se, come si è detto e chiaramente si scorge, per il solo rispetto d'accomodarsi alla capacità popolare non si è la Scrittura astenuta di adombrare principalissimi pronunziati, attribuendo sino all'istesso Iddio condizioni lontanissime e contrarie alla sua essenza, chi vorrà asseverantemente sostenere che l'istessa Scrittura, posto da banda cotal rispetto, nel parlare anco incidentemente di Terra, d'acqua, di Sole o d'altra creatura, abbia eletto di contenersi con tutto rigore dentro a i puri e ristretti significati delle parole? E massime nel pronunziar di esse creature cose non punto concernenti al primario instituto delle medesime Sacre Lettere, ciò è al culto divino ed alla salute dell'anime, e cose grandemente remote dalla apprensione del vulgo.
Il linguaggio della natura è matematico
Considerazioni circa l’opinione copernicana (scritto non sicuramente del Galilei): «Quanto al render false le Scritture, ciò non è né sarà mai nell’intenzione delli astronomi cattolici, quali siamo noi; anzi nostra opinione è che le Scritture benissimo concordino con le verità naturali dimostrate».
2.4/ La questione scientifica
Tolomeo
Ancora oggi noi diciamo: il “sorger” e il “tramontare” del sole
Copernico, canonico cattolico, la cui opera De Revolutionibus venne dedicata a papa Paolo III (1543), non generò problemi fino a Galilei, fino al 1616
Copernico: teoria eliocentrica un’ipotesi matematica che permetteva di semplificare i calcoli astronomici
Nel frattempo era stato elaborato il sistema ticoniano da Tycho Brahe che pubblicò nel 1588 il trattato “De mundi aetherei recentioribus phaenomenis”.
Il cardinale Roberto Bellarmino: Ma io non crederò che ci sia tal dimostratione, fin che non mi sia mostrata (p. 29 Pani)
La mancata dimostrazione di Galilei:
La IV parte del Dialogo sopra i massimi sistemi riguarda le maree
Il libro si doveva chiamare Discorso sul flusso e riflusso del mare
Lettera del 23 settembre del 1624 al Cesi: «Ora sono tornato al flusso e riflusso, e son ridotto a questa proposizione: stando la terra immobile, è impossibile che seguano i flussi e reflussi; e muovendosi de i movimenti già assegnatili, è necessario che seguano, con tutti gli accidenti in essi osservati ».
Keplero, Astronomia Nova (1609) afferma che il movimento dei pianeti è ellittico
(in realtà, diremmo oggi, non è la terra che gira intorno al sole, ma la terra e il sole girano intorno ad uno dei due fuochi di un’ellisse che è situato non al centro del sole, ma comunque al suo interno, mentre l’altro fuoco dell’ellissi è vuoto)
Cesi a Galilei 21 luglio 1612 La via de’ pianeti è elliptica come vuol Keplero
Non si sa se Galilei non avesse letto Keplero, di cui pure possedeva i tomi
Galilei continua a credere ad un moto circolare (simile a quello aristotelico-tolemaico)
3/ Galilei cattolico
- nella seconda edizione de L’origine della specie (1860) Darwin scrive: «... e sulle varie facoltà di essa, che furono impresse dal Creatore in poche forme o anche in una sola».
- nel 1879 nella sua autobiografia Darwin propende a definirsi agnostico: «Il mio giudizio è spesso fluttuante... e persino nelle mie fluttuazioni più estreme non sono mai stato ateo nel senso di negare Dio. Credo che in generale (e sempre più con il passare degli anni), ma non sempre, la mia posizione possa essere descritta più appropriatamente con il termine agnosticismo» (cit. da McGrath, 2006). Sulla sua posizione deve aver molto influito il problema del dolore, particolarmente dopo la perdita della figlia Annie all’età di 10 anni.
- nella sesta edizione de L’origine della specie (C. Darwin, L’origine della specie, Tascabili Newton, Roma, 2006, p.431):
Non vedo alcuna buona ragione perché le opinioni espresse in questo volume debbano urtare i sentimenti religiosi di chicchessia. Un celebre autore e teologo mi ha scritto di «aver compreso a poco a poco che si può avere un concetto di Dio altrettanto nobile sia credendo che Egli abbia creato alcune forme originarie capaci di autosvilupparsi in altre forme necessarie, sia credendo che Egli sia ricorso ad un nuovo atto di creazione per colmare i vuoti provocati dall’azione delle Sue leggi».
