Il rapporto Scrittura e tradizione secondo la Dei Verbum, di Umberto Betti
Riprendiamo da Umberto Betti, La trasmissione della divina rivelazione, in La costituzione dogmatica sulla divina rivelazione, LDC, Torino-Leumann, 1967, pp. 219-262, le pp. 250-255 scritte a commento dei paragrafi della Dei Verbum che trattano del rapporto fra Scrittura e tradizione.
Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (31/1/2010)
(p. 234)
A differenza della Scrittura, la predicazione viva traduce in pratica quanto annunzia e ne attualizza, per quanto possibile, la realtà intera. Una cosa, per esempio, è raccontare l’istituzione e la celebrazione dell’eucarestia; altra cosa è celebrarla e parteciparne. Il racconto rimane sul piano storico e nozionale; la celebrazione ne dà esperienza spirituale e conferisce la grazia che salva. La trasmissione della predicazione apostolica al di fuori della Scrittura, come pure tutto ciò che ne è oggetto, si chiama Tradizione.
(pp. 250-255)
Ai fini della trasmissione e della conoscenza di tutta la Rivelazione, la Tradizione e la Scrittura, sono tutt’e due necessarie, e quindi né l’una né l’altra è sufficiente da sola. Questo dice che tra di esse esiste un rapporto di mutua interdipendenza, fondato su elementi che ambedue hanno in comune e su elementi propri a ciascuna.
1. Uguaglianza di origine e differenza di espressione
L’elemento fondamentale che la tradizione e la Scrittura hanno in comune è la stessa origine da Dio e lo stesso fine da lui assegnato a tutt’e due: quello di trasmettere la Rivelazione, cioè tutta l’economia della salvezza. Questa trasmissione però avviene in modo diverso, e quindi ha anche espressione diversa. La Scrittura, perché divinamente ispirata, è parola di Dio non solo quanto al contenuto, ma anche quanto alla sua espressione verbale. La Tradizione invece, pur contenendo ugualmente la parola di Dio, intesa nel senso più vasto di tutto ciò che proviene da lui in ordine alla salvezza, non è parola di Dio nelle sue manifestazioni: queste non sono divinamente ispirate, e quindi rimangono sempre semplicemente umane.
Di qui due conseguenze per la Tradizione stessa, che interessano ancora la sua trasmissione nella Chiesa.
La proprietà che essa ha in comune con la Scrittura, di contenere la parola di Dio, esige che questa rimanga inalterata. L’ufficio e il dovere dei successori degli Apostoli di esporla e di propagarla sono perciò vincolati all’ufficio e dovere di conservarla fedelmente. La differenza qualitativa tra gli Apostoli, ministri della Rivelazione nel suo stesso costituirsi, e i loro successori, soltanto depositari della medesima, rende incapaci quest’ultimi di aggiungere quantità nuove all’eredità ricevuta. Quindi il criterio di autenticità della tradizione rimane per sempre la sua apostolicità.
La proprietà che la differenzia dalla Scrittura, di essere sprovvista di ispirazione divina nelle sue manifestazioni, non la costringe in nessuna formula determinata od espressione fissa. Essa perciò ha l’attitudine permanente ad incorporarsi a tutte le situazioni ed istituzioni in cui si concretizza storicamente la Chiesa. L’unica condizione per essere accreditata come veicolo di Rivelazione è che le sue manifestazioni, di qualunque genere esse siano, coincidano con le indicazioni della Scrittura. Questa infatti, non essendo altro che predicazione apostolica in forma di scrittura sacra, non può essere contraddetta da nessuna forma di predicazione non scritta. Come dunque nella Scrittura non può esservi nulla che non concordi con la Tradizione, così niente potrà essere nella Tradizione che non concordi con la Scrittura.
Ciò deriva, in ultima istanza, dal fatto che la Tradizione non è altro che Vangelo vissuto e, in quanto tale, testimonianza insostituibile del Vangelo scritto.
2. Coincidenza di contenuto
La coincidenza di contenuto ora accennata teoreticamente può verificarsi in due modi.
Prima di tutto mediante una stretta concordanza, per non dire sovrapposizione, per cui niente sarebbe trasmesso dalla Tradizione che non si trovi, nella forma ad essa propria, anche nella Scrittura. Oppure per semplice non opposizione, senza che necessariamente la testimonianza della Tradizione trovi riscontro in quella della Scrittura. Nel primo caso tutta la Rivelazione, considerata sotto l’aspetto quantitativo, sarebbe contenuta nella Scrittura, almeno nella forma rudimentale di indizio o indicazione fondata. Nel secondo caso qualche verità rivelata potrebbe esser trasmessa unicamente dalla Tradizione, senza avere nessun fondamento nella Scrittura.
Il Concilio volutamente ha lasciato tutt’e due le possibilità nello stato di ipotesi. Si è astenuto perciò sia dal presentare la Scrittura come codificazione di tutta la Rivelazione, sia dal presentare la Tradizione come supplemento quantitativo della Scrittura. Esso ha voluto tuttavia considerare l’una o l’altra tra di sé strettamente congiunte e comunicanti fino a formare, in certo qual modo, una cosa sola.
Non c’è dubbio che questa posizione, che teologicamente potrebbe apparire agnostica, penda verso la prima ipotesi, pur lasciando teoricamente possibile anche la seconda. Comunque essa è in armonia con la costante prassi ecclesiastica. Risulta infatti che finora le verità di fede definite dal magistero sono sempre giustificate da un richiamo più o meno diretto alla Scrittura (1).
È vero, sì, che i Romani Pontefici, specialmente dopo il Vaticano I, chiamano la Scrittura e la Tradizione fonti della Rivelazione (2); ma è altrettanto vero che mai essi le considerano così separate da far capire che, per conoscere tutto il deposito rivelato, si possa ricorrere ad una indipendentemente dall’altra. Anzi quando si trattava di difendere la Scrittura, degradata al livello di un libro qualunque, non dubitano di chiamarla «la fonte sicura di tutte le verità che appartengono alla fede (3)».
Questo è dunque l’insegnamento positivo del Concilio. Rigettato ancora una volta il principio protestante della Scrittura sola, non contrappone ad esso il principio, divenuto comune nella teologia controriformista, della Tradizione sola, quasi che questa abbia in esclusiva la proprietà di trasmettere qualche verità rivelata. Nella linea dei precedenti documenti del magistero, esso afferma semplicemente che la Chiesa per entrare nella certezza di tutto il deposito rivelato ricorre né alla Scrittura soltanto né alla Tradizione soltanto, ma a tutt’e due insieme (4). Secondo i casi, ora l’una ora l’altra potrà offrire il criterio determinante di rivelazione di una data verità.
3. Differenza di rappresentazione dello stesso contenuto
La Scrittura, appunto perché parola di Dio scritta, contiene la divina Rivelazione non altro che in forma di notizia; ciò comporta, per forza di cose, una certa parzialità. La Tradizione invece, per il fatto stesso che ne è trasmissione viva e concreta, la riproduce integralmente, nel senso che insieme alla notificazione verbale trasmette anche le realtà oggetto di quella notificazione. Perciò questa integralità del deposito rivelato, che nel senso ora spiegato è ad essa esclusiva, non indica necessariamente un apporto del tutto nuovo, cioè un’eccedenza numerica nei confronti di quello offerto dalla Scrittura. Si tratta piuttosto di gradazione diversa, in forza della quale le indicazioni soltanto verbali della Scrittura ricevono dimensione completa dalle realtà divine alle quali si riferiscono e che solo la Tradizione trasmette.
La Tradizione quindi si distingue dalla Scrittura non tanto per la maggiore quantità dell’oggetto trasmesso quanto per la più intensa espressione e rappresentazione del medesimo. Questo è il titolo sufficiente e necessario perché tutt’e due siano ugualmente impegnative per la fede, e debbano quindi essere accettate con pari sentimento di pietà ed uguale rispetto.
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NOTE AL TESTO
(1) A titolo indicativo, basti ricordare qualche esempio tipico, che si era soliti addurre come prova che qualche verità rivelata è contenuta e trasmessa soltanto dalla Tradizione:
Il numero settenario dei sacramenti è definito dal Concilio di Trento (sess. VII, can. 1: Denz.-Schön, 1601) «sanctarum Scripturarum doctrinae, apostolicis traditionibus atque aliorum conciliorum et Patrum consensui inhaerendo» (sess. VII, Prooemium: o.c., 1600). La necessità del battesimo per gli infanti è motivata dallo stesso Concilio (sess. V: o.c., 1514) con le due affermazioni bibliche dell’universalità del peccato (cfr. Rom. 5,12) e della conseguente necessità universale del battesimo (cfr. Gv 3,5). Il fondamento rivelato del dogma dell’Assunzione della Madonna è espresso nella costituzione apostolica di Pio XII: «Munificentissimus Deus: «Haec omnia Sanctorum Patrum ac theologorum argumenta considerationesque Sacris Liettris tamquam ultimo fundamento nituntur» (o.c., 3900). Anche la verginità perpetua della Madonna, secondo il parere di S. Girolamo, sarebbe fondata a suo modo nella Scrittura, nel senso che in essa non vi si dice niente in contrario: «Ut haec quae scripta sunt non negamus, ita et ea quae non sunt scripta renuimus. Natum Deum esse de Virgine credimus, quia legimus, Maria, nupsissime post partum non credimus, quia non legimus» (Adv. Helvid. 19: PL 23, 203 A. cfr. Benedetto XV, Encicl. Spiritus Paraclitus, 15 settembre 1920: AAS 12 [1920] 390-391). Questa verità dunque sarebbe entrata nella convinzione della Chiesa non tanto per una trasmissione orale positiva quanto per il silenzio della Scrittura sulla non verginità.