- da una lettera tratta da John H. Newman, The Letters and Diaries of John Henry Newman, edited by C.S. Dessain and T. Gornall, Clarendon Press, Oxford 1973, vol. XXIV, pp. 77-78. Tr. it. di Paolo Zanna
Non mi sembra filare logicamente che venga [in Darwin] negata la creazione per il fatto che il Creatore, milioni di anni fa, abbia imposto leggi alla materia. Prima creò la materia e poi creò leggi ad essa applicabili – leggi destinate a farla crescere nella sua bellezza attuale, preciso ordine organico e armonia delle parti in maniera graduale. Non neghiamo né circoscriviamo il Creatore per il fatto che abbia creato l’azione autonoma dante origine all’intelletto umano, dotato quasi di un talento creativo; assai meno allora neghiamo o circoscriviamo il Suo potere, se riteniamo che Egli abbia assegnato alla materia leggi tali da plasmare e costruire mediante la propria cieca strumentalità attraverso innumerevoli ère il mondo come lo vediamo. Se il signor Darwin in questo o quell’altro punto della propria teoria entra in collisione con la verità rivelata, è un altro discorso – ma non vedo come ciò valga per il principio dello sviluppo, o quella che ho chiamato costruzione. Per quanto riguarda il Disegno divino [Design], non è un caso di incomprensibilmente e infinitamente meravigliosa Saggezza e Intenzionalità/Disegno [Design] l’aver attribuito certe leggi alla materia milioni di secoli fa, le quali hanno sicuramente e precisamente prodotto, nell’arco del lungo corso di quei secoli, quegli effetti che Egli propose dal principio? La teoria del signor Darwin non necessariamente deve essere atea, che essa sia vera o meno; può semplicemente star suggerendo un’idea più allargata di Divina Prescienza e Capacità.
P.S. Perché non sarebbe ateo anche il principio della generazione, visto che lo sarebbe quello dello sviluppo [evoluzione]? Se non sapessimo come dato di fatto che le specie e le razze hanno origine da una sola coppia, potremmo dire che la teoria [dell’evoluzione] sarebbe incoerente con la dottrina della creazione. E, ancor più, si potrebbe reclamare che “l’incontro casuale e il matrimonio di due persone, o una loro relazione extramatrimoniale, obbligherà l’Onnipotente a creare un’anima in ogni momento”. Perciò (non solo il corpo, ma) l’anima non sarebbe creata, ma soltanto la conseguenza casuale di una volontà umana, ecc. ecc.
4/ Vita e luoghi romani di Galilei
Nel 1609 dall’Olanda arriva uno strumento in grado di amplificare le potenzialità della vista: si chiama cannocchiale (cannone-occhiale) che Galilei perfezionerà
Nel 1610 i sensazionali risultati dello scienziato sono raccolti e diffusi in latino e in volgare in un testo, il Sidereus Nuncius. Il trattato viene stampato – previa autorizzazione del tribunale dell’Inquisizione – con il corredo di numerose immagini. Gli argomenti sui quali verte sono la luna, la via lattea e quattro satelliti di Giove veduti ex novo e dedicati ai membri della famiglia Medici (termina la visione aristotelico-tolemaica dei pianeti come corpi perfetti)
Nel 1611 le scoperte astronomiche di Galileo ottengono il favore del Collegio Romano (oggi il Liceo Ennio Quirino Visconti). Sono presenti, fra gli altri, Maffeo Barberini, futuro papa Urbano VIII e Roberto Bellarmino, fine teologo e cardinale, canonizzato nel 1930 da Pio XI. Bellarmino, morto prima del processo a Galileo, mantiene una posizione di apertura nei confronti delle tesi galileiane: «Dico che quando ci fusse vera demostrazione che il Sole stia nel centro del mondo e la Terra nel terzo cielo, e che il sole non circonda la terra, ma la Terra circonda il Sole allora bisogneria andar con molta considerazione in esplicare le Scritture che paiono contrarie, e piuttosto dire che non l’intendiamo dire che sia falso quello che si dimostra».