(2) La terminologia che designa la Scrittura e la Tradizione come due fonti della Rivelazione, già presente nel Vaticano I (cfr. la relazione del teologo W. Maier: Mansi 52, 25 A-B; 53, 239 A-D), divenne di uso corrente da Pio IX in poi (cfr. Epist. Inter gravissimas, 28 ottobre 1870: Pii IX Pont. Max. Acta, Pars I, t. V, 259).
(3) Pio X, Allocuzione concistoriale, 17 aprile 1907: Acta Sanctae Sedis 40 (1907) 268.
(4) Il silenzio del Concilio sulla Tradizione come fonte autonoma di Rivelazione appare eloquente se si considera che questa ipotesi era presentata come indubitabile certezza nello Schema della Commissione teologica preparatoria, che venne respinto nel primo periodo conciliare. Vi era infatti affermato: «Traditio, eaque sola, via est qua quaedam veritates revelatae... clarescunt et Ecclesiae innotescunt» (Sacrosanctum Concilium Vaticanum secundum. Schemata Constitutionum et Decretorum. Series prima, Typis Polyglottis Vaticanis 1962, 11). Tutto sommato, il testo della Costituzione, sebbene non importi un rifiuto di detta ipotesi o la proibizione di sostenerla ancora, sembra tuttavia orientare il lavoro teologico secondo questa direttiva: astenersi dal ricorrere unicamente alla Tradizione per qualificare una verità come divinamente rivelata. Si potrebbe dunque seguire come norma il principio prudenziale suggerito da S. Bonaventura, Apologia pauperum, IX, 5: «Prudentius silentio tegitur quod Scripturarum testimoniis non probatur» (ed. Ad Claras Aquas, VIII, 296a).
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Il Centro culturale Gli scritti (31/1/2010)
(p. 234)
A differenza della Scrittura, la predicazione viva traduce in pratica quanto annunzia e ne attualizza, per quanto possibile, la realtà intera. Una cosa, per esempio, è raccontare l’istituzione e la celebrazione dell’eucarestia; altra cosa è celebrarla e parteciparne. Il racconto rimane sul piano storico e nozionale; la celebrazione ne dà esperienza spirituale e conferisce la grazia che salva. La trasmissione della predicazione apostolica al di fuori della Scrittura, come pure tutto ciò che ne è oggetto, si chiama Tradizione.
(pp. 250-255)
Ai fini della trasmissione e della conoscenza di tutta la Rivelazione, la Tradizione e la Scrittura, sono tutt’e due necessarie, e quindi né l’una né l’altra è sufficiente da sola. Questo dice che tra di esse esiste un rapporto di mutua interdipendenza, fondato su elementi che ambedue hanno in comune e su elementi propri a ciascuna.
1. Uguaglianza di origine e differenza di espressione
L’elemento fondamentale che la tradizione e la Scrittura hanno in comune è la stessa origine da Dio e lo stesso fine da lui assegnato a tutt’e due: quello di trasmettere la Rivelazione, cioè tutta l’economia della salvezza. Questa trasmissione però avviene in modo diverso, e quindi ha anche espressione diversa. La Scrittura, perché divinamente ispirata, è parola di Dio non solo quanto al contenuto, ma anche quanto alla sua espressione verbale. La Tradizione invece, pur contenendo ugualmente la parola di Dio, intesa nel senso più vasto di tutto ciò che proviene da lui in ordine alla salvezza, non è parola di Dio nelle sue manifestazioni: queste non sono divinamente ispirate, e quindi rimangono sempre semplicemente umane.
Di qui due conseguenze per la Tradizione stessa, che interessano ancora la sua trasmissione nella Chiesa.
La proprietà che essa ha in comune con la Scrittura, di contenere la parola di Dio, esige che questa rimanga inalterata. L’ufficio e il dovere dei successori degli Apostoli di esporla e di propagarla sono perciò vincolati all’ufficio e dovere di conservarla fedelmente. La differenza qualitativa tra gli Apostoli, ministri della Rivelazione nel suo stesso costituirsi, e i loro successori, soltanto depositari della medesima, rende incapaci quest’ultimi di aggiungere quantità nuove all’eredità ricevuta. Quindi il criterio di autenticità della tradizione rimane per sempre la sua apostolicità.
La proprietà che la differenzia dalla Scrittura, di essere sprovvista di ispirazione divina nelle sue manifestazioni, non la costringe in nessuna formula determinata od espressione fissa. Essa perciò ha l’attitudine permanente ad incorporarsi a tutte le situazioni ed istituzioni in cui si concretizza storicamente la Chiesa. L’unica condizione per essere accreditata come veicolo di Rivelazione è che le sue manifestazioni, di qualunque genere esse siano, coincidano con le indicazioni della Scrittura. Questa infatti, non essendo altro che predicazione apostolica in forma di scrittura sacra, non può essere contraddetta da nessuna forma di predicazione non scritta. Come dunque nella Scrittura non può esservi nulla che non concordi con la Tradizione, così niente potrà essere nella Tradizione che non concordi con la Scrittura.
Ciò deriva, in ultima istanza, dal fatto che la Tradizione non è altro che Vangelo vissuto e, in quanto tale, testimonianza insostituibile del Vangelo scritto.
2. Coincidenza di contenuto
La coincidenza di contenuto ora accennata teoreticamente può verificarsi in due modi.
Prima di tutto mediante una stretta concordanza, per non dire sovrapposizione, per cui niente sarebbe trasmesso dalla Tradizione che non si trovi, nella forma ad essa propria, anche nella Scrittura. Oppure per semplice non opposizione, senza che necessariamente la testimonianza della Tradizione trovi riscontro in quella della Scrittura. Nel primo caso tutta la Rivelazione, considerata sotto l’aspetto quantitativo, sarebbe contenuta nella Scrittura, almeno nella forma rudimentale di indizio o indicazione fondata. Nel secondo caso qualche verità rivelata potrebbe esser trasmessa unicamente dalla Tradizione, senza avere nessun fondamento nella Scrittura.
Il Concilio volutamente ha lasciato tutt’e due le possibilità nello stato di ipotesi. Si è astenuto perciò sia dal presentare la Scrittura come codificazione di tutta la Rivelazione, sia dal presentare la Tradizione come supplemento quantitativo della Scrittura. Esso ha voluto tuttavia considerare l’una o l’altra tra di sé strettamente congiunte e comunicanti fino a formare, in certo qual modo, una cosa sola.
Non c’è dubbio che questa posizione, che teologicamente potrebbe apparire agnostica, penda verso la prima ipotesi, pur lasciando teoricamente possibile anche la seconda. Comunque essa è in armonia con la costante prassi ecclesiastica. Risulta infatti che finora le verità di fede definite dal magistero sono sempre giustificate da un richiamo più o meno diretto alla Scrittura (1).
È vero, sì, che i Romani Pontefici, specialmente dopo il Vaticano I, chiamano la Scrittura e la Tradizione fonti della Rivelazione (2); ma è altrettanto vero che mai essi le considerano così separate da far capire che, per conoscere tutto il deposito rivelato, si possa ricorrere ad una indipendentemente dall’altra. Anzi quando si trattava di difendere la Scrittura, degradata al livello di un libro qualunque, non dubitano di chiamarla «la fonte sicura di tutte le verità che appartengono alla fede (3)».
Questo è dunque l’insegnamento positivo del Concilio. Rigettato ancora una volta il principio protestante della Scrittura sola, non contrappone ad esso il principio, divenuto comune nella teologia controriformista, della Tradizione sola, quasi che questa abbia in esclusiva la proprietà di trasmettere qualche verità rivelata. Nella linea dei precedenti documenti del magistero, esso afferma semplicemente che la Chiesa per entrare nella certezza di tutto il deposito rivelato ricorre né alla Scrittura soltanto né alla Tradizione soltanto, ma a tutt’e due insieme (4). Secondo i casi, ora l’una ora l’altra potrà offrire il criterio determinante di rivelazione di una data verità.