I due processi (quello del 1616 e quello del 1633)
5/ Il periodo post-galileiano
Sepolcro di Galileo Galilei, in Santa Croce a Firenze, con la
sepoltura di Vincenzo Viviani e di una sepoltura femminile
(si pensa sia la figlia Virginia, monaca con il nome di suor
Maria Celeste), 1737. Il sepolcro venne posto dinanzi
a quello di Michelangelo Buonarroti, l’iscrizione approvata
anche dalla Curia Romana
«Massimo “restitutore” della geometria, dell’astronomia, della filosofia, incomparabile a nessuno della sua epoca»
Divin uomo così Lucas Holste
Holste ⟨hòlstë⟩ (latinizz. Holstenius; it. Olstènio o Holstènio), Lukas. - Erudito (Amburgo 1596 - Roma 1661). Di modeste origini, studiò a Leida filologia; accompagnò nel viaggio in Italia Ph. Cluver (1618). Convertitosi al cattolicesimo, si trasferì a Roma (1627), dove divenne bibliotecario del card. Fr. Barberini, canonico di S. Pietro e infine custode della Biblioteca Vaticana. Protetto da Urbano VIII e da Innocenzo X, ricevette l'abiura di Cristina di Svezia. Pubblicò numerose poesie latine e dissertazioni erudite, e curò edizioni di classici e di Padri della Chiesa.
Il sistema copernicano continua ad essere insegnato come ipotesi
Cfr. Evangelista Torricelli (il barometro, studi sul vuoto), Giovanni Domenico Cassini (sonda Cassini), scoprì 4 satelliti di Saturno, chiamato dal papa all’Università di Bologna nel 1649, chiamato poi a Parigi
La vicenda di Galileo Galilei ebbe un svolta duecento anni (circa) dopo la sua condanna. All’inizio dell’Ottocento, in epoca postnapoleonica, un professore di matematica dell’Università di Roma, Giuseppe Settele, scrisse un libro di astronomia eliocentrico e lo inviò alla censura pontificia perché ne autorizzasse la pubblicazione. Il maestro del Sacro Palazzo, Filippo Anfossi, lo definì eretico e rifiutò di autorizzarne la divulgazione. Settele fece appello al Papa, Pio VII (Luigi Barnaba Chiaramonti), che girò il caso alla Congregazione dell’Indice e al Sant’Uffizio i quali, a sorpresa, decretarono che gli inquisitori di due secoli prima, quando avevano definito la teoria copernicana «contraria alle Scritture», non intendevano «contraria alla fede», bensì «opposta alla lettura tradizionale delle Scritture».
Fu così che i testi copernicani, compresi quelli di Galileo, uscirono alla chetichella dall’Indice dei libri proibiti. A ridosso del 1815, in un’epoca - e la circostanza colpisce - di piena Restaurazione.
A dire il vero, qualcosa aveva cominciato a muoversi già nel Seicento. Heilbron suddivide in quattro fasi l’evoluzione che portò dalla condanna di Galileo al riscatto di Settele. La prima ha il suo «punto di non ritorno» nel 1651, allorché il gesuita Giovambattista Riccioli pubblicò l’Almagestum novum, in cui erano esposte 126 argomentazioni filosofiche, matematiche e teologiche pro e contro il copernicanesimo (49 a favore, 77 contrarie). Riccioli riprodusse i termini della discussione a vantaggio quantitativo dei nemici di Copernico, ma consentendo al lettore di farsi un’idea appropriata ed esauriente dei termini della disputa. Scrisse poi che lui respingeva le teorie copernicane «per obbedienza verso Roma» e non «perché la fede cattolica lo obbligasse a farlo». In altre parole, fu autorizzato a dire «che il Sant’Uffizio da solo non aveva l’autorità di dichiarare alcunché un’eresia o un articolo di fede».
Solo il Papa (o il Concilio, con l’approvazione del Papa stesso) poteva «vincolare in questo modo la Chiesa». «Non è una questione di fede che il Sole si muova e che la Terra rimanga ferma in forza del decreto della congregazione», scriveva; «al massimo, lo è in forza delle Sacre Scritture, per coloro per i quali è moralmente evidente che questo è quanto Dio ha rivelato». Dopodiché definiva Galileo «un matematico di immense capacità e incredibilmente abile in astronomia», che «sarebbe stato ancor più grande se avesse avanzato l’opinione di Copernico come una semplice ipotesi». Quel che gli aveva chiesto Urbano VIII.