3. Differenza di rappresentazione dello stesso contenuto
La Scrittura, appunto perché parola di Dio scritta, contiene la divina Rivelazione non altro che in forma di notizia; ciò comporta, per forza di cose, una certa parzialità. La Tradizione invece, per il fatto stesso che ne è trasmissione viva e concreta, la riproduce integralmente, nel senso che insieme alla notificazione verbale trasmette anche le realtà oggetto di quella notificazione. Perciò questa integralità del deposito rivelato, che nel senso ora spiegato è ad essa esclusiva, non indica necessariamente un apporto del tutto nuovo, cioè un’eccedenza numerica nei confronti di quello offerto dalla Scrittura. Si tratta piuttosto di gradazione diversa, in forza della quale le indicazioni soltanto verbali della Scrittura ricevono dimensione completa dalle realtà divine alle quali si riferiscono e che solo la Tradizione trasmette.
La Tradizione quindi si distingue dalla Scrittura non tanto per la maggiore quantità dell’oggetto trasmesso quanto per la più intensa espressione e rappresentazione del medesimo. Questo è il titolo sufficiente e necessario perché tutt’e due siano ugualmente impegnative per la fede, e debbano quindi essere accettate con pari sentimento di pietà ed uguale rispetto.
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NOTE AL TESTO
(1) A titolo indicativo, basti ricordare qualche esempio tipico, che si era soliti addurre come prova che qualche verità rivelata è contenuta e trasmessa soltanto dalla Tradizione:
Il numero settenario dei sacramenti è definito dal Concilio di Trento (sess. VII, can. 1: Denz.-Schön, 1601) «sanctarum Scripturarum doctrinae, apostolicis traditionibus atque aliorum conciliorum et Patrum consensui inhaerendo» (sess. VII, Prooemium: o.c., 1600). La necessità del battesimo per gli infanti è motivata dallo stesso Concilio (sess. V: o.c., 1514) con le due affermazioni bibliche dell’universalità del peccato (cfr. Rom. 5,12) e della conseguente necessità universale del battesimo (cfr. Gv 3,5). Il fondamento rivelato del dogma dell’Assunzione della Madonna è espresso nella costituzione apostolica di Pio XII: «Munificentissimus Deus: «Haec omnia Sanctorum Patrum ac theologorum argumenta considerationesque Sacris Liettris tamquam ultimo fundamento nituntur» (o.c., 3900). Anche la verginità perpetua della Madonna, secondo il parere di S. Girolamo, sarebbe fondata a suo modo nella Scrittura, nel senso che in essa non vi si dice niente in contrario: «Ut haec quae scripta sunt non negamus, ita et ea quae non sunt scripta renuimus. Natum Deum esse de Virgine credimus, quia legimus, Maria, nupsissime post partum non credimus, quia non legimus» (Adv. Helvid. 19: PL 23, 203 A. cfr. Benedetto XV, Encicl. Spiritus Paraclitus, 15 settembre 1920: AAS 12 [1920] 390-391). Questa verità dunque sarebbe entrata nella convinzione della Chiesa non tanto per una trasmissione orale positiva quanto per il silenzio della Scrittura sulla non verginità.
(2) La terminologia che designa la Scrittura e la Tradizione come due fonti della Rivelazione, già presente nel Vaticano I (cfr. la relazione del teologo W. Maier: Mansi 52, 25 A-B; 53, 239 A-D), divenne di uso corrente da Pio IX in poi (cfr. Epist. Inter gravissimas, 28 ottobre 1870: Pii IX Pont. Max. Acta, Pars I, t. V, 259).
(3) Pio X, Allocuzione concistoriale, 17 aprile 1907: Acta Sanctae Sedis 40 (1907) 268.
(4) Il silenzio del Concilio sulla Tradizione come fonte autonoma di Rivelazione appare eloquente se si considera che questa ipotesi era presentata come indubitabile certezza nello Schema della Commissione teologica preparatoria, che venne respinto nel primo periodo conciliare. Vi era infatti affermato: «Traditio, eaque sola, via est qua quaedam veritates revelatae... clarescunt et Ecclesiae innotescunt» (Sacrosanctum Concilium Vaticanum secundum. Schemata Constitutionum et Decretorum. Series prima, Typis Polyglottis Vaticanis 1962, 11). Tutto sommato, il testo della Costituzione, sebbene non importi un rifiuto di detta ipotesi o la proibizione di sostenerla ancora, sembra tuttavia orientare il lavoro teologico secondo questa direttiva: astenersi dal ricorrere unicamente alla Tradizione per qualificare una verità come divinamente rivelata. Si potrebbe dunque seguire come norma il principio prudenziale suggerito da S. Bonaventura, Apologia pauperum, IX, 5: «Prudentius silentio tegitur quod Scripturarum testimoniis non probatur» (ed. Ad Claras Aquas, VIII, 296a).
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