Nella seconda fase, tra la fine del Seicento e l’inizio del Settecento, racconta Heilbron, gli astronomi cattolici «si guadagnarono il diritto di insegnare e perfino di sviluppare la teoria copernicana, se vi si riferivano esplicitamente e ripetutamente come ad un’ipotesi». Nel 1685 il Sant’Uffizio accolse la richiesta di scrivere «ipotesi erronea» sul frontespizio di un libro sul sistema copernicano. Al testo andava poi aggiunta la frase: «Dato chela Chiesa ha dichiarato che le Sacre Scritture insegnano espressamente il contrario, questo sistema non può essere difeso in alcun modo».
Ma la novità era che di fatto si autorizzavano - pur con le cautele di cui si è detto - la pubblicazione e la diffusione del libro. Nello stesso modo in cui, osserva Heilbron, «le società moderne consentono la vendita di sigarette con l’indicazione che sono dannose». Fu così che gli inquisitori di Clemente XI chiusero un occhio, nel 1710, in occasione della pubblicazione «clandestina» del Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, ad opera di uno stampatore napoletano di libri proibiti.
La terza fase della riabilitazione sottotraccia di Copernico e Galileo andò dal 1710 al 1760. Un caso anticipatore di quello di Settele si ebbe già nel 1744, quando Giuseppe Toaldo pubblicò un’edizione, opportunamente emendata, delle Opere di Galileo. Anche qui fu un pontefice, Benedetto XIV, a vincere le resistenze all’interno della Chiesa. Benedetto XIV, però, non autorizzò l’uscita del Dialogo dall’Indice. Successivamente la Chiesa attribuì ai seguaci della Compagnia di Gesù - fu soprattutto il padre barnabita Paolo Frisi – l’intera colpa dell’accaduto a danno di Galileo. Il che fu reso più agevole dalla circostanza che, nel 1773, Papa Clemente XIV aveva soppresso l’ordine dei gesuiti stesso.
La quarta fase fu quella che precedette (e rese possibile) la vicenda Settele. Dopo la vittoria di Settele, però, si dovettero attendere alcuni decenni prima del passo successivo. Che fu ad opera di Leone XIII, il quale, con l’enciclica Providentissimus Deus (1893), pur senza nominare Galileo, stabilì, in un contesto di difesa delle Sacre Scritture, che Dio non aveva inteso insegnare la fisica per tramite di Mosè. Ne discendeva che Galileo non si era macchiato di nessuna colpa.
Poi, nel 1942, fu la volta di Pio XII, che il nome di Galileo lo pronunciò. E addirittura affidò a monsignor Pio Paschini il compito di scriverne una biografia di sostanziale riabilitazione. Ma i gesuiti (ricostituiti in ordine dal 1814) si opposero alla pubblicazione e il manoscritto, in due volumi, sparì. Per ricomparire dopo il Concilio Vaticano II, per intercessione di Paolo VI, in linea con un suggerimento che era stato già di Giovanni XXIII.
Nel corso del Concilio il nome dello scienziato era riapparso, il 30 aprile 1964, nella consulta di preparazione allo schema 13 su La chiesa e il mondo d’oggi, la volta che il cardinale belga Leo Josef Suenens prese posizione sul problema della regolazione delle nascite dicendo: «Seguiamo il progresso della scienza! Vi scongiuro, fratelli miei, evitiamo un nuovo “processo Galilei”. Ne basta uno solo perla Chiesa!».
Giovanni Paolo II nel 1979 fece il resto, con la celebre allocuzione in cui esaltò la figura di Galileo e riconobbe apertamente che lo scienziato aveva dovuto «soffrire moltissimo nelle mani degli uomini e degli organismi della Chiesa». Dopodiché il Papa polacco istituì una commissione che riesaminasse il caso e nel maggio del 1983 rese omaggio al grande scienziato, organizzando un congresso internazionale in Vaticano. Ma i lavori della commissione andarono poi a rilento («tra letargo e apatia», scrive Heilbron), finché il pontefice fu costretto ad intervenire sul presidente del Pontificio consiglio per la cultura, il cardinale Paul Poupard, il quale finalmente (nel 1992) rese noti i risultati. Risultati assai ambigui.
Essi tenevano conto delle osservazioni del gesuita Walter Brandmüller: Galileo, secondo la Commissione, «aveva proceduto correttamente lungo la difficile strada dell’esegesi delle Scritture; i cardinali avevano negoziato con pari abilità l’altrettanto difficile strada dell’epistemologia».